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A.MANZONI
Manzoni, Alessandro (Milano 1785-1873), scrittore italiano. Era figlio del conte Pietro Manzoni e di Giulia Beccaria, figlia del grande giurista Cesare Beccaria, la quale nel 1782 si separò dal marito per poi (1795) stabilirsi a Parigi con Carlo Imbonati, lo stesso a cui Giuseppe Parini aveva dedicato l'ode L'educazione. Manzoni studiò presso i padri somaschi e i padri barnabiti e si avvicinò al pensiero degli illuministi. Le sue idee giacobine e anticlericali trovarono espressione in Il trionfo della libertà (1801), poemetto che celebra la sconfitta del dispotismo e della superstizione per opera della libertà portata da Napoleone con la Repubblica Cisalpina. Le prime esperienze letterarie (1800-1804) sono coerenti col dominante gusto neoclassico: sono sonetti, quattro Sermoni e l'idillio Adda (1803), dedicato a Vincenzo Monti. Nel 1805, poco dopo la morte di Carlo Imbonati, si recò anch'egli a Parigi, dove scrisse e pubblicò il carme In morte di Carlo Imbonati (1806), un dialogo morale di sapore pariniano. A Parigi rimase fino al 1810 e si accostò, stabilendo anche forti amicizie, all'ambiente degli ideologi, che ripensavano in forme critiche e con forti istanze etiche la cultura illuminista, e acquisendo da loro abitudini mentali quali la chiarezza e il rigore del ragionamento insieme a una propensione per l'analisi psicologica, che sarebbero rimaste sue per tutta la vita. L'ultima opera di questo periodo è Urania (1809), un poemetto mitologico in versi sciolti di gusto neoclassico.
DAGLI INNI
SACRI ALLE TRAGEDIE
Nel 1808 Manzoni aveva sposato con rito calvinista la giovane (16 anni)
ginevrina Enrichetta Blondel, la cui fede aveva indotto Alessandro ad
approfondire il problema religioso. Il 1810 segna il definitivo approdo della
famiglia Manzoni al cattolicesimo: Enrichetta, sotto la guida del padre Degola,
abiurò il calvinismo e Alessandro abbandonò le posizioni deiste per aderire
pubblicamente alla religione cattolica. La conversione religiosa si ripercosse
anche nelle scelte letterarie: Manzoni abbandonò gli schemi neoclassici e cercò
altre strade espressive, a cominciare dalla prima opera successiva alla
conversione, gli Inni sacri, con i quali intendeva celebrare le principali
festività dell'anno liturgico e insieme offrire un esempio di lirica nuova, che
sarà di tipo corale e oggettiva (nel senso che il punto di vista è quello
collettivo dei fedeli, mentre il tema è legato a una realtà storica oggettiva,
la storia del cristianesimo). Inizialmente gli inni dovevano essere dodici, ma
ne furono composti solo cinque: la Risurrezione (1812), il Nome di Maria
(1812-13), il Natale (1813), la Passione (1814-15) e la Pentecoste (1822, terza
stesura). Il punto di vista e il tema di queste liriche (ma molto meno il
linguaggio) appartengono alla sensibilità romantica e sono in anticipo rispetto
alle dichiarazioni manifeste della poetica romantica, che sono del 1816.
L'interesse di Manzoni per la tragedia è connesso alla lettura di Shakespeare,
di Goethe e di Schiller, e, in accordo con l'avvio delle polemiche romantiche,
Manzoni elaborò l'idea di una tragedia di ampie dimensioni storiche e di valore
universale, capace di destare una nuova coscienza etico-storica. Cominciò con
Il conte di Carmagnola (1820), tragedia accompagnata e pubblicizzata dalle
polemiche letterarie a seguito dell'abbandono delle unità aristoteliche di
tempo e di luogo. Questa tragedia, che si avvale del coro - momento di
meditazione lirica, inteso come spazio riservato alla riflessione etico-storica
dell'autore - propone un episodio della guerra tra Milano e Venezia nel XV
secolo e denuncia la violenza e la cecità della ragion di stato. La seconda
tragedia, Adelchi (1822), è di materia medievale e ha una struttura più
complessa e aperta, anche se contrappone in modo assolutamente netto, per la
rigidità imposta dal genere, gli 'eroi della forza' e gli 'eroi
della fede'. Il tema è la fine della dominazione longobardica in Italia e
la sconfitta del re Desiderio a opera di Carlo Magno. Particolarmente
significativi sono i cori (in realtà due liriche) in cui Manzoni affronta il
tema politico della libertà che non può non essere conquista degli italiani, e
il tema della 'provvida sventura', centrale nel successivo romanzo.
La stesura dell'Adelchi fu accompagnata da un'approfondita ricerca
storico-documentaria sulla dominazione longobardica in Italia, pubblicata col
titolo di Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia
(1822).
Nel periodo compreso tra la stesura delle due tragedie, Manzoni aveva anche
affrontato nodi teorici sul teatro e sulle sue scelte in un testo importante,
scritto nel 1820 e pubblicato, dopo la revisione dell'amico Fauriel, nel 1823:
si tratta della Lettre à M. Chauvet sur l'unité de temps et de lieu dans la
tragédie, in cui giustifica il rifiuto delle unità classicistiche di tempo e di
luogo e riflette sul rapporto tra veridicità storica e funzione morale della letteratura.
In precedenza, nel 1819, aveva scritto le Osservazioni sulla morale cattolica
(elaborate fino al 1855) che, a parte le ragioni ideologiche, sono un prezioso
documento della sensibilità psicologica del Manzoni. Successiva, del 1823 (ma
pubblicata solo nel 1846), è la Lettera sul Romanticismo, il bilancio teorico
più importante fatto da uno dei protagonisti di quel movimento.
Manzoni si provò anche nella lirica civile. Ricordiamo Marzo 1821, un esempio
di ballata romantica centrata sull'attualità politica (i moti patriottici di
quell'anno), e Il cinque maggio (1821), un testo intenso e insolitamente
appassionato che si presenta quale grande esempio di come la Provvidenza agisce
nella storia.
IL ROMANZO
La scrittura lirica e
quella tragica si erano rivelate troppo condizionate, sul piano linguistico,
dalla tradizione e incapaci di offrire una scrittura 'popolare',
secondo le ambizioni romantiche, e di catturare un pubblico
'nazionale'. Da qui la scelta di un genere letterario romantico,
capace di fare presa su un largo pubblico, e la lunga costruzione di una prosa
di tono medio e di ambizione nazionale. A ciò contribuì anche la suggestione
dei romanzi di Walter Scott e in particolare dell'Ivanhoe, ma anche la lettura
dell'Historia patria del milanese Giuseppe Ripamonti.
La storia della costruzione dell'unico romanzo di Manzoni si protrasse per più
di un ventennio. Una prima redazione, sconosciuta fino al 1915, che prese il
nome di Fermo e Lucia, occupò il periodo tra il 24 aprile 1821 e il 17
settembre 1823. Subito dopo l'autore passò a una ristrutturazione del materiale
(con eliminazione delle parti attinenti alla riflessione sul romanzo e sul
lavoro letterario) e, attraverso il titolo provvisorio di Sposi promessi,
arrivò al titolo definitivo, I promessi sposi, e alla prima edizione a stampa
(in tre tomi) realizzata tra il 1825 e il 1827 a Milano. Subito dopo progettò
una revisione sostanzialmente linguistica del romanzo, per eliminare i troppi
lombardismi o francesismi (Manzoni parlava milanese o francese) e per dare un
orizzonte nazionale al suo testo, orientandosi sulla lingua 'viva',
cioè parlata dai ceti colti della Toscana contemporanea. Per questo si recò a
Firenze nel 1827 allo scopo di 'risciacquare i panni in Arno'.
Ragioni familiari e di salute ritardarono fino al 1840-1842 la seconda edizione, quella definitiva; uscita a dispense, recava un nuovo sottotitolo, Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta. In appendice alla seconda edizione venne pubblicata, in edizione ampliata rispetto all'originaria Appendice, la Storia della colonna infame, che, prendendo spunto dalle vicende della peste del 1630 narrate nel romanzo, ricostruisce documentaristicamente gli eventi e in particolare il processo agli untori, per concludere, diversamente da come aveva fatto Pietro Verri in un suo precedente riesame del processo, con la condanna dei giudici.
Il romanzo, ambientato nei dintorni di Lecco, a Milano e nel Bergamasco, negli anni tra il 1628 e il 1630, presenta la struttura tradizionale dell'amore contrastato di due giovani che, dopo una serie di peripezie, riescono a sposarsi. Mancano gli elementi erotici e l'avventura è essenzializzata; in compenso il romanzo si colloca entro un sistema di valori etici e religiosi molto forti e dentro una realtà sociale e storica carica di elementi negativi (la storia come luogo del male e della 'prova'), ma anche capace di rivelare nuove figure sociali (l'operaio-contadino intraprendente e capace di costruirsi un nuovo avvenire: Renzo padrone della filanda) che hanno a che fare con gli orizzonti sociali dell'Ottocento e, indirettamente, col Risorgimento. È il romanzo dei rapporti di forza nella storia, il romanzo del male e della sofferenza collettiva e individuale nella storia, ma è anche il romanzo del riscatto dell'individuo e della natura decaduta (ne è emblema la vigna di Renzo) che si salva. Insomma un grande esempio, materiato di storia, di come Dio agisce e conferisce senso al dolore. Ma la grandezza dell'opera sta soprattutto sul piano linguistico: con I promessi sposi Manzoni dette all'Italia l'istituto di una lingua nazionale, svolgendo un ruolo analogo, sul piano culturale, a quello che altri svolsero sul piano politico attraverso il compimento dell'unità d'Italia. Resta il fatto che la lingua di questo romanzo è diventata la lingua dei dizionari e delle grammatiche, oltre che un modello per gli scrittori successivi (col fenomeno del manzonismo), e ancora nel Novecento (con Riccardo Bacchelli). E siccome Manzoni, nel raccontare la sua storia, si fece per così dire occhio di Dio, visse con particolare scrupolo il problema della verità storica fino al punto, prima, di rinnegare sul piano teorico l'esistenza del romanzo storico (Del romanzo e in genere de' componimenti misti di storia e di invenzione, 1845) e poi di cercare una soluzione psicologicamente rassicurante nel dialogo filosofico Dell'invenzione (1850), in cui giunse a negare il concetto stesso di 'invenzione'.
GLI SCRITTI LINGUISTICI
A margine del percorso verso l'edizione definitiva dei Promessi sposi, Manzoni sviluppò una serie di riflessioni teoriche sulle questioni linguistiche, consegnate nel trattatello Sentir messa (pubblicato solo nel 1923) e nel vasto trattato Sulla lingua italiana, con cinque redazioni, ma rimasto incompiuto. In vari scritti difese l'unità linguistica italiana centrata sul fiorentino: nella relazione al ministro della Pubblica Istruzione Emilio Broglio, intitolata Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla (1868), che costituì la base della politica linguistica e scolastica dell'Italia nel secondo Ottocento; e negli scritti Lettera intorno al libro 'De vulgari eloquio' di Dante Alighieri, Lettera intorno al vocabolario (anche questi del 1868) e Lettera al marchese Alfonso della Valle di Casanova (1871).
GLI ULTIMI ANNI
Nel 1860 Manzoni fu
nominato senatore da Vittorio Emanuele II, e in questa veste partecipò alla
proclamazione del Regno d'Italia; nel 1864 votò a favore del trasferimento
della capitale da Torino a Firenze e, liberata Roma, accettò la cittadinanza
del Comune laico (1872). La sua vita fu segnata da grandi dolori: la morte di
Enrichetta (25 dicembre 1833), della seconda moglie Teresa Borri (1861) e di
ben otto dei dieci figli. Per la sua morte Giuseppe Verdi compose la Messa da
requiem.
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