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Nel Libro VI dell'Eneide, nei versi 295-316 viene presentata la figura di Caronte, traghettatore delle anime dei defunti verso il regno dell'oltretomba.
Enea, dopo aver chiesto una predizione sul futuro dei troiani alla Sibilla, si avvia verso una scogliera con quest'ultima. Arrivano nei pressi del fiume Acheronte, dove Caronte naviga da una sponda all'altra i corpi dei defunti. Caronte è presentato come una figura di vecchio barbuto, ma dal corpo vitale e ancora giovane (è di Virgilio l'espressione "verde vecchiezza", vale a dire vecchiezza ancora vigorosa e agile). Egli ha gli occhi infuocati e un mantello logoro e sporco annodato al collo. Una folla è presente sulle rive dell'Acheronte: uomini e donne di ogni età, anche fanciulli e fanciulle spirati prima dei loro stessi genitori; tutti cercano di farsi spazio per essere traghettati per primi verso l'oltremondo. Caronte però li accoglie senza un ordine preciso, alla rinfusa, e li trasporta all'altra riva.
Dante trae ispirazione, come già aveva fatto con la vicenda di Polidoro, per scrivere il suo poema, "La divina commedia". Egli mostra però un Caronte differente da quello di Virgilio.
Innanzi tutto, il Caronte di Dante è il traghettatore solo delle anime dei dannati, perché quelle destinate al Purgatorio o al Paradiso, giungevano in diverso modo nell'oltretomba (con "più lieve legno", come predice Caronte stesso a Dante). Poi, egli è descritto in modo assai più minuzioso da Dante che da Virgilio, e dal primo è presentato come una figura più viva e partecipe alla vicenda rispetto a ciò che fa il secondo.
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