Catullo Caio Valerio
(Verona 87 ca. -
Sirmione 54 a.C.). Poeta latino, il principale esponente della scuola
neoterica. La vita di C. ci è nota soprattutto attraverso gli accenni
autobiografici contenuti nei suoi componimenti. Appartenne a famiglia abbastanza
agiata ed in buona posizione sociale. Poco dopo il 70 si trasferì a Roma, dove
si legò di vivissima amicizia con Furio Bibaculo e Licinio Calvo, oltre che con
altri esponenti della scuola neoterica. Ostentò sempre una fiera indifferenza
nei riguardi della politica militante, anche se, quando gli si presentava
l'occasione, non si asteneva dal manifestare le sue scarse simpatie per Pompeo
e Cesare, di cui colpì con aspri epigrammi il favorito, Mamurra, praefectus
fabrorum, cioè capo del genio militare; ma Cesare gli perdonò sempre. La
determinante fondamentale di tutte le vicende romane di C. va senz'altro
identificata in Lesbia la donna che egli amò di un amore bruciante, sorella del
tribuno Clodio, il nemico di Cicerone. Non appare improbabile che C. abbia
conosciuto Lesbia già nel 62, a Verona, dove ella potrebbe essersi recata con
il marito, che era appunto governatore della Gallia Cisalpina. La scelta dello
pseudonimo (il suo vero nome era Clodia) potrebbe essere giustificata
dall'abitudine, diffusa fra i poeti latini, almeno a quanto afferma Apuleio, di
sostituire il nome della donna amata con un altro che avesse però lo stesso
numero di lettere, ma non è escluso che C. abbia voluto attraverso quel nome
esprimere il suo giudizio sulla raffinatissima eleganza e grazia di Clodia, che
la rendevano ai suoi occhi paragonabile alle fanciulle della scuola di Saffo.
Soltanto i primi tempi di questo amore furono felici per C., poiché Lesbia, che
non aveva conosciuto la fedeltà nei riguardi dello sposo, non seppe o non volle
imparare la fedeltà nei riguardi dell'amante che pure sinceramente l'amava.
Quando C. colpito dalla morte del fratello, morto in giovane età durante un
viaggio nella Troade, si ritirò a Verona, Lesbia a Roma si abbandonò all'amore
di Marco Celio Rufo. C. allora decise, nel 57, di partire per la Bitinia, al
seguito del propretore C. Memmio. Nel 56 C. tornò a Roma, guarito dall'amore,
divenuto ormai torbida passione, che l'aveva legato a Lesbia. Vani riuscìrono i
tentativi che ella fece tramite Furio e Aurelio di riconquistare il cuore del
poeta, che l'aveva troppo amata ma nello stesso tempo aveva troppo sofferto per
avere la capacità di lasciarsi tormentare ancora.
Di C. è a noi pervenuta una raccolta
intitolata Catulli Veronensis liber o carmina, dedicata a Cornelio Nepote e
costituita di 116 componimenti. Si tratta di un canzoniere d'un'intimità tutta
moderna, nel quale ai ricordi «dotti» continuamente riecheggiati secondo il
gusto alessandrino si alternano elementi autobiografici. In questo senso con C.
si ha l'elegia romana, tendente rispetto a quella greca ad un maggiore verismo.