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Gabriele D'Annunzio




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Gabriele D'Annunzio



Nelle vergini delle rocce, in particolare viene affrontato il "Programma politico" del superuomo la voce che narra è quella del protagonista Claudio Cantelmo. Il libro 1° però, ha un taglio non narrativo ma oratorio, di un'oratoria altamente intonata e vagamente profetica, che rivela la chiara intenzione di imporre un'idea, una volontà, di modellare con la parola la realtà oggettiva. Come afferma l'eroe stesso, il "Verbo" è la "suprema forza del mondo". Il linguaggio, pertanto, e aulico e prezioso, pieno di riferimenti eruditi, di allusioni ardue; fa larghissimo uso di metafore e paragoni nonché della figura del sarcasmo, di interrogazioni retoriche, esclamazioni, apostrofi dirette.

Questa "orazione" del protagonista-narratore mira a proporre un programma politico. Trapela il suo disdegno per la società borghese nella figura dell'esteta che rifugge dalla realtà del mondo dell'arte, D'Annunzio non si rassegna al destino di sconfitta che si profila per il ceto intellettuale e si sforza di produrre un'immagine nuova, di delineare un ruolo nuovo.

Cantelmo è ancora un esteta, ma non più soltanto questo: vuole essere anche un uomo d'azione. L'artista per D'Annunzio non deve più isolarsi dal mondo nel culto dell'arte, ma deve gettarsi nella lotta, finalizzare la sua elevazione spirituale di individuo superiore alla trasformazione della realtà, modellandola sul suo ideale di bellezza e di forza. L'estetismo dunque è recuperato e inserito in una struttura ideologica nuova.

La proposizione del programma è preceduta da una parte polemica, in cui Cantelmo dipinge, con violento sarcasmo, la realtà sociale a cui intende opporsi con la sua azione: ed è la realtà borghese contemporanea, realtà caratterizzata da "basse cupidigie", dallo spirito affaristico e speculativo, dall'ossessione del denaro, che profana il carattere sacro dell'Urbe, oggetto dell'esecrazione dell'eroe sono poi la democrazia e l'egualitarismo, che mortificano la forza del re guerriero, costringendolo ad obbedire alla volontà della plebe. Cantelmo vagheggia una società gerarchica e autoritaria, che sappia stroncare anche con la violenza l'arroganza delle plebi", instaurando un ferreo dominio di classe che l'aristocrazia ha diritto per virtù di sangue, perché ereditato dagli avi ciò che la borghesia non potrà mai avere, il gusto della bellezza e la forza feroce. Lo Stato non deve essere altro se non l'istituzione che favorisce l'elevazione di una classe privilegiata verso una superiore forma di esistenza.

Questo dominio dell'elite privilegiata, deve poi essere finalizzato ad una politica aggressiva verso l'esterno: bisogna ridare a Roma un potenza imperiale, che la porti di nuovo a dominare il mondo.

Gli intellettuali devono dare un contributo essenziale all'instaurarsi di questo nuovo quadro politico. I poeti non devono piegarsi a servire il nuovo dominio borghese: il loro compito è l'azione, in difesa della bellezza contro la meschinità del mondo moderno. La parola poetica deve essere usata come un'arma micidiale per distruggere la società borghese, per creare un mondo in cui la bellezza possa di nuovo vivere nella realtà.

Questi sarà, dunque, il superuomo, in cui la stirpe latina toccherà il culmine della sua elevazione, ed al tempo stesso il nuovo "Re di Roma", colui che dovrà guidare Roma ai suoi futuri destini imperiali.

Un progetto del genere al di là del suo carattere lirico e visionario, ha radici concrete nella realtà sociale e culturale dell'ultimo decennio del secolo: da un lato esplodevano in Italia forti conflitti sociali che trovavano un'espressione nel Partito Socialista, dall'altro il governo contrastava con estrema violenza queste tensioni, e gli ambienti più reazionari maturavano l'idea di un colpo di Stato per eliminare le libertà politiche e civili ed imporre un governo autoritario. Erano anche gli anni dell'imperialismo trionfante, in cui le grandi potenze conducevano un politica aggressiva, tesa soprattutto alla conquista e al mantenimento di vasti imperi coloniali. Anche l'Italia, pur essendo uno Stato di recente formazione, arretrato, povero e debole, si era lanciata in una politica di conquiste coloniali. Il sogno imperiale compensava le frustrazioni di un ceto medio uscito deluso dal compimento dell'unità, nauseato dagli intrighi politici e dalla corruzione ma anche dal grigiore di una realtà chiusa, che non offriva possibilità all'iniziativa individuale, alla promozione sociale.

L'eroe delle Vergini delle rocce, con questo fermo progetto d'azione politica, sembra aver superato la crisi dell'eroe del Trionfo della morte, il suo senso di sconfitta, la malattia della volontà, l'attrazione morbosa verso l'impurità, il disfacimento, la morte. In realtà i conti con la tematica negativa del Decadentismo non sono affatto chiusi. L'azione è solo vagheggiata e rimandata ad un futuro lontano; la decadenza, la putredine, la morte non sono cancellate dall'interesse di D'Annunzio, semplicemente, esse sono rovesciate di segno, assumendo la funzione opposta: nella nuova ideologia superomistica devono essere lo stimolo all'affermazione della vita, all'azione eroica. D'Annunzio, con scelta tutta volontaristica, la rovescia in positivo, facendone la condizione dell'affermazione dell'eroe. Questi ha raggiunto tale maturità e pienezza che non deve più temere le forze disgregatrici, quelle che avevano portato alla sconfitta Giorgio Aurispa nel Trionfo. Tutto gli è ormai permesso, dato che la sua volontà è "di tempra dura come le spade". Anzi proprio quelle forse negative possono alimentare i suoi grandi disegni.

Per questo l'eroe va a cercare la donna con cui generare il futuro superuomo in una famiglia della nobiltà borbonica, in piena decadenza. Proprio in questo scenario l'eroe cerca colei che dovrà essere la sua compagna fra le tre figlie del principe Montaga. Ma questa scelta è profondamente ambigua: dietro i propositi vitalistici, eroici, trionfali pare celare una segreta e più autentica attrazione proprio per la "putredine", la decadenza e la morte. Il vitalismo esasperato, l'attivismo eroico sembrano solo essere tentativi per esorcizzare l'immagine della morte che ossessiona e affascina inesorabilmente lo scrittore. L'eroe scende in questo inferno della decadenza, spirituale e fisica, sicuro di trarne vigore per la sua impresa, e invece finisce per restarne prigioniero, Ciò è rivelato dall'allusiva conclusione del romanzo. Si ripete abitualmente che Cantelmo non riesce a scegliere fra le tre principesse, e che il romanzo si chiude sulla sua perplessità. In realtà l'eroe sceglie la sua compagna: è Anatolia, quella delle tre sorelle che ha la maestà e la forza interiore di una regina. Ma questa non può seguire l'eroe nel suo cammino di gloria perché è legata al triste destino della famiglia, deve accudire la madre demente, i fratelli deboli e malati, il vecchio padre. L'eroe soggiace quindi al fascino della bellezza di Violante, colei che si uccide lentamente coi profumi, inconfondibile incarnazione della cupa donna fatale: che è immagine non di fecondità creatrice, ma di un Eros perverso, distruttivo e crudele, un'immagine, in definitiva, di morte, affine a quella della "Nemica" nel Trionfo della morte. Ed è proprio in questa ambiguità, nel riemergere prepotente delle tendenze più profonde e genuine dello scrittore (il fascino morboso del disfacimento e della decadenza, l'attrazione per la morte e il nulla), che le opere ispirate al programma del superuomo trovano la loro vitalità, riscattandosi dal peso inerte delle costruzioni ideologiche e predicatorie ed assumendo una più dinamica complessità di piani.

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