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LA VITA
Nato a Pisa nel 1564, egli vi studia Matematica sotto la guida di Ostilio Ricci, a sua volta allievo di Nicolò Tartaglia, uno dei più illustri matematici del Cinquecento.
Nel 1589, è nominato lettore di Matematica presso lo Studio (l'Università) di Pisa; l'anno successivo scrive il "De motu", in cui riprende la dottrina dell'impetus.
Dal 1592 insegna Matematica a Padova, dove rimarrà fino al 1610: in una lettera posteriore ricorderà questi diciotto anni come i migliori della sua vita. Qui redige alcune opere di Architettura Militare e di Fisica, tra cui il trattato "Le meccaniche", ed entra in contatto con l'ambiente aristotelico padovano e con alcuni esponenti del mondo culturale veneziano.
A causa delle sue difese delle dottrine copernicane - che già alla fine del 1612 erano state dichiarate eretiche dai domenicani - Galilei viene denunciato al Sant'Uffizio, sempre ad opera di un domenicano; per difendersi dall'accusa, Galilei scrive una famosa "Lettera a Cristina di Lorena", madre del Granduca, in cui sostiene che la Bibbia si occupa non di problemi scientifici, ma di questioni morali e religiose.
Nel febbraio 1616, il Sant'Uffizio condanna la teoria copernicana, e Galilei viene ammonito a non difenderla con i suoi scritti.
Per difendersi da ulteriori accuse, egli, nell'opera, prospetta la dottrina copernicana come una semplice ipotesi matematica (contrariamente a quanto aveva fatto prima, quando ne aveva sostenuto la verità reale), ed evita di pronunciarsi a favore di una delle due alternative. Comunque, le preferenze di Galilei per la teoria copernicana sono così manifeste, e così mal condotto è il suo tentativo di affermare la propria neutralità, che ai suoi avversari è facile denunciarlo nuovamente all'Inquisizione.
E' interessante notare come la teoria copernicana, risalente a 50 anni prima di Galileo, per un lungo periodo, non sia stata assolutamente condannata, e che la Chiesa l'abbia condannata solamente quando se ne era fatto portavoce Galileo; il motivo di questa pacifica convivenza tra Chiesa e dottrina copernicana, la quale comunque minacciava le Scritture, poiché sosteneva l'eliocentrismo, teoria contraria a quella scritta nella Bibbia, dove si dice che "Si ordinò al Sole di fermarsi", é essenzialmente questo: non si capiva bene se la teoria copernicana fosse un modello "geometrico", oppure una realtà fisica; in altre parole, Copernico era stato piuttosto ambiguo, senza effettivamente rivelare se lui sostenesse che il mondo fosse davvero come lo ipotizzava, o se la sua fosse solo un'ipotesi.
Galilei, invece, avvalendosi dell'apporto del telescopio, dimostra che la teoria copernicana non é un'ipotesi geometrica, ma una realtà fisica: é vero che la Terra gira intorno al Sole, e non è vero che sta ferma! Tuttavia, a conclusione del processo, Galilei, costretto a riconoscere la propria colpevolezza per salvarsi la vita, fu condannato all'abiura ("con cuor sincero e fede non finta, abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie"); tuttavia, pare che, uscendo dal tribunale, abbia scalciato contro la terra, e abbia detto "Eppur si muove!".
I processi galileiani, in realtà, sono 2: il primo, avviene in seguito alla pubblicazione del "Sidereus Nuncius", nel quale informa, appunto, delle sue scoperte astronomiche (e dimostra la verità della teoria copernicana) tramite il telescopio; con questo processo, però, non si arriva a condannare Galileo, bensì la dottrina copernicana, che, venendo riconosciuta valida in ambito fisico, va contro i principi della Chiesa.
La causa del secondo processo fu la seconda opera di Galileo "il dialogo sui due massimi sistemi del mondo" Nonostante la pubblicazione spalleggiata dal Papa, la censura non poté tollerare l'opera, e allora Galileo fu costretto all'abiura, che fu accompagnata dalla condanna al carcere a vita, che venne, tuttavia, trasformata, in arresti domiciliari. Così, egli poté trascorrere il resto della sua vita nella sua casa di Arcetri, nei pressi di Firenze, assistito dalla figlia, aiutato nelle ricerche dagli allievi, e venerato da coloro che venivano a incontrarlo anche da molto lontano. Nel 1638 scrisse i "Discorsi e dimostrazioni matematiche sopra due nuove scienze", e, nel 1642, ormai cieco e malato, morì.
LE OPERE
"SIDEREUS NUNCIUS" (1610) (la prima di 5 opere)
Questo libro di poche pagine, esercitò un ruolo fondamentale nella cultura del '600. Esso contiene tutte le scoperte di Galileo al telescopio, in particolare la scoperta dei 4 satelliti di Giove; egli notò dapprima tre, e poi quattro 'stelline' vicino al pianeta, che sembravano seguirlo nel suo moto, e che si spostavano l'una rispetto all'altra. 'Al di' 7 di gennaio 1610 Giove si vedeva col cannone (il cannocchiale) con 3 stelle fisse, delle quali senza il cannone niuna si vedeva'; non potendosi trattare, per questo motivo, di stelle fisse, l'unica conclusione possibile era che fossero dei satelliti di Giove: 'quattro stelle erranti attorno a Giove, così come la Luna attorno alla Terra'. Questa conclusione rappresentò una prova a sfavore della cosmologia tolemaica, che non ammetteva altro centro del moto oltre alla Terra, centro delle sfere celesti. L'astronomo volle dedicare la scoperta a Cosimo II de' Medici, allora Granduca di Toscana, com'è scritto anche sul frontespizio dell'opera.
E' senz'altro vero, che Galileo si contrappone agli aristotelici, prediligendo lo studio della natura, alla lettura di libri, ma non é vero che si contrappone all'aristotelismo in generale. Lo studio della scienza, all'epoca, era sostanzialmente studio di libri, senza verifiche e confronti sulla natura: ad esempio, prima di Galileo, l'anatomia dell'uomo si studiava sui libri, e non sezionando i corpi, effettuando, cioè, un'autopsia, ma ci si limitava a leggere i libri del medico Galeno, di età romana. In generale, cioè, si dava più importanza a ciò che si vedeva scritto, che non a quello che si vedeva di persona: già Leonardo da Vinci notò come ai suoi tempi (siamo prima di Galileo) si preferisse il richiamo all'autorevolezza degli scrittori importanti, alla constatazione empirica personale. E' curioso come nel "Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano" ad un certo punto, compaia un aristotelico di nome Simplicio, al quale il personaggio portavoce della teoria copernicana fa notare razionalmente, tramite una serie di passaggi, come l'eliocentrismo funzioni perfettamente; Simplicio risponde che sono affermazioni bellissime, e non esiterebbe ad accettarle, se Aristotele non avesse detto il contrario. E' evidente come Galileo voglia qui sottolineare, tra l'altro, come ai suoi tempi, ad opporsi all'eliocentrismo, non fosse solo la Chiesa, ma anche la tradizione aristotelica (oltre al senso comune: pare, infatti, ovvio a tutti noi, che viviamo sulla Terra, di essere al centro dell'universo, e che la Terra stia ferma!). Però, la polemica galileiana, é rivolta non ad Aristotele (come, invece, aveva fatto Giordano Bruno), ma agli aristotelici della sua epoca, che stimano "il filosofare non tendere ad altro che al non si lasciar persuader mai altra opinione che quella d'Aristotile"; d'altronde, Galileo é pienamente consapevole di come gli aristotelici del 1600 siano altra cosa rispetto al maestro Aristotele: sa benissimo che, a differenza degli aristotelici del 1600, che badano solo ai libri cartacei, Aristotele era interessatissimo all'esperienza: "Aristotele deride quelli che lasciano l'esperienze sensate, per seguire un discorso che può essere fallacissimo". Infatti, Galileo afferma, in risposta agli aristotelici, che lo accusano di non prestar fede ai libri di Aristotele, che, se Aristotele potesse rivivere, sceglierebbe senz'altro lui come suo discepolo, e non tutti loro, eccessivamente legati ad una cultura "libresca": " ma gli ingegni vulgari timidi e servili, che altrettanto confidano, sopra l' autorità di un altro, quando vilmente diffidan del proprio discorso, pensando potersi di quella fare scudo, né più oltre credon che si estenda l' obbligo loro, che a interpretare, essendo uomini, i detti di un altr' uomo, rivolgendo notte e giorno gli occhi intorno ad un mondo dipinto sopra certe carte, senza mai sollevargli a quello vero e reale, che, fabbricato dalle proprie mani di Dio, ci sta, per nostro insegnamento, sempre aperto innanzi". In effetti, Aristotele era molto più vicino a Galileo che non agli aristotelici del 1600, come modo di operare: questi ultimi, invece di avvalersi dell'esperienza sensibile e della ragione (che, secondo Galileo, ha "podestà assoluta"), si affaticano solo "per salvar il testo di Aristotile, come che il filosofare altro non sia che il solo procurar d' intender questo libro e sottilizzar per difenderlo dalle sensate e manifeste esperienze e ragioni in contrario", mentre Aristotele era un grandissimo e attentissimo esaminatore della natura (ne sono prova le sue opere biologiche), e, "se a questi secoli fosse vivo, cangerebbe molte sue opinioni"; anzi, non é scorretto affermare che Aristotele seguisse l'esperienza, ancora di più di quanto fa Galileo.
Esaminiamo, ora, il rapporto tra la Sacra Scrittura e la scienza; dobbiamo, innanzitutto, dire che Galileo era e si sentiva un buon cristiano, e che il suo atteggiamento nei confronti della Chiesa era ben diverso rispetto a quello di Giordano Bruno: egli, infatti, a differenza del nolano, é convinto della verità della Chiesa. Fu a partire dal novembre 1612 che la teoria copernicana venne proclamata eresia, e anche le posizioni di Galileo vennero attaccate: sostenere l'eliocentrismo, significava indubbiamente mettere in discussione la veridicità delle Scritture; c'è, infatti, un passo, nella Bibbia, in cui Giosuè ordina al Sole di fermarsi; se il Sole deve fermarsi, é ovvio che é concepito in movimento, ed è, però, altrettanto ovvio, che questo é in contrasto con la teoria copernicana, che lo vuole fermo al centro dell'universo. Galileo dovette, così, intraprendere la difesa delle sue teorie, e lo fece in alcune lettere, in cui affrontava la questione del rapporto scienza - Bibbia: le sue sono e rimangono, comunque, posizioni ortodosse, di rispetto per la Chiesa; soltanto, il pensiero di Galileo é pervaso dalla convinzione che scienza e Scrittura abbiano un'unica fonte; così, in questo modo, Galileo riesce a fondare l'autonomia della ricerca scientifica, sciogliendola dal vincolo delle Scrittura. Ispirandosi ad Agostino, uno dei padri della Chiesa, Galileo arriva a dire che scienza e Scrittura hanno un'unica origine, quella divina. In altre parole, ciò che l'uomo scopre nella natura, non può essere in contrasto con la rivelazione: il libro della Scrittura e quello della natura finiscono per essere la stessa cosa, quasi come se Dio volesse comunicare con l'uomo tramite la rivelazione e tramite tutto ciò che ci circonda: é come se Dio si fosse rivelato a noi, parallelamente, con questi due libri, quello della Scrittura e quello della natura. Tuttavia, risulta stridente la contraddizione tra natura e Scrittura, nel caso della teoria copernicana, sostenuta e dimostrata autentica da Galileo: "la Scrittura mi dice che il Sole ruota intorno alla Terra, la natura mi dice invece che é la Terra a girare intorno a lui". Galileo cerca di risolvere il problema, sottolineando come gli obiettivi del libro della Scrittura, e quelli del libro della natura, siano diversi: il libro della natura ci insegna come é fatto il mondo, il libro della rivelazione (la religione) ci mostra, invece, come comportarci, per ottenere la salvezza dell'anima: il primo é latore di un messaggio teoretico, mentre il secondo di un messaggio etico.
Va senz'altro ricordato, che Galileo scrisse le lettere in cui difendeva le sue teorie, avvalendosi dell'aiuto di alcuni teologi cristiani, rappresentanti delle fasce più moderne del Cattolicesimo; sfruttò i loro suggerimenti, per sostenere le sue posizioni contro la Chiesa più retrograda.
Alla Chiesa cattolica non andava giù che Galileo si intromettesse in questioni religiose, vedeva in lui una specie di Protestante, che applicava la teoria propugnata da Lutero del libero esame: la figura del prete che legge le Scritture é inutile; ognuno é libero di esaminarle e di interpretarle da sé (e questo contribuì moltissimo all'alfebitizzazione dei Paesi protestanti, a discapito di quelli cattolici). Per quel che concerne, invece, il rapporto di Galileo con l'altro testo, all'epoca ritenuto inconfutabile, ossia il testo di Aristotele, va detto che qui le cose cambiano notevolmente: se in Galileo non c'è rifiuto per la Scrittura, c'è, però, rifiuto per l'autorità dei testi aristotelici: si tratta di un rifiuto all'autorità di Aristotele, non ad Aristotele stesso; un rifiuto rivolto soprattutto agli aristotelici del 1600, che vivono in un mondo "di carta", e che antepongono all'esperienza l'autorità di Aristotele.
Galileo era molto interessato ad un approccio di tipo matematico alla questione del moto; egli incominciò fin da giovane ad analizzare criticamente la fisica aristotelica che gli era stata insegnata, attraverso la sperimentazione diretta sugli oggetti del proprio studio. Si dice che Galileo abbia intrapreso lo studio del moto del pendolo nel 1581, dopo aver osservato il moto di oscillazione di una lampada sospesa nella Cattedrale di Pisa, città nella quale compì gli studi universitari. Egli si accorse che il periodo di oscillazione di un pendolo è indipendente dalla sua ampiezza, fenomeno detto "isocronismo" del pendolo, e cercò di trovare le relazioni tra la lunghezza e il peso del pendolo, e il suo periodo.
Il pendolo poté, quindi, essere usato come strumento per misurare gli intervalli di tempo, trovando applicazione, per esempio, in medicina, come misuratore delle pulsazioni cardiache. Molti anni più tardi, nel 1641, Galileo propose l'utilizzo del pendolo come meccanismo regolatore degli orologi, e ne abbozzò un progetto. Tuttavia, ormai vecchio e cieco, non riuscì a realizzarlo, e l'orologio a pendolo venne costruito solo nel 1657 da un altro scienziato.
Un tempo, i metalli preziosi venivano pesati sia in aria, che immergendoli in
acqua, per determinarne la gravità specifica (cioè il peso relativo ad un pari
volume di acqua). All'età di 22 anni,
Galileo scrisse un piccolo trattato, nel quale proponeva un metodo per rendere
più precisa e quantitativa la misura, progettando un dispositivo detto
bilancetta, o bilancia idrostatica. Essa era costituita da un dispositivo a
leva: il braccio, all'estremità del quale andava fissato il contrappeso, era
avvolto in un filo metallico. Lo spostamento del contrappeso, poteva essere
determinato, molto accuratamente, contando il numero di spire del filo
metallico lungo le quali si spostava. Tuttavia, Galileo costruì la bilancetta
solo molti anni più tardi, nel 1608.
Termoscopio
All'inizio del diciassettesimo secolo, non c'era alcun metodo per quantificare il calore di un corpo. Il termoscopio fu ideato da Galileo all'inizio del 1600, ed era costituito da una piccola fiaschetta con il collo lungo e sottile, piena d'aria, posto a testa in giù entro una vasca piena d'acqua. Quando la fiaschetta veniva riscaldata, l'aria al suo interno si espandeva, e il livello dell'acqua nel collo scendeva, mentre quando l'aria si raffreddava, il suo volume decresceva e l'acqua saliva dalla vaschetta lungo il collo del fiasco. Negli anni successivi, il dispositivo venne perfezionato da Galileo e dai suoi amici, per includervi una scala numerica: si ebbe così il primo termometro ad aria. Contemporaneamente ed indipendentemente, altri studiosi europei misero a punto analoghi dispositivi. Si passò poi, intorno al 1630, ai termometri riempiti di liquido, ma fu solo nel diciannovesimo secolo che venne stabilita una scala universale di temperature, sulla base di alcune temperature base (quella di fusione del ghiaccio e quella di ebollizione dell'acqua) da parte di D.G. Fahrenheit e A. Celsius.
Il cannocchiale - telescopio
Telescopio e cannocchiale, concettualmente sono la stessa cosa: sono entrambi dati dalla combinazione di lenti concave e lenti convesse, in modo tale da ingrandire gli oggetti lontani.
La differenza tra cannocchiale e telescopio, consiste nel fatto che, con il primo, si osservano esclusivamente realtà presenti sulla Terra (anche se magari molto distanti), mentre, con il secondo, si possono arrivare ad osservare realtà che non sono sulla Terra: astri, pianeti, stelle La differenza non é solo quantitativa (con il cannocchiale posso vedere meno cose, con il telescopio di più), ma anche qualitativa: ciò che vedo col cannocchiale, per quanto distante possa essere, lo potrò sempre verificare empiricamente (se osservo una casa in lontananza posso avvicinarmici e verificare se davvero ciò che vedevo col cannocchiale era vero), mentre col telescopio non ci può essere (siamo nel 1600) verifica empirica: ciò che vedo sulla Luna, per esempio, devo prenderlo per buono, senza poterlo verificare di persona.
A noi pare una cosa ovvia che ciò che vediamo in un telescopio o in un cannocchiale é effettivamente così, ma ai tempi di Galileo questo non era una certezza.
In altre parole, Galileo non ha inventato il cannocchiale, ma il telescopio, perché, per primo, ha creduto a ciò che vedeva al di fuori della Terra; il cannocchiale diventa, cioè, telescopio, nel momento in cui con esso osservo realtà che non posso verificare empiricamente.
La grande intuizione di Galileo fu, infatti, quella di creare un rapporto (biunivoco) tra scienza e tecnica, cosa peraltro tipica della rivoluzione scientifica: é un rapporto biunivoco, nel senso che un maggiore sviluppo tecnologico permette alla scienza di conseguire risultati più apprezzabili, ma un maggiore sviluppo scientifico consente la creazione di strumenti sempre più precisi.
Una volta costruito il telescopio, Galileo osservò, come prima cosa, la Luna; in particolare, vide l'alba e il tramonto sulla Luna: osservò la metà chiara (quando vediamo la "mezzaluna"), e la metà scura, e si accorse che, laddove terminava la parte chiara, c'erano puntini scuri, e, laddove terminava la parte scura, c'erano puntini chiari: interpretò questa cosa in modo corretto, come l'alba e il tramonto: quando sorge il Sole sulla Terra, le prime cose illuminate sono le montagne; viceversa, quando tramonta il Sole, prima arriva il buio sulle montagne, e poi arriva anche su tutto il resto del mondo. Le chiazze scure nella parte chiara e le chiazze chiare nella parte scura della Luna, erano, quindi, delle montagne: anche sulla Luna, quindi, ci sono le montagne, come sulla Terra. Questa osservazione é estremamente importante perché fa cadere definitivamente l'idea aristotelica
Sempre grazie al telescopio, Galileo osserva le fasi di Venere; come la Luna, Venere presenta delle fasi: vedere le fasi di Venere
I quattro maggiori satelliti di Giove (Io, Europa, Ganimede e Callisto) sono piuttosto luminosi, soprattutto quando il pianeta è in opposizione, ma, ad occhio nudo, non sono osservabili, perché la luminosità di Giove li nasconde. Il primo a scoprirli fu Galileo, che notò, dapprima tre, e poi quattro 'stelline' vicine al pianeta. Dopo averle osservate per diverse settimane, l'astronomo notò che esse sembravano seguire Giove nel suo moto attraverso il cielo, cambiando però posizione, sia tra loro, che rispetto al pianeta. Galileo giunse, dunque, alla conclusione che non si trattava di stelle, bensì di quattro 'lune' che ruotano attorno a Giove, come la Luna attorno alla Terra. Questa scoperta fu di fondamentale importanza per l'imporsi della teoria copernicana del moto planetario: nella cosmologia aristotelica vi era un unico centro del moto (la Terra), attorno al quale ruotavano tutti i corpi celesti; Copernico, invece, sosteneva che fosse la Terra a muoversi attorno al Sole, e la Luna attorno alla Terra, e cioè che ci fossero due centri del moto. Il fatto che anche Giove possedesse dei satelliti, cioè che fosse anch'esso un centro del moto, se non era una conferma della teoria copernicana, confutava però quella tolemaica.
Quarta osservazione é quella della Via Lattea (Galassia), la striscia bianca osservabile in cielo: puntando il telescopio vede che, in realtà, si tratta di stelle, e ne deduce che le stelle non possono essere tutte alla stessa distanza, fissate sul cielo delle stelle fisse (come diceva Aristotele), ma che sono disposte in profondità le une rispetto alle altre.
Infine, Galileo osserva anche le macchie solari, spesso interpretate come fenomeni che avvenivano non sul Sole, ma dati dalla combinazione di effetti dell'atmosfera terrestre. Esse sono regioni scure, di forma irregolare e variabile, sulla superficie del Sole, e sono visibili anche ad occhio nudo, sebbene l'osservazione diretta del Sole sia molto pericolosa. Galileo compì una delle prime osservazioni delle macchie, insieme ad altri.
Il fatto che il Sole presentasse delle irregolarità sulla sua superficie, e che il suo aspetto variasse nel tempo, era anch'esso una prova a sfavore della teoria tolemaica, secondo la quale ogni cosa appartenente al regno celeste era perfetta e immutabile.
IL METODO SPERIMENTALE
Riassumiamo il metodo sperimentale galileiano:
1- si parte dall'esperienza(ipotesi)
2- si passa alla verifica sperimentale
si dimostra subito l'ipotesi, altrimenti si dimostra il teorema
si considera dimostrata l'ipotesi, e, quindi, la legge.
IL PRINCIPIO DI INERZIA
Galileo intuì il principio di inerzia, che sarà poi formulato adeguatamente da Cartesio. Il principio di inerzia mi dice che, se conferisco movimento ad un corpo, esso tende a tenere quel moto all'infinito: questo significa che, sia quiete, sia moto, sono stati.
Da Galileo in poi, viene considerato stato qualsiasi moto rettilineo uniforme; la quiete è, appunto, un caso di moto rettilineo uniforme, con velocità zero.
La penna é ferma: é nello stato di quiete.
Ma come arrivò Galileo a formulare il principio di inerzia? Vi arrivò sempre lavorando sul piano inclinato: osservò che, mettendo sul famoso canaletto una biglia di bronzo lanciata ad una certa velocità, se lanciata in salita, andrà progressivamente diminuendo di velocità; viceversa, lanciata alla stessa velocità in discesa, avrà un progressivo aumento di velocità.
Chiaramente, si accorse di come l'accelerazione (se mandata in discesa) e la decelerazione (se mandata in salita) fossero tanto maggiori o minori, a seconda dell'inclinazione del piano. Con il classico processo di estrapolazione, arrivò ad ipotizzare che, in assenza assoluta di declinazione o inclinazione del piano (ossia in assenza di un fattore di disturbo che intervenga), la biglia dovrebbe proseguire all'infinito nel moto in cui la si mette. E' un esperimento mentale, e non verificabile concretamente, in primis perché ci vorrebbe un piano infinito per dire che la biglia prosegue in quel moto all'infinito, e poi, perché occorrerebbe un piano con attrito zero. Immaginando, però, un piano infinito, e con attrito zero, allora si può capire come la biglia proseguirebbe all'infinito a rotolare.
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