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Il "dolce stil novo"




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IL "dolce stil novo"

I. Caratteri generali

Il "dolce stil novo" non è una scola ma un insieme di esperienze diverse e tuttavia convergenti, che mettono capo ad una nuova poesia d'amore di grande coerenza linguistica e di fortissima ambizione intellettuale, che taglia i legami con il confuso sperimentalismo della lirica cortese municipale.

La denominazione di "dolce stil novo" si ricava a posteriori dalle parole che Dante nel canto XXIV del purgatorio fa dire a Bonagiunta Orbicciani. La poesia è per lui notazione e trascrizione, in termini di letteratura, di quello che Amore 'ditta dentro' (i' mi son un che quando Amor mi ispira, noto, e a quel modo ch'e' ditta dentro vo significando). Questa dichiarazione di Dante fa comprendere a Bonagiunta la lontananza del siciliano Giacomo da Lentini, di Guittone e di lui stesso dall'esperienza dei nuovi poeti ("o frate, issa vegg'io" diss'egli " il nodo che 'l notaro e Guittone a me ritenne di qua dal dolce stil novo ch'i' odo!") . Inoltre egli riconosce che le 'penne' dei nuovi poeti vanno 'strette' ai dettami del 'dittatore' Amore, cosa che non accade ai loro predecessori.

Nell'ottica di Dante, sono in primo piano la 'novità' dell'atteggiamento e la funzione di Amore, che 'spira' e 'ditta dentro'.

Il distacco dalla precedente poesia cortese è garantito soprattutto dalla nuova associazione tra dolcezza stilistica e significazione razionale: sono essenziali nello stil novo, la conoscenza teorica e filosofica e la concezione molto precisa dei processi che avvengono nell'anima presa dall'amore, altrettanta attenzione porge lo stil novo a taluni dibattiti morali, come quello sulla nobiltà e sui rapporti tra amore e nobiltà.

Come in tutte le concezioni 'cortesi', anche nello 'stil novo' l'amore e la poesia appaiono come caratteri distintivi di un'élite; il 'dolce' linguaggio crea una comunicazione tra pochi spiriti privilegiati, 'fedeli all'amore'. Questo gruppo di eletti non intende definirsi in base a una precisa collocazione sociale: il loro atteggiamento aristocratico non è condizionato né da una corte regia, né da un contesto comunale e municipale. Essi si riconoscono soprattutto in una scelta: nella decisione comune di intendere l'esperienza amorosa e poetica come valore assoluto.

La donna del dolce stil novo appare improvvisamente in qualche angolo della città, il rapporto amoroso è fatto di fuggevoli incontri ed emozioni che si collocano in un contesto urbano: il poeta è inserito in un gruppo di amici, di 'fedeli d'amore' che gli offrono solidarietà e sostegno. E la donna è circondata da altre donne, sulle quali si irradia il riflesso della sua bellezza. Questi incontri-apparizioni producono effetti sconvolgenti sul poeta. La poesia registra con cura questa dialettica fisiologica e psicologica, Utilizzando nozioni offerte dalla filosofia contemporanea e da antiche teorie e credenze: gli effetti dell'amore vengono considerati come conseguenza del movimento di sostanze incorporee. Queste entità aeree, dotate di una loro autonomia, e chiamate spiriti, si spostano e si modificano influendo sulle facoltà dell'anima individuale, e sono anche in grado di cambiare sede, allontanandosi dall'individuo a cui appartengono e seguendo, per proprio conto, l'immaginazione della donna di cui egli è innamorato. La donna non viene quasi mai raggiunta, molto spesso appartiene a un altro luogo e le inibizioni sociali impediscono comunque di arrivare da lei. L'obbiettivo di questo amore non è comunque la realizzazione di un desiderio, ma la continua tensione verso un valore inafferrabile.

II. Guido Guinizzelli

Guido Guinizzelli, dotato di cultura giuridica, filosofica e letteraria, iniziò la sua attività di rimatore nel più complicato stile guittoniano. Passo poi allo stile 'novo' e 'dolce', ma ricco di tensioni intellettuali. Nelle sue rime più esemplari sono in primo piano il 'valore' della donna e lo stupore per il suo manifestarsi. L'apparizione della donna ha una forza benefica che elimina ogni cattivo pensiero: essa espande attorno a se splendore e chiarità; ma la sua luce di 'stella' in 'figura umana' riduce l'amante all'immobilità. La più alta espressione dell'amore del poeta, che però non dispera di arrivare a una più diretta e totale comunicazione con l'amata, è la lode che egli fa di lei.

Guinizzelli raggiunge in alcuni sonetti una nitida e fresca misura melodica, forte è anche la sua disposizione dottrinaria e filosofica. L'autentico amore è aristocraticamente riservato ad alcuni cuori 'gentili' 'predestinati dagli influssi celesti; ma la gentilezza non si identifica con la nobiltà di sangue: chi discende da nobile famiglia ma non possiede le autentiche qualità d'animo derivanti dagli influssi celesti, non può raggiungere il 'gentil valore' e l'amore.

III. Guido Cavalcanti

Di pochi anni più anziano di Dante suo 'primo amico' e compagno di esperienza umanitaria letteraria, Guido Cavalcanti nacque intorno al 1260 da una delle più ricche famiglie della nobiltà guelfa fiorentina. Fin dalla giovinezza si occupò soprattutto di letteratura volgare e di filosofia. Nel '92 intraprese un viaggio verso il santuari spagnolo di Santiago di Compostela, ma giunse solo fino a Tolosa; e sembra che durante questo viaggio subisse l'aggressione da parte di sicari di Corso Donati della quale cercò poi in vano di vendicarsi a Firenze. Implicato in violenti episodi di lotta politica, il 24 giugno 1300 fu esiliato, con un provvedimento del priorato di cui faceva parte Dante. Dopo un soggiorno a Sarzana e la revoca del provvedimento di esilio, morì a Firenze il 29 Agosto dello stesso anno.

La poesia di Cavalcanti sorprende subito per la sua capacità di creare un movimento melodico soave e leggero, ma che nasconde un accuratissimo lavoro retorico. I suoi versi si succedono con un ritmo di danza, che procede lieve fino al momento in cui si richiude misuratamente in se. Tutta la poesia di Cavalcanti tende ad illuminare questi effetti sconvolgenti dell'amore, il punto di partenza del' intero processo è sempre l'esaltazione del valore della donna, che costringe il poeta a 'servire'. Questa forza sembra l'emanazione di un'entità separata dalla normale esperienza terrena, che con il suo solo rivelarsi crea un invincibile sbigottimento: essa fa tramare l'animo che la espone alla minaccia della morte, la cui immagine si dipinge nello stesso aspetto del poeta. Una lacerante angoscia si impadronisce del 'core'; il poeta è 'dubbioso', 'sbigottito', in preda alla 'paura', segnato dalla 'disavventura'. Ma l'amore è tanto forte da spingere a cercare ciò che distrugge e fa male, e di riaffermare il valore assoluto di ciò che porta alla morte. Questa contraddittorietà parte dalla concezione della pluralità della facoltà dell'anima e delle essenze che agiscono sull'anima. La poesia di Cavalcanti è fitta di figure e di personificazioni, di entità fisiche e psichiche, che si scindono, si separano, si aggregano e si intrecciano fra loro. La stessa immagine della donna si moltiplica in immagini diverse. Dappertutto si muovono, ossessivi gli spiriti, il cui numero cresce a dismisura.

In questa straziante scissione, la persona della donna amata sembra quasi arretrare e allontanarsi, rimpiazzate da figure sostitutive, da presenze incorporee o da dolci apparizioni femminili di livello più basso.

Cavalcanti si rivela poeta tenerissimo della comunicazione indiretta; egli è forse il primo, nelle letterature volgari che riesca ad avvertire fino in fondo, con radicale estremismo intellettuale, fisiologico, psicologico la violenza dell'amore, fantasma assoluto e distruttivo.

IV. Gli stilnovisti minori

Rispetto all'intensità di Cavalcanti e di Dante, gli altri poeti a loro vicini si collocano a un livello medio di più tranquilla misura. Vanno ricordati Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi e soprattutto Cino da Pistoia, legassimo a Dante e da lui molto stimato. Giurista insigne studiò a Bologna e forse anche a Parigi, e insegnò nelle università di Siena, Perugia e Napoli; fu, come Dante tra i sostenitori del progetto di restaurazione imperiale di Arrigo VII . Il suo canzoniere è il più vasto tra quelli stilnovistici, Cino Subisce un forte influsso dalle rime di Dante e percorre la via di una poesia illustre, ma misurata, con un suo equilibrio tra pacatezza tecnico-linguistica e impegno intellettuale. In molte rime per l'amata Selvaggia egli rievoca in modo originale la figura della donna e le emozioni provate di fronte a lei. Per la sua temperanza stilistica Cino costituisce il tramite tra lo stil novo e il Petrarca: Petrarca troverà in lui il più vicino punto di riferimento per il proprio modello di poesia amorosa.

V. Lo sviluppo della poesia giocosa

Dopo le prove di Rustico Filippi si sviluppa in toscana una produzione di sonetti giocosi, che raffigurano effetti deformi o distorti della realtà di ogni giorno; spesso si parla di aspre caricature di un preciso personaggio e numerosi sono le tenzoni comiche cioè scambi di sonetti comici tra rimatori, ciascuno dei quali aggredisce l'altro e lo presenta come figura risibile. Sonetti giocosi vengono scritti anche da Guinizzelli, Cavalcanti e da Dante. Soprattutto a Siena si compongono testi di questo tipo che presentano una vita quotidiana concreta e limitata, facendo propri i modi più bassi del volgare e opponendosi alle ambizioni illustri della poesia cortese e amorosa. Cecco Angiolieri fu di poco più anziano di Dante, con il quale ebbe uno scambio di Sonetti, egli costruisce il proprio canzoniere comico cercando a tutti costi, di presentarsi come un personaggio. I suoi sonetti esibiscono un repertorio di gesti aggressivi e provocazioni: Egli si fa beffa del lavoro dell'onestà, dell'amore dei valori familiari della morale corrente nella vita comunale.

La malinconia, che spesso Cecco evoca, è una sorta di ostinata contentezza, un bizzarro prendere le cose a rovescio, e non a niente di sofferto e drammatico come dimostrano gli inizi di certi sonetti. Tre sono i temi principali su cui ruotano i sonetti dell'angiolieri: l'amore per una certa Becchina presentato come una parodia dell'amore stilnovista, in quanto fatto di ripicche, dispetti, litigi, richieste di denaro, tradimenti e collocato in una cornice di convulsa vita materiale. L'odio per il padre,  vecchio e avaro con scatti di violenza contro un mondo greto e minuto, dal quale però l'autore non si sottrae, tanto che manifesta una gioia trionfale alla morte del vecchio e il bisogno di denaro, visto come unica fonte di felicità, unico bene capace di garantire la vita godereccia e spensierata alla quale Cecco aspira. Nel recitare questo personaggio di scioperato distruttivo l'angiolieri costruisce un gioco linguistico vivace e incalzante, il suo personaggio non esce da un orizzonte municipale chiuso e limitato: la sua declamazione comica si attacca a piccole cose a poche maniere e abitudini, meschine pertanto eversive o provocatorie possano sembrare. Cecco è assai lontano dalla forza dirompente della grande comicità.


VI. Folgore da San Giminiano: La vita cortese come immaginario

Di lui abbiamo una trentina di sonetti, tra cui si distinguono due 'corone' una di otto sonetti dedicata ai giorni della settimana e l'altra di 14 sonetti più celebre e suggestiva, dedicata ai mesi dell'anno. Queste corone si presentano come 'doni' che l'autore offre a nobili signori e alle loro brigate descrivono una serie di occupazioni piacevoli. Folgore riprende una tradizione provenzale, quella del plazer, 'elenco di cose piacevoli, e vi aggiunge la passione per il ritmo del calendario vivissima in tutta la cultura medievale; ma questi spunti gli servono per creare un'immagine della vita cortese piena di agio e di gioia, la cortesia diventa qui piacere di abitare le cose. Ogni sonetto offre il quadro di una situazione felice, esaltano e mitizzano la vita delle ricche classi cittadine colte in una sorte di perpetua vacanza.


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