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La prima figura di intellettuale la ritroviamo nella Roma delle Origini, con un personaggio di cui la storia ricorda non solo l'attività politica, ma anche quella culturale: Appio Claudio Cieco.
Egli appare il precursore di quei tanti aristocratici illuminati che, a partire dal II secolo a.C., sapevano intrecciare otium e negotium, attività politica e riflessione intellettuale.
Il suo nome fu legato alle guerre contro Sanniti, Etruschi e Sabini, ma soprattutto all'impegno civile dimostrato nel costruire opere pubbliche e nell'operare riforme democratiche. Censore nel 312, opera l'immissione nelle tribù di cittadini non proprietari fondiari e dispone l'inserimento nel Senato di uomini che non avevano mai ricoperto cariche pubbliche e dei figli dei liberti arricchiti con le nuove professioni. Era questo il riconoscimento dei nuovi ceti di artigiani e commercianti, nel quadro dei mutamenti indotti dalle conquiste. La valenza di Appio sta anche nel conflitto politico con Pirro: l'esito vittorioso della guerra preparava il successivo balzo dell'imperialismo Romano e l'egemonia conseguita sulle città greche dell'Italia meridionale, poichè teneva in stretto contatto Roma con la civiltà greca, apriva la strada per una rapida diffusione dell'Ellenismo a Roma.
Attività politica e cultura facevano di Appio il precorritore dell'ellenismo scipionico.
Catone
L'assimilazione della civiltà greca riguardò tutti gli aspetti della vita associata, non solo la letteratura e la filosofia, ma i costumi, l'educazione dei giovani e persino il modo di vestire. Il Filellenismo provocava irritazione e sdegno nei tradizionalisti e nei conservatori che, nella cultura greca temevano una forza corrosiva dell'antica gravità dei costumi. Lo stesso Scipione Emiliano criticava aspramente il fatto che l'educazione dei giovinetti romani includesse ormai anche il canto e la danza alla maniera dei greci. Capofila degli oppositori più tenaci fu Marco Porcio Catone (234-149 a.C.), detto il Censore, che nella sua lunga vita fu contrario al filellenismo degli Scipioni e si mostrò rigido e ostinato sostenitore delle tradizioni dei padri. Catone nella sua polemica antigreca aveva molteplici motivazioni: l'origine contadina, l'attaccamento proprio del contadino alle usanze tradizionali e l'avversione tipica dei ceti popolari nei confronti dei greci e orientali venuti a cercare fortuna a Roma, che, per la superiore cultura, erano considerati concorrenti pericolosi nell'ottenere favori e doni dalle ricche famiglie patrizie e impieghi nell'amministrazione statale. Ma l'Impero Romano, a causa della sua politica espansionistica, subiva necessariamente una trasformazione culturale. Il moralismo fanatico e la religiosità arcaica non potevano reggere il confronto con i valori umanistici dell'ellenismo nè con la suggestione che la mitologia greca emanava, dai poemi omerici e dai grandi tragici greci, nè tanto meno con il pensiero critico delle scuole filosofiche. Del resto, il tradizionalismo culturale di Catone non aveva come fine una visione strategica diversa da quella che prevedeva l'espansione romana nel Mediterraneo.
Il Circolo degli Scipioni
Il differenziarsi delle attività economiche, l'accentuarsi delle stratificazioni sociali, lo scontro tra vecchie e nuove esigenze del popolo, l'irrompere nella società romana di una cultura e di una letteratura che esaltavano il primato dell'individuo nella sua soggettiva intimità, con le sue aspirazioni personali, i suoi dubbi, le sue paure, come avviava la società intera verso una progressiva laicizzazione della vita pubblica, così favoriva il liberarsi dei singoli dagli antichi tabù collettivi. Emerge così una tendenza all'individualismo che, ovviamente, riguardava in primo luogo le classi superiori, direttamente responsabili e impegnate nel processo di trasformazione.
Nel filellenismo si distinse la famiglia degli Scipioni, i cui membri più rappresentativi furono Scipione l'Africano, il vincitore di Annibale, e Scipione Emiliano, il distruttore di Cartagine e di Numanzia.
La loro importanza nella storia di Roma è grande. Valenti generali e uomini politici, amanti della cultura e dell'arte, riassumono in sè le qualità più alte che l'oligarchia senatoria seppe esprimere nella sua storia secolare: il coraggio e la valenza della pratica militare, l'energia e la costanza nel perseguire e realizzare le decisioni prese dal Senato, l'amore per la cultura e per tutte le manifestazioni della letteratura e dell'arte, la volontà di arricchire di superiore umanità la tradizione romana.
Tuttavia, nei primi decenni del II secolo, accadde un fenomeno che si rivelerà fattore gravissimo di rottura della repubblica senatoria.
Le grandi personalità della storia romana dei secoli precedenti: Furio Camillo, Attilio Regolo, Fabio Massimo si presentano come amministratori scrupolosi, obbedienti alle leggi, rispettosi della volontà del Senato; Scipione l'Africano, invece, riscuote una gloria puramente personale e gode di un seguito che appartiene a lui più che allo stato. Le divisioni che, fino a quel momento, c'erano state solo tra i diversi strati della popolazione, ora si manifestano nella stessa classe dirigente con l'emergere di leader a cui queste differenziazioni si ricollegano. Ma siamo agli inizi dell'abbandono della vita politica da parte di Scipione e il suo ritirarsi in esilio.
Cicerone
Si conosce bene la diffidenza, se non ostilità, degli ambienti romani del IV e III secolo nei confronti delle attività intellettuali. A contatto con il mondo greco e con la sua superiore civiltà, tuttavia, queste resistenze diminuirono, seppur lentamente. Eppure l'antico pregiudizio serpeggia ancora nel I secolo. Esso, tuttavia, non riguardava le forme culturali legate alla politica, come l'oratoria, che a Roma era incentivata e stimata e che riguardava l'esercizio delle cariche pubbliche e l'intervento nei dibattiti al senato, bensì quelle attività intellettuali che riguardavano più la singola persona che la collettività. Bisogna però precisare che, quando si parla di filellenismo degli intellettuali e delle classi elevate, non si deve pensare che essa abbracciasse tutti gli aspetti della grecità.
In questo periodo spiccherà la figura di Cicerone, uomo politico dedito però anche alla letteratura. Come nella politica, Cicerone rifuggiva dalle posizioni estreme. Egli si riprometteva di aiutare l'assorbimento della cultura greca nella tradizione romana e di far capire alla classe dominante che il compimento dei doveri verso lo stato (NEGOTIUM) non doveva rendere insensibile ai piaceri della letteratura (OTIUM). Egli riteneva che si potesse essere utili alla patria anche dedicandosi alle lettere e, soprattutto, alla filosofia. In questo periodo a Roma si diffusero rapidamente le scuole filosofiche greche dell'epicureismo e dello stoicismo e, all'interno della cultura latina, è Cicerone l'intellettuale che meglio rispecchia questa compresenza e molteplicità di indirizzi filosofici.
Poetae Novi
Contemporaneamente a Roma si sviluppa la scuola la scuola dei 'poetae novi' o 'neoteroi', movimento che nasce e si sviluppa solo sul piano letterario, ma che risente di tutta la crisi dei valori etico-politici della prima metà del I secolo a.C.
Cicerone fu uno dei più accaniti oppositori della poesia neoterica poichè egli della letteratura ellenistica, individualista, cortigiana e borghese, a cui i poetae novi si ispiravano, dà un giudizio del tutto sfavorevole.
Anche in campo politico, in questo periodo si sviluppa quell'individualismo per cui il potere e la res publica sono considerati possesso personale. Da questo fatto consegue un sempre maggior distacco tra il letterato e la vita pubblica, distacco facilitato anche dalla diffusione della filosofia epicurea, che proprio a Roma dove veniva praticato il negotium, celebra l'otium e che negava ogni valore ai privilegi sia di casta che di popolo.
In questo periodo di estrema confusione sorge la scuola dei poetae novi, che rappresentano un movimento di ribellione e contestazione: per loro non esiste più il civis che è disposto a sacrificare tutto per il bene dello stato, ma esiste l'individuo che ritiene unica cosa importante nella vita le sue passioni, sentimenti e affetti.
Si realizza così un nuovo ideale di gloria non più inteso come eccellenza nella vita civile e militare, ma come arricchimento e indagine del proprio spirito.
Circolo di Mecenate
Augusto, nella ricostruzione dello stato romano, non poteva trascurare di rivolgere la sua attenzione agli aspetti della vita associata relativi all'ideologia, alla religione, alla letteratura e all'arte. Egli voleva ripristinare gli antichi valori, garanzia di saggezza e grandezza. Per questo motivo Augusto si circondò di intellettuali ritenendoli gli ideali portatori del suo programma di riforme. Colui che, nel settore della cultura, seppe adeguatamente interpretare le direttive di Augusto fu l'intelligentissimo e coltissimo Mecenate, che diede vita all'omonimo Circolo.
Mecenate si dedicò alla coltivazione dell'attività letteraria soprattutto per gusto personale oltre che per convenienza politica: egli amava la poesia amorosa di stampo neoterico. Mecenate coltivò una poesia poco pretenziosa e ironica che non ambì mai a essere un'opera d'arte. Al suo circolo appartennero poeti quali Virgilio, Orazio e Properzio. Tuttavia, il Circolo di Mecenate, non fu l'unico circolo che a Roma si occupò di letteratura.
I Circoli di opposizione
I due circoli più rilevanti furono quelli di Asinio Pollione e Messalla Corvino.
Entrambi appartenevano ad antiche famiglie senatorie e si allontanarono dalle cariche pubbliche quando Augusto salì al potere. Durante il loro ozio forzato si dedicarono all'attività letteraria, apprezzando sempre di più la bellezza dell'elegia.
CIRCOLO DI ASINIO POLLIONE
Asinio Pollione, terminata la carriera politica e militare, si dedicò alla letteratura, soprattutto alla stesura delle sue Historiae, opera andata perduta. Pollione fu anche promotore di studi, fondò la prima biblioteca pubblica di Roma e introdusse le Recitationes, ovvero letture di componimenti dedicate ad un pubblico colto e raffinato. In questo modo, piano piano, l'eloquenza assunse sempre più considerazione diventando, in seguito, un passatempo da salotto. Pollione diede anche molta importanza al mito e alla poesia lirica ed intimista.
CIRCOLO DI MESSALLA CORVINO
Anche Messalla Corvino si dedicò alla letteratura al termine della sua carriera politica e militare, ma si mantenne sempre indipendente di fronte ad Augusto e la sua influenza nell'ambiente romano non fu rilevante. Si dedicò prevalentemente ad una poesia di stampo pastorale sullo stile teocriteo e si circondò di poeti amanti dello stesso genere e diede vita ad un circolo letterario imperniato sul sogno, sull'amore e sul mito.
Caso Ovidio
Un poeta che fece il suo noviziato proprio nel circolo di Messalla fu Ovidio che, sullo stampo di Tibullo, si occupò di elegia prima della didascalica d'amore. L' Ars Amatoria fu l'opera più importante di Ovidio perchè sconvolse e animò i severi costumi su cui si fondava il governo di Augusto. Ovidio ebbe un enorme successo mondano e letterario in quanto offrì un componimento che rispecchiava le esigenze e gli interessi della Roma di quel tempo. Augusto non potè che osservare il fallimento del suo programma, tanto che anche la figlia e la nipote furono coinvolte in uno scandalo. Nell'8 d.C. Ovidio fu esiliato a Tomi e le sue opere furono bandite dalle biblioteche. Il motivo di questo provvedimento nei suoi confronti non fu mai chiarito. Fin da allora nessuno parlò mai delle motivazioni, solo lo stesso Ovidio accennò qualcosa in un'occasione, ma la situazione non fu mai chiarita. Ovidio parla di un carmen e di un error. Se il carmen viene con certezza ricollegato all' Ars Amatoria,
dell'error si conosce molto poco. Si pensa che Ovidio fosse stato coinvolto nell'adulterio che la figlia di Augusto, Giulia, commise e che Ovidio sia stato punito come tutti i partecipanti a quell'avvenimento.
Ovidio fu allontanato come tentatore dei modelli etici che Augusto si riprometteva di restaurare.
Il 'caso Ovidio' acquistò importanza poichè fu sintomatico del rapporto stretto, che già allora, esisteva fra potere politico e letteratura. Da allora in poi l'antica tolleranza venne spodestata da una politica dura e repressiva dei letterati non graditi ai modelli imperiali. Così come Ovidio, negli anni successivi, vennero banditi Timagene, Tito Labieno e Cassio Severo.
Anche dopo la morte di Augusto questa politica di repressione restò pressochè invariata e l'ambiente letterario si divise in due grosse fazioni: quello degli intellettuali protetti dall'imperatore che non ostacolavano l'ideologia, e quello degli intellettuali legati alla propria autonomia tanto da non accettare compromessi e rischiando repressioni.
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