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ALESSANDRO MANZONI
La vita e la conversione religiosa
Alessandro Manzoni (1785 - 1873) nacque a Milano. Suo padre era un ricco possidente conservatore che, rimasto vedovo, aveva sposato in seconde nozze la giovane Giulia Beccarla, figlia di Cesare Beccarla, il celebre illuminista milanese autore dell'opera Dei delitti e delle pene, che aveva destato accesi dibattiti per le sue tesi all'abolizione della tortura e soprattutto della pena di morte.
L'attaccamento di Alessandro alla madre, dotata di un temperamento vivace e di notevoli qualità intellettuali, era nettamente superiore a quello nutrito nei confronti del padre. Giulia si separò dal marito e in seguito, nel 1795, si trasferì in Inghilterra e poi a Parigi con Carlo Imbonati. Dopo la morte di quest'ultimo, Alessandro raggiunse la madre e con lei iniziò a frequentare gli ambienti intellettuali della capitale francese. La tendenza culturale dominante oltralpe era costituita dal ripensamento critico dell'illuminismo e della diffusione delle prime tendenze romantiche. A Parigi Manzoni cominciò a considerare criticamente la cultura di tipo razionalista e illuminista che aveva assorbito nell'ambiente familiare e nella Milano di fine secolo. Manzoni iniziò a meditare anche sulla questione religiosa, in precedenza poco considerata, in quanto egli, fino ad allora, era stato legato a una concezione laica della realtà.
Nel 1810 avvenne la sua conversione al cattolicesimo. Su questa radicale e importante svolta deve aver influito l'intesa religiosa calvinista della moglie Enrichetta Blondel, che comunque seguì il marito nella scelta della fede cattolica.
Da questo momento anche la produzione letteraria di Manzoni subì una drastica svolta, tanto che si è soliti separare le opere scritte prima della conversione, caratterizzate da uno spiccato gusto neoclassico, da quelle del periodo successivo, nelle quali emergono la concezione morale dell'attività letteraria e l'idea che nello scrittore debbano convivere l'emozione e il sentimento con l'analisi razionale e la chiarezza intellettuale.
Le opere
La religiosità viene vissuta intimamente e con profonda coerenza e tutte le opere di Manzoni risentono di questa radicale trasformazione interiore.
Non è un caso che i primi testi scritti dopo il 1810 siano gli Inni sacri (La Risurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste), un importante tentativo di realizzare una poesia religiosa moderna, finalizzata a divulgare in forma poetica il messaggio delle Sacre Scritture.
Negli anni compresi tra il 1817 e il 1822, la religiosità manzoniana si orientò definitivamente verso un cattolicesimo maturo, abbandonando l'iniziale pessimismo e l'idea di un Dio lontano dall'uomo, temi tipici dei suoi primi testi. In questo periodo Manzoni scrive le sue opere più significative: le odi, le tragedie e I promessi sposi.
Le odi sono Marzo 1821 e Il cinque maggio. La prima, scritta in occasione dei moti del 1821, afferma ed evidenzia la ritrovata unità politica e morale degli italiani che si presentano finalmente come una nazione e non come un "volgo disperso". La lotta contro gli oppressori ha un carattere di giustizia e di necessità, e la certezza nella vittoria è sostenuta dalla fede, in quanto Dio non può che aiutare un popolo che vuole riconquistare la propria libertà.
Il cinque maggio fu scritto in occasione della morte di Napoleone, avvenuta il 5 maggio 1821 a Sant'Elena. Manzoni non esprime qui giudizi politici sul grande condottiero, ritenendo che solo ai posteri spetterà "l'ardua sentenza", ma ne riconosce la grandezza spirituale, segno inconfutabile che attraverso di lui ha agito la Provvidenza per realizzare sulla terra il progetto di Dio. L'ammirazione nei confronti della grandezza delle imprese realizzate da Bonaparte si unisce alla considerazione della vanità della gloria terrena se misurata nella prospettiva della vita eterna.
Le tragedie manzoniane Il conte di Carmagnola e Adelchi nascono dall'idea di creare un nuovo tipo di teatro, lontano dal modello delle tragedie alfieriane, che deve avere un'ispirazione storica e cristiana e deve basarsi su alcune innovazioni fondamentali:
l'argomento storico, indagato però a livello intimo e spirituale e nella prospettive dei personaggi, privilegiando il momento della meditazione su quello della narrazione degli avvenimenti;
l'abolizione delle unità aristoteliche di luogo, di tempo e di azione, per garantire maggiore libertà all'autore e ottenere maggiore veridicità storica;
la finalità pedagogica, per spingere lo spettatore a riflettere sugli argomenti preposti nella tragedia; si spiega così il ricorso di Manzoni ai cori, che consistono nella sospensione dell'azione drammatica e nell'inserimento di un momento meditativo all'interno della rappresentazione. Nei cori è lo stesso autore che prende la parola e focalizza l'attenzione del pubblico su determinate questioni.
La lunga e complessa vicenda
La storia narrata nei Promessi sposi è ambientata in Lombardia tra il 1628 e il 1630.
Al centro della trama c'è il matrimonio tra Renzo Tramagliano e Lucia Mondella, due giovani popolani, che viene impedito da don Rodrigo, un signorotto del luogo. Don Abbondio, il curato del paesello dei due "promessi sposi", viene affrontato da due bravi (sgherri di don Rodrigo) che gli proibiscono con minacce di celebrare il matrimonio: il prete, privo del minimo coraggio, accetta passivamente l'imposizione. Dapprima Renzo viene spinto da Agnese, madre di Lucia, a consultare un avvocato famoso, soprannominato Azzeccagarbugli, ma non ottiene alcun aiuto, anzi viene scambiato per un bravo. Poi i due giovani cercano di sposarsi con una cerimonia "segreta", pronunciando di fronte a don Abbondio una formula che li avrebbe resi di fatto marito e moglie anche senza il consenso del sacerdote, ma anche questo tentativo fallisce. Nel frattempo don Rodrigo ha mandato i suoi bravi a rapire Lucia, che riesce però a salvarsi ed è costretta a fuggire insieme alla madre e a Renzo: le donne si rifugiano a Monza presso il convento di Gertrude; Renzo si reca a Milano per chiedere consiglio a padre Bonaventura ma, coinvolto nei tumulti popolari causati dalla carestia e dalla fame, viene scambiato per un sovversivo e arrestato; riesce tuttavia a fuggire e, dopo varie peripezie, attraversa l'Adda e si rifugia in territorio bergamasco, presso il cugino Bortolo. Nel frattempo don Rodrigo decide di farsi aiutare dall'Innominato, un potente e feroce signorotto, a rapire Lucia dal convento. (Per la figura dell'Innominato Manzoni si era ispirato a una persona realmente esistita: Francesco Berdinando Visconti, feudatario di Brignano Ghiara d'Adda). L'arrivo della fanciulla provoca nell'Innominato enormi contraccolpi a livello psicologico per la sua innocenza e per la sua fede. Nel corso di una notte terribile egli si trova a fare i conti con la sua esistenza e arriva addirittura a meditare il suicidio. Nel frattempo Lucia, terrorizzata e piena di un'incontenibile angoscia, fa voto a Dio di rimanere vergine. Il mattino seguente, l'Innominato si reca a fare visita al cardinale Federigo Borromeo. In quest'occasione avviene la sua conversione: resosi conto di aver perseguito il male per tutta la sua esistenza, si pente e chiede perdono a Dio. Il cardinale manda una piccola delegazione, di cui fa parte anche don Abbondio, a liberare Lucia. L'Innominato, dopo la conversione, mette i suoi bravi di fronte a una scelta: continuare a vivere di rapine e di violenze, abbandonando il castello, o rimanere al suo servizio cambiando vita, cioè seguendo il bene e l'onestà.
Entrano in scena don Ferrante e donna Prassede, marito e moglie: lei decisa ad aiutare Lucia a qualunque costo, proteggendola in casa sua e impegnandosi con tutte le forze per farle dimenticare Renzo (ricercato con l'accusa di essere uno dei capi della rivolta popolare milanese); lui che vive rintanato nel suo studio, lontano dal mondo, dedito soltanto alla sua cultura. Nel frattempo è in atto la guerra per la successione al ducato di Mantova e del Monferrato, e alla carestia succede la peste. La paura per l'arrivo degli eserciti dei lanzichenecchi fa fuggire la gente dalle case; alcuni si rifugiano nel castello dell'Innominato.
La peste si diffonde e con essa i comportamenti più irrazionali. Vengono presi di mira i cosiddetti untori, persone accusate di diffondere il morbo ungendo con sostanze venefiche i muri, le maniglie delle porte e tutto ciò che viene normalmente toccato: gli untori naturalmente non esistono, non solo frutto del bisogno di trovare un colpevole a ogni costo di fronte a un fenomeno terribile e inspiegabile. Tra i contagiati dalla peste ci sono anche don Rodrigo e Renzo; quest'ultimo, però, a differenza del primo, guarisce e può tornare al suo paesello sconvolto dall'epidemia e poi a Milano, alla ricerca di Lucia. Arrivato a Iazzaretto, incontra padre Cristoforo e don Rodrigo morente. Poi finalmente si imbatte in Lucia, che non può sposarlo a causa del voto fatto durante la prigionia nel castello dell'Innominato. Interviene però padre Cristoforo che scoglie Lucia dal voto. Di lì a poco la pioggia spezzerà via il contagio e l'erede di don Rodrigo si mostrerà persona assai migliore, tanto che don Abbondio potrà finalmente celebrare il tanto sospirato matrimonio. Al termine della vicenda, i due sposi si trasferiscono nel bergamasco, dove Renzo diventa imprenditore tessile.
Il romanzo storico e il realismo manzoniano
La precisione e la cura della ricostruzione storica distinguono I promessi sposi dalla maggior parte dei romanzi storici dell'epoca, soprattutto da quelli di Walter Scott, autore conosciuto e apprezzato da Manzoni, ambientati in un Medioevo favoloso, ricostruito in modo stereotipato e poco documentato.
Il romanzo storico manzoniano ha un impostazione fortemente realistica. La sua storicità è un dato essenziale: la vicenda non potrebbe essere ambientata in un altro luogo né in un altro tempo, data la sua intrinseca connessione con i fatti storici del 1628 - 30. L'epoca, con le sue guerre e le sue epidemie, non fornisce un semplice scenario, uno sfondo con la funzione di pura ambientazione: i fatti e i personaggi storici entrano a far parte integrante della vicenda e ne determinano profondamente l'andamento. Le digressioni storiche non sono semplici precisazioni o dettagli puramente decorativi, ma permettono di capire e giustificare il susseguirsi delle vicende narrate.
Inoltre, un aspetto significativo del romanzo storico - realistico manzoniano è la quotidianità dei fatti narrati: nel romanzo non vi sono eventi occasionali; la realtà rappresentata fa parte della normale vita del popolo lombardo, ritratto nel modo più fedele possibile. Manzoni rifiuta di collocare al centro della vicenda un eroe, ma sceglie come protagonisti due personaggi popolari che non hanno alcuna particolarità distintiva, né nel bene né nel male. E così le masse anonime, trascurate normalmente dalla letteratura, vengono poste al centro di una vicenda romanzesca, privata però di gran parte degli artifici narrativi tradizionali, come i colpi di scena, gli avvenimenti inattesi ed eccezionali, gli effetti si suspense.
La narrazione non ha un'impostazione documentaristica e cronachistica, ma risponde a intenti ben precisi, anche ideologici. Ciò che accade ai personaggi all'interno di una trama che segue una traccia di base tradizionale, serve a Manzoni da un lato per descrivere l'uomo nel contesto sociale dall'altro per delineare la dinamica della storia, governata da un disegno preciso e occulto che fa capo alla Provvidenza divina. La storia non è altro che la manifestazione della volontà di Dio e delle sue intenzioni nei confronti degli uomini. In questa prospettiva si parla anche di problematicità del romanzo storico manzoniano, in quanto ciò che accade ha un significato preciso all'interno della visione dell'autore. Manzoni, infatti, mette in scena la sua visione del mondo, ci parla attraverso quei personaggi dell'uomo in generale, in qualsiasi epoca storica. Affronta dunque "problemi", cioè questioni di portata più generale che travalicano l'avvenimento cogliendo nel particolare l'universale.
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