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Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi
Finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
Temptaris numeros. Ut melius quicquid erit pati,
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques et spatio brevi
Spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invidia
Aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
(Orazio)
Cogli l'attimo
Tu non chiedere (è inutile saperlo) quale fine gli dei
Abbiano assegnato a me, quale a te, oh Leuconoe,
e non tentare i calcoli dei babilonesi.Quanto meglio sarà sopportare qualsiasi cosa,
sia che Giove ci abbia assegnato molti inverni, sia che che ci abbia assegnato l'ultimo,
che ora squassa il mar Tirreno sugli opposti scogli:
sii saggia, mesci il vino e recidi la lunga speranza poiché lo spazio è breve.
Mentre parliamo il tempo invidioso sarà già passato:
cogli l'attimo, fidandoti del futuro il meno possibile.
Orazio si rivolge a una ragazza ansiosa di conoscere il proprio futuro e le detta alcune semplici norme di una vita ideale di saggezza: bisogna accettare il proprio destino e godere il tempo presente vivendo ogni giorno come se fosse l'ultimo della nostra esistenza perché la vita è precari e fugace ed è praticamente impossibile sapere cosa ci riserverà il domani.
Questo concetto deriva dalla filosofia epicurea.
Il linguaccio è sobrio ed essenziale, il registro linguistico è quello del parlato e della conversazione.
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