Goldoni e la riforma della commedia
Quando Goldoni intraprese la
sua attività di scrittore per il teatro, la scena comica era dominata dalla
'Commedia dell'arte', in cui gli attori improvvisavano le battute
senza seguire un testo scritto solo sulla base del canovaccio, una sorta
di scaletta che indicava le azioni della commedia. Goldoni, come esso afferma
in alcune opere di carattere teorico, (Il teatro comico e Memories)
si mostrava molto critico verso la commedia dell'arte; i motivi de suo rifiuto
erano: la volgarità in cui era caduta la comicità, la rigidezza stereotipata a
cui si erano ridotti i tipi rappresentati dalle maschere, la ripetitività della
recitazione (gli attori ripetevano sempre gli stessi lazzi), le stesse azioni e
battute convenzionali oramai prevedibili. Ma la ragione della riforma non si
appoggiava su queste degenerazioni, quanto sull'impianto stesso della commedia
dell'arte e sulla visione del reale che proponeva. Il bisogno di una riforma
nasce già nello spirito del razionalismo arcadico che aspirava alla semplicità,
all'ordine razionale al buon gusto. Già in ambito arcadico erano nati tentativi
di riforma da parte di alcuni autori toscani (Giovan Battista Fagiuoli, Iacopo
Angelo Nelli, Girolamo Gigli) ma i loro tentativi erano solo letterari e
confinati nel chiuso delle accademie. Goldoni però non era un letterato, ma un
uomo di teatro che lavorava a diretto contatto con il pubblico, di cui ne
conosceva i gusti e le preferenze. Goldoni ebbe anche la fortuna di vivere a
Venezia, dove il teatro era molto radicato, sia per la presenza di sale sia per
le compagnie che vi lavoravano. La 'riforma' non vuole solo
modificare un genere letterario ma vuole incidere sullo spettacolo, nei suoi
rapporti con la vita sociale. Goldoni, nella prefazione alle commedie, afferma
che nella sua riforma non si è ispirato a modelli libreschi, ma gli unici libri
su cui ha studiato sono 'il mondo' e 'il teatro'; la realtà
e la scena. Goldoni vuole proporre testi che piacciano al pubblico ma che allo
stesso tempo sia 'verisimile', cioè attinente alla realtà. Per questo
Goldoni si oppone alle maschere, troppo stereotipate; ad esse sostituisce i
caratteri, colti nella loro individualità e varietà psicologiche. Per Goldoni i
caratteri sono finiti in base al genere (ad es. l'avaro, il geloso, il
bugiardo) ma infiniti nella specie, ci sono infatti infiniti modi di essere
avari, gelosi e bugiardi. La ricerca dell'individualità è propria della civiltà
borghese: l'arte classica rappresentava categorie di individui, quella borghese
rappresentava i singoli individui. L'adesione di Goldoni a caratteri
prettamente borghesi deriva sia dalla sua condizione sociale sia dall'ambiente
in cui vive; Venezia, pur nella sua arretratezza, era caratterizzata dalla
presenza di una solida classe borghese. I caratteri goldoniani non sono mai
collocati su uno sfondo neutro, sono radicati in un contesto sociale ben
definito. Secondo Goldoni i vizi e le virtù degli individui assumono diverse
caratteristiche a seconda dell'ambiente sociale in cui si sono formati. Le
commedie di Goldoni vengono divise in 'commedie di carattere' e
'commedie d'ambiente': le prime intendono a delineare una figura, le
seconde a delineare un ambiente sociale. Ma proprio per quanto detto prima le
differenze sono solo quantitative, non qualitative; si da cioè più o meno
spazio ad un carattere e ad un ambiente. Le commedie di Goldoni si
differenziano notevolmente dalla letteratura dell'epoca contemporanea,
classicheggiante e aulica, proprio per il loro contatto diretto con la realtà.
La commedia goldoniana presenta molte affinità con la commedia borghese
dell'illuminismo europeo e si avvicina di molto al 'genere serio'
teorizzato da Diderot. La riforma vuole quindi restituire una dignità al teatro
in generale, contrapponendosi sia all'eccessiva frivolezza della commedia
dell'arte sia all'eccessiva tendenza eroica della tragedia. Il rifiuto
dell'improvvisazione nasce dal fatto che gli attori, seguendo semplicemente il canovaccio
e i generici non potevano fornire una rappresentazione completa del
reale. Goldoni incontrò delle opposizioni alla sua riforma: in primo luogo
quella degli attori, che si trovavano a ricoprire un ruolo secondario e che non
erano abituati ad imparare a memoria un testo scritto; in secondo luogo quella
del pubblico, oramai affezionato alle maschere e alle battute della commedia
dell'arte. La riforma, proprio per ovviare a queste avversità, fu graduale:
Goldoni scrisse prima solo la parte del protagonista (la prima commedia con
queste caratteristiche fu il Momolo cortesan); in seguito passo alla
stesura delle parti di tutti i personaggi (La donna di mondo). Egli fu
molto abile nel mantenere le maschere modificandole però dall'interno e
facendole assomigliare sempre più a caratteri individuali, fino a giungere alla
loro completa eliminazione. Il pubblico iniziò ad apprezzare il nuovo teatro e
Goldoni ebbe un gran successo. L'unico grande ostacolo con cui dovette ancora
misurarsi fu la nobiltà: le commedie di Goldoni schernivano spesso
l'aristocrazia e ciò poteva essere rischioso dato che a Venezia c'era un
governo di tipo oligarchico. L'ironia di Goldoni si dirige verso i barnaboti
(gli abitanti del quartiere di san Barnaba a Venezia), gruppo di nobili che per
le loro tendenze avventuriere erano disprezzati dall'aristocrazia al potere;
oppure si dirige verso nobili di altre città, come, ad esempio, Napoli, Firenze
e città dell'Emilia Romagna. Basti infatti ricordare che nella commedia più
nota di Goldoni, La Locandiera, il marchese di Forlimpopoli e il conte
d'Albafiorita sono rispettivamente uno emiliano e l'altro toscano.