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Gabriele d'annunzio




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GABRIELE D'ANNUNZIO

In Italia Gabriele D'Annunzio è il portavoce principale della cultura estetizzante. durante il decadentismo, dove passa in secondo piano l'interesse per l'intreccio dei fatti e per la ricostruzione di uno sfondo sociale radicato in un dato momento storico, mentre prevale l'analisi del mondo interiore di un singolo personaggio. Personaggio di indiscutibile fama, patriota, scrittore, uomo di società, egli mirò a realizzare uno stile di vita del tutto eccezionale libero da costrizioni e vincoli, fastoso, raffinato, sensuale, ricco di tensioni erotiche, forte di ideali eroici. Ha avuto grande importanza all'interno del panorama letterario, della società e dell'immaginario popolare nazionale. La sua influenza si esercita appunto, oltre che in ambito propriamente letterario, sul costume e sulla società italiana per parecchi anni. Egli era per milioni di persone un modello di comportamento e di gusti, oltre che un fervido creatore di mode e atteggiamenti e un ispiratore dì ideali. La vita di D'Annunzio può essere considerata una delle sue opere più interessanti. Secondo i principi dell'estetismo, bisognava fare della vita un'opera d'arte, e D'Annunzio fu costantemente teso alla ricerca di questo obbiettivo. L'arte doveva essere il valore supremo, e ad essa devono essere subordinati tutti gli altri valori. Con ciò la vita si sottrae alle leggi del bene e del male e si sottopone solo alla legge del bello trasformandosi in un'opera d'arte. Nato nel 1863 a Pescara da agiata famigli borghese, studiò in una delle scuole più aristocratiche dell'Italia del tempo, il collegio Cicognini di Prato. Precocissimo, esordì nel 1879, sedicenne, con un libretto in versi, Primo vere, che suscitò, una certa risonanza ed ottenne benevola attenzione anche da parte dei letterati di fama. Raggiunta la licenza liceale, a diciotto anni, si trasferì a Roma per frequentare l'università. In realtà abbandonò presto gli studi, preferendo vivere tra salotti mondani e redazioni dei giornali. Sono gli anni in cui D'Annunzio sì crea la maschera dell'esteta, dell'individuo superiore, dalla squisita sensibilità, che rifugge inorridito dalla mediocrità borghese, rifugiandosi in un mondo di pura arte, e che disprezza la morale corrente, accettando come regola di vita solo il bello. Questa fase estetizzante della vita di D'Annunzio attraversò una crisi alla svolta degli anni Novanta, riflettendosi anche nella tematica della produzione letteraria; lo scrittore cercò così nuove soluzioni, e le trovò, in un nuovo mito, quello del superuomo, ispirato approssimativamente alle teorie del filosofo tedesco Nietzsche, un mito non solo più di bellezza, ma dì energia eroica, attivistica. Comunque, per il momento, all'azione si accontentava di sostituire la letteratura, ed il superuomo restava un vagheggiamento, fantastico, di cui si nutriva la sua produzione poetica e narrativa. Nella realtà, D'Annunzio puntava a creare l'immagine di una vita eccezionale (il 'vivere inimitabile"), sottratta alle norme del vivere comune. A creargli intorno un alone di mito contribuivano anche i suoi amori, specie quello, lungo e tormentato, che lo legò alla grandissima attrice Eleonora Duse. In realtà, in questo disprezzo per la vita comune ed in questa ricerca di una vita eccezionale, D'Annunzio era strettamente legato alle esigenze del sistema economico del suo tempo. D'Annunzio non si accontentava più dell'eccezionalità di un vivere puramente estetico, vagheggiava anche sogni di attivismo politico. Per questo, nel 1897, tentò l'avventura parlamentare, come deputato dell'estrema destra,dove iniziò ad esporre il suo disprezzo per i principi democratici ed egualitari, il suo sogno di una restaurazione della grandezza di Roma e di una missione imperiale dell'Italia, del dominio di una nuova aristocrazia che ripristinasse il valore della bellezza contaminato dal dominio borghese. Ciò non gli impedì, nel 1900, di passare allo schieramento di sinistra. Nonostante la sua fama nel primo decennio del Novecento stesse toccando punte 'divistiche", sebbene il dannunzianesimo, l'imitazione del vate nelle idee, nel parlare, negli atteggiamenti, stesse improntando di sé il costume dell'Italia borghese, D'Annunzio, a causa dei creditori inferociti, nel 1910 fu costretto a fuggire dall'Italia e a rifugiarsi in Francia. Nell' "esilio" si adattò al nuovo ambiente letterario, scrivendo persino opere teatrali in francese, pur senza interrompere i legami con la patria "ingrata' che aveva respinto il suo figlio di eccezione. L'occasione tanto attesa per l'azione eroica gli fu offerta dalla prima guerra mondiale. Allo scoppio del conflitto D'Annunzio tornò in Italia ed iniziò un'intensa campagna interventista, che ebbe un peso notevole nello spingere l'Italia in guerra. Arruolatosi volontario nonostante l'età non più giovanile (52 anni), attirò nuovamente su di sé l'attenzione con imprese clamorose, la 'beffa dì Buccali" (un'incursione nel Carnaro con una flotta di motosiluranti) e il volo su Vienna. Anche la guerra di D'Annunzio fu una guerra eccezionale, non combattuta nel fango e nella sporcizia delle trincee, ma nei cieli, attraverso la nuovissima arma, l'aereo. Nel dopoguerra D'Annunzio si fece interprete dei rancori per la ' vittoria mutilata" che fermentava tra i reduci, capeggiando una marcia di volontari su Fiume, deve instaurò un dominio personale sfidando lo Stato italiano. Dopo che fu scacciato con le armi nel 1920, sperò di proporsi come 'duce' di una 'rivoluzione' reazionaria, che riportasse ordine nel caos sociale del dopoguerra, ma fu scalzato dal più abile politico Benito Mussolini. Il fascismo poi lo esaltò come padre della patria, ma lo guardò anche con sospetto, confinandolo praticamente in una sontuosa villa di Gardone, che D'Annunzio trasformò in un mausoleo eretto a s stesso ancora vivente, il 'Vittoriale degli Italiani". Qui trascorse ancora lunghi anni, ossessionato dalla decadenza fisica, pubblicando alcune opere di memoria, e vi morì nel 1938. La fase estetizzante si conclude con il suo primo romanzo: "Il Piacere", scritto nel 1889. La vicenda si svolge nella seconda metà dell'800 nel mondo dell'aristocrazia romana. Protagonista è il conte Andrea Sperelli, ultimo discendente di un'antica e nobile famiglia, amante dell'Arte, avido di amore e di piacere, amante raffinato, elegantissimo, circondato di lusso, ma pieno di contraddizioni. Andrea e il "doppio" di D'Annunzio stesso, in cui l'autore obietta la sua crisi e la sua insoddisfazione. La crisi trova il suo banco di prova nel rapporto con la donna. L'eroe è diviso tra due immagini femminili, Elena Muti, la donna fatale, che incarna l'erotismo lussurioso, e Maria Ferres, la donna pura, che rappresenta ai suoi occhi l'occasione di un riscatto e di un'elevazione spirituale. Ma in realtà l'esteta finge a se stesso, poiché la figura della donna angelo è solo oggetto di un gioco erotico, fungendo da sostituto di Elena, che Andrea continua a desiderare e che lo rifiuta. Andrea finisce per tradire la sua menzogna con Maria, ed è abbandonato da lei, restando solo con il suo vuoto e la sua sconfitta. Andrea diventa il modello dell'estetismo decadente in Italia, aristocratico, raffinato, freddo, senza la tumultuosa vita interiore dell'eroe romantico, teso al gusto del bello e del piacere, a fare della propria vita un'opera d'arte. Andrea vive un rituale estetico-mondano; l'amore diviene artificio, intellettualistico e tortuoso esercizio di sovrapposizione psicologica delle due amanti. È una prima forma di superomismo estetizzante, di vivere inimitabile, che però si risolve, nella sconfitta e nell'inettitudine a vivere. L'esteta Andrea Sperelli è il simbolo dell'aridità morale e del vuoto interiore di un mondo elegante e corrotto, quello dell'aristocrazia e dell'alta borghesia romana, tuttavia D'Annunzio, pur intuendo la crisi di valori di questo mondo, di esso descrive solo gli aspetti esteriori, rifiutando di comprendere il senso profondo degli avvenimenti. . D'Annunzio si rende conto dell'intima debolezza della figura dell'esteta e della costruzione ideologica che essa presuppone perché non è in grado di opporsi realmente alla borghesia in ascesa, e per questo il culto della bellezza si trasforma in menzogna. L'estetismo entra allora in crisi, così D'Annunzio, si indirizza verso una concezione super umana che avrebbe dovuto, in un certo senso, giustificare questo suo mondo irregolare, peccaminoso e tormentato della sua natura. D'Annunzio coglie alcuni aspetti del pensiero di Nietzsche banalizzandoli, tra i quali  l'esaltazione di uno spirito dionisiaco (Dioniso era il dio greco dell'ebbrezza), cioè di un vitalismo gioioso, libero dalla morale, il mito del superuomo, assumono una coloritura antiborghese, aristocratica e antidemocratica. Vagheggia l'affermazione di una nuova aristocrazia che sappia elevarsi a superiori forme di vita attraverso il culto del bello e l'esercizio della vita eroica. Il mito Nietzschiano del superuomo è interpretato da D'Annunzio come il diritto dì pochi esseri eccezionali ad affermare il loro dominio sulla massa. Questo nuovo personaggio , aggressivo, energico, vitalistico, non nega la precedente immagine dell'esteta,ma la ingloba in sé. L'artista superuomo ha funzione di vate, ha una missione politica di guida, diversa da quella del vecchio esteta. D'Annunzio non accetta il declassamento dell'intellettuale e si attribuisce il ruolo di un profeta di ordine nuovo. Egli, intatti intese a costruirsi una vita inimitabile, sempre sopra le righe, mai banale, proponendo così un nuovo superomismo, una sorta di suggestione letteraria che si fonda sul sensualismo e sulla fede nel culto della bellezza. Il superuomo dì Nietzsche venne quindi mal interpretato e in D'Annunzio si limitò a nuove avventure erotiche e all'esaltazione della propria personalità eccezionale proponendo così un dannunzianesimo basato sul costume e sulla moda, esaltato da una borghesia ambiziosa e megalomane. Il romanzo "Il trionfo della morte",non propone ancora compiutamente la realizzazione della nuova figura mitica, ma rappresenta una fase di transizione. L'eroe Giorgio Aurispa è un esteta simile ad Andrea Sperelli che, travagliato da una malattia interiore, va alla ricerca di un nuovo senso della vita. Un breve rientro nella sua famiglia acuisce la sua crisi, perché reimmergersi nei problemi della vita familiare e soprattutto rivivere il conflitto con il padre contribuisce a minare le sue energie vitali: per cui è indotto, a identificarsi nella figura dello zio, a lui simile nella sensibilità e morto suicida. La ricerca porta l'eroe a tentare di riscoprire le radici della sua stirpe. La soluzione gli si affaccia nel messaggio dionisiaco di Nietzsche, in un'immersione nella vita in tutta la sua pienezza, ma l'eroe non è ancora in grado di realizzare tale progetto: prevalgono in lui, sull'ispirazione alla vita piena e gioiosa, le forze negative della morte; egli al termine del romanzo si uccide. Il romanzo successivo 'Le vergini delle rocce' segna la svolta ideologica radicale, nel quale l'eroe è forte e sicuro. E' stato definito il 'manifesto del superomismo" e contiene l'esposizione delle nuove teorie aristocratiche. L'eroe, Claudio Cantelmo, sdegnoso della realtà borghese contemporanea, del liberalismo politico, vuole generare il superuomo, il futuro re di Roma che guiderà l'Italia a destini imperiali. L'eroe va in cerca della donna con cui generare il futuro superuomo in una famiglia della nobiltà borbonica, che vive isolata in un'antica villa ormai in sfacelo, nel culto ossessivo del passato, devastata dalla malattia e dalla follia. Nonostante le velleità attivistiche ed eroiche i protagonisti dannunziani restano sempre deboli e sconfitti, incapaci di tradurre le loro aspirazioni in azione. La decadenza, il disfacimento, la morte esercitano sempre su di essi, che dovrebbero essere gli eroi della vita e della forza, un'irresistibile attrazione.


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