Cicerone, de senectute
SCIPIO: Saepe numero admirari soleo cum hoc C.
Laelio cum ceterarum rerum tuam excellentem, M. Cato, perfectamque sapientiam,
tum vel maxime quod numquam tibi senectutem gravem esse senserim, quae
plerisque senibus sic odiosa est, ut onus se Aetna gravius dicant sustinere.
CATO: Rem haud sane difficilem, Scipio et
Laeli, admirari videmini. Quibus enim nihil est in ipsis opis ad bene beateque
vivendum, eis omnis aetas gravis est; qui autem omnia bona a se ipsi petunt,
eis nihil malum potest videri quod naturae necessitas adferat. Quo in genere
est in primis senectus, quam ut adipiscantur omnes optant, eandem accusant
adeptam; tanta est stultitiae inconstantia atque perversitas. Obrepere aiunt
eam citius, quam putassent. Primum quis coegit eos falsum putare? Qui enim
citius adulescentiae senectus quam pueritiae adulescentia obrepit? Deinde qui
minus gravis esset eis senectus, si octingentesimum annum agerent quam si
octogesimum? Praeterita enim aetas quamvis longa cum effluxisset, nulla consolatio
permulcere posset stultam senectutem. Quocirca si sapientiam meam admirari
soletis (quae utinam digna esset opinione vestra nostroque cognomine!), in hoc
sumus sapientes, quod naturam optimam ducem tamquam deum sequimur eique
paremus; a qua non veri simile est, cum ceterae partes aetatis bene descriptae
sint, extremum actum tamquam ab inerti poeta esse neglectum. Sed tamen necesse
fuit esse aliquid extremum et, tamquam in arborum bacis terraeque fructibus
maturitate tempestiva quasi vietum et caducum, quod ferundum est molliter
sapienti. Quid est enim aliud Gigantum modo bellare cum dis nisi naturae
repugnare? LAELIUS: Atqui, Cato, gratissimum nobis, ut etiam pro Scipione
pollicear, feceris, si, quoniam speramus, volumus quidem certe senes fieri, multo
ante a te didicerimus, quibus facillime rationibus ingravescentem aetatem ferre
possimus. CATO: Faciam vero, Laeli, praesertim si utrique vestrum, ut dicis,
gratum futurum est. LAELIUS: Volumus sane, nisi molestum est, Cato, tamquam
longam aliquam viam confeceris, quam nobis quoque ingrediundum sit, istuc, quo
pervenisti videre quale sit.
SCIPIONE: Spesse volte mi è capitato di
meravigliarmi, assieme al qui presente Caio Lelio, della tua straordinaria e
perfetta saggezza in tutte le cose, Marco Catone, ma specie del fatto che non
ho mai avuto la sensazione che ti sia gravosa la vecchiaia, la quale alla
maggior parte dei vecchi è così odiosa che dicono di sostenere un peso più
grave dell'Etna.
CATONE:
Mi sembra, Scipione e Lelio, che voi vi stupiate di una cosa per nulla
difficile. Infatti per coloro che non hanno in se stessi nulla che li aiuti a
vivere bene e con serenità ogni età è gravosa; a quelli invece, che chiedono da
sé ogni bene, non può sembrar male nulla che necessità di natura comporti. E in
questo genere (di cose) vi è innanzitutto la vecchiaia. Tutti desiderano
raggiungerla, poi la biasimano quando l'hanno raggiunta: tanta è l' incoerenza
e la bizzarria della stoltezza! Dicono che essa coglie all'improvviso più
presto di quanto avessero creduto. Prima di tutto, chi li ha indotti a pensare
il falso? Forse che la vecchiaia subentra alla giovinezza più rapidamente di
quanto la giovinezza (subentra) all'infanzia? E poi, quanto meno gravosa
sarebbe ad essi la vecchiaia se avessero ottocento anni piuttosto che ottanta?
Infatti una volta che è passata la vita vissuta, benché lunga, nessuna
consolazione può lenire una stolta vecchiaia. Perciò, se siete soliti stupirvi
della mia saggezza (la quale possa esser degna del vostro giudizio e del mio
soprannome [Sapiente]!), sono saggio in questo, che io seguo la natura ottima
guida come un dio e le obbedisco; non è verosimile che, mentre gli altri
periodi della vita sono stati bene ripartiti, l'ultimo atto sia da essa stato
trascurato come da un poeta senz'arte. Ma tuttavia era pur necessario che
esistesse qualcosa di ultimo e, come nei frutti degli alberi e nei prodotti
della terra, qualcosa quasi di vizzo e di caduco per maturità raggiunta; cosa
che un saggio deve sopportare con rassegnazione: che altro è infatti il
combattere contro gli dei al modo dei Giganti se non l'opporsi alla natura? LELIO:
Ebbene, o Catone, farai cosa molto gradita a noi, infatti lo chiedo anche a
nome di Scipione, se impareremo da te molto prima in che modo possiamo
sopportare molto più facilmente l'età che diventa più pesante, dal momento che
speriamo, o almeno desideriamo, diventare vecchi. CATONE: Certamente lo farò,
Lelio, soprattutto se sarà, come affermi, cosa gradita per tutti e due. LELIO:
Vogliamo davvero, se non ti rincresce, Catone, vedere come sia questo punto cui
sei arrivato, come se tu avessi percorso un lungo cammino, che anche noi
dobbiamo intraprendere.