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IL DECADENTISMO
La parola Decadentismo deriva da décadent, termine usato in Francia con significato dispregiativo nella seconda metà dell''800, contro i "poeti maledetti" (Verlaine, Rimbaud, Mallarmé), che con la novità della loro arte e la loro vita irregolare e disordinata, apparivano alla gente comune come dei "decadenti", ossia corrotti e dissoluti. Infatti, essi opponevano alla rispettabilità delle idee professate dai benpensanti un fervore di progetti, di idee, di novità piuttosto audaci, un costume di vita scandalistico proprio di chi ha giudicato come ipocriti tutti i valori consacrati dal moralismo borghese del tempo.
Sul piano della ricostruzione dei fatti occorre riportarci nella Parigi irrequieta e scontenta del 1880, dopo la caduta del secondo impero napoleonico e le convulsioni della Comune, per cogliere il senso rivoluzionario dell'ennesima"querelle" scoppiata tra i sostenitori dell'ordine tradizionale in ogni campo della cultura e della vita e i battaglieri innovatori sprezzanti del passato. Questi ultimi denunciarono una crisi di valori che sarebbe sfociata nelle due guerre mondiali, la solitudine disperata dell'uomo, l'incomunicabilità e la paura di vivere.
Oggi, però, il termine Decadentismo non ha più alcun significato negativo, in quanto indica sul piano storico culturale la civiltà nata dalla crisi del Positivismo.
Mentre fuori dall'Italia, in Francia, Inghilterra e Germania, esso qualifica una corrente letteraria del tardo '800, in Italia indica tutta la letteratura e la civiltà del '900. Fu, infatti, Benedetto Croce che definì "decadenti" le manifestazioni artistico-letterarie del Novecento, e, poiché il tema di fondo della letteratura del '900 è l'angoscia esistenziale, la critica le ha attribuito il termine di Decadentismo.
Tale movimento nacque in Francia, dove furono elaborate le più importanti poetiche del movimento, quasi tutte derivate da intuizioni presenti nella raccolta di poesie " Les Fleurs du mal" di Charles Baudelaire, il padre della poesia moderna. In Francia, infatti, fiorirono poeti e artisti fin dal dodicesimo secolo, cha le diedero il primato nella cultura; è la Francia che si avvia al rinnovamento culturale, nella seconda metà dell''800, con l'obiettivo di creare un'arte nuova e di rompere con la tradizione. Pertanto la patria del Decadentismo è la Francia, anche se le cause ed origini remote del movimento si devono ricondurre ai popoli inglese e tedesco, ove Novalis, Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche, Poe, Wagner portarono nelle loro opere di tardoromantici i germi della sensibilità decadente. In Francia Baudelaire seppe cogliere i messaggi di questi innovatori e costituì l'elemento catalizzatore; a buon diritto si può quindi riconoscerlo come il padre del Decadentismo. Da lui presero spunto i poeti maledetti che appunto gettarono i fondamenti di una poetica decadente destinata ad essere il legame di tutte le poetiche dei vari artisti decadenti sparsi per il mondo.
Il rinnovamento dei contenuti e della forma, dunque, fu dovuto a ragioni filosofiche e storiche.
Il Decadentismo sorge come reazione alla crisi del Positivismo e del pensiero scientifico.
Infatti, verso la fine dell''800, filosofi, matematici e scienziati misero in evidenza i limiti del Positivismo e della scienza stessa, alla quale si riconosceva solo il carattere pratico di classificare e spiegare i fenomeni naturali, negando ogni carattere assoluto e definitivo alle sue conoscenze. I limiti sono resi più evidenti dalla teoria della relatività di Einstein e della nuova fisica che, in contrasto con la fisica classica di Galilei e Newton, fondata sull'ordine meccanico della natura, diventa una disciplina che ammette la relatività e l'imprevedibilità dei fenomeni. Ne derivarono la sfiducia nella ragione ed il sorgere di nuove correnti irrazionalistiche. La psicanalisi darà una base scientifica alla visione della vita del Decadentismo, scienza fondata da Freaud, secondo il quale le nostre azioni sono l'effetto di impulsi interiori.
Inoltre, la completa sfiducia nella ragione portò alla crisi dei valori tradizionali (libertà, patria), generando insicurezze e un senso di angoscia esistenziale che si tradusse nella maledizione dell'esistenza stessa. Quest'ultima appare senza uno scopo, né significato, dominata dalla noia, dal senso del mistero e dalla solitudine dell'uomo. Per gli spiriti fragili lo sbocco di questa angoscia fu la fuga dalla realtà, attuata in vari modi: disordini morali, paradisi artificiali della droga; insomma con tutte quelle manifestazioni che hanno qualcosa di eccentrico e irrazionale.
Ma per gli spiriti forti lo sbocco dell'angoscia fu l'accettazione virile ed operosa della realtà e il riconoscimento di un valore positivo dell'esistenza nell'impegno per la costruzione di un mondo migliore, attraverso l'umanesimo liberale e democratico, fondato sul rispetto dei diritti umani e civili.
Il Decadentismo ha anche una genesi storica: gli ideali banditi dal Romanticismo e dal Positivismo furono spazzati via dai conflitti interni ed internazionali, perciò all'ottimismo positivistico subentra un'angosciosa e pessimistica visione della vita. L'intellettuale assume in tale società, l'atteggiamento di ribelle; è antiborghese.
Il Decadentismo fu per alcuni una degenerazione del Romanticismo, e per altri una continuazione di esso, un Terzo Romanticismo; ma il Decadentismo è venuto via via differenziandosi dal Romanticismo, pur avvalorandone alcuni aspetti: l'individualismo e lo spirito di libertà. Infatti, il Decadentismo appare con una fisionomia tutta propria; la doglia romantica nasceva dal crollo degli ideali, l'amarezza dei decadenti nasceva, invece, dall'incapacità di crearsi degli ideali; inoltre, i romantici si erano chiesti cosa fosse la vita ed erano stati permeati dall'ansia di spiegarsene i "perché", i decadenti vi rinunciano.
Mentre l'individualismo romantico tendeva all'affermazione dell'io per reazione all'egualitarismo, l'individualismo decadente si fonda sull'analisi della propria sensazione; perciò, mentre l'uomo romantico contrappone alla ragione il sentimento, l'uomo decadente contrappone ad essa qualcosa di ancora più profondo e misterioso: l'inconscio e il subcosciente, cioè la zona più oscura, profonda e inesplorata dell'essere. Infatti, il decadente non parla di sentimento che considera banale e comune ma di "sensazioni" eccezionali, rare e raffinate.
Inoltre, mentre l'individualismo romantico si accompagna sempre ad un senso di solidarietà, quello decadente recide ogni legame con gli altri uomini e concepisce l'individuo tutto chiuso in se stesso, estraneo e indifferente agli altri.
Si tratta di un individualismo "asociale", dovuto alla mancanza di una fede o di un ideale capace di generare solidarietà con il prossimo.
Dal senso di individualità esasperata deriverà il mito del superuomo, al quale tutto è dovuto e permesso per l'eccezionalità della sua persona.
Il Romanticismo, di natura democratica, ispirò il liberalismo e il socialismo; il Decadentismo, di ispirazione aristocratica, perché il decadente si compiace dell'eccezionalità della sua persona, favorì, invece, il sorgere dei partiti totalitari (comunismo, Fascismo, Nazismo) con tutto il loro tragico seguito di sanguinarie figure dittatoriali.
Un'altra differenza tra Romanticismo e Decadentismo consiste nel diverso atteggiamento nei confronti della ragione: il primo aveva rifiutato la ragione degli illuministi, ma l'aveva, comunque, considerata in grado di elaborare principi universali; il secondo nega questo potere alla ragione e nega validità ai valori universali (il bene, il male, la famiglia, la patria, la religione); giunge alla disgregazione della persona, alla centrifugazione dell'essere che è allo stesso tempo "uno nessuno e centomila".
Infine è possibile riscontrare una differenza nel senso del mistero, presente nei due movimenti: nel Romanticismo ebbe un carattere attivo di ricerca, perché era sorretto dalla volontà di spiegarlo, per scoprire il valore assoluto dell'uomo e il suo destino; nel Decadentismo ebbe, invece, un carattere passivo e contemplativo, in quanto più sofferto che esplorato con un doloroso smarrimento di fronte alla sua impenetrabilità e con un senso di solitudine, che toglie la volontà di ricerca e porta allo scetticismo (ossia alla distruzione di qualsiasi fede), al solipsismo (ossia ad una forma di individualismo esasperato), all'incomunicabilità (ossia all'impossibilità di un vero colloquio con gli altri).
La poesia decadente è concepita come strumento di conoscenza del mistero che ci avvolge, perché in un mondo senza razionalità, privo di certezze e di valori, la poesia resta l'unico tramite che ci possa mettere in comunicazione con l'ignoto, con l'inconscio e l'assoluto.
Pertanto si parla spesso di " poesia sensazione", che per esprimere i sensi più nascosti ricorre ad ONOMATOPEE (ossia all'uso di suoni linguistici capaci di imitare rumori naturali).
Ciò comporta una nuova visone del poeta che diventa veggente, ossia esploratore del mistero, dell'inconscio e dell'assoluto a cui perviene per improvvise folgorazioni e intuizioni, scoprendo l'universale corrispondenza e analogia delle cose, perché in tutto c'è il tutto, ossia l'assoluto.
Tale poeta, invece di fare della poesia un dialogo con gli altri, la riduce ad un monologo, ad una rassegna delle sue sensazioni, avvalendosi di un linguaggio oscuro che solo spiriti affini, capaci di percepire le stesse sensazioni, possono comprendere. Per il carattere oscuro, la poesia decadente si presta a diverse interpretazioni.
Il Decadentismo rifiuta le forme metriche tradizionali, chiuse, rigide, i versi e le strofe tradizionali, retti da norme precise e preferisce le forme aperte, ossia le strofe e i versi liberi, perché la poesia, essendo rivelazione del mistero, deve essere immune da ogni interferenza razionale ed esterna. Il verso libero è formato da un numero impreciso di sillabe perché al ritmo fisso viene a sostituirsi un ritmo mobile che rappresenta il mezzo attraverso il quale si traduce la particolare visione di ciascun artista.
Tale movimento si sviluppa molto lentamente; in Italia appare fra il 1860 e il 1880 attraverso gli Scapigliati e nelle opere di Pascoli, D'Annunzio, Fogazzaro, Pirandello; nei crepuscolari, nei futuristi e negli ermetici tra le due guerre.
In ciascun artista assume aspetti diversi, relativi alla propria personalità:
In Pascoli, aspetto simbolistico
In D'Annunzio, aspetto estetizzante, superomistico e sensualistico
In Pirandello, aspetto polemico
In Svevo, aspetto rinunciatario
In Fogazzaro, aspetto religioso
Nei crepuscolari, aspetto smarrito
Nei futuristi, aspetto attivistico
La sua diffusione si deve ad una rivista fiorentina dei primi anni del '900: "La Voce".
La lenta diffusione del Decadentismo è dovuta alla tenacia della tradizione culturale italiana, all'opposizione del Croce contro tale movimento, considerato "fabbrica del vuoto ed espressione di irrazionalità", al senso di equilibrio dello spirito nazionale.
Tuttavia il Decadentismo ha operato un rivolgimento della poesia e dell'arte in genere. La critica contemporanea ha evidenziato degli aspetti positivi sul piano artistico, morale e sociale.
Sul piano artistico perché ha ripreso il concetto romantico della poesia e dell'arte, espressione del mondo; sul piano morale e sociale ha manifestato l'aspirazione verso una nuova umanità, verso un più giusto, umano vivere ed assetto sociale.
Luigi Russo riconosce al Decadentismo il merito di aver sprovincializzato la letteratura italiana e di averla messa in contatto con le letterature europee.
Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara nel 1863 da Francesco Paolo Rapagnetta e Luisa De Benedictis. Il cognome D'Annunzio appartiene allo zio che lo adottò.
Dopo aver frequentato il ginnasio nel collegio Cicognini di prato, s'iscrisse alla facoltà di lettere dell'università di Roma, ma non giunse mai alla laurea, perché allo studio sistematico preferì la vita mondana della capitale.
Tuttavia, la vita mondana non impedì al poeta di dedicarsi ad una feconda attività letteraria.
Nel 1883 rapì e poi sposò donna Maria Hardovin, duchessina di Gallese, dalla quale poi si separò passando ad altri amori.
Momenti salienti della sua vita furono il viaggio in Grecia con alcuni amici, la relazione amorosa con l'attrice Eleonora Duse, il soggiorno in Toscana a Settiggiano (Firenze) nella villa detta "La Capponcina", la partecipazione alla vita politica come deputato nel collegio di Ortona a Mare.
Egli sedeva in Parlamento sui banchi della Destra, ma al tempo dell'ostruzionismo della Sinistra contro le leggi di Pelloux, passò clamorosamente all'estrema sinistra.
Alla Capponcina visse per qualche tempo come un signore circondato da belle donne, armi, cavalli e servitori, conducendo una vita sfarzosa ma senza pagare i debiti che via via contraeva. Per evitare i fastidi dei creditori lasciò l'Italia per rifugiarsi in Francia, ad Archon, presso Bordeaux. Con lo scoppio della grande guerra tornò in Italia e partecipò al conflitto, compiendo numerose azioni di valore tra cui la "Beffa di Buccari" e il volo dimostrativo su Vienna.
La Beffa di Buccari consisté in un attacco condotto da tre torpediniere italiane al comando di Costanzo Ciano e Luigi Rizzo, nella notte tra il 10 e l'11 febbraio 1918, contro la flotta austriaca ancorata a Buccari in Croazia. Le torpediniere silurarono alcune navi e lanciarono in mare tre bottiglie contenenti un messaggio scritto da D'Annunzio.
Il volo su Vienna fu compiuto il 9 agosto 1918 da una squadriglia di apparecchi che lanciarono sulla città migliaia di manifestini in cui si leggeva: "Viennesi! Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori, i colori della libertà."
Finita la guerra, poiché gli alleati non volevano riconoscere l'annessione di Fiume all'Italia, nel 1919, D'Annunzio con i suoi legionari partì da Ronchi e occupò Fiume, fino al "Natale di sangue" del 1920, quando si ritirò per non spargere sangue fraterno combattendo contro le truppe inviate dal Governo di Roma presieduto da Nitti.
Dopo ciò fu nominato dal re principe di Montenevoso. Morì nel 1938 presso Brescia.
Nei confronti del fascismo D'Annunzio tenne un atteggiamento ambiguo di indipendenza e appoggio.
Egli seppe realizzare quel vivere inimitabile, eccezionale, dominato da una continua ricerca di bellezza e di grandezza che era nel gusto estetizzante del Decadentismo, di una vita costruita come un'opera d'arte.
Gli stessi atti di valore in guerra testimoniano non tanto il suo amor patrio e la sua audacia, quanto il gusto dell'avventura, il compiacimento del bel gesto, la ricerca della bella morte.
D'Annunzio è insieme a Pascoli il poeta più rappresentativo del Decadentismo italiano. Entrambi sono molto diversi l'uno dall'altro.
Infatti, il Decadentismo di Pascoli fu più istintivo con scarse influenze esterne; quello di D'Annunzio fu invece il frutto di scelte precise, operate nell'ambito delle più svariate tendenze del Decadentismo europeo, assimilate e padroneggiate per l'eccezionale disponibilità del suo spirito alle più varie e ardite esperienze di vita e d'arte.
Al D'Annunzio alludeva il Pascoli quando, ne " Il fanciullino", scriveva che il poeta non è un'artista che nielli e ceselli l'oro che altri gli porga.
È vero che il D'Annunzio assimilò le tendenze più appariscenti e superficiali del Decadentismo europeo, come l'estetismo, il sensualismo, il vitalismo, il panismo, l'ulissismo (inteso però in senso dinamico come ricerca di esperienze sempre nuove e non in senso vittimistico di perseguitato dal destino, come l'Ulisse del Foscolo), ma ne ignorò il misticismo gnoseologico (ossia la concezione della poesia come strumento di conoscenza del mondo ultrasensibile) ed il dramma della solitudine umana e dell'angoscia esistenziale.
Gli aspetti più significativi del Decadentismo dannunziano sono:
l'estetismo artistico, ossia la concezione della poesia e dell'arte come creazione di bellezza in assoluta libertà di motivi e forme;
l'estetismo pratico, anche la vita pratica deve essere realizzata in assoluta libertà oltre ogni legge e freno morale;
l'analisi delle proprie sensazioni
il gusto della parola
il panismo, ossia la tendenza ad abbandonarsi alla vita dei sensi e dell'istinto, ad immedesimarsi con le forze e gli aspetti della natura, e quindi a sentirsi parte del tutto. C'è una totale simbiosi con la natura.
Il D'Annunzio come il Pascoli avvertì un senso di sfiducia nella ragione e nella scienza che sfociò nel senso di solitudine dell'uomo. Ma mentre il Pascoli si muove nell'ambito del vittimismo romantico, il D'Annunzio si muove nell'ambito dell'estetismo e del superomismo nicciano.
Il Pascoli, di temperamento fragile, ha una percezione ombrosa della solitudine che lo spinge a cercare la solidarietà degli altri, perché gli uomini se si uniscono possono sopportare meglio il loro destino di dolore.
Il D'Annunzio ha invece un temperamento sensuale e perciò ha una percezione egoistica, orgogliosa ed arrogante della solitudine, derivata dalla consapevolezza dell'eccezionalità della propria persona che lo spinge ad affermare la sua supremazia sugli altri, a conquistare il dominio sul mondo.
Il gusto della parola è molto importante per D'Annunzio poiché essendo un poeta esteta ricerca e cura la parola estetizzante. Essa è lo strumento attraverso il quale egli esprime la propria sensualità ed è molto musicale.
Spesso le sue opere sono caratterizzate dalla parola spezzata, dal silenzio, dalla sospensione del verso.
La poesia del D'Annunzio rispecchia la sensualità del suo temperamento, intesa come abbandono glorioso alla vita dei sensi e dell'istinto, per scoprire l'essenza profonda e segreta dell'io.
Si rinnova così il dramma romantico della ricerca dell'assoluto. Ma mentre i romantici cercavano di raggiungerlo con l'estasi dello spirito davanti all'infinito, il D'Annunzio, invece, lo ricerca con l'estasi panica, cioè con l'immergersi nella natura delle cose fino a sentire in bocca il sapore del mondo, come egli dice.
Nella poesia, così come nel romanzo, non c'è uno svolgimento psicologico individuale, non ci sono contenuti, pertanto hanno carattere frammentario.
In particolare, la poesia dannunziana raggiunge il suo culmine in alcuni capolavori dell'Alcyone come: "La sera fiesolana", "La tenzone", "La pioggia nel pineto", "L'Onda", "Le stirpi canore", "I pastori" e nella prosa intima, raccolta del "Notturno".
Possiamo dire che D'Annunzio non ebbe una poetica ben definita perché egli non raggiunse una maturità del poeta presente negli altri autori dell''800.
Il dannunzianesimo è lo stile di vita e d'arte del D'Annunzio che rappresenta un vero e proprio fenomeno culturale e di costume che influenzò la vita pratica, letteraria e politica degli italiani del suo tempo.
Nella vita pratica suscitò interesse e curiosità tra gli aristocratici e i borghesi influenzandone il costume con i suoi atteggiamenti estetizzanti, immorali e superomistici.
Nella vita letteraria diventò il modello di tanti poeti del suo tempo.
Nella vita politica, con la sua indole interventista, scosse l'Italia e poi con il gusto estetizzante dell'avventura e della ribellione influenzò il Fascismo, al quale il dannunzianesimo fornì gli schemi delle celebrazioni esteriori, dei discorsi vuoti, dei messaggi e dei motti, nonché il saluto con il braccio alzato
Le opere in versi del periodo giovanile del D'Annunzio sono: "Primo vere" (1879, a soli 16 anni) e "Canto Novo" (1882).
Le novelle sono racchiuse in tre raccolte: "Terra vergine" (1882), "Il libro delle Vergini" (1884), "San Pantaleone" (1886), confluite più tardi in un volume unico [Novelle della Pescara].
Nelle poesie giovanili il D'Annunzio si muove nell'ambito del Carducci; nelle novelle è sulle orme dei naturalisti francesi (Flaubert e Maupassant) e dei veristi italiani (Verga e Capuana); ma si tratta di un'imitazione esteriore, di carattere soprattutto tecnico e formale, perché egli con il suo temperamento sensuale è lontanissimo sia dalla concezione sana, operosa e virile della vita che ebbe il Carducci sia dalla profonda moralità e pietà del Verga.
Le opere successive sono caratterizzate dall'influenza dei poeti parnassiani e decadenti europei.
Esse sono: "Intermezzo di rime" (1884); "Isotteo", dedicato alla moglie Maria di Gallese; "Chimera" (1890); "Elegie romane" (1887), una raccolta dal titolo goethiano che contiene poesie d'amore sullo sfondo della splendida Roma dei Papi, delle Chiese, delle ville e delle fontane; "Poema Paradisiaco" (1893) o poema dei giardini, dal tono stanco, estenuato, elegiaco, al quale si ispirarono i poeti crepuscolari.
Sull'esempio dei romanzi dell''800 di Zola (i Rougon-Macquart), Verga (I Vinti), il D'Annunzio si propose di scrivere un ciclo di romanzi suddiviso in tre trilogie, ciascuna denominata dal nome di un fiore: la rosa, il giglio, il melograno, a simboleggiare le tappe evolutive del suo spirito, dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse. I protagonisti dei romanzi, infatti, non sono che la proiezione sul piano narrativo dello stesso D'Annunzio.
I ROMANZI DELLA ROSA sono tre. Egli ha scelto la rosa come simbolo di voluttà e passione invincibile.
Il piacere (1889). Andrea Sperelli cerca di dimenticare l'amante di un tempo, Elena Muti, dapprima distraendosi nella vita mondana, poi innamorandosi di un'altra donna, dolce e sensibile, Maria Ferres, ma si accorge dell'ambiguità del suo amore, perché nella nuova donna continua ad amare Elena.
L'innocente (1892). Narra il dramma di Tullio Hermil, il quale, volendo riavvicinarsi alla moglie con la passione di un tempo, vede nel bambino nato da una relazione della donna con uno scrittore, l'ostacolo principale a ristabilire con lei autentici rapporti di armonia, e con fredda determinazione lo fa morire esponendolo al freddo invernale.
Il trionfo della morte (1894). Giorgio Aurispa, non potendo vincere l'amore sensuale e la gelosia che prova per Ippolita Sanzio, sente che solo con la morte potrà liberarsi dal tormento della passione e si getta in un baratro, trascinando con sé la donna.
I ROMANZI DEL GIGLIO. Il superuomo di Nietzsche doveva ispirare questa seconda trilogia. Il giglio è visto come il fiore simbolo della passione che purifica.
Il superuomo, infatti, non è più schiavo delle passioni, ma si serve di esse per realizzare pienamente la propria volontà di potenza.
A questo proposito, occorre precisare che Nietzsche non auspicava l'avvento di un uomo superiore agli altri, al quale, grazie a qualità eccezionali, fosse tutto permesso, ma l'avvento di un'umanità rinnovata, che per poter sviluppare tutte le sue potenzialità, doveva liberarsi da ogni soggezione alla trascendenza e alla morale tradizionale, fatta di ipocrisie e finzioni.
D'Annunzio non solo ignorò il significato profondo del pensiero di Nietzsche ma lo deformò e lo adattò al suo temperamento sensuale, facendo del superuomo l'individuo d'eccezione, destinato a dominare sugli altri.
Dei romanzi del giglio egli scrisse solo il primo: "Le Vergini delle rocce" (1896). Claudio Cantelmo, aristocratico e imperialista, seguace delle dottrine del superuomo, concepisce il disegno di unirsi in matrimonio con una delle principesse di un'antica famiglia borbonica del regno delle due Sicilie, i Capace-Mantaga, ridottasi a vivere nell'ultimo dei suoi feudi. Scopo del matrimonio è procreare il futuro sovrano, il "re di Roma" al quale un giorno il popolo offrirà la corona regale.
I ROMANZI DEL MELOGRANO. Scelse il melograno come simbolo dei frutti che possono derivare dal dominio delle passioni.
Anche di questa trilogia D'Annunzio scrisse solo un romanzo:
Il fuoco (1900). Narra sullo sfondo di Venezia, la storia dell'amore di Stelio Èffrena per la Foscarina. È un romanzo autobiografico perché vi è adombrata la storia d'amore del poeta per l'attrice Eleonora Duse.
Altri romanzi sono: "Giovanni Episcopo" (1891); "Forse che sì forse che no" (1910); "La Leda senza cigno" (1916).
Possiamo quindi dire che come romanziere D'Annunzio si libera gradatamente degli schemi del romanzo naturalista e psicologico e crea un nuovo tipo di romanzo che si risolve in una sorta di lunga lirica in prosa, nella descrizione di sensazioni raffinate e di stati d'animo eccezionali, in uno stile elevato che rinuncia ai toni medi tipici del romanzo moderno dell''800.
Negli stessi anni in cui scriveva i romanzi e le tragedie, D'Annunzio compose la sua opera lirica più casta e più celebre: Le Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi ispirate anch'esse al mito del superuomo.
Dovevano essere sette libri corrispondenti alle sette stelle della costellazione delle Pleiadi: Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Asterope, Taigete, Celeno.
Ma il poeta scrisse solo le prime quattro:
Maia è un poema autobiografico che si presenta come una trasfigurazione di un viaggio in Grecia realmente effettuato dal poeta nel 1895.
Elettra contiene la celebrazione di poeti, artisti ed eroi della patria e la rievocazione delle glorie delle città del silenzio (Ferrara, Pisa, Ravenna, Lucca, ..).
Alcyone è il poema del sole e dell'estate in cui egli trasfigura e rappresenta liricamente momenti e sensazioni dell'estate del 1902, trascorsa in Versilia.
Qui scompaiono l'enfasi, la tensione e la retorica delle altre raccolte, e la parola si fa musica e canto.
Tra le sue ultime opere ricordiamo soprattutto le pagine autobiografiche, raccolte in alcuni volumi, che ci presentano un D'Annunzio diverso, più intimo, sincero e umano. La parola si fa scarna, essenziale, incisiva.
Parliamo a tal proposito di:
"La contemplazione della morte" (1912); " Il Notturno" (1921); "Le faville del maglio" (1924-28); "Il libro segreto" (1935).
Il più famoso è "Il Notturno" che raccoglie le meditazioni del poeta convalescente per una ferita all'occhio destro, in seguito ad un incidente di volo durante la prima guerra mondiale.
Gabriele D'Annunzio, nella sua fase superomistica, è profondamente influenzato dal pensiero di Nietzsche, spesso costringe in un proprio sistema di concezione le idee del filosofo. D'Annunzio dà molto rilievo al rifiuto del conformismo borghese e dei principi ugualitari, al vitalismo libero dai limiti imposti dalla morale tradizionale, al rifiuto della lotta e dell'affermazione di se. Le opere superomistiche di D'Annunzio sono tutte una denuncia dei limiti della realtà borghese e dei limiti del trionfo dei principi democratici. D'Annunzio vuole una nuova aristocrazia che si elevi al di sopra delle masse comuni attraverso il culto del bello e della vita attiva ed eroica. La figura del superuomo per D'Annunzio è uno sviluppo della figura dell'esteta perché egli sostiene che il culto della bellezza è essenziale per l'elevazione della stirpe e nello stesso tempo l'estetismo diventa strumento di una volontà di dominio sulla realtà. Ciò che D'Annunzio vede in Nietzsche è il mito dell'istinto, ossia un insieme di gesti e di convinzioni da superuomo che fanno presa sulla fragile democrazia del primo '900. Il primo romanzo in cui si inizia a delineare la figura del superuomo è "Il trionfo della morte". Il romanzo ha una debole struttura narrativa ed è articolato in sei parti. È incentrato sul rapporto contraddittorio ed ambiguo di Giorgio Aurispa con l'amante Ippolita Sanzio, ma su questo tema di fondo si innestano e si sovrappongono altri motivi e argomenti: il ritorno del protagonista alla sua casa natale in Abruzzo è il pretesto per ampie descrizioni del paesaggio e del lavoro delle genti d'Abruzzo. Giorgio cerca di trovare l'equilibrio tra superomismo e misticismo, e aspira a realizzare una vita nuova. Per questo vive il rapporto con l'amante come limitazione, come ostacolo: per il suo fascino irresistibile, Ippolita è sentita come la nemica, primigenia forza della natura che rende schiavo il maschio. Solo con la morte Giorgio si libera di tale condizione: per questo si uccide con Ippolita, che stringe a sé, precipitandosi da uno scoglio. Giorgio Aurispa, il protagonista, l'eroe, è ancora un esteta simile ad Andrea Sperelli; Ippolita, la donna fatale consuma le sue forze e gli impedisce di attingere a pieno all'ideale superumano a cui aspira, portandolo alla morte. Sulla figura del superuomo si incentra anche "Le Vergini delle Rocce". Qui però la complessità metafisica e ideologica del superuomo subisce una sostanziale semplificazione nella direzione di un superomismo a impronta esclusivamente estetica che s'intride di valenze politiche reazionarie. È qui riscontrabile l'esito di una lunga ricerca sul versante stilistico e formale, che nel momento stesso in cui agganciava le posizioni più innovative del Simbolismo europeo, si rimetteva nel solco della tradizione trecentesca e rinascimentale, l'onnipresenza di Leonardo da Vinci nelle Vergini ne è il segno tangibile. Il nucleo drammatico del romanzo, fondato sull'aspirazione di Claudio Cantelmo a generare un figlio in cui si distillassero le qualità di un'illustre progenie e che sarebbe dovuto diventare il futuro re di Roma, appare del tutto gratuito e incapace di sostenere una dinamica narrativa di lungo respiro. In questo senso il romanzo esprime i limiti dell'interpretazione che D'Annunzio diede di Nietzsche. Dopo un decennio di interruzione, in cui scrive per il teatro e sviluppa le Laudi, D'Annunzio ritorna alla forma del romanzo scrivendo "Forse che sì forse che no". Qui presenta un nuovo strumento di affermazione superomistica inedito e in linea con i tempi: l'aereo. Il protagonista Paolo Tarsis realizza la sua volontà eroica tramite le sue imprese di volo. Egli è senza dubbio la reincarnazione dei vari superuomini presenti ne "Il trionfo della morte" o ne "Le Vergini delle rocce", ma a differenza di questi, non appartiene ad una nobile casata ma è un borghese estraneo agli influssi decadenti e dedito all'azione; affiancata a questo superuomo troviamo Isabella Inghirami, la prima figura femminile capace di contendere il primato all'egotismo del superuomo di turno. Tra i due personaggi c'è un rapporto di amore-passione che talvolta arriva fino alle degenerazioni dell'incesto e del masochismo. Questo romanzo rappresenta la piena adesione del D'Annunzio alla contemporaneità: è possibile, infatti, ritrovare personaggi che si muovono tra aeroplani, automobili, telefoni. Vi si ritrova un amore, quindi, per la macchina e la velocità.
Appunti su: https:wwwappuntimaniacomumanisticheletteratura-italianoil-decadentismo-e-le-sue-poeti53php, il decadentismo riassunto, |
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