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GIACOMO LEOPARDI - Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare




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GIACOMO LEOPARDI


Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare



Le Operette morali:


«Libro dei sogni poetici, d'invenzione e di capricci malinconici» le aveva definite scherzosamente il Leopardi, consegnando invece a queste pagine la dialettica drammatica del suo pensiero e della sua stessa vita.
Opera filosofica, libro di poetica, autentica passione laica, le Operette morali rappresentano - scrive Paolo Ruffilli - il testo limite della nostra letteratura non soltanto ottocentesca: luogo di coincidenza di poesia e di prosa, di ragionamento e di fantasia, di invenzione e di analisi del reale.

Le Operette morali sono uno dei capolavori di Giacomo Leopardi, al quale il poeta recanatese iniziò a pensare fin dal deludente, per quanto dapprima sospirato, viaggio a Roma; tornato a Recanati, infatti andò con la memoria alle illusioni ed alle speranze nutrite durante la giovinezza e fu tentato di dare loro una diversa soluzione. Nel compose la prosa La storia del genere umano, che è - di fatto - l'introduzione alle Operette morali.

Le Operette morali furono pubblicate in parte nel 1827 (anno della prima edizione dei manzoniani Promessi Sposi) e completate nel . Si tratta di ventiquattro scritti, di cui quindici in forma di dialogo. Le Operette seguono l'evoluzione filosofica del secondo e terzo periodo del pessimismo leopardiano.

Lo spunto è dato da testi antichi e moderni, i personaggi derivano dall'arte, dalla mitologia e dalla storia. I temi sono la morte come assenza del dolore, i confini tra vita e morte, l'infelicità, il pessimismo, la malvagità della natura, le illusioni che si infrangono contro il vero, la condanna all'infelicità del genere umano, il rapporto fra sogno e vero, il piacere come cessazione del dolore, l'origine della noia e i possibili rimedi, la caducità dell'esistenza la sopportazione del proprio destino, ipotesi di suicidio (Dialogo di Plotino e di Porfirio).


INTRODUZIONE ALLA LETTURA DELL'OPERA:


Composto dall'1 al 10 giugno 1824, il Diaologo di Torquato Tasso e del suo genio familiare, (il Leopardi stesso sottolineò la natura di soliloquio di questo colloquio), affronta tre argomenti: la consistenza del vero, la natura del piacere e la noia. La tesi è che il sogno è più bello della realtà e che il piacere si risolve nel desiderio, cioè nella finzione del vero (sogni e ricordi), e che la noia è il più tremendo dei mali e occupa gran parte della vita degli uomini. A proposito della noia, il Leopardi ha presente le varie e approfondite discussioni dei filosofi sensisti. Circa il ritratto del Tasso, che l'autore sente vicinissimo alla propria sensibilità (cfr. la lettera al fratello - Roma 20 febbraio 1823), Leopardi ha presente alcune indicazioni di Giambattista Manso (nella Vita del Tasso) sui colloqui con uno spirito benefico che il poeta campano credeva lo visitasse e un dialogo dello stesso Tasso, Il Messaggero, con il suo alter ego.

Generalmente Il diaologo di Torquato Tasso e del suo genio familiare è considerato uno dei più poetici della raccolta, definito dal Russo "un idoleggiamento quasi delirante, nella sua essenza metafisica e platonica. Vi è la fede nell'uomo antico, che ciascuno porta con sé, e nella rinascita delle illusioni, le quali rigerminano fatalmente nei confronti della solitudine". Attraverso la rievocazione della infelice vicenda del Tasso, si è visto per altro delinearsi, in questa operetta, quella morale eroica che, nell'opinione del Binni, divenne, dal '30 in poi, la parte più poetica del Leopardi non "idillico"


RIASSUNTO DELL'OPERA:


Torquato Tasso nella solitudine della sua prigionia inizia un dialogo con il suo Genio, che tenta di fargli compagnia. Tasso comincia col ricordare con malinconia Leonora[1] la donna amata, pensiero che alleggerisce i suoi problemi. Il continuo pensare alla donna innalza la sua immagine al pari di una dea, quando nella realtà non è così. Tasso e il suo Genio proseguono a parlare della differenza che intercorre tra sogno e verità, sostenendo che il primo è migliore perché dà la possibilità di continuare quei pochi piaceri veramente vissuti e li migliora fino a farli diventare più piacevoli della realtà. Infatti solo il sogno permette di raggiungere quella felicità che non è possibile ritrovare nella realtà.

Come seguito a queste considerazioni, vi è un elogio degli uomini antichi i quali erano più soliti dedicarsi ai sogni rispetto a quelli "moderni" come il Tasso. I due protagonisti dunque si soffermano sul concetto di piacere, aspetto mancante della vita che conduce Tasso alla domanda: "Ma dunque perché viviamo noi?". Questa domanda non trova risposta anzi viene evidenziato come la vita sia costituita soprattutto dalla noia, stato usuale dell'uomo a proposito del quale i due esprimono pareri diversi su quale sia il giusto rimedio.

Il Genio infine lascia Tasso dicendogli che sognando consumerà la vita, questo scorrere del tempo verso la morte è l'unico dono che ci è stato dato.


ANALISI E COMMENTO DELL'OPERA:


La considerazione di Torquato Tasso, chiuso nella prigione di S.Anna, è che col tempo l'uso del mondo e l'esercizio dei patimenti finiscono con il sopire quella primaria condizione di freschezza e di disponibilità che era in ciascuno di noi, la quale poi di tanto in tanto si ridesta ma per brevi attimi, attraverso il sogno o il ricordo. Tra verità e sogno, osserva il Genio, non corre altra differenza se non che questo può essere qualche volta più bello di quella. Il piacere è un desiderio e non un fatto, un sentimento concepito dal pensiero, un'aspirazione sempre a crescere; per cui l'uomo non vive che per sognare, "credere cioè di avere a godere o di aver goduto", cose entrambe di finzione e di fantasia. Sogni e ricordi sono una finzione della realtà, una sua rappresentazione astratta, della quale soltanto l'uomo gode. La noia, che riempie gli intervalli della vita umana frapposti al piacere e ai dispiaceri, è anch'essa una passione, nel senso di un "desiderio puro della felicità non soddisfatto dal piacere e non offeso apertamente dal dispiacere"; dunque, una situazione anche più fastidiosa per l'uomo. Unici rimedi alla noia, secondo il Genio, sono l'oppio, il sogno e addirittura il dolore; perché l'uomo, mentre soffre, non si annoia. Ma, secondo il Tasso, contro la noia quel che più conta e giova è l'intensità del vivere; intensità sia dell'agire che del pensare. La varietà delle azioni, delle occupazioni e delle sensazioni, sebbene non ci liberi dalla noia perché non ci dà piacere vero, tuttavia ci solleva e ci alleggerisce non poco. Così, anche nella solitudine, lontano dalla vita e dagli uomini, si scopre più efficace che mai l'attività cogitativa e l'uomo, "chiarito e disamorato delle cose umane per l'esperienza", a poco a poco si abitua a considerarle da lontano e a rivalutarle, più belle e degne nell'immaginazione, tanto che si riprende a guardare con desiderio e speranza la vita, proprio come nella giovinezza, di cui la solitudine può dunque fare l'ufficio.


Il testo è nella forma del dialogo senza alcuna cornice, fornendo al suo interno tutte le informazioni sufficienti. Tasso è il protagonista, ma al Genio tocca la battuta d'esordio in quanto saluta Tasso all'atto di arrivare sulla scena. Il dialogo sembra non procedere secondo un preciso ordine logico di un ragionamento ma piuttosto ci si presenta come una continua divagazione. Possiamo tuttavia abbozzare un certo tipo di sequenza:

_rr.1-9 arrivo del genio e chiarimento della situazione ("dopo cenato")

_rr.10-50 motivo di Leonora lontana e desiderata che introduce l'idea secondo la           quale l'immaginazione è più bella della realtà vera e propria ("che per quel poco tempo.morto") - ("mi pareva e mi pare una dea").

_rr.51-80 motivo del sogno, anche se il vero tema è quello del diletto ("Gran conforto: un sogno in cambio del vero").

_rr.80-124 il tema del piacere, il quale non è mai reale ma solo illusorio ("il piacere è un subbietto speculativo, e non reale") - ("il piacere è sempre o passato o futuro, e non è mai presente").

_rr.125-148 motivo della noia, che, di contro al piacere immaginario, costituisce l'elemento fondante e costituente della vita umana ("Così tutti gli intervalli della vita umana frapposti ai piaceri e ai dispiaceri, sono occupati dalla noia").

_rr.149-202 i rimedi contro la noia, e di uno in particolare: la solitudine, in quanto condizione favorevole alle immaginazioni "ringiovanisce l'animo" distogliendolo dal "commercio umano" (".


A una lettura più attenta del testo ci accorgiamo come questa apparente divagazione sia in realtà accuratamente assemblata dall'autore. Il dialogo infatti è posto in un momento della giornata del Tasso ben preciso, la fase successiva al pasto e precedente al sonno. Alla fine il Genio ci svela che egli stesso lo si può "trovare in una bevuta di un liquore generoso" e l'atto della cena è legato anche alla bevuta ("dopo cenato.dolerne" evidenzia lo stato di assopimento e di torpore legato al mangiare ed al bere). Si tratta dunque di una rêverie, un'immaginazione, come ricorda Leopardi, quelli di Tasso col suo Genio andrebbero chiamati soliloqui più che colloqui. Dunque ad un soliloquio non poteva che corrispondere una tale forma di divagazione che bene ci chiarisce il momento al quale assistiamo.

Anche più internamente possiamo intuire una sorta di struttura circolare in quanto troviamo il tema del "ritorno" alla gioventù; il quale viene espresso nelle battute iniziali con l'episodio di Leonora, capace di ringiovanire gli animi e infine col tema della solitudine che avvicina l'uomo all'immaginazione facendolo così tornare agli anni della gioventù. Non si tratta solo di un espediente formale quello della solitudine. In questo modo, dimostrando che la solitudine ha lo stesso effetto dell' immaginazione della donna amata, si chiarisce quale sia il filo conduttore di tutto il dialogo così apparentemente divagante: le condizioni in cui nell'"età del vero" può avvenire il ritorno all'uomo prima delle esperienze, corrispondente alla gioventù, insomma alle illusioni.


Il tono di tutto il dialogo risulta interamente colloquiale-familiare fin dalla prima battuta: "Come stai Torquato?" e dentro il quale viene mantenuta in seguito la trattazione di ogni argomento. Tuttavia è interessante cercare di capire la genesi dell'operetta e la sua evoluzione. Dobbiamo infatti ricordare che Tasso inizialmente era presentato con tratti comici, specie all'inizio dell'opera, poiché l'idea originale del dialogo Tasso-Genio non doveva discostarsi di molto dall'impostazione originaria delle operette come "dialoghi satirici". Da questa genesi però Leopardi si allontana, anche se ne rimane qualche traccia; come è il caso della donna-dea, non sottoposta a correzioni perché mantenuta su un piano leggero, ma che appartiene ad un livello comico ben congruente con l'impostazione originaria: abbiamo infatti un'immagine "alta", ideale, abbassata tramite una rappresentazione in termini realistici e quotidiani; altro esempio è l'esordio di Tasso chiaramente anti-eroico ("dentro ai guai fino al collo").


La scelta di Tasso come protagonista dell'opera non è casuale in quanto il poeta del '500 offre a Leopardi l'esempio di un poeta "moderno" con un percorso simile al suo: infelice per troppa "sensibilità", che "ha provato sventura" e dunque su questa base, non per astratto e freddo raziocinio, "sa". In questa identificazione sta l'origine remota della scelta di Tasso come personaggio dell'operetta.

Tuttavia Leopardi per la composizione dell'opera, dei personaggi e della struttura prende spunto da autori a lui precedenti, come anticipato nell'introduzione, da Manso e dallo stesso Tasso. Più interessante è il discorso che riguarda Byron.

Il poeta inglese nel 1817 compose un poema sulla vita del poeta ferrarese, I lamenti di Tasso, dove pone in evidenza il contrasto tra la grandezza del Tasso e l'umiltà della sua sepoltura, ma più importante è l'invenzione della finzione narrativa di dialogo / soliloquio. I lamenti di Tasso sembrano essere un passaggio imporante nell'ideazione dell'operetta, suggerendo o richiamando a Leopardi, in un insieme unitario, tutti gli elementi che gli sono necessari: la prigionia, il genio, la rievocazione di Leonora e dei tempi passati, la solitudine, il vaneggiamento.

L'interesse di Leopardi non riguarda però più in nessun modo la condizione e la sorte del poeta ferrarese. Astratto dalla realtà storica, il personaggio Tasso serve solo a svolgere la funzione dell'uomo che "sa" perché ha subito la sventura.

In altre parole Tasso svolge la funzione di alter ego di Leopardi: non solo alle "sventure" di Tasso può benissimo assimilare le proprie, ma può appunto parlare autobiograficamente per bocca sua. Addirittura Leopardi entra direttamente, per l'unica volta del libro, benché senza nominarsi, nell'operetta, quando il Genio ricorda il caso di "uno simile a Tasso, Leopardi, appunto.


COLLEGAMENTI CON LE ALTRE OPERETTE:


Quest'operetta si ricollega al Dialogo del Metafisico e del Fisico per la teoria della noia e del piacere, teoria che si riallaccia anche al Dialogo di Malambruno e Farfarello. Un ultimo riferimento è quello della superiorità degli antichi rispetto ai moderni, presente nel Dialogo di Ercole e di Atlante e nella Proposta di premi fatta all'Accademia dei Silografi. Nel Dialogo di Ercole e di Atlante è sottolineata l'operosità degli antichi, nell'Accademia dei Silografi la mancanza di valori dei moderni in contrapposizione agli antichi e nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare viene dato rilievo a come gli antichi abbiano dato molto più importanza al sogno, via per la felicità.


Bibliografia:


G. Leopardi, Operette morali, a c. di Paolo Ruffini, Operette morali. "I grandi libri" per la scuola, Garzanti Editori, Milano 1982.


G. Leopardi, Operette morali, a c. di Giorgio Panizza, Operette morali. Classici italiani commentati, Mondatori, Milano 1991.


A. Bon, Invito alla lettura di Leopardi, Mursia, Milano 1998


G. Ferroni, Storia della letteratura italiana, Einaudi scuola, Milano 1991, vol.???


https://www.classicitaliani.it


https://www.filosofico.net


https://it.wikipedia.org



Eleonora d'Este, sorella del duca, di cui il Tasso sarebbe stato segretamente innamorato, invano.

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