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Nato nel 1906 a Belluno. Uno dei più importanti scrittori del '900, laurea in giurisprudenza ma lavora per molti anni per il Corriere della Sera. Nel 1933 pubblica il suo primo romanzo "Barnabò delle montagne" a cui seguirono "Il deserto dei Tartari" (1940), "I sette messaggeri" (1942), "Il segreto del bosco vecchio", "La famosa invasione degli orsi in Sicilia", . Muore nel 1972 a Milano a causa di una malattia incurabile.
Le vicende iniziano in un tempo ed uno spazio imprecisato, con la partenza del giovane tenente Giovanni Drogo per la fortezza Bastioni, al confine con lo Stato del Nord. L'imponente fortezza è collocata di fronte ad un deserto lastricato di pietre, il cosiddetto Deserto dei Tartari. Si tratta di una frontiera morta da cui non si attende alcun attacco militare, e per questo poco considerata dal Comando militare. Drogo prova subito un'avversione per la nuova destinazione ed è deciso ad ottenere al più presto il trasferimento (cap 1-2). Convinto dal maggiore Matti a restare 4 mesi per ottenere poi un congedo per motivi di salute, vive oppresso dalla SOLITUDINE e da un sentimento di ESTRANEITA' nei confronti della rigida disciplina militare, personificata dal sergente Tronk. Drogo conosce mano a mano i suoi nuovi compagni: uno dei primi incontri è quello con il maresciallo Prosdocimo (cap 7), il sarto della fortezza che vive lì da 15 anni nella comune folle attesa di eventi eroici. Un altro incontro è quello con il tenente Angustina (cap 8 ), un uomo colto e raffinato, dal corpo gracile e malato. Incontriamo quest'ultimo per la prima volta alla festa d'addio del tenente Max Lagorio, uomo attaccato ai piaceri della città, che invano cerca di convincere Angustina a partire con lui. Passano i 4 mesi concordati con il maggiore Matti e Drogo si reca dal medico militare per ottenere un certificato ed essere trasferito. Improvvisamente però la fortezza gli appare sotto un'altra nuove luce, positiva, e decide così di restare. A poco a poco si adatta alla vita militare e si sente invaso dalla comune speranza di eventi eroici. Passati 22 mesi Drogo si rivede in sogno bambino, mentre assiste alla morte di Angustina, rapito in sogno da strani spiriti fatati (cap 11). Il giorno seguente alcuni soldati vedono all'orizzonte una macchia nera che si muove: in tutti rinascono le speranze di un attacco dei Tartari. La macchia si rivela però essere solamente un cavallo nero. Al cap 15 avviene la morte di Angustina, rimasto solo su una montagna durante una spedizione, finge di giocare a carte e muore di freddo. Sono passati 4 anni, il capitano Ortiz e Drogo parlano della morte di Angustina (cap 16). Per Ortiz non c'è nessuna speranza di azioni gloriose. Arriva la primavera, nei soldati rinasce il senso di vita e la fortezza sembra sempre più una prigione. Drogo abbandona temporaneamente la fortezza e ritorna in città (cap 17), ma tornato a casa si sente straniero dalla sua stessa famiglia e subentra il rimpianto della fortezza. Deludente è anche il dialogo con Maria, sorella dell'amico di Drogo Francesco Vescovi, sua promessa sposa di un tempo. L'amore è ormai finito e Drogo non riesce più a riconoscere in lei la donna di un tempo (cap 19). Avendo passato 4 anni alla fortezza, ha diritto ad una nuova destinazione e, per ottenere un posto vicino alla sua città, si rivolge al generale di divisione. Il generale lo informa del nuovo regolamento che prevede una drastica riduzione dell'organico della fortezza. Il nuovo regolamento prevede anche la necessità di una domanda per il trasferimento. Drogo non è stato informato dai suoi compagni: la mancata domanda e alcuni rapporti disciplinari che gravano su di lui rendono vane le sue speranze. Ritorna così disilluso alla fortezza, la quale ha perso ai suoi occhi ogni senso di gloria.
Mentre nella fortezza si respira un'aria di abbandono per i trasferimenti , il tenente Simeoni cerca di far riaccendere in Drogo le speranze, ma Drogo è scettico, in lui sta avvenendo un cambiamento: adesso percepisce improvvisamente l'ansia per la fuga del tempo (cap. 22 p. 182) e si è completamente assuefatto alle abitudini militari della fortezza (cap. 22 p. 183). Tuttavia, nonostante le speranze dei soldati svaniscano, Drogo e con lui Simeoni sperano ancora. (cap. 22 pp. 184-5). Il comando cerca di impedire le fantasie sugli attacchi nemici, ben presto Simeoni si adegua agli ordini dei Superiori ed evita Drogo che è ormai il solo a sperare (cap. 23). All'improvviso appare una luce o di nuovo l'attesa di tutti ricomincia. Sono passati 15 anni e la fortezza è sempre di più trascurata. A comandare la forteza c'è adesso Ortiz. Drogo, ormai quarantenne e disilluso capitano, è di ritorno, in anticipo, da una licenza ( cap. 25). Sulla via che conduce alla fortezza incontra un nuovo tenente, il tenente Moro; si ripete così la situazione iniziale, a parti invertite, fra lui, giovane tenente, e il capitano Ortiz ( cap. 25 p. 201).
Drogo invecchia e rivede se stesso nel tenente Moro, come un tempo Ortiz si era riconosciuto in lui. Quest'ultimo lascia la fortezza e i personaggi di un tempo e di un destino sempre uguale sì scambiano le immutabili parti: Moro diventa Drogo e Drogo Ortiz. Passa ancora inesorabile e imprecisato il tempo; a comandare la fortezza c'è adesso Simeonì. Drogo, ormai cinquantaquattrenne, è informato dal sarto Prosdocimo dell'arrivo dei Tartari. L'evento da lui tanto atteso sembra avverarsi, ma, ironia della sorte, adesso è malato. Drogo abbandona così la fortezza, per morire solo e abbandonato da tutti in una locanda (cap. 29); la sua umile morte riscatta però le vane speranze della vita: comprende che morire nel dolore e nella solitudine è il solo atto eroico possibile, ben più grande di illusori eroismi ed anche più nobile della nobiltà, un tempo supposta, della morte di Angustina.
Ma questo senso di angoscia ha radici anche letterarie che possono ricondursi alla cultura di tutto il Novecento, il secolo della crisi. In questo senso il romanzo potrebbe definirsi come romanzo dell'inettitudine.
Il suo protagonista, Giovanni Drogo, è un inetto, un antieroe parante dei protagonisti di D'Annunzio, Pirandello e Svevo. Punti in comune:
1) Gli inetti del 900 sono innanzitutto vittime della nevrosi, intesa come incapacità di adattarsi al mondo, estraneità rispetto al mondo, incomunicabilità e solitudine: gli inetti sono, infatti, soli, incapaci di comunicare con gli altri e con la realtà che li circonda. Fin dal primo capitolo Drogo si sente diverso rispetto all'amico Vescovi e alla città che abbandona: Giovanni e Francesco erano vissuti insieme per lunghi anni con le stesse passioni le stesse amiciziepoi Vescovi si era fatto grasso, Drogo invece era diventato ufficiale e adesso sentiva come l'altro fosse ormai lontano. Tutta quella vita (della città) facile e elegante oramai non gli apparteneva più p.5
La sua estraneità non riguarda solo la città ma anche la fortezza (rapporto amore-odio), un mondo percepito come lontano da sè. Di qui il senso di delusione e la volontà di fuga che lo accompagnano nella prima parte del racconto. Particolarmente intensa per l'atmosfera di solitudine è la scena della prima notte passata alla fortezza: Adesso sì capiva sul seno che cosa fosse solitudineNessuno per la durata dell'intera notte sarebbe entrato a salutarlo; nessuno in tutta la fortezza pensava a lui e non solo nella fortezza, probabilmente anche in tutto il mondo non c'era un'anima che pensasse a Drogo; ciascuno ha le proprie occupazioni ciascuno basta appena a se stesso, persino la mamma, poteva dare persino lei in questo momento aveva in mente altre cose, di figlioli non c'era soltanto lui
2) Tematica edipica: gli inetti sono figli di madri prottettive e di padri che si segnalano per la loro energia, spesso sessuale, a contrasto della inettitudine dei figli
Motivo della incomunicabilità, caratteristica costante nelle opere del Novecento per cui si può di nuovo citare il nome di Pirandello (Sei personaggi in cerca d'autore). Drogo non si dissocia dalla matrice comune degli inetti e con lui tutti gli altri personaggi del Deserto dei Tartari, tanto che ne risentirne la stessa struttura dei dialoghi: tipico del romanzo è infatti il dialogo interrotto e il dialogo non partecipato o non compreso. Questa caratteristica si evidenzia in particolare nel dialogo fra il capitano Ortiz e Drogo durante il primo viaggio alla fortezza (cap. 2). Qui significativa è la ricorrenza del motivo del silenzio e l'ossessiva ripetizione del verbo tacere Dialogo sempre minacciato dal silenzio e che si conclude con una sostanziale incomprensione. Emblematica anche morte di Angustina: Come il vento ebbe una pausa, Angustina rialzò di qualche centimetro il capo, mosse adagio la bocca per parlare, gli uscirono soltanto queste due parole: "Bisognerebbe domani" e dopo più nulla. (cap. 15 p. 137). Il discorso privo di qualsiasi senso, per l'interlocutore sembra alludere all'impossibilità di ogni comunicazione umana.
4) L'incomunicabilità coinvolge anche l'amore. Il motivo ha uno spazio limitato, circoscritto al solo cap 19, nell'incontro con Maria (pag 156)
5) L'autoinganno, la tendenza cioè a mentire agli altri e soprattutto a se stessi tipica dei personaggi sveviani.
Tutti i personaggi del deserto dei Tartari sono alla ricerca di una dimensione "altra" rispetto alla grigia realtà borghese rappresentata dal mondo della città e dal formalismo ripetitivo della fortezza. Oggetto della loro ricerca sono le imprese gloriose vanamente attese dal Nord, luogo misterioso e mitizzato su cui si appuntano le assurde speranze di tutti. Speranze assurde perché tutti sanno che i Tartari non si sono mai visti (Drago domandò: "Perché dei Tartari? C'erano i Tartari?" "Anticamente credo. Ma più che altro una leggenda .Nessuno deve essere passato di là, neppure nelle guerre passate." - cap. 2, p. 15-) ,eppure tutti sperano inventando favole e mentendo ostinatamente a se stessi, con l'unico scopo di rendere vivibile la noia della vita. A rivelarlo a Drogo è il maggiore Ortiz (cap 21 pag 174), che sembra esserne consapevole ma in qualche modo ne è vittima: da un lato consiglia Drago di partire dalla fortezza e di mettere fine alle assurde speranze, dall'altra non presta fede alle sue stesse parole attratto come tutti dagli eventi attesi dal nord. Il sarto Prosdocimo invece si dichiara provvisorio alla fortezza, mentre in realtà è vittima delle false speranze da 15 anni Autoinganno come sfogo alla noia e all'esilio della fortezza: l'arrivo dei Tartari (la realizzazione cioè dette speranze di tutti) metterebbe fine all'autoinganno e conseguentemente svelerebbe l'unica realtà della fortezza, la noia dell'abitudine.
6) Contrapposizione sani-malati ( tipica soprattutto in Svevo, ma presente anche in Pirandello) si basa sul contrasto oppositivo di coppie di personaggi di cui una parte ha in sè i segni della "malattia" (la nevrosi, l'inadattabilità alla società borghese) e l'altro i segni dell'adattabilità al mondo (il successo economico, il prestigio sociale, il successo con le donne ecc.). Questa contrapposizione dà vita ad un rovesciamento di valori, per cui il vero sano appare essere il malato è viceversa. L'inadattabiità del malato rappresenta la sua sconfitta nel mondo, ma contemporaneamente segnala la sua superiorità, soprattutto legata al privilegio poetico: solo i malati infatti raggiungono lo spazio più autentico dell'uomo, ossia la profondità dell'inconscio.
Nel romanzo di Buzzati il contrasto sani-malati si sviluppa attorno alla figura del tenente Angustina. Egli è il tipico inetto del Novecento, malato sia nel corpo che nello spirito. Il male è però ostentato con un aristocratico senso di superiorità. Si avvicina al personaggio decadente per la sua raffinatezza ed il suo aristocratico distacco dagli altri, dal mondo borghese e dalla città. Egli evidenzia inoltre una sorta di superoismo poetico nel suo rapporto privilegiato con la poesia. A lui si contrappongono due sani: il tenente Lagario e il capitano Monti La "salute" dei due sembrerebbe esaltare la nobiltà del malato, tuttavia nel finale la contrapposizione sani-malati si annulla e la nobiltà del malato Angustina risulta di gran lunga inferiore alla misera morte di Drogo: eroica è la consapevolezza di chi si rende conto che esiste sola la "malattia" della vita, sconfitta comune di tutti, sani e malati
7) Motivo del brutto, come la deformazione e la bruttezza dei personaggi di Pirandello. Ne Il deserto dei Tartari il motivo è secondario poiché collocato all'inizio e alla fine del racconto, ma in una posizione strategica che ne sottolinea l'importanza. Primo accenno nel cap 1, quando di fronte ad una specchio Drogo scopre di non piacersi. La situazione può dirsi pirandelliana per quell'esame di se stesso allo specchio che ricorda Mattia Pascal e il Moscarda di Uno, nessuno e centomila. Riemerge di nuovo la contrapposizione fra Drogo e Angustina, il contrasto nobiltà-miseria umana e quello fra bellezza e bruttezza. Per la bellezza che piace alle donne si veda ad esempio il ritratto di Andrea Sperelli colto, nell'attesa di Elena, davanti a uno specchio: (Il piacere, D'Annunzio)
Tema fondamentale della fuga del tempo Cap.6: Drogo durante la guardia si addormenta e il narratore ci informa che proprio quella notte cominciava per lui l'irreparabile fuga del tempo. Seguono due pagine in cui la voce narrante pone a contrasto l'età della giovinezza e l'età della vecchiaia. Nella giovinezza gli anni scorrono lenti e con passo lieve, non esiste competizione e tutti ci manifestano benevolenza Con l'età adulta il passato diventa irrecuperabile e la fuga del tempo si fa vorticosa. Drogo al momento non è consapevole di tutto questo, ma un giomo si renderà conto drammaticamente del brusco passaggio dalla giovinezza all'età adulta. Al cap 22 Drogo all'improvviso è attanagliato dall'ansia di non avere più tempo a disposizione.
Motivo del tempo trattato in forme nuove sia dal punto di vista ideologico che narrativo:
- Moderna percezione non più oggettiva, ma soggettiva del tempo: il tempo delta coscienza contrapposto al tempo razionale della realtà. Questa percezione soggettiva è evidenziata attraverso le stesse strutture narrative ed in particolare attraverso il rapporto fra la durata del tempo della storia e la durata del tempo del racconto. Se confrontiamo la durata dell'avventura (33 anni) con la durata convenzionale del racconto (il numero di pagine impiegate per raccontarla) notiamo un'improvvisa accelerazione del racconto nell'ultima parte: dal capitolo 22 al capitolo 30 (in soli 9 capitoli) vengono, infatti, raccontati 29 anni dei 33 compresi nella durata della storia Asimmetria notevole! Scelta funzionale per sottolineare la moderna percezione del tempo! L'accelerazione inizia proprio al capitolo 22, quello in cui Drago avverte per la prima volta la fuga del tempo.
Il romanzo del Novecento si caratterizza anche per la rottura dell'ordine lineare degli eventi = alla percezione lineare dell'ottocento (passato-presente-futuro) subentra la dimensione della durata o della compresenza: la compresenza di tutti gli eventi (passati e presenti) nella coscienza dell'individuo (Nuova dimensione sviluppata da Bergson in filosofia e introdotta nella letteratura da Proust) A livello letterario di traduce con l'interferenza dei tempi (dai presente dell'io narrante ai vari passati dell'io narrato). Nel romanzo si riflette nel motivo dell'abitudine e del sempre uguale: l'abitudine che annulla il presente e il passato in una ripetizione sempre uguale si manifesta infatti come incapacità di percepire il tempo e conseguentemente come impossibilità di recuperano.
Tema dell'abitudine che annulla ogni distinzione fra giovinezza e età adulta nell'identica ripetizione del sempre uguale. Il senso di tutto questo è che la vita non è altro che immobile ripetizione, angoscia da cui non fugge nessuno.
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