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DAL NATURALISMO AL VERISMO
Il progetto dei Malavoglia si precisò nel corso di una lunga elaborazione, che nacque nel 1874 dall'idea di una novella di argomento siciliano per concludersi solo nel 1881 con la pubblicazione del romanzo per i tipi dell'editore milanese Treves.
Verga aveva lavorato al romanzo secondo un preciso programma stilistico, mutuato in parte dal naturalismo di Zola (autore de "Il romanzo sperimentale"). Con i francesi lo scrittore siciliano condivideva l'interesse positivistico per lo studio scientifico del "documento" umano e il canone dell'«impersonalità» dell'opera d'arte. Ma mentre il romanzo naturalista si sviluppò in ambito cittadino e proletario, il verismo ebbe un carattere marcatamente paesano e contadino.
La Rappresentazione del Vero
Il termine aveva avuto corso in Italia, a partire dagli anni Sessanta, per indicare le esperienze narrative degli anni Cinquanta, posteriori ad Alessandro Manzoni, che si collocavano nella prospettiva del realismo, e per rendere immediatamente comprensibile l'intenzione degli scrittori di accostarsi al "vero" cogliendolo nelle forme più evidenti e dirette. Fu il caso della letteratura "campagnola", di cui il maggiore rappresentante fu Ippolito Nievo, e della scapigliatura. Un salto di qualità, nel progetto di offrire una rappresentazione non convenzionale del "vero", si verificò a partire dagli anni Settanta con la ripresa del modello narrativo francese e con la poetica del naturalismo, nutrita dei principi del sociologismo estetico. A questa ripresa si aggiunse una nuova attenzione (dopo la proclamazione dello Stato unitario) per la realtà regionale, soprattutto meridionale, i cui caratteri culturali si erano imposti come estranei e stranianti. Proprio dalla combinazione di questi due interessi (naturalismo e realtà regionale) derivarono i risultati maggiori del verismo italiano, che raggiunse il suo momento più alto negli anni Ottanta con l'opera di Giovanni Verga e di Luigi Capuana.
Il Canone dell'Impersonalita'
Questi autori rappresentano un mondo immobile, in cui i personaggi vivono sentimenti elementari entro un contesto di ingiustizie e sofferenze collettive, senza speranza di riscatto e senza capacità di elaborare un progetto di redenzione. Sono scrittori (soprattutto Verga) che raccontano in modo distaccato, senza attivare processi di identificazione tra il lettore e la materia narrata e quindi senza giocare sul transfert narrativo. E' questo uno dei modi di applicare il principio dell'impersonalità. Un altro modo di garantire il distacco da parte dell'autore è quello di non proporre il mondo narrato come un modello o come carico di valori, bensì di presentarlo come se si trattasse di un reperto scientifico.
Tecniche Espressive e Scelte Lessicali
L'applicazione del canone dell'impersonalità favorì l'elaborazione di alcune tecniche espressive come il dialogo o il discorso indiretto libero (Verga) e l'impiego di registri linguistici più bassi fino, in qualche caso (ma certamente non in Verga), al ricorso al dialetto. Una delle ambizioni di questi narratori era quella di elaborare una lingua adatta a tutta l'Italia borghese.
Giovanni Verga
Giovanni Verga (Catania 1840-1922), fu un noto scrittore italiano, autore di romanzi, racconti e opere teatrali, massimo esponente del verismo. La sua attività letteraria può essere divisa in tre fasi : la narrativa storico-patriottica degli esordi; i romanzi mondani; la produzione verista. In Sicilia ebbe una formazione letteraria provinciale, come testimoniano i suoi tre romanzi giovanili. In particolare I carbonari della montagna (1861), è un romanzo storico (genere che stava ormai passando di moda) dedicato da Verga ai suoi modelli di allora, Francesco Domenico Guerrazzi e Alexandre Dumas padre.
I ROMANZI MONDANI
Nel 1869 Verga partì per Firenze, allora capitale del Regno d'Italia. Introdotto dal poeta Francesco Dall'Ongaro nella buona società cittadina, si dedicò allo studio della vita borghese che aveva davanti agli occhi, con un particolare interesse per le figure femminili e le vicende sentimentali; sono piuttosto espliciti i titoli dei romanzi di questo secondo periodo: Una peccatrice (1866), Eva (1873), Eros (1874). Particolare successo ebbe Storia di una capinera (1871), racconto della monacazione forzata di una donna che, innamorata del marito della sorella, muore in preda alla disperazione.
Se il romanzo Il marito di Elena (1882) continuò lungo questo linea di ricerca espressiva, la produzione successiva a quella fiorentina prese un'altra strada. Nel 1872 Verga si era trasferito a Milano, capitale dell'editoria e città in cui frequentò gli scapigliati Arrigo Boito e Giuseppe Giacosa, soprattutto grazie all'appoggio di Salvatore Farina, uno scrittore allora molto celebre. Qui fu raggiunto dall'amico conterraneo Luigi Capuana, scrittore e critico letteraria teorico del verismo.
LA SVOLTA VERISTA: LE NOVELLE E IL CICLO DEI VINTI
La svolta letteraria si può datare al 1874, l'anno in cui fu pubblicata una novella intitolata Nedda, definita dall'autore un "bozzetto siciliano". L'ambiente non è più urbano ma rurale, la storia non è più ambientata al Nord ma in Sicilia; i protagonisti sono umili contadini. Anche qui, protagonista della vicenda, è una donna, ma la sua situazione è tragica e concreta, non astratta e sentimentale: rimane vedova e perderà il bambino appena nato. Da quel momento in poi, la Sicilia contadina con la sua antica cultura fu al centro del lavoro dello scrittore catanese sia nelle novelle sia nei romanzi.
Da Vita dei campi alle Novelle rusticane
I due volumi di racconti Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1882) contengono alcuni dei capolavori verghiani, testi divenuti celebri come La lupa (indimenticabile la protagonista, ricordata nel titolo con il soprannome), La roba (storia di Mazzarò, un contadino diventato proprietario terriero ma rimasto solo, ridotto alle soglie della pazzia), Rosso Malpelo (un ragazzo destinato a lavorare e morire in miniera, ricalcando il tragico destino dei padre), Cavalleria rusticana (racconto di un duello mortale scatenato dalla gelosia).
I romanzi della maturità sono due. I Malavoglia (1881) e Mastro don Gesualdo (1889). Grazie a una scrittura sapiente che riproduce alcune caratteristiche del dialetto e che riesce ad adattarsi ai diversi punti di vista dei vari personaggi. I romanzi creano l'illusione che a parlare sia il mondo raccontato. L'abilità tecnica di Verga lasciò stupiti e increduli i lettori di allora, alle prese con testi affascinanti e difficili al cui centro è il canone dell'impersonalità, una tecnica capace di dare voce ai personaggi popolari rinunciando alla mediazione di chi racconta.
Mastro don Gesualdo
Mastro don Gesualdo mette a fuoco la storia del protagonista che dà il titolo al romanzo. Di origini modeste, Gesualdo riesce a vincere il suo destino di miseria accumulando ingenti ricchezze. Il matrimonio con la nobile Bianca Trao non cancella però la sua modestia estrazione sociale : persino la figlia Isabella si vergogna del padre. Rimasto solo, Gesualdo muore nel Palazzo Ducale di Palermo, abbandonato dai suoi e ignorato dalla servitù che si prende gioco di lui. Il romanzo è ambientato a Vizzini, in Sicilia, e la lingua rispecchia in modo tecnicamente molto raffinato la realtà che fa da sfondo al romanzo.
Amareggiato dal sostanziale insuccesso del suo lavoro, Verga si ritirò a Catania e abbandonò la scrittura. Il progettato "ciclo dei vinti", che avrebbe dovuto prevedere altri tre romanzi aventi quale oggetto un livello sociale progressivamente superiore (La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso), restò così incompiuto. Il Verismo di Verga ebbe una profonda influenza sul neorealismo degli scrittori e dei registi italiani del secondo dopoguerra.
Della Cavalleria rusticana lo stesso Verga elaborò una versione teatrale (rappresentata nel 1884), che fu musicata da Pietro Mascagni (1890). I Malavoglia offrirono lo spunto per il film La terra trema (1948) di Luchino Visconti, momento importante del cinema neorealista.
I MALAVOGLIA
I Malavoglia romanzo di Giovanni Verga pubblicato nel 1881 e considerato il capolavoro del Verismo italiano. "I Malavoglia", sono una famiglia di pescatori di Aci Trezza, un paese vicino a Catania, composta dal patriarca padron 'Ntoni, dal figlio Bastianazzo, dalla nuora Maruzza e dai cinque nipoti. Possiedono una casa, la "casa del nespolo" e una barca, la Provvidenza. Ma la barca fa naufragio e con lei scompaiono Bastianazzo, che muore, e il carico di lupini sul quale padron 'Ntoni aveva fatto affidamento per migliorare la situazione economica della famiglia. Comincia così per i Malavoglia una lunga serie di sventure. Per pagare i lupini la "casa del nespolo" viene venduta e la famiglia si disgrega: il nipote Luca muore nella battaglia di Lissa, l'altro nipote 'Ntoni si mette a frequentare cattive compagnie e finisce in prigione per contrabbando, la piccola Lia, compromessa per le voci su una sua presunta relazione con il brigadiere del paese, fugge di casa e si riduce a fare la prostituta, mentre la sorella maggiore, Mena, non potrà sposare compare Alfio a causa dei problemi economici. Solo dopo la morte del vecchio padron 'Ntoni e della nuora, il più giovane dei figli di Bastianazzo, Alessi, riuscirà a riscattare la "casa del nespolo" e a ricostruire un piccolo nucleo familiare.
Il "Ciclo dei Vinti"
Prendendo a modello il ciclo zoliano dei Rougon-Macquart, Verga aveva concepito I Malavoglia come il primo di una serie di cinque romanzi, il "ciclo dei vinti", che avrebbe dovuto rappresentare la lotta per la vita e per il benessere e l'inevitabile sconfitta che ne segue a tutti i livelli della scala sociale. "Nei Malavoglia - scrisse Verga - non è ancora che la lotta per i bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro don Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa di Leyra; e ambizione nell'Onorevole Scipioni, per arrivare all'Uomo di lusso, il quale riunisce tutte codeste bramosie.".
Ma tutti i protagonisti del ciclo - che rimase incompiuto dopo I Malavoglia Mastro don Gesualdo - "sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati".
LETTERATURA ITALIANA
"Verga e il Verismo"
Nasce a Catania nel 1840 da una famiglia di agiati proprietari terrieri. Trascorre i primi anni in Sicilia, scrivendo assai presto tre romanzi storici, che risultano però poco significativi e alquanto influenzati dallo scrittore francese Alessandro Dumas. Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, ma presto l'abbandona per dedicarsi completamente alla letteratura.
Fra il '65 e il '71 vive a Firenze, in quegli anni capitale d'Italia, dove ebbe i primi contatti letterari e dove pubblicò con successo due romanzi: Una peccatrice e Storia d'una capinera. Nel primo si narra l'amore di una nobildonna con un giovane scrittore, il quale, dopo aver suscitato nell'amante una passione intensa e tormentosa, la trascura spingendola al suicidio. Nel secondo si narra la storia di una ragazza, costretta dalla matrigna a farsi novizia. Tornata per breve tempo a casa in seguito a un'epidemia di colera, la ragazza s'innamora del fidanzato della sorellastra. Ma la famiglia la obbliga a ritornare in convento e a prendere i voti definitivamente. La ragazza muore pazza.
Questi due romanzi sono il prodotto di una sensibilità tardo-romantica (l'amore passionale e travolgente che porta alla disperazione o alla morte), ma, soprattutto il secondo, presentano anche uno studio dell'ambiente ben documentato e la ricerca della verità. Il Verga mira qui a trasferire nei protagonisti dei romanzi i suoi stessi stati d'animo e sentimenti. Le avventure, benché non vissute ma immaginate, vengono descritte con lo scopo di criticare la falsità e l'immoralità della società borghese e aristocratica (specie quella elevata) contemporanea allo stesso scrittore. In particolare al Verga non piace la concezione borghese individualistica e raffinata che cerca nell'amore passionale un diversivo per sfuggire alla noia della vita quotidiana.
Dal '72 Verga visse a Milano, dove fu in stretto contatto con gli ambienti letterari che facevano allora di Milano la città più viva d'Italia (si pensi p.es. al fenomeno della Scapigliatura, che contestava l'aristocratico rigore della lingua letteraria tradizionale).
A Milano Verga stringe amicizia con Luigi Capuana, che è il teorico del Verismo italiano. Caratteristiche fondamentali del Verismo, di cui il Verga diverrà l'artista più rappresentativo, sono:
- descrizione di un fatto umano (realmente accaduto) che doveva servire da documento e che l'opera artistica avrebbe reso stilisticamente bello;
il procedimento scientifico nella narrazione dell'ambiente sociale e naturale in cui il fatto è accaduto ('far parlare le cose', impedire che l'autore si serva dei fatti come di un pretesto per esprimere se stesso, e quindi 'impersonalità' dello scrittore);
linguaggio aderente ai fatti, cioè vivo, immediato, spontaneo, senza retorica né formalismi, disposto ad accettare persino le espressioni dialettali;
regionalismo, cioè interesse prevalente per i ceti più umili di quell'ambiente popolare che lo scrittore deve privilegiare.
Il Verga non accetta subito integralmente l'ideologia e la poetica del Verismo. A Milano continua a comporre romanzi in cui ancora polemizza con la vita e il costume della media e alta borghesia: amori travagliati, impossibili, melodrammatici, che spesso si concludono con la disperazione, la morte per malattia, il suicidio, la pazzia (in età matura egli rifiuterà questa sua produzione).
E' nel '74 che, con la pubblicazione di Nedda, avviene il salto qualitativo. La novella è diversa per argomento e per stile. Narra la vicenda di una raccoglitrice di olive siciliana che, rimasta orfana, lavora a giornata presso varie fattorie per mantenere la madre ammalata, che poi morirà. Dal suo amore per un giovane povero nasce una bambina, ma il ragazzo, prima ancora di sposarla, muore di malaria. Nedda viene respinta da tutti e non trovando più lavoro vede morire di stenti la propria bambina. Il racconto è significativo perché il Verga polemizza non più con le contraddizioni interne alla vita borghese, ma con quelle che questa vita produce esternamente, nelle classi più umili. Non gli interessa più l'alta società milanese e fiorentina, ma la Sicilia dei poveri.
Come mai questa svolta? Quattro fattori lo influenzarono più o meno decisamente:
la società amorale, ipocrita e frivola dell'alta borghesia gli era venuta a noia, per cui sentiva la necessità di ritrovare la semplicità, la spontaneità e la durezza della vita quotidiana della gente povera;
la teoria dell'evoluzione naturale di Darwin, dalla quale egli ricavò il concetto della lotta per l'esistenza come base dello sviluppo della storia umana: in questa lotta sono soprattutto i ceti marginali a pagare le maggiori conseguenze;
gli studi, le inchieste e le discussioni sulla questione meridionale che lo guidavano alla scoperta della miseria del Sud (si pensi ai fenomeni dell'emigrazione, del brigantaggio);
il Naturalismo di Emilio Zola e altri naturalisti francesi, mediato in Italia dal Verismo di Capuana, gli permise di eliminare la sua sensibilità tardo-romantica, il suo soggettivismo autobiografico, accettando invece la poetica dell'obiettività e della rappresentazione della realtà, oltre che l'esigenza di denunciare le contraddizioni prodotte dalla società borghese.
Nell'80 il Verga compone una raccolta di sette novelle che intitola Vita dei campi che contengono alcuni dei capolavori verghiani, testi divenuti celebri come La lupa (indimenticabile la protagonista, ricordata nel titolo con il soprannome) e Rosso Malpelo (un ragazzo destinato a lavorare e morire in miniera, ricalcando il tragico destino dei padre); nell'83 pubblica Novelle rusticane e progetta un ciclo di cinque romanzi, I vinti, di cui però scrive solo i primi due: I Malavoglia e Mastro don Gesualdo, che sono i suoi capolavori, riconosciuti a livello europeo. Tutte queste opere hanno come sfondo la Sicilia intorno a Catania, e come protagonisti uomini e donne delle classi subalterne: contadini, pastori, pescatori, artigiani, braccianti Dura è la critica nei confronti dell'aristocrazia nobiliare.
Nel progetto originario, I vinti dovevano rappresentare gli sconfitti nella lotta per il progresso, in cinque fasi diverse: I Malavoglia sono la storia di una famiglia di pescatori che esce sconfitta dal suo tentativo di conquistarsi migliori condizioni di vita; Mastro don Gesualdo è la sconfitta di un povero muratore che, divenuto ricco, vuole ottenere una promozione sociale sposando una nobildonna decaduta, che però non lo ama, né lo ama la figlia, che gli rinfaccia la sua origine umile. Mastro don Gesualdo morirà di cancro, abbandonato da tutti, con il patrimonio intaccato dal genero. I 'galantuomini' del paese, invidiosi e preoccupati della sua fortuna, gli erano sempre rimasti ostili. Gli altri tre romanzi non scritti dovevano narrare la sconfitta dei sentimenti negli alti ambienti sociali, la sconfitta delle ambizioni politiche tese alla conquista del potere, la sconfitta dell'artista che mira alla gloria.
In questi romanzi, che pur possono sembrare molto pessimisti, vi sono degli aspetti positivi:
il rifiuto di ogni paternalismo bonario nei riguardi degli oppressi, i quali hanno bisogno di giustizia e non soltanto di comprensione;
la scoperta dell'umanità/dignità dei ceti marginali, i quali cercano di affermare, per quanto sia loro possibile (cioè concesso dal destino), valori come l'amore, l'onestà, l'onore, la fedeltà;
l'analisi del risvolto negativo del progresso scientifico e industriale tanto esaltato dalla borghesia;
la polemica contro i miti sentimentali (ad es. l'unità della famiglia) o intellettuali (ad es. l'unità d'Italia, l'unità nazionale della lingua) tipici della società borghese.
Sennonché nell'ultimo Verga, il pessimismo tende a prevalere su ogni considerazione nei riguardi degli oppressi. Dopo aver capito che le conquiste risorgimentali per l'unità d'Italia erano state strumentalizzate dalla borghesia per affermare il proprio dominio a livello nazionale; dopo aver capito che la borghesia non era disposta a ridistribuire le terre dei latifondisti ai contadini; infine, dopo aver capito che il nuovo Stato unitario era diventato lo strumento nelle mani della borghesia al nord e dei latifondisti al sud, strettamente alleati. Il Verga è altresì convinto sia che le classi disagiate del sud, vittime della loro stessa ignoranza e arretratezza, non saranno capaci di modificare questo stato di cose, sia che il giovane movimento di orientamento socialista, cresciuto nelle progredite e 'lontane' regioni settentrionali, non abbia intenzione di lasciarsi coinvolgere attivamente nelle preoccupazioni del Mezzogiorno.
Agli inizi del '900 il pessimismo del Verga diventa così cupo ch'egli praticamente smette di scrivere. Sino al 1922, anno della morte, egli si ritira a Catania, dove vive in un silenzio pressoché totale, amareggiato dall'incomprensione che circondava la sua opera (e che continuerà per tutto il ventennio fascista). L'ultimo romanzo, Dal tuo al mio, attesta questa sua involuzione politica: esso infatti descrive il voltafaccia di un sindacalista operaio che, il giorno in cui sposa la figlia del padrone, si rende conto di essere passato dall'altra parte della 'barricata', e lo dimostra difendendo con le armi la miniera di zolfo che i solfatari minacciavano di far saltare.
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