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Dalle " Novelle Rusticane " : LIBERTA' ( 1883 )
( Verranno riportati soltanto alcuni passi fra I più significativi )
" Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza : - Viva la libertà !-
Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano. "
" E il sangue che fumava ed ubbriacava. Le falci, le mani, I cenci, I sassi, tutto rosso di sangue! - Ai
galantuomini!, ai cappelli ! Ammazza! Ammazza! Addosso ai cappelli!-"
" La gnà Lucia, il peccato mortale; se quella carne di cane fosse valsa a qualche cosa, ora avrebbero potuto satollarsi, mentre la sbrandellavano sugli usci delle case e sui ciottoli della strada a colpi di scure. Anche il lupo allorchè capita affamato in una mandra, non pensa a riempirsi il ventre, e sgozza dalla rabbia."
" Ora che si avevano le mani rosse di quel sangue, bisognava versare tutto il resto. Tutti! Tutti I cappelli !- Non era più la fame, le bastonate, le soperchierie che facevano ribollire la collera. Era il sangue innocente."
" E in quel carnevale furibondo del mese di Luglio, in mezzo agli urli briachi della folla digiuna, continuava a suonare a stormo la campana di Dio, fino a sera, senza mezzogiorno, senza avemaria, come in paese di Turchi. Cominciavano a sbandarsi, stanchi della carneficina, mogi, mogi, ciascuno fuggendo il compagno. Prima di notte tutti gli usci erano chiusi, paurosi, e in ogni casa vegliava il lume. Per le stradicciuole non si udivano altro che cani, frugando per I canti, con un rosicchiare secco di ossa, nel chiaro di luna che lavava ogni cosa, e mostrava spalancati I portoni e le finestre delle case deserte. "
" Il giorno dopo si udì che veniva a far giustizia il generale, quello che faceva tremare la gente. Si vedevano le camice rosse dei suoi soldati salire lentamente per il burrone, verso il paesetto; sarebbe bastato rotolare dall'alto delle pietre per schiacciarli tutti. Ma nessuno si mosse."
" E subito ordinò che glie ne fucilassero cinque o sei, Pippo, il nano, Pizzanello, I primi che capitarono. Il taglialegna mentre lo facevano inginocchiare addosso al muro del cimitero, piangeva come un ragazzo, per certe parole che gli aveva dette sua madre, e pel grido che essa aveva cacciato quando glie lo strapparono dalle braccia. Da lontano, nelle viuzze più remote del paesetto, dietro gli usci, si udivano quelle schioppettate in fila come mortaletti della festa. Dopo arrivarono I giudici per davvero."
" Un processo lungo che non finiva più. I colpevoli li condussero in città, a piedi, incatenati a coppia, fra due file di soldati col moschetto pronto. Le loro donne li seguivano correndo."
" Il processo durò tre anni, nientemeno! Tre anni di prigione e senza vedere il sole. Sicchè quegli accusati parevano tanti morti per la sepoltura, ogni volta che li conducevano ammanettati al tribunale. Tutti quelli che potevano erano accorsi dal villaggio: testimoni, parenti, curiosi, come a una festa, per vedere I compaesani, dopo tanto tempo stipati nella capponaia."
" Li facevano alzare in piedi ad uno ad uno. -Voi come vi chiamate?- E ciascuno si sentiva dire la sua, nome e cognome e quel che aveva fatto. Gli avvocati armeggiavano fra le chiacchiere, coi larghi maniconi pendenti, e si scalmanavano, facevano la schiuma alla bocca, asciugandosela subito col fazzoletto bianco, tirandoci su una presa di tabacco. I giudici sonnecchiavano dietro le lenti dei loro occhiali, che agghiacciavano il cuore."
" Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava : -Dove mi conducete?- in galera?- o Perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c'era la libertà!.-"
Commento:
La Situazione Storica :
Nel centro agricolo di Bronte, situato alle pendici occidentali dell'Etna, dal 2 al 5 agosto 1860 scoppiò una violenta rivolta che ebbe anche aspetti di particolare efferatezza. Essa si inquadra in quel clima di radicali cambiamenti che si era creato in Sicilia con l'arrivo di Garibaldi e col suo proclama del 2 giugno che prometteva la divisione delle terre demaniali e sostanziali miglioramenti nelle condizioni di vita delle masse contadine. La mancata realizzazione di queste promesse provocò rivolte di varia entità e non solo a Bronte. Qui comunque I contadini erano incoraggiati nelle loro speranze dal partito dei "liberali" capeggiati dall'avvocato Niccolò Lombardo; la rivolta però sfuggì di mano ai capi politici, e si trasformò in furia omicida. ( rif :folla manzoniana Bixio giunse a Bronte - quando ormai la rivolta era nella fase declinante - con precisi intenti di repressione: fece imprigionare l'avvocato Lombardo, che gli si era presentato spontaneamente, e altri sei capi della rivolta, e istituì un tribunale di guerra che in poche ore- senza lasciare il tempo necessario alla difesa- emise cinque condanne a morte, e fra queste quella dell'avvocato Lombardo, che furono immediatamente eseguite.
Atteggiamento verghiano :
Nella valutazione della vicenda, Verga è ben consapevole dell'ingiustizia e della sopraffazione di cui sono vittime le plebi contadine, e nelle sue novelle ne ha denunziato un'ampia casistica. Ma è già approdato- I Malavoglia precedono di un anno questa novella - alla sconsolata conclusione che ogni tentativo di cambiamento è destinato al fallimento: l'assetto sociale, così come si è definito storicamente, gli si presenta come ordine naturale.
La violenza della plebe è vista come una sorta di elemento della natura, e per ogni atto di violenza è presentata una giustificazione o una motivazione. Questo non significa che Verga aderisca alla violenza : attraverso la focalizzazione del narratore ne mette in evidenza la primitività, ma l'autore ne conosce già in partenza l'inutilità. Proprio dalla consapevolezza dell'inutilità di questa violenza e di qualsiasi tentativo di cambiamento dell'esistente nasce la pietà - per I galantuomini, ma soprattutto per I villani - che è il motivo di fondo che conferisce a queste pagine la dolente solennità di una meditazione sulla vanità dell'agire umano, sulle speranze ingenuamente coltivate, (" se avevano detto che c'era la libertà!."). Ben presto, dopo l'esplosione di furore omicida, la vita riprende il corso di prima, e nulla è più tragico di questa normalizzazione che sancisce la ripresa della sopraffazione e l'inutilità di ogni tentativo di eliminarla. ("Tutti gli altri in paese erano tornati a fare quello che facevano prima" ; "ai carcerati ormai nessuno ci pensava più" ; " I contadini ritornano a parlare tranquillamente dei loro affari coi galantuomini". )
Dalle "Ultime lettere di Jacopo Ortis" ( 1817 )
Jacopo, nel suo peregrinare per l'Italia, è giunto a Milano, capitale della Repubblica Cisalpina. Qui incontra l'anziano poeta Giuseppe Parini .
" Forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma- credimi; la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l'altro quarto a' loro delitti . Pur se ti reputi bastevolmente fortunato e crudele per aspirare a questa gloria, pensi tu che I tempi te ne porgano I mezzi ? I gemiti di tutte le età, e questo giogo della nostra patria non ti hanno per anco insegnato che non si dee aspettare la libertà dallo straniero ? Chiunque s'intrica nelle faccende di un paese conquistato non ritrae che il pubblico danno, e la propria infamia. Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificio della virtù. E allora ? Avrai tu la fama e il valore di Annibale che profugo cercava per l'universo un nemico al popolo Romano ? - Né ti sarà dato di essere giusto impunemente. Un giovine dritto e bollente di cuore, ma povero di ricchezze, ed uncauto d'ingegno quale sei tu, sarà sempre o l'ordigno del fazioso, o la vittima del potente. E dove tu nalle pubbliche cose possa preservarti incontaminato dalla comune bruttura, oh! Tu sarai altamente laudato; ma spento poscia dal pugnale notturno della calunnia; la tua prigione sarà abbandonata da' tuoi amici, e il tuo sepolcro degnato appena di un secreto sospiro. - Ma poniamo che tu superando e la prepotenza degli stranieri e la malignità de' tuoi concittadini e la corruzione de' tempi, potessi aspirare al tuo intento; di' ? Spargerai tutto il sangue col quale conviene nutrire una nascente repubblica? Arderai le tue case con le faci della guerra civile ? Unirai col terrore I partiti ? Spegnerai con la morte le opinioni ? Adeguerai con le stragi le fortune ? Ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come demagogo, dagli altri come TIRANNO. Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall'intento, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine l'onestà che le pare dannosa; e per avere I suoi plausi conviene o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarla sempre. E ciò sia. Potrai tu allora inorgoglito dalla sterminata fortuna reprimere in te la libidine del supremo potere che ti sarà fomentata e dal sentimento della tua superiorità, e dalla conoscenza del comune avvilimento ? I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi. Intento tu allora a puntellare il tuo trono, di filosofo saresti fatto TIRANNO; e per pochi anni di possanza e di tremore, avresti perduta la tua pace, e confuso il tuo nome fr la immensa turba dei despoti. "
Fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti
Contende. E senza tomba giace il tuo
Sacerdote, o Talia, che a te cantando
Nel suo povero tetto educò un lauro
Con lungo amore; e t'appendea corone;
E tu gli ornavi del tuo riso I canti
Che il lombardo pungean Sardanapalo
Cui solo è dolce il muggito de' buoi
che dagli antri abduani e dal Ticino
lo fan d'ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu ? Non sento
Spirar l'ambrosia indizio del tuo Nume,
Fra queste piante ov'io siedo e sospiro
il mio tetto materno. E tu venivi
e sorridevi a lui sotto quel tiglio
ch'or con dimesse frondi va fremendo
perché non copre, o Dea, l'urna del vecchio
cui già di calma era cortese e d'ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi
Vagolando, ove dorma il sacro capo
Del tuo Parini ? A lui non ombre pose
Tra le sue mura la città, lasciva
D'evirati cantori allettatrice,
Non pietra, non parola; e forse l'ossa
col mozzo capo gl'insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo I delitti.
Nei primi versi , Foscolo fa riferimento ad una nuova legge riguardante I sepolcri. Si tratta di un reale provvedimento preso dal governo napoleonico nel 1804 che aveva anche avuto dei precedenti, sempre di carattere illuministico, durante il governo asburgico di Maria Teresa.
La legge di cui parla Foscolo è l'Editto di st. Cloud che ebbe reale applicazione in Italia solo a partire dal 1806; tale editto prescriveva, per questioni di igiene, che I morti fossero sepolti al di fuori della città (infatti, in precedenza essi erano seppelliti nei cortili delle chiese) e inoltre con il presupposto dell'uguaglianza tra gli uomini, imponeva anche che le tombe fossero tutte uguali.
Riprendendo questo avvenimento, Foscolo si riallaccia alla figura del poeta Giuseppe Parini il quale, morto nel 1799, era stato sepolto secondo norme di questo tipo. Ma la grandezza del poeta non è adatta ad una sepoltura così anonima, la sua salma non riposa all'ombra di un tiglio amico e la stessa Musa ispiratrice di Parini forse, non trovandolo, lo cerca fra le tombe plebee dei cimiteri suburbani. Infatti Parini, in obbedienza alle norme vigenti, fu sepolto nel campo comune di Porta Comasina, in cui però venivano gettati anche I cadaveri dei giustiziati. Perciò Foscolo, nei suoi versi, formula l'ipotesi estrema, attraverso un'eloquente immagine di stampo preromantico, che un ladro, la cui carriera delittuosa si è conclusa sul patibolo, insanguini le ossa del poeta col suo capo mozzato. Il Foscolo vuole qui mettere in evidenza come le norme sulle sepolture siano fondamentalmente ingiuste perché sconvolgono tutti I valori più sacri e impediscono che le tombe di uomini insigni esercitino la loro funzione di esempio civile
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