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"A MIA MOGLIE"
di Umberto Saba
Questa poesia viene scritta tra il 1909 e il 1910 in circostanze molto strane, questa poesia ha risentito molto della mancata approvazione sia dei critici che dei lettori. Tutto il canto ha un andamento lento, una musica un po' triste e malinconica; deriva da un fondo di mestizia, di dolore. Da questo accento dolente deriva il fascino maggiore della lirica.
Il Saba racconta come un pomeriggio d'estate, durante l'assenza di sua moglie, seduto sui gradini del solaio, in attesa del suo ritorno, non avendo voglia né di leggere né di scrivere, rimasto colpito dalla presenza di una cagna, la "lunga cagna" descritta per l'appunto nella terza strofa che gli si avvicinò e gli pose il muso sulle ginocchia, guardandolo con occhi nei quali si leggeva tanta dolcezza ma anche tanta ferocia, nacque così la sua poesia.
Tuttavia, la poesia in cui Umberto Saba paragona Lina (la moglie) alle femmine di ogni specie di animale, non piacque alla consorte, la quale ci rimase molto male.
Molti si meravigliavano come una donna venga paragonata, anche se affettuosamente ad animali, e per lo più ad animali da cortile, poiché l'immagine femminile che traspare dal testo risulta del tutto inconsueta e originale all'interno della tradizione poetica italiana, dove la donna è vista per lo più secondo un processo di idealizzazione o di cristallizzazione (la donna era spesso paragonata ad angeli, fiori e paesaggi splendidi alla vista dello scrittore), come faceva Dante Alighieri con "il dolce stilnovo" In queste strofe, che si snodano, secondo disordinata sequenza, proponendo una serie di successivi confronti tra la moglie del poeta e gli animali, non vi è nulla di tutto ciò.
Il paragone più immediato è il confronto tra sua moglie e una bianca pollastra.
La semplicissima struttura di questa poesia può far pensare ad una litania fondata su strofe di alterna lunghezza che determinano la successiva descrizione di una femmina animale.
In questa poesia prevale il verso settenario, cui si aggiungono alcuni endecasillabi e due quinari. Numerose sono le rime liberamente e irregolarmente disposte.
La pollastra, la giovenca, la cagna, la coniglia, la rondine, la formica e la pecchia, "tutte femmine di tutti i sereni animali che si avvicinano a Dio", si sgranano davanti a noi, come se fossero accompagnate dal passaggio lento e liturgico dei grani di un rosario, realizzando l'identità di Lina, proiettandola e fissandola in un esemplare fortemente marcato.
Dopo aver scritto che "se un bambino potesse sposare e scrivere una poesia per sua moglie scriverebbe questa", Saba ha aggiunto che questa poesia fa pensare all'infanzia, a un improvviso ritorno di questa; un ritorno che non esclude la presenza dell'uomo. Il poeta, come il fanciullo, ama gli animali, che per la semplicità e la nudità della loro vita, ben più degli uomini, obbligati da necessità sociali, si avvicinano a Dio, alle verità cioè si possono leggere nel libro aperto della creazione.
Pur costituendo una specie di filtro, i paragoni, che introducono uniformemente le singole strofe suggeriscono una caratterizzazione diretta, che vive di atteggiamenti e di gesti precisi, volti ad illustrare le qualità fisiche e morali della donna.
Protagonisti di un genere letterario ben definito, la favola, gli animali perdono ogni funzione di tipo rigidamente allegorico , trasformandosi in emblemi naturali della vita.
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