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Gustav klimt e la secessione viennese




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GUSTAV KLIMT E LA SECESSIONE VIENNESE


Klimt visse dalla nascita alla morte quasi esattamente nel periodo finale dell'impero asburgico, che ebbe inizio con l'apertura del primo parlamento pan - austriaco nel 1861, un anno prima della sua nascita, e tramontò nel 1918, solo un mese dopo la sua morte, con la disfatta austroungarica nella Prima Guerra Mondiale. La Vienna di Gustav Klimt, quella della Belle Époque al volgere del secolo, rappresenta uno dei momenti più affascinanti della storia dell'arte e della cultura. In questa città, quarta in Europa con due milioni di abitanti, si assiste a una fioritura culturale senza raffronti. L'estrema tensione tra realtà e illusione, tradizione e modernità in cui vivono artisti e intellettuali produce una potente energia creativa, che si manifesta in personaggi come Sigmund Freud, Gustav Mahler e Otto Wagner.

La borghesia, qui come altrove, svolgeva con la sua voglia di sfarzo e divertimento una funzione di catalizzatore di un simile splendore culturale. Ciò che affascina di Klimt è la sensualità del disegno, la bellezza dell'ornamentazione, il mistero racchiuso nelle sue opere, ma soprattutto la bellezza femminile, conturbante, velata. L'erotismo è uno dei temi più elaborati in questo periodo: pensiamo alle interpretazioni freudiane, dove il simbolo fallico viene identificato in moltissimi oggetti. Non sorprenda, dunque, che l'arte di Klimt sia costellata di polline e pistilli, ovuli e spermatozoi sparsi sui corpi, sui vestiti e anche nei paesaggi. E indubbio che l'artista agisse anche provocatoriamente, in una società che risentiva ancora dell'ipocrita moralismo vittoriano. I suoi sono ritratti, sotto una rispettabilità formale sono caratterizzati da due fattori, quasi onnipresenti: la sensualità seducente della donna e l'ambiguità dell'eros. I ritratti soddi­sfano le loro committenti: per mantenere le apparenze egli veste le donne con abiti sontuosi che ne celano la nudità solo per porla ancora più in risalto. Motivi floreali e ornamenti sono tranquillizzanti foglie di fico per una società che ha accolto con entusiasmo lo Jugendstil. La profusione di dettagli distoglie l'attenzione dal vero messaggio: capelli fluttuanti, fiori stilizzati, decorazioni geometriche, stravaganti cappelli, grandi manicotti di pelliccia. Ma proprio questo sovrappiù accentua ed esalta il fascino erotico delle donne ritratte che l'artista, prima di avvolgere in abiti, dipingeva nude. L'Oriente con il suo apparato esotico di uccelli, animali, fiori personaggi contribuisce alla decorazione. I suoi colori sono sempre vivissimi.

Klimt, non soddisfatto della condizione dell'arte austriaca e dell'influsso negativo esercitato da associazioni artistiche come la Künstlerhaus, dette vita, assieme ad altri amici, alla cosiddetta secessione viennese, ovvero alla rottura dalla "casa madre". Questa si proponeva principalmente di dar modo ad artisti giovani e anticonformisti di esporre le proprie opere, fossero essi austriaci o stranieri. La serie di dipinti presentati per l'aula magna dell'università di Vienna destò scandalo proprio per quella componente erotica così forte. Klimt crea la propria opera, lacerata tra eros e thanatos, mettendo in discussione i sacri principi di una società al tramonto. Contro la concezione dominante, con la Filosofia egli rappresenta la vittoria delle tenebre sulla luce, con la Medicina svela l'impotenza terapeutica della scienza e infine con la Giurisprudenza condanna la violenza delle tre Furie, la Verità, la Giustizia, la Legge, che infliggono la loro punizione con la crudeltà di un mostro marino. Dipinti come Giuditta (I e II), , Il Fregio di Beethoven, Il bacio sono testimonianze della vocazione estetica di Klimt. Sono allo stesso tempo capolavori di pittura e arte orafa. Spesso la cornice è inscindibile dalla tela: su di essa proseguono decorazioni in uno stile già avviato dai preraffaelliti. Le minute lavorazioni ricordano le icone bizantine, che l'artista aveva potuto ammirare in un viaggio a Ravenna. Giuditta, in realtà, non è la pia vedova ebrea che, assolvendo il compito assegnatole dal cielo aveva decapitato il malvagio re assiro Oloferne, ma è la tipica femme fatale di fine secolo che aveva affascinato moltissimi artisti, tra cui Moreau, Wilde e Beardsley. La donna è ritratta in estasi quasi orgasmica, con le palpebre abbassate e le labbra socchiuse. I suoi dipinti sono spesso un inno alla lussuria, alla sessualità, una  demistificazione di tabù, una celebrazione della cura formale. L'opera con la sua superficie sontuosa e lucente produce un'impressione di ricchezza, potenza e sensualità. Il vertice della sintesi tra realismo ed astrazione si ha nel Ritratto di Adele Bloch - Bauer. Non si tratta certamente dell'immagine che la donna, moglie di un banchiere, avrebbe voluto dare di sé, ma piuttosto di quella che il marito (il committente) desiderò che fosse vista dagli altri. La ricca decorazione, la presenza di gioielli, abiti, pellicce dovevano esibire gusto e potere economico. Una volta svanito lo stupore prodotto dall'abbondante impiego di oro, l'attenzione si concentra su alcuni particolari stilistici di derivazione esotica, come l'occhio egiziano inscritto in un triangolo o la voluta micenea. Klimt si può dunque definire pittore della giovinezza, della passione, dello sfarzo ch'egli rappresenta in arte, ma che non fa parte della sua vita. Benché non si conosca molto di Klimt uomo, egli sembra infatti volere mantenersi al di fuori del mondo che dipinge, in una specie di distacco aristocratico che però non rivela superbia o presunzione. In uno dei rarissimo scritti da lui lasciati, in questi termini parla di sé stesso:

"1. Di me non c'è alcun autoritratto. Non mi interesso alla mia persona come soggetto di un dipinto, m'interessano di più altri esseri umani, soprat­tutto le donne, ma ancora più altre apparizioni. Sono convinto che io come persona non sia particolarmente interessante. In me non c'è niente di specia­le da vedere. Io sono un pittore che giorno dopo giorno, dal mattino alla sera, dipinge. Figure e paesaggi, più raramente ritratti.

2. La parola parlata e scritta non mi è congeniale, neppure quando devo esprimermi sulla mia persona o sul mio lavoro. Perfino quando devo scrive­re una semplice lettera mi viene paura e angoscia come di fronte alla minac­cia del mal di mare.

Per questo motivo si dovrà rinunciare a un autoritratto artistico o lettera­rio e non è il caso di rammaricarsi oltre. Chi vuole sapere qualcosa su di me - come artista, l'unica cosa degna di attenzione - deve osservare attenta­mente i miei dipinti e da questi cercare di capire ciò che io sono e che cosa voglio".



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