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Il limite della letteratura: canto XXXIII del Paradiso della Divina Commedia di Dante; quando le parole non bastano più
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l viaggio di dante attraverso i tre mondi ultraterreni si conclude nell'empireo, dove Dante assiste alla visione di Dio e sopraffatto dalle emozioni provate non riesce a descrivere ciò che vede, ma solamente le sue emozioni. E' questo il limite della letteratura: come poi vedremo Dante non ha le capacità di narrare ciò che accade e perciò gli restano solamente le sue emozioni.
Il canto si apre con la preghiera di S. Benedetto alla Vergine affinché interceda in favore di Dante, in modo che egli possa assistere alla visione di Dio. Grazie ad un furbo gioco di sguardi Dante è ammesso alla visione del raggio divino, ma pur riuscendo a sostenerne la vista, non riesce a descrivere l'esperienza poichè supera i limiti della memoria umana, e resta solo la dolcezza dell'impressione provata. A questo punto Dante prega Dio affinché gli consenta di trasmettere almento in parte ciò che ha visto. Ed eccogli rivelata l'unità dell'universo e svelati i misteri del cristianesimo. Alla fine il desidero di Dante e la sua volontà sono in sintonia con quelli di Dio.
Il canto si può dividere in due parti:la prima, è la preghiera alla Vergine; la seconda, (più importante per la nostra analisi) la visione di Dio e le dichiarazioni di ineffabilità
La prima,
stilisticamente perfetta, ricorda le preghiere tipiche dell'innografia cristiana,
quali "Salve Regina" "Ave Maria", il "Gloria", e il "Te Deum". La preghiera è
scomponibile a sua volta in due parti minori: le lodi a Maria e la supplica
vera e propria. Le lodi che hanno come soggetto
Nella seconda parte della preghiera si passa all'invocazione di Dio, dove S. Bernardo ripercorre il viaggio di Dante dall'Inferno al Paradiso per dirigersi verso "l'ultima salute". La supplica di S. Bernardo prosegue con la spiegazione degli intenti di Dante e di Bernardo stesso che desiderano ardentemente di vedere Dio che è "sommo piacer". Questa seconda fase si conclude con la raccomandazione a Maria di salvaguardare il pellegrino dal vizio e dal peccato una volta tornato sulla terra.
Da questo punto in
poi al linguaggio verbale si sostituirà quello visivo.
Dante, penetrando nell'essenza divina, percepisce in un attimo la totalità dello scibile. In questo momento ciò che predomina è la calma e l'ordine perfetto che è reso in questo caso con la famosa metafora del volume. La straordinarietà della visione provoca però un oblio tale che è iperbolicamente maggiore di quello causato dall' impresa degli Argonauti venticinque secoli prima; il parallelo tra mito e religione serve al poeta fiorentino per circondare l'esperienza di un aura mitica, poiché gli uomini non possono conoscere la totalità dei sentimenti dello scrittore e perciò introduce un elemento a loro noto, per far capire ciò che egli sta provando. Inoltre, stilisticamente parlando, ciò serve anche a sottolineare l'importanza di quel momento. Dante poi tenta di tradurre in forme geometriche il mistero della Trinità e questo è possibile perchè la vista di Dante si è rafforzata sempre di più e tale rinvigorimento ha provocato in lui una mutazione interiore che gli consente d'intendere ciò che è razionalmente incomprensibile per la mente dell'uomo. A questo punto accade la visione dei tre cerchi e colori, generati l'uno dall'altro (le tre persone della trinità): e si tratta proprio di cerchi perchè rimandano all'idea di perfezione in quanto non hanno né un inizio né una fine. In particolare, il secondo cerchio, formatosi per riflesso dal primo, rappresenta l'uomo con gli stessi colori del cerchio, e ciò sta a simboleggiare la doppia natura, divina e terrena, di Cristo. Ecco raffigurato nell'istante successivo,un altro importante mistero, quello dell'incarnazione, seppure con una visibilità incerta poiché la figura ed il cerchio sono dello stesso colore e quindi scarsamente distinguibili. Le trasformazioni geometriche sottolineano la volontà di conoscenza intellettuale da parte dell'uomo-Dante e nello stesso tempo il limite di tale conoscenza, poiché Dante, quando cerca di capire come l'immagine umana si adatti alla forma del cerchio e trovi posto in essa, viene a trovarsi nella stessa condizione dello studioso di geometria che non riesce a risolvere il problema della quadratura del cerchio.
In conclusione, anche in quest'ultimo canto l'abilità stilistica di Dante è straordinaria, come si rileva dal plurilinguismo utilizzato per rendere adeguatamente l'oscillazione tra umano e divino e l'intersecarsi di queste due di realtà tra loro difficilmente intersecabili. Anche qui Dante fa un ampio uso di latinismi e di termini filosofici e gallicismi per rendere il discorso sia più fluido, sia più aulico che più realisti.
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