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Le dorsali oceaniche costituiscono una figura caratteristica del nostro pianeta, sono sede di intenso vulcanismo e di forte sismicità e si estendono per oltre 60.000 km. Non sono catene montuose come quelle dei continenti, ma corrispondono ad una lunga fascia di crosta oceanica (ampia da 1.000 a 4.000 km) inarcata verso l'alto tanto che la sua sommità è 2.000-3.000 m più alta degli adiacenti fondi oceanici, e in qualche punto arriva ad emergere dalla superficie del mare (Islanda, Azzorre). La "cresta" del sistema di dorsali è quasi ovunque segnata da un solco longitudinale largo qualche decina di km e profondo 1.500-3.000 m, chiamato rift valley per la sua grande somiglianza con il sistema di fosse dell'Africa Orientale noto come Great Rift Valley. Tale depressione è limitata da scalinate di ripide pareti che corrispondono a un sistema di profonde spaccature (faglie) attraverso l'intera crosta. Altre fratture, trasversali rispetto all'asse delle rift valley, sono dette faglie trasformi. Sotto la crosta, in corrispondenza delle dorsali, esiste un flusso ascendente continuo di materiale molto caldo in risalita da livelli profondi entro il mantello. La massa di materiale caldo in risalita, arrivata in prossimità della superficie, si espande dividendosi in rami che si allontanano in direzioni opposte e si muovono alla velocità di qualche cm/anno sotto le piane abissali. In superficie i due fianchi delle dorsali si allontanano a partire dalla rift valley, ma tale movimento non lascia uno spazio vuoto, in quanto risale immediatamente altro magma dalle faglie che continuamente si aprono, formando nuovi ammassi di rocce. I fondi oceanici si accrescono e si espandono a partire dalla rift valley.
Le fosse abissali sono depressioni del fondo lunghe migliaia di km e relativamente strette, molte delle quali scendono a più di 10.000 m di profondità. L'attività vulcanica vi è sistematicamente presente, ma localizzata su una fascia parallela alla fossa e situata ad una certa distanza. Il vulcanismo associato alle fosse è ben diverso da quello delle dorsali: quest'ultimo è caratterizzato da effusioni di lava fluida, mentre quello lungo le fosse è altamente esplosivo, alimentato da magmi molto ricchi di gas e vapori. Le fosse sono accompagnate anche da forte sismicità. Esse si formano a partire dal materiale del mantello in movimento che, divenuto più freddo e pesante, comincia a ridiscendere in profondità (movimento di subduzione); la litosfera segue tale movimento inflettendosi verso il basso e immergendosi nel mantello
Rapporto tra la teoria di Wegener e la Tettonica delle placche
Secondo Wegener, circa 200 milioni di anni fa vari lembi di crosta continentale oggi separati si trovavano uniti in un unico grande continente, detto Pangèa, circondato da un unico grande oceano, Pantàlassa; a partire da quell'epoca la Pangèa si sarebbe smembrata in più parti (Americhe, Africa, Eurasia, India, Australia, Antartide) che si sarebbero sempre più allontanate tra loro secondo un meccanismo noto come deriva dei continenti: grossi frammenti di crosta sialica sarebbero andati pian piano alla deriva verso Ovest per essere rimasti in ritardo rispetto alla rotazione della Terra verso Est. La teoria della deriva dei continenti partiva da premesse valide, ma risultava poco sostenibile nelle cause e nelle modalità della deriva stessa: di conseguenza tutta la teoria venne contrastata, e la mobilità della crosta veniva ammessa solo per movimenti isostatici. Per affermarsi decisamente, l'idea di una <<Terra mobile>> ebbe bisogno di altri dati di supporto, che vennero dalla scoperta dell'espansione dei fondi oceanici e del paleomagnetismo. Esse dimostrarono rispettivamente che il fondo degli oceani non è stabile ma in continua evoluzione, e che i continenti si muovono, scivolando e ruotando lentamente sulla superficie terrestre. Queste scoperte portarono, alla fine degli anni Sessanta, alla formulazione della teoria globale sull'evoluzione del pianeta Terra, la Tettonica dele placche, che prende in esame il comportamento della litosfera: quest'ultima è intersecata per tutto il suo spessore da fasce caratterizzate da sismicità e vulcanismo (dorsali di espansione, fosse di subduzione e faglie trasformi), le quali formano una rete che si dirama su tutta la litosfera, suddividendola in una ventina di maglie irregolari, dette placche o, meno propriamente, zolle.
Rapporto tra sismi e placche
La distribuzione dell'attività sismica coincide per oltre il 95% con le fasce lungo cui interagiscono i margini delle placche in cui è suddivisa la litosfera. Lungo le dorsali, le forze che tendono a far allontanare uno dall'altro i due fianchi della rift valley e la risalita del magma attraverso numerose fratture provocano continuamente l'attivazione di numerose faglie, producendo sismi di modesta entità o una miriade di "microsismi", compresi entro i primi 10 km di spessore della crosta. La forte sismicità associata alle fosse oceaniche è invece legata alla subduzione di una placca sotto l'altra. Molti dei maggiori terremoti che si verificano in tale situazione sono compresi nei primi 50 km di profondità e sono in gran parte legati alle numerose faglie provocate nel margine della placca sovrastante dal violento attrito con la placca in subduzione. Nelle catene montuose di orogenesi recente, nate da collisioni continentali, non si sono ancora esaurite le spinte che hanno deformato e fatto saldare tra loro i margini venuti a contatto (per es.: le catene circum-mediterranee, con subduzione della placca africana sotto quella euroasiatica). Sono necessari molti milioni di anni perché gli sforzi che sollecitano una fascia di crosta orogenizzata di recente si esauriscono: solo allora il nuovo settore di crosta sarà divenuto stabile e praticamente asismico. Una piccola percentuale di terremoti, infine, cade lontano dai margini. Si pensa che, occasionalmente, gli sforzi si possano propagare all'interno di una placca litosferica, e possano crescere fino a superare localmente la resistenza delle rocce stesse, soprattutto in qualche punto di minor resistenza (per esempio lungo le antiche faglie), provocando uno dei rari terremoti localizzati all'interno di una placca.
Rapporto tra vulcanismo e placche
Il vulcanismo essenzialmente effusivo lungo l'asse delle dorsali oceaniche è dovuto alla risalita dalle profondità del mantello del materiale caldo che fa inarcare la litosfera. Il magma deriva dalla fusione parziale delle rocce del mantello ed è, di conseguenza, di natura basaltica: essendo povero in silice, questo magma dà origine a lave fluide, che fuoriescono "tranquillamente". Il vulcanismo fortemente esplosivo è localizzato lungo gli archi insulari vulcanici o lungo il margine dei continenti che fronteggiano le fosse abissali. E' collegato al processo di subduzione, nel corso del quale la placca che sprofonda viene progressivamente fusa; la presenza di notevoli spessori di sedimenti marini fa sì che il magma prodotto dalla fusione sia ricco in silice (quindi viscoso) e di fluidi (anidride carbonica, vapore acqueo): di conseguenza il vulcanismo dà origine a manifestazioni altamente esplosive. Le fasce di vulcanismo ora citate sono chiaramente associate all'attività di margini costruttivi e distruttivi delle placche, ma esistono anche numerosi grandi centri vulcanici all'interno delle placche. Nella maggior parte dei casi siamo di fronte alla manifestazione in superficie di un "punto caldo", una ristretta area della crosta caratterizzata da elevato flusso termico e continua effusione di lave basaltiche. I punti caldi corrisponderebbero alla risalita localizzata di materiale caldo di origine molto profonda e non sembrano legati all'attività dei margini delle placche, anche se qualcuno di essi si trova sul percorso di una dorsale.
Paleomagnetismo
Il paleomagnetismo consente lo studio del campo magnetico terrestre del passato, grazie al fatto che molte rocce conservano una magnetizzazione propria, indotta dal campo geomagnetico esistente al momento della loro formazione. Si è scoperto così che il campo geomagnetico esiste da almeno 3,5 miliardi di anni. Ma l'analisi sistematica del paleomagnetismo di numerose rocce ha portato ad altre sorprendenti scoperte: nel corso degli anni Cinquanta alcuni ricercatori inglesi osservarono che la direzione della magnetizzazione conservata in rocce antiche era diversa da quella attuale, e non solo; a seconda dell'età della roccia esaminata, tale direzione risultava diversa, come se il Polo nord magnetico avesse occupato posizioni differenti nel tempo. Ma l'ipotesi che i poli magnetici della Terra fossero "migrati" nel tempo si scontrò con un'altra constatazione: per una stessa età, rocce di continenti diversi indicavano una diversa posizione del polo magnetico. Tale contraddizione fu superata con un radicale mutamento di prospettiva: i poli magnetici non si erano spostati, ma i continenti si erano mossi, scivolando e ruotando lentamente sulla superficie terrestre: di conseguenza le rocce avevano cambiato posizione e orientamento nel tempo e con esse si era spostato anche il loro campo magnetico fossile. Le scoperte del paleomagnetismo hanno contribuito a riportare alla ribalta l'idea che i continenti possano muoversi, già proposta su basi diverse almeno 40 anni prima.
Il paleomagnetismo ha portato anche ad un'altra importante scoperta: in molte rocce di età recente la direzione di magnetizzazione risulta esattamente opposta a quella del campo geomagnetico attuale; il fenomeno si osserva anche in rocce molto più antiche, il cui campo magnetico, oltre a indicare una direzione più o meno ruotata rispetto a quella attuale, rivela anche la presenza di ripetute inversioni di polarità. La conclusione che ne è stata tratta indica che il campo magnetico terrestre è passato alternativamente da normale (cioè orientato con il Polo nord come oggi) a inverso.
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