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I tragici
A partire dal 535 a. C. e per alcuni dei secoli successivi, ogni anno ad Atene nel mese di Elafebolione (tra marzo e aprile) si celebravano le Grandi Dionisie, feste in onore della divinità cui era consacrato il teatro situato sul pendio meridionale dell'acropoli. Le celebrazioni duravano sei giorni, nel terzo, quarto e quinto dei quali tre poeti tragici, scelti dall'arconte fra quanti avevano chiesto di partecipare, si sfidavano mettendo in scena ognuno tre tragedie e un dramma satiresco. Il festi- val dionisiaco rappresentava un momento cruciale per la vita cittadina dell'epoca e l'intero svolgimento delle tragedie, costituendo un atto ufficiale dello stato ate- niese dal quale ci si attendeva una rievocazione mitica dei valori fondamentali alla base della comunità civile dell'Attica, avveniva sotto diretto controllo delle massi- me autorità dello stato ed era discusso all'interno di un'assemblea generale del po- polo di Atene alla stregua delle dichiarazioni di guerra o della stipula dei trattati di pace. Che la materia da cui i poeti tragici dovevano attingere fosse pertanto quella
della leggenda eroica con Omero come punto di partenza e di riferimento ine- quivocabile, comportava come duplice conseguenza il fatto che, se da un lato il vasto pubblico ateniese che annualmente assisteva alle rappresentazioni teatrali conosceva la trama essenziale delle vicende inscenate e ne sapeva a grandi linee lo svolgimento, dall'altro, presumibilmente, il compito del poeta tragico non era tanto quello di inventare una materia, la quale poteva essere sottoposta ad adatta- menti considerevoli a seconda dei casi, quanto quello di fornire una strutturazione drammatica, di individuare dei personaggi. "In altri termini il poeta tragico atenie- se portava in scena miti che lo ponevano in un rapporto diretto di comunicazione con la gente di Atene, e nello stesso tempo però questi si proiettavano ben oltre i confini della polis" L'infausta vicenda in scena, quindi, se per un verso solleci- tava a una riflessione sullo stato dell'uomo, sulla fragilità del suo essere mortale, per l'altro, mediante gli ammonimenti del Coro, richiamava al rispetto delle nor- me e assolveva anche ad una funzione stabilizzante attesa dallo Stato.
Se si è detto che in Omero l'interesse principale era rivolto all'azione, ciò sembra valere a maggior ragione per la tragedia, in cui non c'è narratore e tutto avviene in dialogo. Per le caratteristiche stesse dalla rappresentazione, stando alle parole di De Romilly, la tragedia greca parrebbe quindi non prestarsi molto a finezze psico- logiche In particolare, l'utilizzo delle maschere farebbe pensare ad una tendenza al generale piuttosto che al tipico, all'individuale, ad un interesse rivolto più all'e- sposizione dell'azione che a quella dei sentimenti. Eppure dall'analisi di alcune delle opere giunteci di Eschilo, Sofocle e Euripide emerge un improvviso slancio in seno alla descrizione psicologica: in un clima di vasti mutamenti sociali e poli- tici, quale era quello del V sec. a. C., l'interesse verso la condotta umana diviene preponderante e la tragedia, incentrata attorno ad un atto di ὕβρις, non può non domandarsi: perché?
Di fatto se nella polis si affrontano, già a partire dall'epoca arcaica, gruppi antite- tici, il fenomeno si acuisce con l'istituzione della democrazia, che vede il nascere di partiti divisi da interessi economici e politici L'esperienza di questa antinomia in ambito sociale e politico, dove la decisione risulta necessariamente dall'incontro/scontro fra punti di vista divergenti ma con equivalenti ambizioni di legitti- mità in base a motivazioni di diritto e di logica, fa emergere una realtà molto più complessa di quella rappresentata nella tradizione sapienzale arcaica e nella prima riflessione scientifico-filosofica dei pensatori ionici. La consapevolezza di tale dia- lettica del reale, confluita parallelamente sia nella speculazione filosofica di Era- clito sia nella pratica sofistica dei δισσοὶ λόγοι, fa affiorare una tensione nuova nella quale all'etica religiosa tendenzialmente lineare e conseguente imperante in tutta la letteratura greca arcaica, in cui gli dèi erano garanti dei valori morali e ci- vili punendo necessariamente con la loro νέμεσις il responsabile di ὕβρις, viene progressivamente a sostituirsene un'altra, non più lineare come un tempo, bensì tesa e contraddittoria in se stessa. Usando le parole di Galimberti: "il dubbio, che generandosi spezza l'unità originaria non interrogata, nasce dal doppio di ogni re- altà, dalla scoperta dell'ambivalenza. Questa scoperta, come origine del dubbio e dell'interrogazione, segna la nascita della coscienza, il suo dibattersi tra l'uno e l'altro"
La tragedia si forma proprio sull'esperienza pluralistica e frammentata della polis democratica e riflette tanto le sue vicende interne, quanto le conseguenze militari delle sue scelte politiche.
Fra gli elementi più caratteristici di questa forma letteraria individuati da Di Bene- detto ce ne sono due particolarmente interessanti ai fini della nostra ricerca:
1) l'evento tragico si configura come intimamente contraddittorio e autoconflit- tuale;
2) il personaggio tragico viene designato come tale non perché non sa, bensì in virtù del suo sapere, del suo rendersi conto della sofferenza e del lutto, e tale consapevolezza può esser data per certa sin dalla sua prima entrata in scena, o può configurarsi come il risultato finale di un percorso di acquisizione della stessa in concomitanza con forme di presentimento attraverso ansia e paura.
Accingiamoci quindi a considerare in che modo i tre grandi tragici abbiamo reso esperienze psicologiche valorizzandone aspetti di contraddittorietà e di consapevolezza interiore.
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