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Non fu misantropo. Era quasi cieco, gobbo, poliomielitico, storpio. Ma questi drammi fisici non influirono più di tanto. Non è vero che il pessimismo derivi esclusivamente da tali mali. Così invece la pensava la critica degli anni cinquanta e sessanta, una critica di impostazione psicanalitica, ma non ha niente a che fare con la letteratura psicanalitica. La critica volle sondare spesso, solo attraverso le opere, la psiche degli autori per trovare nelle opere stesse le devianze e i problemi di tali persone trovando radici profonde. Tali critici consideravano Leopardi addirittura paranoico.
Leopardi nacque nel
Il padre era un conte, illuminista, aveva una biblioteca piena di opere antiquate, classiche ed opere di filosofia illuminista. Quindi il pensiero illuminista è dominante.
La madre era troppo presa dall'attenzione per il patrimonio economico, per il quale trascurerà i figli.
Leopardi studia come un pazzo nella biblioteca paterna. E' precoce: nel 1812 scrive due tragedie: La virtù indiana e Pompeo in Egitto. Sono importanti dal punto di vista della precisione tecnica ma non sono tematicamente belle. Sono corrette dal punto di vista esteriore.
Storia dell'astronomia dall'antichità fino al 1813
Saggio sopra gli errori popolari degli antichi. In tale opera analizza la fantasia e l'immaginazione che hanno portato gli antichi ad una mistificazione della realtà. Contrappone la verità della ragione e della scienza. E' un'opera impregnata di illuminismo. Non gli riesce di scrivere un trattato vero e proprio perché si disperde e divaga. Sempre nel 1815 si preoccupa di studiare la letteratura e tradurre i classici. La traduzione è importante dal punto di vista linguistico:
I libro dell'Odissea di Omero
II libro dell'Eneide di Virgilio
Titanomachia di Esiodo
Batracomiomachia di pseudo-Omero(satira politica)
Scriverà i Paralipomeni alla batracomiomachia, criticando i moti del '20-'21. Scrive quest'opera per completare la lotta: le rane sono i conservatori del tempo, i topi i liberali napoletani e i granchi aggiunti sono gli austriaci.
Idilli di Mosco. Mosco è un poeta siracusano. Tratta dell'amore, della natura, delle piccole cose di vita quotidiana. Leopardi definirà gli Idilli come esperimenti, affezioni, e avventure del mio animo. Si rivolge ad autori che lui sentiva più vicini, con i quali si sentiva in sintonia.
La traduzione è importante in quanto per tradurre poesia in lingua bisogna rendere il contenuto di fondo e gli accorgimenti stilistici. Leopardi affina sulle traduzioni la lingua. A Leopardi non interessa Manzoni e il suo problema della lingua. Nel scrive All'Italia, unico poema di interesse nazionale.
Leopardi condivideva il contenuto degli Idilli, in quanto a vita sociale ed affetti; la natura era presentata in senso classico, era amica e consolatrice.
Apre i suoi orizzonti, affronta autori romantici o che, pur non essendo
romantici, sono stati apprezzati dai romantici. Legge Alfieri (eroismo), Ortis
e Werter, il Berchet. Scrive ai compilatori della rivista "
Evento importante. E' l'amicizia con Pietro Giordani, un intellettuale che comprende e, per la prima volta, apprezza il genio leopardiano. Nelle discussioni con Giordani, Leopardi trova la sua via, scopre la vocazione per la poesia. Contemporaneamente avviene il distacco definitivo dalla fede; da qui un pessimismo che gli fa valutare come illusioni quelle speranze che caratterizzano la vita umana e che si concretizzano nella promessa della vita eterna. Egli non dà possibilità di riscatto e salvezza all'umanità, da qui il suo pessimismo cosmico. La concezione della vita si concretizza nella mediocrità umana. In un primo momento lui solo credeva di essere disgraziato poi evolve tale concezione e lo porta a concepire l'umanità come affratellata in un disagio universale, partendo dalla sua esperienza personale.
Inizia la stesura di un'opera che lo accompagnerà fino al 1832, lo Zibaldone dei pensieri. E' una raccolta di riflessioni che è importante perché ci aiuta a comprendere leopardi, le sue motivazioni, l'evoluzione del pensiero e il suo stato d'animo. E' una sorta di diario.
inizia un momento importante perché proseguendo le meditazioni sulla poesia, abbandona l'esordio neoclassico per aderire al Romanticismo. E' infatti del 1818 il Discorso di un italiano sulla poesia romantica, nel quale evidenzia questa sua trasformazione sul piano poetico. E' importante perché ci spiega ciò che condivide e ciò che ripudia dal Romanticismo. Infatti afferma che non è più possibile fare poesia di immaginazione come facevano i classici ma occorre aderire al sentimento, all'emozione, aprire il proprio cuore per spiegare cosa c'è dentro. Ciò che rifiuta è un aspetto: l'impegno politico come uomo e come poeta.
All'Italia è più una meditazione interiore sulla situazione italiana che una riflessione nazionale, intrisa di ideali politici. E' di impronta politica in lode alla virtù italica. Appartiene alla raccolta Piccoli Idilli. La poesia non deve interessarsi a problemi politici. L'unico tema è la riflessione sul dramma (intimista).
Svolta a causa della pubblicazione degli Idilli che scrive fra il '19 e il '22. Scappa di casa ma tale tentativo non riesce. Dal '22 al '23 è a Roma: pensava di trovare un senso alla propria vita nella città eterna, simbolo della vera cultura italiana. Ne è deluso perché ciò che trova è un classicismo archeologico, cioè Roma era piuttosto conservatrice in campo politico e culturale. Gli stimoli che immaginava di trovare non li trova, da qui mediocrità dell'esistenza umana, inutilità di cercare disperatamente un fine, la felicità. Trova un ambiente più chiuso di quello di Recanati. Questa consapevolezza gli dà l'impressione che inaridisca la vena poetica e in questi anni inizia a scrivere le Operette morali (1824): sono 20. Sono colloqui in prosa improntati ai dialoghi di Luciano, poeta latino di origine siriaca, vissuto nel II sec. a.C. che scrive opere satiriche in forma di dialogo come per es. Dialoghi degli dei, Dialoghi dei morti, L'asino, Vite all'incanto (dove immaginava che Zeus metta all'asta i filosofi dell'antichità). Leopardi esprime le sue concezioni sulla vita, la natura, l'amore, il dolore, la morte.
E' ritornato a Recanati a causa di difficoltà economiche.
Va a Milano e ci rimane fino al '26-'27 e, non potendo contare sull'appoggio dei genitori, lavora per l'editore Stella al quale fornisce traduzioni di autori latini e greci e cura l'edizione di classici latini e italiani. Significava fare un accurato lavoro filologico
1827-28 Bologna - Firenze - Pisa. L'esperienza fondamentale è quella di Firenze perché entra in contatto con il Gabinetto Scientifico Viesseux, il quale nel 1821-23 fonda l'Antologia, intorno alla quale si riunivano seguaci di spiritualismo, indirizzo filosofico contemporaneo all'idealismo e che era in contrasto con gli ideali illuministi. Lo spiritualismo contrapponeva alla realtà materiale l'esistenza di una vita ultraterrena: da qui la necessità di affrontare problemi religiosi che l'idealismo metteva da parte. L'emanazione più importante dello spiritualismo è quella posizione politica di cui fanno parte i cattolici-liberali, i quali tentavano di trovare punti di contatto tra politica e fede. Leopardi non era in sintonia con gli spiritualisti ma fra Leopardi e questi intellettuali nasce un rapporto di stima profonda che farà sì che i suoi amici lo aiutino nel soggiorno fiorentino quando sarà in difficoltà economiche.
Torna a Firenze dove vive più agiatamente. Ha una storia d'amore con Fanny, che sarà negativa e drammatica: questo avrà conseguenze sul morale e il pessimismo peggiora, alimentato dal peggioramento del dolore fisico. Pubblica il Ciclo di Aspasia - amore e morte.
Va a Napoli con Antonio Ranieri dove trascorre gli ultimi tre anni della sua vita.
Muore durante l'epidemia di colera. A Napoli aveva pubblicato A se stesso, La ginestra, Il tramonto della luna: sono raccolti nei Canti. Sono importanti per l'armonia, il ritmo, l'equilibrio, l'elemento musicale in poesia.
Ultima opera in frammenti è il Parallelo delle cinque lingue, dove Leopardi analizza il greco, l'italiano, il latino, il francese (non si conosce la quinta lingua), dove distingue fra lingue poetiche e lingue ragionevoli geometriche. Afferma che il francese è la lingua della mediocrità per eccellenza, mentre lingue poetiche sono latino e greco. L'italiano conserva la possibilità di adattarsi all'esigenza di sentimenti e fantasia perché, come le lingue antiche, conserva un carattere vago e indeterminato, utilizzando parole indefinite che hanno lo scopo di evocare più che enunciare o spiegare.
Leopardi fu un poeta incompreso dal suo tempo. Giovanissimo scambiava idee con un circolo ristretto di intellettuali che venivano a casa sua. I contemporanei rifiutano di riconoscere la sua grandezza a causa del suo atteggiamento nei confronti del Romanticismo. Egli affermava che la sola poesia possibile del mondo moderno fosse quella di sentimento, di analisi interiore.
Pensiero n.10 "Zibaldone": Leopardi stabilisce una differenza tra la poesia antica - immaginativa - e moderna - sentimentale - perché gli antichi immaginavano, fantasticavano sulla realtà e spesso riuscivano a convincersi che questa realtà 'finta' era quella vera. Subentra la ragione che impedisce all'uomo di costruire tali realtà e di crederci. La realtà dell'uomo, come ragione, evidenzia una realtà tragica dove solo l'amore può in qualche cosa attutire gli effetti della tragica realtà, quindi la poesia deve cantare il sentimento, deve penetrare a fondo il cuore, l'animo umano. Gli antichi vivevano in simbiosi assoluta con la natura; con la ragione, l'uomo moderno si rende conto che la natura è crudele, matrigna nei confronti dell'uomo.
Con la ragione si arriva a determinare il dissidio tra la ragione stessa e l'immaginazione, tra ciò che è e ciò che l'uomo vorrebbe, da qui la poesia moderna. La poesia sentimentale è filosofia, allora, più bella di quella in prosa. Il modo con cui la poesia si esprime è la ricerca continua della musicalità del verso. Leopardi rinnega la poesia antica. Si inserisce in parte nel Romanticismo però non accetta interamente i motivi di fondo del Romanticismo italiano, soprattutto non accetta i contenuti storici, il patriottismo, gli ideali, non gli interessa la popolarità, la missione educatrice dell'arte, Leopardi rifiuta il cattolicesimo liberale perché si dichiara ateo, quindi rifiuta la religione e quel tentativo di riconciliare fede e politica. Questo aspetto di materialismo ateo provocò una forte reazione. Tommaseo lo definì così:
Leopardi fu una fredda e arrogante mediocrità; un genio falso e angusto.
Leopardi è romantico in quanto a concezione di poesia, cioè è l'espressione di stati d'animo liricamente esplicitati, in quanto la parola è evocativa, come la musica. La poesia è un momento essenziale nella vita spirituale di Leopardi. Per esempio, leggendo A sé stesso o L'infinito sembra di leggere in poesia ciò che scrive nello Zibaldone. La sua poesia è autobiografica ma dalla sua esperienza personale trae conclusioni universali. L'uomo nell'età dell'oro aveva avuto un rapporto immaginativo con la realtà, poi arrivò la ragione: arrivò quindi la consapevolezza del destino tragico di ogni uomo, cioè la realtà immaginata è illusione e l'unica cosa che l'uomo può fare è rendersi conto di ciò, non cercare di opporsi al destino dell'umanità ma accettarlo dignitosamente senza cercare palliativi - come la religione; questa speranza sfocia in un pessimismo cosmico: leopardi parte dalla concezione che l'esperienza leghi lui per primo a qualunque uomo vivente il microcosmo dell'esistenza. Si parte da una allegra inconsapevolezza che lo porta ad affrontare l'esistenza umana con serenità, felicità; questo perché l'adolescente è inconsapevole. La ragione gli fa prendere coscienza dell'arido vero, gli fa capire che la realtà è diversa dalle illusioni adolescenziali, quindi approda a queste situazioni di pessimismo che Leopardi verifica per primo con la sua esperienza e che ritiene, di conseguenza, di potere applicare a tutti gli uomini, il che sfocerà nel pessimismo cosmico.
Pensiero n.3 "Zibaldone": sviluppa la concezione di dolore come realtà inevitabile per tutti gli esseri viventi.
L'universo ha come unica destinazione il dolore.
Paragone con Baudelaire. Quello di Leopardi è un atteggiamento di assoluta e coraggiosa accettazione della realtà. L'uomo esprime la dignità solo attraverso l'accettazione del dolore, però questo vale solo per i grandi spiriti (non per gli uomini mediocri), i quali arrivano allo stato di noia che consiste nella capacità di analizzarsi ed ammettere la propria impotenza e piccolezza nei confronti della natura. A questa noia possono arrivare solo i grandi spiriti perché solo questi si rendono conto dell'inutilità della vita umana, degli ideali, dei sentimenti.
Per Leopardi la vita non ha senso e la grandezza dell'uomo sta nell'accettare questa vita priva di senso e quindi cercano tale senso generalmente nella religione. Leopardi era ateo e accusa gli spiritualisti di cercare nella religione un palliativo della vita umana: è scarsa dignità umana, è voler cercare un senso della vita al di fuori di sé, non intimo, Dio.
Pensiero n. 2 "Zibaldone": Leopardi non era misantropo. Viveva normalmente. Tema della morte.
"La natura stessa pare ci insegni che il levarci dal mondo di mera volontà non sia cosa lecita [.]. E' l'atto più contrario a natura che si possa commettere [.] (la natura) comanda di attendere alla conservazione propria e di procurarla in tutti i modi []; il senso nostro porta troppo manifeste contrarietà ed aborrimento alla morte".
Pensiero LXVIII "CXI Pensieri": la noia è il sentimento degli animi grandi. E' dovuta alla consapevolezza della vanità della vita, delle cose; però Leopardi specifica che si riferisce ai teologi filosofi che partivano dallo stesso presupposto: "La vita è vana" e da qui avevano scoperto la necessità di Dio e della fede. Se la vita non ha senso bisogna trovarne uno, in Dio. Leopardi è contrario: la vita è vana ma da questo non deriva la necessità di trovarne uno; la noia consiste nella contemplazione di se stesso; è uno sprofondamento continuo e inarrestabile in tale sentimento. Una volta raggiunta tale condizione non la si può togliere. Si riferisce anche agli uomini mediocri: questo sentimento sublime è sconosciuto perché essi non vogliono riflettere su tali conclusioni.
Leopardi è filosofo o no?
Se per filosofo intendiamo colui che crea un sistema organico di pensiero, allora Leopardi, come diceva Croce, non fu filosofo; anzi Croce, in base alla sua definizione schematica di "Poesia non-poesia" affermerà che Leopardi fu poeta solo quando non fece entrare il cervello nella sua poesia. In opposizione alla posizione crociana e in sviluppo di Pietro giordani, Leopardi era un sommo filologo, sommo poeta e sommo filologo . Leopardi non ebbe un sistema organico, non svolse filosofie preesistenti però si dice che si fa filosofia non solo quando si creano sistemi, ma anche quando si studia e si approfondisce per rispondere a determinate domande. In questo senso Leopardi fu filosofo. Gentile amava dire che, come la poesia, anche la filosofia è propria di ogni uomo. Ancore Gentile disse: "Leopardi fu un filosofo-lettore"; non fu filosofo nel senso storico-filosofico del termine ma perché meditò sui grandi temi della vita, perché si servì del suo ragionamento e dello spunto di filosofi già etichettati.
Studio delle opere di Leopardi secondo 2 livelli di problematiche:
Tema del dolore, della morte, ecc.
Dialogo tra la natura e un islandese
Canto notturno
Passero solitario
Dialogo di Colombo e Pietro Gutierrez
La quiete dopo la tempesta
Dialogo di Tristano e un amico
Tema del ricordo
Pensiero VI
Pensiero VII.2
La sera del dì di festa
Alla luna
Le ricordanze
Conclusione
L'infinito
A se stesso
La ginestra
TEMA DEL DOLORE
Operette morali
Scritto tra il 1824 e il 1827. Due sono state scritte nel 1832. Il nucleo maggiore è del 1824 (n.20), 1 nel 1825, n.2 nel 1827 e n.2 nel 1832. Scritte nel periodo tra i "Piccoli Idilli" e i "Grandi Idilli" e costituiscono una fase di riflessione che lo assorbe interamente impedendogli di scrivere poesie. Costituiscono una fase di maturazione nella quale il pessimismo leopardiano si assolutizza, diventa definitivo. Costituiscono un momento di interiorizzazione in cui Leopardi abbandona il tono spesso filosofico dello Zibaldone per cui ad una prima lettura si ha l'impressione di impoverimento, di superficialità. In realtà non è così. I problemi filosofici interessavano Leopardi fino a che egli non li aveva chiariti a se stesso. Poi però non gli interessava svilupparli in un sistema filosofico personale, quindi non continua a meditare sullo stesso problema una volta chiaro. E per Leopardi chiarire un problema filosofico significa ottenere un'intuizione, cioè cogliere l'essenza del problema mediante l'intuito.
Protagonisti veri delle Operette morali non sono la natura, l'islandese, ecc., ma sono quelli che il critico De Robertis definisce concetti-miti, cioè felicità, amore, piacere, noia, dolore.
Felicità: è qualcosa di assurdo e impossibile ma che è ugualmente desiderato e quando arriva è fugacemente accolta con gioia.
Amore: raro e miracoloso appunto perché raro; è l'unica beatitudine per l'uomo ma è possibile e comprensibile solo dagli alti intelletti.
Natura: è indifferente e ostile ma ugualmente ambita e desiderata.
Questi concetti-miti non sono astrazioni, cose estranee all'uomo, ma qualcosa che l'uomo vive quotidianamente e nelle quali è chiamato a meditare. E' sbagliato considerare le Operette come una sorta di dialogo intimo: è vero che Leopardi fa dire ai personaggi ciò che lui pensava però è assurdo cercare nelle Operette brani diaristici, di confessione perché le Operette si collocano in un momento relativamente sereno e tranquillo per Leopardi, in cui Leopardi stesso può meditare sul passato e sul presente (non sul futuro perché non c'è speranza). Fa una riflessione che non è distaccata, asettica ma non è neanche intimistica, cioè nelle Operette non esprime stati d'animo del momento, non fa il resoconto di ciò che è, che fa, che sente, mentre scrive le Operette, al contrario occorre cercare Leopardi in tutte le Operette: sono l'opera più completa e importante in quanto costituiscono il punto d'arrivo della spiritualità leopardiana.
Dialogo tra la natura e l'islandese
E' una delle prime Operette. Qui cambia il suo pensiero sulla natura: da natura arcaica a questa che è matrigna.
Nell'islandese, Leopardi si identifica e identifica anche l'umanità. L'islandese, doppiando il Capo di Buona Speranza scorge una montagna che non risulta dalle carte geografiche. La montagna si muove e lui scopre che è una donna, la quale lo interpella.
L'islandese ha sempre cercato di fuggire la natura, e non essendoci riuscito, prova qui. Perché? Fin dalla giovinezza si era reso conto che è impossibile vivere serenamente in mezzo ad altri uomini perché i sentimenti di invidia, odio, violenza delle società civili impediscono a chiunque voglia vivere in pace di poterlo fare. Allora, fin da giovane, aveva deciso di vivere lontano dalla società civile, in solitudine, e così gli uomini, stanchi di tormentare chi non reagisce, lo isolano; aveva creduto di poter vivere serenamente perché lui non ambiva a grandi cose (ricchezza o potenza) ma solo a non urtare gli altri e non essere urtato.
Fu facile liberarsi dalle insidie degli uomini, ma non riuscì a liberarsi delle insidie della natura perché il clima tipico della sua isola (estati torride, inverni gelidi) gli impedivano di essere felice ma non di soffrire. Sono cose che in società sembrano poco importanti perché ci si preoccupa della convivenza civile, mentre se non si vive in società questi problemi diventano enormi. Si risolve a partire alla ricerca di un luogo dove la natura non cerchi di opprimerlo. Ma non è ancora riuscito a trovarlo. Ogni giorno ci sono dei pericoli imposti dalla natura stessa. Nemmeno la malattia lo ha risparmiato, quella malattia considerata come punizione per i vizi: inseguire il piacere materiale è una tendenza naturale per l'uomo, però altrettanto naturale per chi raggiunge tali piaceri è la malattia che serva da punizione. Così credeva l'islandese: sulla sua propria pelle verifica che non è vero; la malattia è nella natura dell'uomo e l'uomo non può evitarla, come lui stesso ha provato, perché non seguì mai piaceri, ma ugualmente gli toccarono delle malattie, che non sono innaturali. Tuttavia da nessuna parte l'uomo riesce a sfuggire alla natura, in quanto anche le cose più necessarie all'uomo gli fanno male, hanno un risultato negativo per l'uomo.
La conclusione è che la natura è nemica di ciò che crea. Gli uomini danno tregua agli altri, la natura mai. La vecchiaia è una morte quotidiana. L'islandese domanda: "Perché sei nemica dell'uomo che hai creato?"
La natura è indifferente all'uomo, più che nemica. Non fa cose buone o cattive allo scopo di procurare felicità o dolore, anzi prosegue il suo corso senza interessarsi all'uomo. Es. una persona mi invita insistentemente a casa sua e poi mi relega in una stanza buia, umida e sporca, i suoi parenti mi maltrattano. E il padrone mi dice, se io dovessi trattare male i suoi figli, di andarmene. Ma io non gli avevo chiesto di invitarmi.
Allo stesso modo, io non ho chiesto di venire al mondo: almeno non farmi soffrire, se non vuoi farmi gioire.
Riferimento alle teorie sensiste. La creazione e la distruzione, la gioia e il dolore, la vita e la morte sono strettamente legate.
A cosa serve tutto ciò? Qual è lo scopo? Su questa domanda si interrompe il dialogo. La risposta è che la vita non ha senso.
Il finale è ironico: la natura segue comunque il suo corso. Dalla morte si trae la vita. museo è il simbolo di un uomo che fa troppe domande alle quali non è possibile rispondere.
Canto notturno di un pastore errante dell'Asia
A distanza di sei anni, la domanda sul senso della vita rimane senza risposta. Il discorso, rispetto al dialogo precedente, si amplia: il discorso è interiore, è come se i paesaggi sterminati, infiniti dell'Asia, facciano da contrappunto, sottolineino per contrasto e facilitino la profondità dell'intimo pensiero del pastore errante, dove per pastore si intende l'umanità. Un critico, Getto, definì questa situazione metafisica solitudine, una solitudine non umana, fisica, come quella dell'islandese alla fine del dialogo che è riuscito a fuggire gli altri ma non è se stesso perché non riesce a rispondere alle domande. E' una solitudine metafisica perché non esiste Dio; se Dio è metafisica, la solitudine va al di là della fisicità di questo mondo. Non arriva mai il momento della speranza (il pessimismo leopardiano trova radici nel pessimismo di Schopenauer).
Il pastore si rivolge direttamente alla luna e contempla il viaggio eterno di questo astro che sorge la sera, contempla i deserti e i posa. Chiede alla luna se non è stanca di continuare eternamente lo stesso corso. E la vita del pastore assomiglia a quella della luna: si alza presto, ecc. la vita non gli offre nient'altro. A cosa serva la vita della luna - e degli astri? Dove conduce la mia vita mortale e la tua vita eterna? La domanda rimane in sospeso.
Affronta il discorso della vecchiaia e della sua inutilità. Questo vecchio canuto con il peso degli anni sulle spalle, scala una ripida montagna con ritmo incalzante, come incalzante è la vita, sempre più veloce, finché arriva ad un abisso nel quale l'uomo cade senza rendersene conto e muore precipitando, al termine di una vita di sofferenze. Si conclude che dopo la vita c'è il nulla. Questa è la vita dell'uomo.
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Solitaria ed eterna pellegrina, sai cos'è il nostro vivere, sai cos'è l'ultimo impallidire fino alla morte e sparire dal mondo, mancare ad ogni affetto (morte che interrompe gli affetti) e tu sai il significato delle miserie umane, conosci il senso del mattino e della sera, sai il senso del trascorrere del tempo. Sai mille cose che il pastore non può conoscere. A cosa servono le stelle, l'aria, l'infinito del cielo, la solitudine? E io cosa sono davanti all'infinito universo? Così il pastore riflette. Tu, certo, luna, conosci le risposte a tali domande. L'unica cosa che so è che forse qualcuno avrà qualche vantaggio dal tuo corso eterno e dalla mia esistenza fragile. Per me la vita è dolore. La vita nasce per il dolore.
si rivolge al gregge che riposa all'ombra. Beato perché non conosce la sua miseria. Ti invidio! L'uomo, invece, ne è consapevole. Non solo perché sei libero ma perché non provi mai tedio: incapacità di dare senso alla vita, particolare di esseri umani che, attraverso la ragione, comprendono il non senso della vita umana. L'uomo deve accettare il tedio senza cercare palliativi.
Riferimento a Passero solitario
Il passero è senza fardello. E' il dramma dell'uomo che si rende conto di avere vissuto inutilmente. Quando riposi non provi noia, la mia mente invece è colta dal tedio.
Importante: non è necessario avere una motivazione concreta per il dolore perché l'uomo possiede questa condizione. Io non so se sei felice o no, ma sei fortunato.
133-143 Forse per un momento, se avessi le ali per volare sopra le nubi (condizione umana) o se fossi un tuono che va di monte in monte (elemento superiore alla vita umana), sarei più felice. O forse, invece, il mio pensiero, invidiando la sorte altrui, si allontana dalla verità perché la sola risposta è che il giorno di nascita provoca morte (per un motivo esistenziale).
Dialogo di Colombo e Pietro Gutierrez
Gutierrez era il timoniere di una delle caravelle. La parte più importante: se anche la navigazione non riuscisse a raggiungere l'obiettivo, sarebbe ugualmente vantaggiosa perché per un certo tempo ha liberato dalla noia l'equipaggio. Ma proprio perché rischiosa rende i naviganti più attaccati alla vita. il fatto di rimanere in mare rende i naviganti più attaccati alle piccole cose. Questo attaccamento alla vita, la gioia dopo il dolore, ci collega alla
Quiete dopo la tempesta
E' divisa in 2 sezioni:
E' una descrizione naturale. La natura si risveglia e rinasce dopo la tempesta, dando vita ad un vitalismo indicibile. Questa sezione dimostra l'attaccamento alla vita di Leopardi.
Ogni cuore si rallegra. Quando mai la natura e l'uomo apprezzano la vita stessa? La gioia è figlia del dolore. E' una gioia illusoria in quanto è frutto del dolore passato, a causa del quale chi aveva un odio, in vita, si scosse e dopo avere rischiato la vita, se ne sente più attaccato.
Non mi sottometto alla mia infelicità
E' l'ultima Operetta. E' dal 1832. Tristano è Leopardi stesso che apparentemente sembra rinnegare tutto ciò che ha detto e scritto fino a questo momento, ma poi nel vagheggiamento della morte finisce per confermare le concezioni che aveva affermato.
Sembra che voglia negare il destino infelice dell'umanità per tenerlo per sé. E' una condizione propria dell'autore.
Ogni persona può giudicare se è felice o infelice e il suo giudizio è infallibile.
Atteggiamento di Leopardi nei confronti della vita. leopardi esprime se stesso nel modo più completo ed esplicito. Si contraddice: non si sottomette al destino infelice, a differenza di altri uomini e oso desiderare la morte, non suicidio, ma la morte naturale che egli ritiene prossima a venire perché è morto spiritualmente, quindi non ha più ragione di vivere. E quei 40-50 anni che deve ancora vivere sono una minaccia perché è dura sopportare una vita così lunga.
L'unico pensiero che lo sostiene è morire presto e non sopportare la vecchiaia.
Disimpegno politico di Leopardi. E' differente dai romantici ma non per questo considera meno importanti i valori di patriottismo o unità nazionale, anzi loda chi agisce per questi scopi ma non invidia chi deve vivere a lungo né chi deve nascere.
Periodo di giovinezza: invidiava le persone che non si domandavano il perché delle cose. Spesso nei geni c'è tale invidia nei confronti di persone mediocri (il pastore e il gregge). Dopo la giovinezza con la maturità non invidia più nessuno, se non i morti che hanno raggiunto il nulla.
Tema della ricordanza e della memoria.
TEMA DEL RICORDO
Pensiero n.6 Zibaldone
Il tema del ricordo ha un'importanza fondamentale nella poetica leopardiana. I luoghi, le persone, i fatti non danno niente al sentimento, non sono di per sé poetici, anzi sono aridi e impoetici; al contrario, sono poetici e acquisiscono capacità di suscitare poesia nel momento in cui sono ricordati a distanza di tempo. Il fatto stesso di ricordare a distanza la cosa, la copre di sentimenti poetici e solo a quel punto ispira poesia. Il tempo lenisce ogni cosa, allora il ricordo è in grado di suscitare poesia e questo avviene perché il ricordo, a differenza della realtà, non è concreto, tangibile, immutabile, ma vario, indefinito. Il ricordo è evocatore come evocatrice è la poesia di Leopardi. L'uso frequente di enjambements e di sinalefi ha lo scopo - attraverso la musicalità del verso e mediante il legame che hanno tra loro i versi - di evocare, non di descrivere.
Se la realtà è negativa per Leopardi lo è nei confronti del presente, del momento contingente che sta vivendo. Il recupero del passato è positivo. Il presente può avere valore nel momento in cui è evocatore di qualcosa che è passato. Il dolore passato può essere considerato con nostalgia o simpatia.
Questo lo si nota anche nel
Pensiero n.8 punto II "Zibaldone"
Una sera che segue il dì di festa provoca (perché evoca la contingenza del presente) dolore nel momento in cui il poeta sente un canto di gioia o ubriachezza che segue una giornata trascorsa in allegria. Gli rievoca le glorie passate di Roma che sembravano eterne. Il legame tra le due cose avviene mediante la consapevolezza dell'inesorabile trascorrere del tempo che non si cura di nulla. Il tempo rinchiude tutto nell'oblio.
La sera del dì di festa
E' un idillio. I temi sono i medesimi dei Pensieri: le emozioni suscitate dal villano che canta dopo una giornata di allegria.
Invocazione alla natura.
Il pensiero corre alla donna, che lui ama, la quale non farà fatica ad addormentarsi perché stanca, che con la mente andrà agli uomini cui è piaciuta e quelli che sono piaciuti a lei. Leopardi dice che lui non ha speranze di entrare in quel numero.
Sente un canto: riflette su come al mondo tutto passa senza lasciare traccia.
Ricorda le glorie di Roma. Non si parla più di loro perché il tempo è inesorabile e non permette più il ricordo ed è per questo che il ricordo è così importante perché costituisce per l'uomo l'unica possibilità di cercare di opporsi al tempo che passa. Il ricordo è l'unica forza per l'uomo contro il tempo che cerca di negare anche questo.
Alla luna
E' significativa per il tema del ricordo. Il ricordo del dolore passato non può alleviare quello presente ma dona un momento di serenità, proprio in quanto è passato. Si rende conto che l'età giovanile è stata fonte di dolore e disperazione.
Le ricordanze
E' un idillio. E' l'ultimo ritorno a Recanati. E' importante questo tema autobiografico che costituisce lo spunto di questa poesia. Leopardi ormai disilluso, smaliziato, ritrova i luoghi fisici, gli spazi, la natura dove aveva trascorso infanzia e giovinezza, luoghi odiati da cui aveva tentato di fuggire, mentre ritrovarli ora gli fa un effetto quasi gradevole, gli è gradito ritrovare il proprio passato. E' come richiamare alla mente la propria giovinezza per ricordarne il dolore e concludere che la gioventù non è felicità. e' una consapevolezza matura. Lui stesso in gioventù aveva sperato e si era illuso di essere felice, ma la disillusione gli provoca la consapevolezza che la felicità è impossibile.
I strofa: ricordo del ripetere la stessa abitudine: trascorrere la notte insonne in giardino o alla finestra per meditare, guardando la notte stellata. Immaginazione tipica dell'età giovanile che lo spinge a sognare grandi gesta.
II strofa: nonostante immaginasse la felicità il cuore non gli diceva che avrebbe vissuto in quel borgo volgare. I verbi sono al presente anche se è un ricordo perché è come se lo stesse rivivendo ancora. E diventa aspro tra questa gente che gli vuole male. Diventa misantropo. La gioventù è sprecata in questo universo disumano.
III strofa: ogni cosa in casa porta ricordi che di per sé non avrebbero. Sono dolci ma diventano tragici nel momento in cui gli portano alla mente il dolore presente tanto da concludere - io vissi - perché ora non vivo più.
IV strofa: le gioie della vita sono inutili perché la vita è senza scopo. Il ricordo delle speranze giovanili è l'unico pensiero che gli renderà dolorosa la morte.
V strofa: tema dal suicidio. Quando si rischia la vita ci si rende conto di quanto sia preziosa e Leopardi ne rimase attaccato per sempre.
VI strofa: Leopardi invidia poco i giovani perché hanno poca esperienza.
VII strofa: dedicata a Nerina. E' un personaggio impalpabile, non descritta, a differenza di Silvia, descritta prima di morire. Nerina ora è morta ma tutto gli parla di lei. Nerina è il ricordo che crea la presenza della persona.
CONCLUSIONE
L'infinito
L'unica immagine concreta è l'ultimo verso. Il resto è un quadro impressionista. E' un seguito di immagini separate fra loro, distinte, ma unite, rese coerenti dall'uso dell'enjambement. La visione è illimitata mentre l'orizzonte delimita i sensi. L'immaginazione può arrivare a descrivere l'infinito. Il pensiero vaga e gli ricorda la sua stessa vita. paragone tra finito (rumore della natura) e infinito (silenzio). Attraverso l'infinito Leopardi coglie il vero senso dell'eternità.
A se stesso
Possiede un ritmo frammentario. E' il culmine del pessimismo. E' scritto dopo l'ultima delusione d'amore con la fiorentina. Ma questo è solo il punto di partenza perché non è contingente. Il motivo vero è la delusione procuratagli dalla vita stessa. E' un Leopardi stanco di lottare e sperare. Frasi senza verbo per accentuare la poetica del frammento.
Filologia: scienza che studia il testo cercando di riportarlo alla sua redazione originale, più pura, più corretta.
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