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FOSCOLO
Ugo Foscolo vive in un periodo molto particolare all'interno della storia: il periodo a cavallo tra 700 e '800 in cui viene a toccare tutti gli alti ideali della rivoluzione Francese e vive l'entusiastico clima della salita napoleonica al potere, tanto che egli presenta il despota come l'eroe romantico di sangue italiano ed entra a far parte dei giacobini italiani in cui gli intellettuali tracciano progetti di innovamento politico, le cui tinte divergono in tendenze a volte utopiche. Tuttavia gli ideali di patriottismo appartenevano solo a ceti colti i quali pur prodigandosi per l'espansione delle ideologie democratiche, non arrivavano ai grandi strati della popolazione, per lo più conservatrice e influenzata dalla chiesa, anche per l'inadeguatezza dell'espressione intellettuale nel rivolgersi alle masse: come avrebbero potuto capire i contadini un linguaggio aulico e latineggiante se non francese?! Un chiaro esempio ne sarà la vicenda partenopea. Di qui ebbe inizio la disillusione degli intellettuali che si resero conto dell'effettiva situazione con il manifestarsi del vero regime napoleonico che comportava un tradimento delle istanze libertarie e democratiche tipicamente giacobine, tanto che al triennio giacobino si sostituì un diffuso senso di delusione storica, riflesso nella produzione artistica.
Foscolo fu attivo a Venezia nella politica sino a quando con il trattato di Campoformio (1797) la disillusione fu compiuta. Foscolo lasciò così Venezia e si trasferì a Milano dove, dopo aver fondato "Il Monitore Italiano", si impegnò nel suo celebre romanzo epistolare "Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis".
Il romanzo, per lo meno come idea, nacque già con il nome di "Laura, Lettere", ma una prima redazione fu nel 1798, anche se parzialmente stampato; lo stampatore infatti non curandosi del volere dell'autore fece epurare il libro dalle parti più politiche da Angelo Sassoli ("Vera Storia di due amanti infelici"), lasciando solo la componente sentimentale, al fine di un maggiore profitto. Foscolo lo riprese e lo ripubblicò con profondi mutamenti nel 1802, per poi ristamparlo a Zurigo nel '16 e a Londra nel '17. L'opera fu dunque chiamata "le Ultime Lettere di Jacopo." . E' un romanzo epistolare che non si ferma, come il "Werther" di Goethe, a rappresentare una vicenda sentimentale, seppur profonda e formativa, ma la rinchiude in quella politica con grande evidenza. Tuttavia analogo tra i due romanzi è l'intreccio e il nucleo tematico profondo:un giovane intellettuale in conflitto con un contesto sociale in cui non può e non vuole inserirsi. Inoltre questa tematica è rappresentata in entrambi attraverso una vicenda privata e psicologica, che sfocia nelle delusioni e nelle sofferenze. Non che manchi il motivo amoroso, poiché lo struggimento per il desiderio insoddisfabile e taciuto di Jacopo, si può cogliere pagina per pagina, ma probabilmente la vicenda amorosa è un riflesso neppure troppo pallido di quella politica che si articola nelle stesse illusioni e nelle stesse delusioni, negli stessi sacrifici e nelle stesse amarezze, tanto che potremmo vedere il signor T come Napoleone, senza eccessivi scrupoli di coscienza nel sacrificare l'Italia, nonché Teresa, per risollevare una situazione altrimenti insanabile, anche a costo di tradire e di far soffrire Jacopo, che in questi caso rappresenta gli esuli italiani. Inoltre il linguaggio tipicamente alfieriano, caratterizzato dalla magniloquenza oratoria, tesa alla ricerca del tragico sublime, è ben confacente ad una critica o forse ad un pessimismo di fronte ad una ragion di stato(riflessa nel microcosmo familiare) che ha tradito le aspettative e i nobili ideali di grande poeta, incapace di piegarsi a servire e ad elogiare il nuovo regime anche a costo di brancolare nella povertà e nell'emarginazione ma conservando la sua "libertà" di uomo che lo accomuna ai suoi due grandi maestri Alfieri e Parini. Jacopo è indubbiamente il prototipo dell'eroe romantico del genere epistolare europeo, e lo si nota nel suo fervore, nella sua accesa smania di azione che lo porta ad affrontare anche la morte, pur di lottare contro una società tesa al materialismo e priva di valori. In Jacopo c'è tutto il pessimismo, la disillusione e la frustrazione dell'intellettuale che non può trovare patria in alcun senso, l'angosciosa mancanza di un retroterra o di un tessuto sociale e politico degno di tale nome in cui inserirsi. Da Rousseau ha preso l'attitudine ad indagare le passioni e i moti del cuore (sapendo che la storia sentimentale riflette quella politica), nella consapevolezza della drammaticità dell'esistenza dell'uomo moderno al quale la civiltà, con le sue convenzioni sociali, ha tolto l'originaria felicità. Ma nell'Ortis c'è anche tutta la fiducia, seppur disperata, del futuro, c'è una speranza nell'azione rivoluzionaria cui si ispira, pur dietro le vesti classiche alfieriane di cui si ammanta. Chi altri è infatti, l'eroe foscoliano se non il medesimo eroe alfieriano, capace di scontrarsi fino all'ultimo contro una tirannide che lo opprime e lo soffoca, ma che d'altra parte mette in luce il gesto disperato ed eroico del singolo che vi si scaglia contro. Inoltre alfieriana è anche l'intensa quanto elegante eloquenza che richiama quasi lo stile tragico, rispecchiato in pieno nel finale e nel fervore che Jacopo dimostra, forse anche un maniera ingenua, di fronte alla lucida analisi del Parini.
Jacopo è pronto a tutto, tanto da approdare al suicidio, ma questo non deve andar inteso come nichilistico pessimismo, o debolezza dell'eroe, ma al contrario come la sua grandezza nel trovare cmq una via di uscita, nel perseguire la libertà personale e italiana, capace di trovare l'arma con cui abbattere ciò che limita l'espansione della sua anima immensa nel finale tragico, in cui la vittima della società,dell'amore o della politica che sia,diviene nel contempo il titano, colui che come nessun altro riesce ad elevarsi e ad attingere una lacrima di eternità.
Alfieriano è inoltre anche il modo con cui Jacopo,e dunque Foscolo,riesce ad incanalare e a rendere coerente,grazie al canone classico,i suoi impulsi,i suoi sentimenti più profondi e viscerali. Alfieriano è anche infine la magniloquenza più adatta ad una trattazione politica di alto pulpito.
Nell'Ortis è emblematica la presentazione del Parini che sembra trapassare la figura dell'intellettuale 700, avvicinandosi a ideali libertari, mostrando un ampia e concreta conoscenza sul piano politico. Ma questa politica viene descritta come forte e machiavellicamente spregiudicata, basata sul sacrificio delle virtù, sulla forza di chi impone le leggi, o come egli stesso dice "non con il diritto ma con la spada". Non manca neppure una chiara manifestazione di insofferenza verso la dominazione francese e straniera in senso lato. Parini poi smonta implacabilmente gli eroici furori di Jacopo, disilludendolo innanzitutto sulla sua idea di eroe puro, in quanto anche l'eroe, agendo in quel contesto degradato come potrebbe evitare di subirne la contaminazione?! E anche ammesso che superi questo ostacolo, il prezzo portato da una rivoluzione intrisa di violenze, sangue e confluente nella dittatura, non sarebbe troppo eccessivo?! È dunque Foscolo, per bocca di Parini, ad esprimere la fiducia nell'esperienza rivoluzionaria (giacobina) ma non solo: tramite Parini esprime anche il suo pessimismo sulla possibilità di azione politica in questo momento, e in particolare verso una forma rivoluzionaria che non risolverebbe assolutamente nulla. Dunque Parini rappresenta il saggio che induce Jacopo a riflettere contro una politica machiavelliana in cui "il forte scrive le leggi col sangue".
Nella lettera del 4 Dic. Parini è dunque analisi lucida e puntuale,realisticamente consapevole dell'impossibilità di ogni alternativa.
Come suddetto Parini dimostra qui ampia conoscenza politica, tanto da parlare di "Licenza", degenerazione della libertà rivoluzionaria che va a sostituirsi ai passati regimi tirannici, oltre che a inveire contro quelle che lui chiama "Lettere prostitute", deprecando le forme di adulazione poetica. Inoltre questo Parini non è quello delle Odi, poiché nella realtà il poeta non voleva una radicale rivoluzione delle istituzioni ma voleva che alla nobiltà si sostituisse un patriziato più attento e rispettoso delle esigenze, anche pertinenti alle classi subalterne (accademia dei Trasformati). Tuttavia un tratto comune con il poeta effettivo è l'atteggiamento sdegnoso verso il piegarsi per ottenere i favori di un signore, riducendosi addirittura a vivere nel fango e nella povertà.
Epistola da Ventimiglia: dialogo fittizio con un presunto filosofo illuminista immaginando che questi dia delle direttive morali che Jacopo non segue. È un filosofo tipicamente 700esco in cui si rivede il Rousseau del Contratto Sociale, proprio nella rete dei diritti e doveri da rispettare in una società filantropica. Jacopo, invece, dice che la società è solo un organismo distruttivo; infatti l'io riscatta la sua figura centrale, opponendosi alla società, vivendo in questa antinomia tra individuo e società ben rappresentata dalla lettera. Jacopo sembra ad un certo punto allargare la visione ad un ambito universale, vedendo una natura che meccanicisticamente spazza via tutto, anche i grandi imperi e di conseguenza anche i grandi ideali. Nella lettera vi è una visione nichilista, in quanto Foscolo parla dell'aspetto titanico e ribelle dell'eroe contro la natura, la quale viene descritta con una minuziosità tale da ricordare la voluptas lucreziana e gli apprezzamenti leopardiani. Il punto cruciale della lettera, ripreso poi nelle Grazie, è caratterizzato dalla discussione sulle illusioni: il filosofo le chiama tali in quanto inconsistenti, mentre Jacopo le considera funzionali alla vita, in quanto necessarie per poter superare ed elaborare in un piano immaginativo i dolori e le delusioni storiche.
SONETTI
I sonetti sono caratterizzati da un forte impulso soggettivo che rivela la matrice lirica alfieriana; sono inoltre fitte le reminiscenze petrarchesche. La forma classica del sonetto era inventata in modi fortemente originali, particolarmente "Alla sera" e "A Zacinto". Questi riprendono poi con estrema densità lirica i temi centrali dell'Ortis: la proiezione del poeta in una figura eroica e tormentata.
A Zacinto
Scritto nel 1802, è
un sonetto molto particolare: il primo periodo spazia per tre strofe con
numerosi connettivi, mentre l'ultima strofa è a sé. Il "Ne" con il quale inizia
dà un incipit pessimistico e nichilistico; ciò nonostante inizia un legame
mentale e poetico con
Istilla all'amore e alla fecondità oltre che ad avvicinare alla poesia: Omero nacque in Grecia e potè così cantare la sua bellezza e le peripezie di Ulisse a cui riferisce il verso "le acque cantò fatali" in senso positivo ma anche negativo poiché nel suo epico viaggio è lontano da Itaca, rappresentando quasi la figura di un esule in cui Foscolo si rivede. Ulisse viene anche definito "bello di fama" poiché per il principio di kalokagathia deve essere bello esteriormente in quanto armonicamente disposto anche nell'etica."Bello di sventura" poiché conquista la fama affrontando le sventure, riuscendo infine a ritornare alla "petrosa Itaca" ovviamente Foscolo rivede la sua vita all'interno del vagabondaggio di Ulisse per giungere poi a parlare della sua sepoltura che egli immagina "senza lacrime" poiché lontana dalla terra natia (sappiamo infatti l'importanza che per Foscolo ha la sepoltura).
Il sonetto però implica già una visione diversa da quella dell'Ortis. Il mondo greco lo aiuta nella ricostruzione della sua personalità. L'illusione della bellezza (come valore immortale che il mondo greco estrapolò dalla natura per mezzo di azioni mentali dell'uomo) della fama (l'uomo si sente sventurato ma questo gli dà una certa fama infatti la poesia può immortalare le gesta di Ulisse o di chiunque altro meritevole).
Tuttavia pur non tornando materialmente al mondo greco a cui anela lo fa idealmente, ed è un ritorno non solo utopico ma funzionale per un progetto futuro basato sui valori estrapolati dalla illusioni creando una traiettoria tra passato e futuro (appare già qui il poeta vate).
Alla sera
Richiama la morte e l'idea del nulla totale. Per Foscolo la morte è gradita poiché può dare pace; la tematica dell'Ortis è in sottofondo: Foscolo non costruisce un nuovo mondo, ma solo l'acquitamento con la pace, che con la morte, può rasserenarlo. La morte è dunque un momento d'arresto in cui si placa lo spirito guerriero e ruggente dell'Ortis. Il sonetto è diviso in due parti, la prima descrittiva (stato d'animo dell'io lirico dinnanzi alla sera) la seconda più dinamica poiché rappresenta processi di trasformazione. Qui si concentra il nucleo centrale del componimento chiarendo che l'immagine della morte è cara al poeta poiché rappresenta l'annullamento totale in cui si cancellano sofferenze e conflitti (reo tempo). L'irrequietudine ribelle e tormentata dell'eroe è legata ad un momento storico negativo: il regime napoleonico, riflettendo lo scontro tra l'eroe appassionato e di una realtà storica negativa in cui l'unica soluzione offerta è la morte come annullamento totale. Vi è qui contrariamente allo sfogo passionale dell'Ortis, un maggiore controllo tipico del genere lirico. Tuttavia egli è costretto per la condizione finanziaria a ricoprire cariche pubbliche all'interno del regime riconoscendone dunque anche gli aspetti positivi, mantenendo per sempre l'impronta critica tipicamente giacobina, tanto da essere definito "collaboratore critico di Napoleone".
SEPOLCRI
È un'opera definita o come epistola in versi o come carme, quasi come continuazione di una conversazione già iniziata nel salotto di Isabella Teotochi Albrizzi. Nel 1806 venne stesa la normativa sulle tombe di gente in Francia, il delitto di Saint Claud, varato per motivi igienico-sanitari ma anche socio-egualitari. In critica a tele editto Foscolo presenta la situazione di Parini, il quale, pur essendo grande poeta, non ha avuto la riconoscenza di Milano e dunque una degna sepoltura. Vuole essere quindi Foscolo a creare un degno epitaffio, parlandone come sacerdote delle Muse e parlando della sua forma poetica sempre crescente. Foscolo immagina di essere a Milano e di non sentire l'ambrosia, non potendo trovare la tomba del poeta. Critica dunque Milano e in generale la società napoleonica, contrapponendola a Firenze dove è invece presente il grande sacrario di S. Croce. Fu scritto in poco tempo ed era dunque una riflessione che probabilmente già macerava nella sua interiorità. Ribalta qui la soluzione dell'Ortis, trovando svincoli più attivi e proficui, tanto da rappresentare un testamento spirituale in cui rientra tutta la storia poiché comprende valori che sfuggono allo spazio e al tempo e dunque ricercati in ogni angolo dell'universo e in ogni istante della storia. Il carme presenta dei passaggi molto veloci, definiti messaggi pindarici, creando così delle immagini esplicative ed eloquenti trasvolando i passaggi medi (trans volat in medio posita). Questo tipo di immagine si chiama ipotiposi (creare immagine per esprimere un concetto) come esempio "il mare egeo si replica battaglia ogni notte". Nella prima parte sembra voler dire che la vita dell'uomo non ha senso, perché guidata dalle leggi naturali che assidano l'individuo e dunque l'annullamento rimane totale anche se vi è un'urna su cui piangere. Nella seconda parte, tuttavia, si apre a considerare l'illusione secolare dell'uomo: la speranza di una vita eterna, anche se è fisicamente morto. Indubbiamente l'uomo è rasserenato da questa illusione e dunque non deve sottrarsene; viene a crearsi così una corrispondenza tra il defunto e il vivo, che può morire più serenamente con l'illusione di lasciare qualcosa di sé ai posteri. L'uomo, infatti, per Foscolo comincia a civilizzarsi quando si pone degli interrogativi sulla morte e comincia a seppellire i defunti in tombe, che sono la proiezione della vita al di là della morte. Comincia qui una rassegna dei comportamenti verso i defunti nelle varie civiltà, dimostrando dunque una similitudine a Vico nel parlare di diritti umani sulla base non della sola ragione ma dell'uomo come insieme di questa esistente. In questo contesto diviene importante il concetto di illusione, vista da Foscolo come un qualcosa di indispensabile per l'esistenza, acquisendo un carattere universale poiché attinta dalla natura. Le illusioni sono infatti simbolo di valore e di credenza, e, anche se in apparenza fedi, in realtà oggettive e universali. L'uomo fa infatti emergere aspirazioni che sono al di sopra della ragione, andando a riprendere la civiltà prima, naturale, imbevuta di valori, condensandoli e riconoscendoli nell'etica. Sorpassa inoltre l'illusione dell'Ortis poiché Jacopo è un giacobino ribelle, mentre qui avverte e prospetta i valori ricercati. Apre inoltre una critica alla società attuale che tende a esorcizzare la morte, allontanando dunque l'uomo da tali valori.
Nell'antichità
l'uomo cominciò a sottrarsi alle leggi della fisica e della natura creando la
legge dell'eternità; nel mondo romano spiccarono i Lari, defunti che divenivano
protettori della casa trasformati quasi in dei, tanto che le loro tombe divenivano dei veri e propri altari, dai
quali trarre i valori universali. Parla poi della civiltà medioevale
cattolica in cui vi era il senso tenebroso della vita riecheggiato dalle stesse
tombe presenti nella chiesa; torna poi alla civiltà greca nella quale la
locazione delle tombe era simile a un luogo amoeno, un mondo di profumi e
incensi dove ci sono delle piccole lampade, che rappresentano
Nuclei: ce ne sono vari e si dividono in; sincronici, diacronici e gerarchici (sincronici:Milano-Firenze;diacronici:S.Croce e Maratona;gerarchici:rappresentano le tre memorie). I nuclei non sono ordinati ma possono essere ricomposti in base al messaggio da captare.
Appunti su: quale realtC3A1 politica prospetta parini a jacopo, |
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