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Il Canzoniere è la raccolta, compiuta dal etrarca stesso, delle rime amorose da lui scritte in italiano per Laura, a cui aggiunse altre composizioni di argomento morale e politico, arrivando a un totale di 366. Non si tratta quindi di poesie sparse, ma di un vero e proprio libro narrante una vicenda autobiografica prevalentemente interiore, un po' diario, un po' laboratorio stilistico. L'opera è divisa in due parti, "in vita" e "in morte" di Laura, separate dal momento di crisi in cui etrarca dovette scegliere se cantare l'amore sacro o l'amor profano. Nella prima parte Laura è donna reale, non sublimata, ma appare fredda e dai sentimenti impenetrabili, tanto che etrarca, più che amarla passionalmente, la contempla; tale atteggiamento provoca naturalmente nel poeta indicibili sofferenze. Nella seconda parte, dove il dolore sempre presente è però di altro tipo, Laura non è più passivo oggetto di declamazione, ma diviene viva e operante.
[Petrarca]
Il carme è scritto in risposta alle opinioni di Ippolito Pindemonte, che, da credente qual era, sosteneva l'utilità del culto delle tombe. Foscolo è invece dell'opinione che il sepolcro non sia di nessuna utilità per l'uomo, essendo anch'esso destinato alla rovina come tutte le cose umane. Tuttavia riconosce che, pur privo di valore pratico, il culto dei defunti ha un suo fascino e una sua valenza psicologica, e che è segno di decadenza di un popolo la sua dimenticanza. Questo è quanto è successo ai Milanesi, che hanno dimenticato il loro grande poeta, il Parini, non dedicandogli nemmeno una lapide; e la Musa del poeta defunto erra inutilmente cercandone la tomba.
Il culto dei sepolcri è segno di civiltà, ma dev'essere dedicato alla celebrazione delle virtù del defunto, in modo che il loro ricordo provochi gioia in chi lo celebra, e non risolversi in lugubri manifestazioni di dolore.
Il sepolcro, stimolando i ricordi, prolunga la vita oltre la morte, vita degli affetti e non del corpo; e questo è ciò che il Foscolo spera anche per se stesso, che la sua vita sia qualcosa di degno nel ricordo dei suoi amici.
Gli Italiani dovranno guardare alle tombe dei grandi sepolti in Santa Croce a Firenze: Machiavelli, Galileo, Michelangelo, e trarre da loro l'esempio che gli consenta di ritrovare la dignità perduta. Presso di esse il Foscolo, come già l'Alfieri prima di lui, sente la voce della patria che lo esorta alla battaglia, come la sentirono i Greci prima della battaglia di Maratona.
Il carme si chiude celebrando la poesia che tramanda ai posteri la grandezza e il dolore passato, come quella di Omero, ispirata dai sepolcri di Troia; su essi venne a piangere Cassandra, e a contemplare la disfatta; ma ella non vide solo la rovina presente, ma anche la grandezza passata, a cui gli stessi Achei vincitori resero onore, e la gloria futura, che verrà a lei, alla città di Troia e ai suoi grandi eroi, Ettore su tutti, proprio dalla poesia del grande vate cieco.
[Foscolo]
Saul, re dei Giudei, ha scelto come genero David, il protetto del Signore. Egli ama il suo popolo, ma la vecchiaia e la paura di perdere il potere lo spingono contro i suoi sacerdoti e contro David stesso, che gli pare in combutta con loro e di cui invidia la giovinezza e il futuro glorioso che lui ormai non ha più. Così perseguita David, anche causando dolore a sua figlia Micol, pur sapendo di comportarsi ingiustamente; il suo comportamento scivola verso la follia. David cerca di aiutarlo, e ad un certo punto il re deve riconoscere la sua innocenza e riammetterlo tra i suoi figli; ma la pace dura poco, poichè Saul cade ben presto nuovamente in preda delle sue visioni e manie persecutorie, caccia via tutti i suoi figli, condanna a morte il sacerdote Achimelec che aveva tratto David in salvo. Quando i Filistei attaccano l'accampamento, Saul si lancia nella mischia desideroso di morte; ma anche questo suo ultimo desiderio è frustrato: persa la battaglia, morti i suoi figli, affida la superstite Micol al fido Abner affinchè la porti a David, scacciato dal campo prima della battaglia. Ma proprio in questo estremo istante, Saul ritrova la sua grandezza: rimasto solo con i nemici che accorrono da ogni parte, li schernisce riaffermandosi più forte del vincitore, e si uccide davanti a lui.
[Alfieri]
Nel 1628 Don Abbondio, curato di un paesello lombardo sul lago di Como, sta facendo una passeggiata serale quando viene avvicinato dai 'bravi' di Don Rodrigo, prepotente signore di quelle terre; essi gli intimano di non celebrare il matrimonio tra due giovani, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella: Don Rodrigo infatti si è invaghito di Lucia e la vuole per sè. Don Abbondio non ha il coraggio di rifiutare e il giorno dopo manda via Renzo, venuto da lui per prendere gli ultimi accordi, senza fornirgli spiegazioni plausibili. Conosciuta la situazione dalla serva chiacchierona di Don Abbondio, Perpetua, Renzo pensa di rivolgersi per un aiuto legale all'avvocato Azzeccagarbugli; questi però, saputo contro chi intende agire Renzo, si rifiuta di aiutarlo.
Renzo allora gioca la carta della disperazione e, aiutato dall'amico Tonio, irrompe nella casa di Don Abbondio per fargli celebrare il matrimonio di sorpresa; la paura rende però Don Abbondio capace di sfuggire alla manovra. La situazione intanto è precipitata perchè proprio quella sera i bravi, capitanati dal Griso, hanno fatto irruzione a casa di Lucia per rapirla e condurla da Don Rodrigo. Per sfuggire al pericolo i due fidanzati si rivolgono a fra Cristoforo, un coraggioso frate che, dopo aver inutilmente tentato di far recedere Don Rodrigo dal suo proposito, fa rifugiare Lucia in un monastero di Monza.
Il monastero è retto da Gertrude, personaggio tormentato ed ambiguo: costretta a farsi monaca contro la sua volontà, è sentimentalmente legata a un poco di buono, Egidio. Don Rodrigo si accorda con Egidio e con un altro signore prepotente e corrotto, l'Innominato, affinchè Lucia venga rapita dal monastero. Il rapimento stavolta ha successo e Lucia si trova prigioniera nel castello dell'Innominato. Questi è ormai anziano e sulla sua anima grava il peso di una vita costellata di inutili delitti: a contatto con la purezza e l'innocenza di Lucia l'Innominato si redime e decide di cambiar vita. Libera Lucia e la porta dal cardinale Borromeo, uomo di fede che ben conosce le malefatte di don Rodrigo, suo avversario da sempre. Lucia viene affidata a donna Prassede, moglie del presunto uomo di scienza Don Ferrante.
Intanto Renzo, con una lettera di fra Cristoforo per un suo confratello, si è recato a Milano, ma, non essendo stato immediatamente accolto, vaga per la città che è afflitta da una grave carestia dovuta alle continue guerre tra gli eserciti stranieri che occupano l'Italia. Una sera, all'osteria, è avvicinato da un poliziotto in borghese che lo fa bere a volontà; Renzo si lancia in una serie di invettive contro i potenti che lo fanno scambiare per uno degli agitatori della sommossa popolare appena iniziata e provocata dalla mancanza di pane. Il mattino seguente Renzo viene così arrestato, ma durante il tragitto verso la prigione l' intervento della folla gli restituisce la libertà; può così rifugiarsi a Bergamo, dove suo cugino Bortolo fa il tessitore.
A Milano scoppia un'epidemia di peste; il terribile morbo miete numerose vittime, ed anche Lucia ne viene colpita e trasportata al lazzaretto dove fra Cristoforo si prodiga per curare i malati. Renzo viene a sapere che Lucia si trova a Milano e ritorna in città, dove finalmente incontra il suo amore. Lucia, durante il terribile soggiorno al castello dell'Innominato, aveva però fatto voto alla Madonna di rimanere casta nel caso fosse riuscita a sfuggire alle grinfie di Don Rodrigo; fra Cristoforo la scioglie dal voto.
L' epidemia si placa dopo una pioggia purificatrice, non senza però avere annoverato fra le sue vittime l'eroico fra Cristoforo e lo stesso Don Rodrigo, pentitosi in punto di morte. Lucia guarisce e i due fidanzati, dopo tante peripezie, possono finalmente sposarsi.
[Manzoni]
Primo atto: a Pavia, capitale del regno longobardo, arriva Ermengarda, figlia del re Desiderio, che è stata ripudiata dal marito Carlomagno. Ella chiede di ritirarsi in convento. Desiderio, sdegnato, proclama re dei Franchi i figli di Gerberga, cognata di Carlo rifugiatasi a Pavia. Inutilmente Adelchi tenta di farlo recedere dal suo proposito. Subito dopo giunge un ambasciatore di Carlo che, visto respinto il suo ultimatum da Desiderio, gli porge la dichiarazione di guerra. Alcuni duchi longobardi si riuniscono in casa di Svarto e progettano di tradire Desiderio; al termine della riunione Svarto parte per la Francia.
Secondo atto: al campo dei Franchi in Valsusa, il legato papale Pietro incita Carlo a non abbandonare la lotta; questi infatti è scoraggiato perchè non riesce a forzare le difese longobarde alle Chiuse. Sopraggiunge il diacono Martino, che afferma di conoscere una via tra i monti che permette di aggirare e attaccare alle spalle i Longobardi.
Terzo atto: i Franchi attaccano di sorpresa il campo longobardo, mettendo in rotta i nemici; parte dell'esercito sconfitto, al comando dei duchi traditori, si schiera con Carlo. Desiderio fugge a Pavia, Adelchi a Verona. Nel coro che conclude l'atto Manzoni mette a confronto i vecchi e i nuovi oppressori, mentre gli imbelli latini assistono senza reagire alle lotte degli stranieri per la loro terra.
Quarto atto: in un monastero di Brescia, Ermengarda morente riceve dalla sorella Ansberga, badessa del convento, la notizia che Carlo si è risposato; questo colpo le è fatale. Dopo un secondo coro, l'azione si sposta a Pavia, dove il duca Guntigi, a cui è stata affidata la guardia delle porte della città, si accorda segretamente con Svarto, divenuto nobile franco, per far entrare l'esercito nemico.
Quinto atto: i Franchi, presa Pavia, assediano Verona; i subordinati di Adelchi chiedono al capo di arrendersi. Adelchi pensa in un primo momento di uccidersi, poi decide di riparare a Bisanzio, per poter un giorno tornare a liberare il padre. Desiderio chiede a Carlo di risparmiare il figlio, che non ha avuto alcuna parte nella preparazione della guerra, ma il re franco è irremovibile. Verona capitola, e Adelchi è ferito a morte; in un ultimo colloquio con Carlo e il padre, ottiene dal primo la promessa di un trattamento umano per il secondo, e spira.
[Manzoni]
Giovanni Boccaccio scrisse il Decamerone tra 1348 e 1353. Per sfuggire alla peste del 1348 che attanaglia la città di Firenze, 7 donne e 3 uomini si rifugiano in una villa fuori città. Per trascorrere il tempo decidono di raccontare a turno dieci novelle per ciascuno dei dieci giorni che trascorreranno alla villa; ognuno di essi sarà re per una giornata.
I componenti della brigata sono: Panfilo, l'amante fortunato; Dioneo, il lussurioso; Filostrato, dagli amori sfortunati e infelici; Emilia, che cura solo se stessa; Neifile, gioiosa e sensuale; Pampinea, amante appagata; Lauretta, la gelosa; Elissa, il cui amore non è ricambiato; Filomena, la focosa; Fiammetta, dalle passioni ardenti.
Ogni giornata svilupperà un tema particolare, tranne la I e la IX in cui l'argomento è a scelta; Dioneo però è libero di andare fuori tema. Pampinea è la regina della I giornata, ad argomento libero; tra le altre ricordiamo le novelle di Ser Ciappelletto e di Guglielmo Borsiere, personaggio questo presente anche nell'Inferno dantesco. Nella seconda giornata, in cui regina è Filomena, si raccontano vicende conclusesi felicemente, per lo più romanzesche ed esotiche; tra esse le peripezie di Andreuccio da Perugia.
L'argomento della III giornata, dove regina è Neifile, si racconta di cose desiderate ed ottenute, o perdute e ritrovate. tra esse ricordiamo la novella di Masetto da Lamporecchio, finito in un monastero di monache vogliose. Nella IV giornata regna Filostrato, per cui il tema non può essere che quello degli amori infelici; segnaliamo le novelle del principe Tancredi e del crudele Guglielmo da Rossiglione. Fiammetta regna sulla V giornata, dove si narra della felicità che gli amanti arrivano a raggiungere dopo lunghe peripezie; esemplare la vicenda di Federigo degli Alberighi, il cui amore devoto e silenzioso riesce a conquistare anche la più fredda delle dame.
Nella VI giornata, sotto il regno di Elissa, si ragiona dei motti di spirito che risolvono le situazioni più intricate; assistiamo così alle acrobazie verbali del cuoco Chichibio che riesce a sventare la collera del padrone e del truffatore fra Cipolla, spacciatore di reliquie a basso costo. Dioneo regna sulla VII giornata, dove si raccontano beffe fatte dalle donne ai loro mariti, traditi e dileggiati.
Nell'VIII giornata si parla (regina Lauretta), delle beffe di qualsiasi tipo. Celebre quella che Bruno e Buffalmacco organizzano ai danni dello stupido Calandrino, mandato a cercare la pietra dell'invisibilità; i due si ripetono anche ai danni di Simone, mago dilettante. La IX giornata, in cui regna Emilia, è di nuovo ad argomento libero; ricompare il trio Bruno- Buffalmacco- Calandrino, Gianni Donno cerca di tramutare la moglie in cavalla e tra i protagonisti di una novella compare anche il poeta Cecco Angiolieri, fatto passare per ladro. L'ultima giornata si snoda sotto il dominio di Panfilo: l'argomento sono varie avventure i cui protagonisti operano con cortesia e generosità. Tra le novelle di questa giornata ricordiamo quella del bandito gentiluomo Ghino di Tacco, della dolce Griselda e di messer Torello di Pavia che riesce a farsi amico il feroce Saladino.
[Boccaccia]
DEI DELITTI E DELLE PENE
Il trattato si basa sull'assunto fondamentale che la funzione della pena non sia la repressione del crimine, bensì la sua prevenzione. Beccaria parte dalla tesi di Rousseau della società costituita su un contratto, i cui aderenti rinunciano a parte delle loro libertà personali per il bene comune (cap. I-III); le leggi devono essere chiare, e non aver bisogno di interpretazioni personali e cavillose che conducono inevitabilmente a diversità nella loro applicazione; inoltre occorre fare in modo che tutti possano conoscerle (cap.IV-V). Prima della condanna, è ingiusto che l'accusato sia trattato duramente in carcere, umiliato o minacciato, essendo sufficiente il suo temporaneo allontanamento dal corpus sociale (cap.VI-VII). I giudizi devono essere pubblici, e le accuse non possono essere anonime, in modo da non dare possibilità di azione a spie, calunniatori e bugiardi (cap.VIII-IX). La tortura non solo è inumana è bestiale, ma anche inutile ai fini dell'accertamento della verità (cap.XII); in generale la pena non può essere spropositata, ma il danno che arreca dev'essere appena superiore al beneficio ricevuto dal delitto commesso, essendo ciò sufficiente a svolgere un'azione deterrente (cap.XV). La pena di morte non solo non è conforme al contratto sociale, ma è anche meno efficace di una pena meno violenta ma di lunga durata, come la schiavitù perpetua (cap.XVI). Qualunque pena deve essere erogata immediatamente, in modo che sia reso evidente a tutti il nesso tra essa e la colpa; se la giustizia è bene amministrata, non ci sarà bisogno di ricorrere all'istituto della grazia, che rende sospetto lo stato di passata iniquità od errore (cap.XX). I capitoli successivi fino al quarantesimo illustrano con dovizia di particolari il principio che le pene devono essere proporzionate ai delitti, nell'ultimo si formula il teorema generale di una giustizia giusta, elencando brevemente i suoi caratteri.
[Beccarla]
DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO
Il dialogo si svolge tra tre interlocutori: Salviati, amico del Galilei, sostenitore delle teorie copernicane; Simplicio, personaggio immaginario, pedante assertore delle teorie aristoteliche, e il nobile veneziano Sagredo, anch'esso amico di Galileo, inizialmente ascoltatore neutrale. Il dialogo è diviso in quattro giornate: nella prima si discute e si confuta il dogma aristotelico dell' immutabilità dei corpi, si abbatte la distinzione artificiosa tra mondo lunare e sublunare e si chiude con un'analisi del linguaggio; nella seconda si dimostra, da parte di Salviati, il moto della terra, con anticipazioni della teoria della relatività ed enunciazioni di alcuni principi di Keplero.
Nella terza giornata si discute delle stelle nuove e del moto annuo, delle macchie solari e della calamita, e si descrive compiutamente il sistema copernicano, mostrando come possa perfettamente sostituirsi a quello tolemaico. Nell' ultima giornata Galileo-Salviati cerca di dimostrare come il moto della Terra sia la causa delle maree, confutando l'esatta intuizione di Keplero che l'aveva identificata nell' attrazione gravitazionale lunare.
[Galilei]
LA GERUSALEMME LIBERATA
I Crociati sono in oriente già da sei anni senza avere combinato un gran che quando viene eletto loro capo Goffredo di Buglione, che dà nuovo slancio alle operazioni militari. Nonostante le lusinghe e le minacce del re d'Egitto (II canto), i Crociati si accampano sotto le mura di Gerusalemme, e si hanno i primi scontri in cui si distinguono da una parte Rinaldo, Tancredi e Dudone e dall'altra Argante e Clorinda. Ma le potenze diaboliche, riunite in una grandiosa assemblea infernale (IV canto), decidono di ostacolare i Crociati acuendone i contrasti e le passioni: Tancredi ama, non corrisposto, Clorinda e spesso viene meno ai suoi doveri di soldato; Rinaldo uccide Gernando che lo aveva calunniato e, per evitare il giudizio di Goffredo, abbandona il campo (canto V). La bellissima maga Armida, inviata da Satana, si reca da Goffredo invocandone la protezione, ma una volta nel campo seduce con le sue arti moltissimi guerrieri che la seguono come suoi campioni e vengono imprigionati in un castello sul Mar Morto. Essa riesce, per una serie di circostanze fortuite, a far prigioniero anche Tancredi (VII canto), dopo che l'oscurità aveva interrotto un duello tra lui e Argante (VI canto). Così solo il vecchio Raimondo di Tolosa si presenta alla ripresa del duello, e nella mischia che segue a stento i Cristiani resistono all'impeto dei Saraceni. A complicare le cose giungono la notizia che Solimano, capo dei predoni arabi, ha bloccato e ucciso il re danese Sveno che stava arrivando col suo esercito (canto VIII), e una rivolta di parte dei Crociati al falso annunzio della morte di Rinaldo. Nella notte Goffredo sostiene l'attacco di Solimano aiutato dalle potenze infernali, fino all' arrivo dell'arcangelo Michele che lo mette in fuga (IX canto). Torna Rinaldo con gli ex-prigionieri di Armida, da lui liberati; allora Goffredo ordina l'attacco (canto XI), ma nella notte Clorinda e Argante escono dalla città e incendiano le macchine da guerra dei Cristiani. Al ritorno, Clorinda è sorpresa e uccisa da Tancredi, che, non riconoscendola subito, la ferisce a morte, facendo appena in tempo ad impartirle il battesimo che lei gli richiede (XII canto). Il mago Ismeno ha incantato il bosco dal quale i Cristiani dovrebbero trarre la legna per ricostruire le macchine bruciate, e chiunque provi a vincere quegli incantesimi viene tormentato da incubi e forme fantastiche (XIII canto); solo Rinaldo può vincere tale magia, ma è stato incantato da Armida ed è andato a vivere con lei in un luogo in un'isola di delizie. Goffredo invia due cavalieri a riprenderlo e, al suono delle loro parole, Rinaldo si ravvede e torna al campo, lasciando Armida sola e piangente sulla spiaggia (canto XV-XVI). Pier l'Eremita gli impone un rito di espiazione sul monte Oliveto (XVIII canto) e, così purificato, l'eroe può distruggere gli incantesimi di Ismeno. I Crociati attaccano e penetrano all'interno delle mura; Tancredi uccide Argante in duello e la sua schiava pagana Erminia, che lo ama segretamente, cura le sue gravi ferite (canto XIX). L'ultima resistenza dei pagani comandati da Aladino è nella torre di Davide; sopraggiungono in loro aiuto gli egiziani e l'esercito di Solimano, ma l'ultimo grande scontro è ancora a favore dei Cristiani. Rinaldo ritrova Armida proprio mentre ella sta per uccidersi, Goffredo scioglie il suo voto nel tempio di Gerusalemme.
[Tasso]
I MALAVOGLIA
Il libro si apre con la presentazione della famiglia Toscano, chiamata dagli altri abitanti del paese (Aci Trezza, in Sicilia) ' Malavoglia'. Essa è guidata in modo patriarcale da Padron 'Ntoni, e comprende il figlio Bastianazzo con la moglie Maruzza e cinque nipoti ('Ntoni, Luca, Mena, Alessi, Lia). Nel 1865 Padron 'Ntoni tenta un affare: acquista a credito una partita di lupini dall'usuraio zio Crocefisso e la carica sulla sua barca 'Provvidenza' in modo che Bastianazzo vada a venderla altrove e ci ricavi un guadagno. Nel viaggio notturno però la barca naufraga, Bastianazzo annega e il carico è perduto; a Padron 'Ntoni resta il debito da onorare. Ai funerali di Bastianazzo interviene tutto il paese, di cui il Verga può così raccontare fatti e misfatti. Successivamente il nipote 'Ntoni torna dal servizio militare, e lo sostituisce il fratello minore Luca; 'Ntoni lavora col nonno per onorare il debito e salvare così la casa del nespolo in cui tutti vivono. In realtà zio Crocefisso non potrebbe rivalersi sulla casa, essendo questa sottoposta ad ipoteca dotale; ma il segretario comunale don Silvestro, rivale di 'Ntoni nel conquistarsi Barbara Zuppidda, consiglia subdolamente Maruzza a rinunciare all'ipoteca, e l'usuraio può mettere le mani sulla casa patriarcale: la famiglia è costretta a trasferirsi nella casa del beccaio. Disgrazie e miseria si abbattono sulla famiglia Malavoglia: Luca perde la vita nella disfatta di Lissa; la povertà famigliare rovina il fidanzamento tra Mena e il ricco Brasi Cipolla, e costringe 'Ntoni a rinunciare a Barbara, nonostante la madre di lei odi don Silvestro; la 'Provvidenza', rabberciata alla meglio, naufraga nuovamente, costringendo Padron 'Ntoni a una lunga degenza; la Maruzza muore di colera. Di fronte all'ennesimo colpo della sorte, 'Ntoni decide di cercare fortuna in qualche altra città, e parte; il nonno ed Alessi devono andare a giornata da padron Cipolla. Presto 'Ntoni ritorna, senza aver raccolto il becco di un quattrino; sfiduciato, smette di lavorare, si dà al bere e si fa mantenere dalla Santuzza, proprietaria dell'osteria. Questa però si riavvicina al suo amante precedente, il brigadiere Michele, e 'Ntoni, cacciato via, si dà al contrabbando. Geloso della Santuzza, 'Ntoni si scontra violentemente con Michele, e quando questi sorprende una notte lui e i suoi compari contrabbandieri, lo uccide. Al processo l'avvocato difensore, Scipioni, adduce come movente del delitto la necessità per 'Ntoni di difendere la sorella Lia, che era stata oggetto negli ultimi tempi delle attenzioni di Michele. Essa così viene pubblicamente disonorata e deve cambiare città, mentre il nonno cade nell' apatia e, per non pesare sulla famiglia, si fa portare in carretta all'ospedale di Catania, dove morirà solo. Con 'Ntoni in prigione, è Alessi a dover mantenere la famiglia, e col duro lavoro riesce a riscattare la casa del nespolo e ad andare abitarci con la sua famiglia, mentre Mena, ritenendosi disonorata, rifiuta la proposta di matrimonio del carrettiere Alfio Mosca. Dopo cinque anni, 'Ntoni esce di prigione, e, dopo una breve visita ad Alessi, lascia Aci Trezza per sempre.
[Verga]
IL PRINCIPE
Il Principe si compone di 26 capitoli, tra i quali c'è una sostanziale continuità di pensiero; sono preceduti da una breve dedica a Lorenzo de' Medici, aggiunta in un secondo momento. I primi nove capitoli analizzano i vari modi di costituzione dei principati, forme di governo alternative alle repubbliche.
Il II capitolo parla brevemente dei principati nuovi, ma è dal terzo che si entra nel cuore dell'opera: i principati nuovi. I capitoli III-V analizzano la conquista di nuove province, in cui la forza ha subito una parte importante; i capitoli VI-IX invece studiano la formazione ex novo di un principato, sia grazie alla virtù del principe (VI cap.), sia grazie alla fortuna (VII cap.) e alle armi altrui, come il duca Valentino; sia attraverso crudeltà e delitti (VIII cap.), condannati non dal punto di vista morale ma perchè forieri di sviluppi negativi per la conservazione del potere, sia grazie al favore dei concittadini (IX cap.). Il X capitolo tratta in generale la capacità di uno stato di difendersi da nemici esterni, l'XI del caso particolare dello Stato della Chiesa.
I successivi tre capitoli si occupano invece delle questioni interne dello stato, principalmente dell'organizzazione della milizia: scartati i mercenari (XII cap.) e le truppe ausiliarie (XIII cap.), non rimane che affidarsi ai propri cittadini (XIV cap.).
Dal XV al XIX capitolo si tratta esclusivamente delle caratteristiche personali che il principe deve possedere: parsimonia, capacità di essere crudele, capacità di slealtà e di finzione ('volpe e leone'), decisione. Nei capitoli XX-XXIII Machiavelli espone dei precetti volti a risolvere alcune questioni pratiche del governare; negli ultimi tre si collega con la situazione presente dell'Italia, mostrando i motivi per cui i regnanti italiani hanno perduto i loro stati (XXIV cap.), valutando se l'uomo possa opporsi e resistere alla fortuna (XXV cap.) e concludere con l'auspicio che finalmente un principe (mediceo) possa sorgere a liberare l'Italia dallo straniero (XXVI cap.). Il trattato si conclude con i versi petrarcheschi della canzone 'Italia mia'.
[Machiavelli]
LA VITA NOVA
La Vita Nova è una raccolta di trentuno liriche commentate in prosa; di ognuna si riporta l'occasione e il motivo per cui venne composta, e se ne spiega il significato che riveste per il poeta. Le liriche furono composte tra il 1283 e la redazione del commento, databile tra 1292 e 1295; passando dall'una all' altra assistiamo al racconto della vita interiore di Dante in quegli anni, rischiarati dalla passione per Beatrice. Dante l'aveva incontrata a nove anni, e la rivede solo nove anni dopo (l'incontro assume così sin dal primo momento una valenza mistica, espressa dal numero nove, quadrato del numero perfetto simboleggiante la Trinità); dopo questo secondo incontro Dante ha una visione, in cui Amore gli si presenta con Beatrice addormentata tra le braccia, le fa mangiare il cuore del poeta e si allontana in lacrime. Innamorato di lei, il poeta pensa di mascherare i suoi veri sentimenti fingendosi innamorato di altre donne, a cui scrive poesie, provocando il risentimento di Beatrice. Amore gli riappare in sogno ingiungendogli di abbandonare le finzioni, e così Dante riprende a cantare Beatrice, che però non lo perdona e anzi lo dileggia con le amiche. Il poeta si dispera, ma poi comprende di trovare conforto nella celebrazione pura e disinteressata della bellezza e delle qualità di lei, e si dedica perciò a tale opera. Beatrice ora è descritta come creatura celeste e strumento della Provvidenza divina. Un' improvvisa malattia fa riflettere Dante sulla fragilità dell'umana esistenza, e in una nuova visione gli viene annunciata la prossima morte di Beatrice. Tale evento origina numerose liriche di compianto, ma il dolore cresce invece di scemare. Una 'donna gentile' tenta di consolarlo, ma quando Dante si avvede che prova troppo piacere alle cure della donna, se ne allontana per non tradire la memoria di Beatrice. Questa appare ancora in una visione, e Dante la contempla in cielo tra i beati; di nuovo saldo nel suo amore, egli può porre fine al racconto.
[Alighieri]
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