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La poetica del fanciullino:
In un suo scritto famoso, 'Il
fanciullino', Pascoli definisce ampiamente la sua poetica.
La poesia non è 'logos', cioè razionalità, ma consiste in una perenne
capacità di stupore tutta infantile, in una disposizione irrazionale che
permangono dentro l'uomo anche quando si è cronologicamente lontani
dall'infanzia.
Il poeta viene paragonato al fanciullino che si mette di fronte alla realtà
rendendo inattiva la ragione: sa attribuire significati alle cose che lo
circondano, estremamente soggettivi.
Il poeta, come il bambino, secondo Pascoli, è privo di malvagità, è
caratterizzato dalla condizione di stupore e dalla capacità di riflettere i
propri stati d'animo nelle piccole cose.
Il poeta-fanciullino è una figura astratta perchè non tutti i fanciulli sono
buoni e, imperfetta in quanto il poeta non riuscirà mai pienamente nel suo
tentativo di tornare bambino.
Questo fanciullino 'alla luce sogna o sembra sognare ricordando cose non vedute mai parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle; popola l'ombra di fantasmi ed il cielo di dei'.
Il fanciullino 'impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare e adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e viceversa'.
' Il nuovo non si inventa: si scopre' e la poesia consiste nel trovare nelle cose 'il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente e serenamente di tra l'oscuro tumulto della nostra anima'.
Il linguaggio:
Pascoli è perplessodi fronte
alla realtà e assume un atteggiamento vittimistico. Per questa ragione i suoi
temi, che sembrano estremamente semplici, sono carichi di simboli, in quanto
egli usa la tecnica del correlativo-oggettivo che gli permette di trasferire i
suoi stati d'animo negli oggetti che lo circondano. Perciò egli si serve di un
linguaggio simbolico, evocativo e denso si suggestione.
Contini ha individuato, nell'autore, un linguaggio pregrammaticale, uno
grammaticale, e un altro postgrammaticale. Il primo è costituito essenzialmente
dalle onomatopee, il secondo corrisponde a quello dell'uso e l'ultimo coincide
con le lingue speciali. L'uso di questo linguaggio tecnico lo avvicinerebbe
allo stile veristico, ma bisogna tenere conto della coesistenza di questi 3
linguaggi che rende possibile un'innovazione: la sua poesia è infatti evocativa
e fortemente soggettiva, assolutamente non descrittiva, come prevede la poetica
del decadentismo. Tra l'altro Pascoli si impegna in una sperimentazione che lo
porta a usare, nel poemetto Italy, un 'pastiche' linguistico di
grande originalità.
L'IDEOLOGIA PASCOLIANA
La concezione pascoliana della realtà è fondata sulla dominante presenza di un mistero insondabile al fondo della vita dell'uomo e del cosmo.
Mentre il positivismo, fiducioso nella scienza, aveva concepito l'inconoscibile come una sorta di territorio ignoto da sottoporre progressivamente a una ricerca condotta col metodo sperimentale, Pascoli ne fa il centro di una sofferta meditazione. La scienza, secondo lui, ha ricondotto la mente dell'uomo alla coscienza del suo destino inesplicabile, non ha assolutamente donato libertà all'uomo, ma, anzi, la società industriale, valorizzata dal positivismo, soffoca l'uomo, gli nega ogni piacere: viene così definito il 'rifiuto della storia' secondo il quale la storia viene contrapposta al mondo campestre delle piccole cose.
L'uomo, secondo Pascoli, brancola nel buio, ignaro della sua origine e delle finalità del suo vivere, è un essere fragile mosso da impulsi ciechi che lo spingono spesso all'odio e alla violenza. Di conseguenza, l'atteggiamento del poeta di fronte alla realtà è caratterizzato dalla 'vertigine' davanti al mistero dell'essere, da una perplessità davanti al problema insolubile del dolore, del male, della morte.
Bisogna ancora inserire Pascoli nel generale orientamento del tempo, il decadentismo, che rifiutava la civiltà contemporanea: mentre autori come Huysmans, Wilde, D'Annunzio concretizzano questo rifiuto con il vagheggiamento di un mondo di pura bellezza , Pascoli lo concretizza o con il ripiegamento intimistico, spesso vittimistico, oppure nel vagheggiamento della campagna e delle umili cose, di un paradiso perduto. Nel poeta, inoltre, il rifiuto della storia dà come conseguenza amara la solitudine, l'autocommiserazione, lo smarrimento di chi non riesce a vedere altro che la Terra come un atomo opaco del male. Ne deriva, quindi, la visione di una vita tutta raccolta nell'ambito della famiglia, gelosamente custodita e difesa.
'Nascondi le
cose lontane,
nascondimi quello che è morto!
ch'io veda soltanto la siepe
dell'orto,
la mura ch'ha piene le crepe
di valeriane.
Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch'io veda i due peschi, i due meli,
soltanto'
da: Nebbia
TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA
IL NIDO:
La famiglia viene concepita, da Pascoli, come famiglia
d'origine chiusa ed esclusiva che si costituisce come alternativa al
matrimonio.
In poesia il tema del nido simboleggia la famiglia e viene visto come un luogo
caldo, protettivo e segreto. Tale protezione comporta però l'isolamento dalla
realtà: si ha quella che viene definita 'chiusura sentimentale'.
Questa è una situazione psicologica sofferta che lo conduce anche ad esasperare
il tema dell'eros che verrà visto in maniera regredita.
I MORTI:
Collegato al tema del nido, ricorrente è il tema dei
morti: la vita di Pascoli, infatti, scandita da lutti, ha influito molto sulla
sua produzione. Il tema dei morti viene espresso, attraverso la tecnica del
correlativo-oggettivo, che consiste nel proiettare i propri stati d'animo su
oggetti della realtà che, così, si carica di significati simbolici.
Così avviene in Myricae e nei Canti di Castelvecchio. Ecco alcuni
esempi:
Nella poesia l 'assiuolo il motivo conduttore è il canto notturno e lamentoso di questo uccello, l'assiuolo appunto, che viene considerato, dalla tradizione popolare, come il simbolo della tristezza, della vita dolorosa che si protende verso la morte.
In X Agosto viene ricordato, attraverso un lungo paragone con la morte di una rondine, l'assassinio del padre, avvenuto proprio il 10 agosto del 1867. Questo giorno è inoltre la festività di S.Lorenzo in cui si verifica il fenomeno delle stelle cadenti, simbolicamente viste come un pianto di stelle che inonda la Terra , definita atomo opaco del male.
Nella poesia il gelsomino notturno il tema preponderante è quello dell'eros che viene spesso accostato al ricordo ossessivo dei defunti.
In Novembre viene descritta l'estate dei morti, o meglio il periodo iniziale di novembre. Con una serie di notazioni paesaggistiche viene richiamata l'idea della primavera; ma è un'illusione breve: i rami sono stecchiti, il cielo vuoto, la terra arida e compatta per il freddo; grava su tutto un silenzio sconfinato. Vi è, senz'altro, il contrasto dell'apparenza con la realtà: realtà che è tutta connotata da espressioni funeree.
LA NATURA E LE PICCOLE COSE:
La Natura è concepita da Pascoli come una presenza
misteriosa e complessa che il poeta deve interpretare attivando l'immaginazione
e aguzzando i sensi. Inoltre, condividendo le posizioni antipositivistiche e
negando l'idea che la scienza abbia portato la felicità, Pascoli crede che la
società industriale soffochi l'uomo condizionandolo pesantemente. Per questo
contrappone la società alla Natura, agli aspetti semplici e dimessi della
campagna. Perciò egli assume uno stato d'animo tipicamente decadente in quanto
evade dalla realtà misteriosa e ostile rifugiandosi in luoghi chiusi,
circondandosi di piccole e semplici cose rassicuranti e protettive.
'Ritornava una
rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini
Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero; disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono
Ora là nella casa romita,
lo aspettano, aspettano invano'
da: X Agosto
'.Sono apparse in
mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari
Splende un lume là nella sala.
Nasce l'erba sopra le fosse'
da: Il gelsomino
notturno
'Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore.
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. E' l'estate,
fredda, dei morti.'
da: Novembre <pas_temi.htm>
'.veniva una voce
dai campi:
Chiù.
.Sonava lontano il silgulto:
Chiù.
.e c'era quel pianto di morte.
Chiù.'
da: L'assiuolo
IL TEMA DELL'EROS
Il modello dell'amore
romantico, durante il periodo decadente, si scontra con le nuove realtà
sociali, entra in crisi, ma non decade per lasciar posto ad un nuovo modello.
La crisi dell'amore romantico si rivela una crisi di approfondimento, di
rifiuto del modello, che in alcuni casi sfocia nella violenza, nella voglia di
scandalizzare; per lo più, però, si assiste a forme di dilatazione della
sensibilità dovute anche alla caduta di molti tabù sessuali, con la conseguente
legittimazione della sessualità spontanea, 'diversa': l'amicizia
maschile e femminile, la sessualità e l'amore diventano terreni di ricerca e di
sperimentazione psicologica, e vanno a nutrire potentemente l'immaginario
collettivo.
Per capire come Pascoli affronta il tema dell'eros, bisogna analizzare la sua
vicenda personale: l'infanzia del poeta è segnata da molti lutti,
dall'assassinio del padre alla morte della madre, mentre la maturità è
caratterizzata dai vincoli affettivi che legano Pascoli alle sorelle,
soprattutto Mariù.
Lentamente, quindi, matura la convinzione della famiglia concepita come
famiglia d'origine ed esclusiva costituita in alternativa al matrimonio: egli
non avrà mai relazioni amorose, né si sposerà in quanto concepisce questi
eventi come impossibili nella propria vita.
Da studiosi, la sintomatologia di Pascoli è considerata tipica di una fase
erotica infantile, e quindi una regressione dell'erotismo adulto, che attrae e
insieme fa paura.
Nella poesia non c'è un filone esplicito dedicato all'amore: l'eros compare
solo per vie indirette e trova espressioni simboliche, come i fiori de Il
gelsomino notturno, che lo distanziano dall'io lirico dell'autore; il
rapporto sessuale fra uomo e donna, a volte è stravolto in scena di violenza,
in altri casi è solo accennato rapidamente, con l'utilizzo di un linguaggio
evocativo ed indeterminato.
'.Passa il lume su
per la scala;
brilla al primo piano: s'è spento.
E' l'alba: si schiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.'
da: Il gelsomino notturno
Stile
Giovanni Pascoli
Lo stile Come conseguenza della poetica del fanciullino, Pascoli attuò una rivoluzione in campo stilistico-espressivo. Se la poesia è una pura trascrizione di suggestioni irrazionali colte nel mondo circostante, per esprimersi il poeta deve necessariamente avvelersi di nuovi mezzi. Egli dissolse la sintassi tradizionale, eliminò gli usuali nessi logici usando tecniche analogiche che giustappongono per paratassi immagini apparentemente eterogenee ma legate in realtà da profonde analogie. Inoltre, grazie alla sua infanzia trascorsa in campagna, egli usò sempre un lessico preciso ed essenziale, specie per quanto riguarda animali e vegetali. Non mancavano però anche dialettalismi e aracismi delle lingue 'morte' latina e greca. Pascoli scelse le parole più per la loro capacità evocativo-fonica che per ciò che volessero dire; in altre parole, il significante era per lui più importante del significato. Infatti, i suoi componimenti sono intrisi da fitte trame di allitterazioni, consonanze, assonanze e altri giochi fonici. Frequenti, inoltre, le onomatopee sia semantiche che asemantiche dei suoni e delle voci della natura.
Giovanni Pascoli
Il panorama degli studi su
Giovanni Pascoli, specie dopo il vigoroso ripullulare di contributi e
ripensamenti critici seguiti al centenario della nascita, appare
particolarmente ricco e vario. Vario anche nella mole dell'opera: dalle
miscellanee in più tomi ai preziosi e introvabili 'Quaderni pascoliani' di
Barga, diretti da Felice Del Beccaro e Bruno Sereni (ne sono apparsi almeno
diciotto).
I materiali epistolari editi via via negli anni, e in particolare l'imponente corpus
delle lettere ad Alfredo Caselli pubblicato nel 1968 da Felice Del Beccaro,
integrati dal singolare libro della sorella Mariù (Lungo la vita di Giovanni
Pascoli), lasciano intravedere la possibilità di riscrivere la biografia
pascoliana ('una biografia difficile', secondo l'espressione di Del Beccaro) in
modo ben diverso da quelle sinora esistenti, e cioè tenendo conto di tutte le
contraddizioni e ambiguità dell'uomo Pascoli, che i ricordati documenti hanno
lasciato affiorare. Contraddizioni e ambiguità che spesso si riflettono sulla
pagina e che tratteggiano un volto d'uomo tanto più complesso, sfumato e
contorto di quanto non si potesse sospettare alcune diecine d'anni or sono.
Da parte sua, la filologia sta lavorando con tenace impegno per approntare
quell'edizione critica delle opere che potrà farci entrare nell'officina
laboriosa del Pascoli, nel vivo delle sue scelte espressive documentate dai
manoscritti spesso tormentati che si conservano a Castelvecchio: l'impeccabile
edizione delle Myricae curata da Giuseppe Nava rappresenta il primo
fondamentale momento di questa operazione. Intanto commenti approfonditi,
spesso accuratissimi, di singole opere italiane e latine ne mettono in luce le
ricche, talvolta inaspettate, fonti e ne ricostruiscono il retroterra
culturale.
Ma soprattutto all'intensissimo lavorìo della critica propriamente detta si
deve l'immagine più autentica e complessa, più 'nostra', che oggi ci viene
offerta del poeta. Se di tanta congerie di studi non tutto è durevole e
fecondo, va però detto che non pochi tra i più autorevoli studiosi del nostro
secolo si sono cimentati con successo nell'interpretazione di quella poesia. Si
può anzi dire che proprio nell'ardua interpretazione della poesia pascoliana la
moderna critica italiana abbia raggiunto alcuni dei suoi risultati più
suggestivi e costruttivi, abbia scritto uno dei suoi capitoli migliori.
L'immagine più autentica che ha saputo rivelarci è certo molto lontana da
quella un po' oleografica del casalingo poeta di piccole cose che a molti era
rimasta da approssimative letture scolastiche. Ed è anche molto più
affascinante, e protesa verso l'avvenire.
Non è facile ragguagliare in sintesi sulle principali direzioni e dimensioni
della critica pascoliana del secondo dopoguerra. Ogni schema è sempre angusto e
coartante, e perciò deformante. Comunque, possiamo tentare di identificare
quattro nuclei di interesse: uno ideologico in senso sociopolitico; uno
storico-culturale, di storia del gusto; uno psicocritico e fenomeno-logico,
inteso a descrivere nelle sue modalità l'essere-nel-mondo di Giovanni Pascoli
quale si proietta nell'universo immaginario dell'opera; uno, infine,
linguistico-strutturale e stilistico.
Va da sé che si tratta di quattro momenti non isolati in compartimenti più o
meno stagni, ma connessi in circolarità dialettica, spesso per necessità con
presenti anche dell'opera di uno stesso studioso. Da tutti e quattro i punti di
osservazione elencati, ma specialmente dai due ultimi, emerge la novità della
poesia pascoliana, la sua sostanziale e profonda, anche se talvolta
inconsapevole originalità. Originalità riconosciuta lucidamente e
generosamente, anche facendo un po' di tara sull'enfasi polemica e assertiva,
già da Gabriele D'Annunzio quando salutava nel confratello di Romagna 'il più
grande e originale poeta apparso in Italia dopo il Petrarca' .
Ognuno dei quattro momenti sopraindicati, anche se fosse possibile considerarlo
isolatamente rispetto agli altri, richiederebbe un lungo discorso, tanto appare
ricco di problemi, di angolazioni diverse, di prospettive.
La prima area di ricerca, quella sociopolitica, ha suscitato vivo interesse nella cultura italiana del secondo dopoguerra, specialmente nel settore marxista non immemore di certe annotazioni di Gramsci, il quale appuntava con interesse lo sguardo, sempre vigile nel cogliere tracce di una letteratura nazional-popolare, su Pascoli, che considerava 'il creatore del concetto di nazione proletaria e di altri concetti svolti poi da Enrico Corradini e dai nazionalisti di origine socialista'. Ai fini di questa rapida panoramica, comunque, più che lo studio della posizione politica, riesaminata negli anni Ottanta con ottica e conclusioni molto diverse da Piero Treves, interessano i riflessi dell'ideologia nell'opera. Si pensi, ad esempio, al centrale mito del fanciullino che evoca una condizione astorica; si pensi all'appassionato rivendicare la funzione privilegiata del poeta nella società o all'importanza del destinatario nella elaborazione del linguaggio poetico, come risulterebbe dall'impegno di 'fondare un sublime ad uso delle classi medie', secondo l'ipotesi di Edoardo Sanguineti. Questi e diversi altri elementi convergono verso un contesto " piccolo borghese " al quale Pascoli è omogeneo.
L'area della storia della
cultura e del gusto, che in Italia ha tradizioni e radici meno salde che
altrove, mette in luce un Pascoli vicino a certe fondamentali atmosfere ed
esperienze della civiltà estetica d'Europa: il gusto floreale o liberty,
il simbolismo. E' una consonanza probabilmente dovuta più alle antenne di una
vibrante sensibilità che a una precisa scelta di cultura, anche se troppo poco
si sa sulle possibili letture pascoliane di poeti francesi, di cui non resta
traccia nella biblioteca di Castelvecchio; e ben poco se ne vede nella mostra
'Le biblioteche del fanciullino' organizzata di recente alla Biblioteca
Nazionale di Roma. Al simbolismo europeo Pascoli è fraterno non soltanto per
l'uso esplicitodel simbolo, come nel poemetto Il libro che più di un
simbolista d'oltralpe gli avrebbe invidiato, ma anche e soprattutto per quel
propendere, in tutta una parte della sua opera poetica, all'evocativo,
all'allusivo, all'emozione musicale e indefinita, al fascino dell'ambiguità e
del mistero. Avrà certo avuto le sue ragioni un letterato di gusto raffinato,
esperto di letterature europee come Diego Valeri per asserire, in uno studio
sul simbolismo francese, che Pascoli 'fu il maggiore, il più poeta dei
simbolisti europei della fine dell'Ottocento'.
L'inquieta sensibilità immette nella sua poesia un lievito di rinnovamento che
sarà proficuamente accertabile in sede linguistica e stilistica e che rende
questo personaggio - apparentemente figlio della buona vecchia Italia, di
formazione e radici ottocentesche - una sorta di precursore inconsapevole di
tanta poesia italiana del Novecento, che storicamente si intenderebbe assai
meno senza la premessa rappresentata dall'esperienza espressiva pascoliana. In
un importante libro postumo, al quale è stato dato il significativo titolo Pascoli:
la rivoluzione inconsapevole, uno dei maggiori critici del nostro tempo,
Giacomo Debenedetti, asserisce che non soltanto Gozzano, non soltanto i
crepuscolari risentono della lezione pascoliana, ma persino i futuristi 'non
avrebbero potuto gridare entro i megafoni le parole in libertà se Pascoli non
le avesse liberate e non avesse mostrato che ciascuna di loro poteva isolarsi,
diventare un apice espressivo, se non avesse messo la parola in piena, anche
troppa confidenza coll'onomatopea. Né gli ermetici, più tardi, avrebbero potuto
organizzare le loro strutture di immagini come tessuti di richiami, di occhiate
capaci di invitarci a una mistica unione con la sostanza segreta che in quelle
immagini era infusa e calata'.
La critica psicanalitica e
fenomenologica ha trovato nella tortuosa personalità pascoliana un terreno
d'elezione per i suoi accertamenti. Non si insisterà su possibili diagnosi,
magari fondate sulla constatazione della scarsa, o almeno poco apparente,
presenza dell'eros e dell'immagine femminile nella pagina come nella vita. Il
problema di un Pascoli 'poeta non d'amore' è di scarsa consistenza, come ha
mostrato e documentato Giacomo Debenedetti. Suggestiva è invece l'analisi, come
quella affrontata e portata avanti nel voluminoso saggio su Simboli e
strutture nella poesia del Pascoli da Giorgio Bàrberi Squarotti,
dell'universo espressivo, dominato ossessivamente dal segno del nido, che
protegge e limita a un tempo, e fuori del quale è alienità, labirinto,
perdimento, vertigine. Un universo senza evoluzione, in cui spesso coincidono il
moto e l'immobilità, il vicino e il lontano, in cui tempo e spazio sembrano
disintegrarsi. Si pensi al sintomatico poemetto Nella nebbia, in cui
ogni realtà si dissolve in apparenze impalpabili o spettrali, in lontananze di
sogno, con l'allarmante mistero di quelle pèste smarrite nella nebbia, 'né
tarde né preste, alterne, eterne'. Su questa condizione di moto immobile, di
vicino-lontano, ottime pagine ha scritto Cesare Federico Goffis nel volume Pascoli
antico e nuovo.
L'area in cui l'accertamento dell'originalità pascoliana emerge con maggiore
evidenza è forse quella linguistico-stilistica, che annovera contributi rimasti
fondamentali, come quello di Gianfranco Contini, che descrive con
impareggiabile acume la peculiarità e la ricchezza dell'esperienza espressiva
pascoliana, interpretandola non soltanto alla luce di un particolare
temperamento, ma anche sullo sfondo di una crisi storica di cui il poeta è
consapevole soltanto in parte. Il fatto è che 'quando si usa una lingua
normale, vuol dire che dell'universo si ha un'idea sicura e precisa, che si
crede in un mondo certo, ontologicamente ben determinato, in un mondo
gerarchizzato dove i rapporti stessi tra l'io e il non io, tra l'uomo e il
cosmo sono ben determinati, hanno limiti esatti, frontiere precognite. Le
eccezioni alla norma linguistica significherebbero allora che il rapporto tra
l'io e il mondo in Pascoli è un rapporto critico, non è più un rapporto
tradizionale. E' caduta quella certezza logica che caratterizzava la nostra
letteratura sino al romanticismo'. Nonostante un'apparente adesione di massima
alle norme linguistiche e metriche, e forse con maggior efficacia proprio per
questa apparente mancanza di violenza espressiva e di esplicita volontà di
rottura, l'inquietudine pascoliana corrode dall'interno le tradizionali
strutture della poesia italiana. Anzitutto le frantuma in momenti isolati, in
un discorso tutto spezzature e sussulti. Versi come quelli di La mia
malattia ( 'L'altr'anno, ero malato, ero lontano / A Messina: col tifo')
preludono d'appresso a versi come 'Piove. E' mercoledì. Sono a Cesena' del
conterraneo Marino Moretti: certo uno dei momenti più prosastici, franti e
dimessi raggiunti dal glorioso endecasillabo, protagonista della poesia
italiana, nella sua storia plurisecolare. Né prima di Pascoli compare nella
poesia lirica italiana moderna tanta ricchezza di onomatopee, tanta audacia di
analogie e sinestesie ( 'La Chioccetta per l'aia azzurra / va col suo pigolìo
di stelle': cioè 'la costellazione delle Pleiadi nel cielo va col suo luccichìo
tremulo come pigolìo di pulcini'). E neppure erano apparse, sin dal lontano
medioevo, mescolanze linguistiche come l'anglo-barghigiano degli emigranti nel
lungo poemetto Italy: 'Oh! no: starebbe in Italy sin tanto
Ch'ella guarisse: one month or two, poor Molly!'. Un'esperienza, questa,
che sembra anticipare certo sperimentalismo del pieno Novecento. Mentre in
altri casi, quasi in opposizione alla minuzia realistica persino puntigliosa
del lessico, che richiede non di rado l'uso di un glossario, la parola sembra
aprirsi a un'irradiazione simbolica, a una trascendenza oltre il senso, a un
alone emotivo e musicale che sconfina verso il mistero, l'inconoscibile. Su
molti piani, dunque, è stata accertata e acquisita alla coscienza culturale
contemporanea la lievitante originalità espressiva del Pascoli, la sua più o
meno involontaria modernità. L'importanza della sua presenza storica trova
nella tecnica espressiva il suo momento più colmo. Tanto da indurre uno dei
nostri più autorevoli linguisti e storici delle tecniche espressive, Alfredo
Schiaffini, ad affermare, nel centenario della nascita del poeta, che 'il
momento cruciale, il salto nel fosso, nella storia del nostro linguaggio
poetico, sono rappresentati dalla poesia di Giovanni Pascoli'. Mi è caro
suggellare questa rassegna col richiamo al mio grande maestro Alfredo
Schiaffini, della cui nascita ricorre quest'anno il centenario.
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