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Maria montessori - modelli della mente e modelli di pedagogia, la teoria di piaget sullo sviluppo mentale del bambino, piaget criticato da vygotsky




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MARIA MONTESSORI


È merito di Maria Montessori se esiste una pedagogia italiana nel mondo. Medico di formazione positivistica, chiamata ad occuparsi di bambini anormali presso la clinica psichiatrica dell'Università di Roma, ben presto si rende conto che la psicologia sperimentale dispone di strumenti di osservazione che essa impiega con profitto per le sue misurazioni di laboratorio, ma di cui trascura le potenzialità educative di recupero. Così trasforma i test in strumenti di sviluppo e trasferisce l'osservazione dal laboratorio all'interno della scuola, che modifica radicalmente in un ambiente adatto per la libera espressione delle tendenze naturali dell'infanzia. È la nascita della Casa dei Bambini laboratorio didattico di un originale modello di scuola dell'infanzia. I suoi interessi si rivolgono, fin dai primi anni di studio, alle discipline scientifiche e matematiche. È la prima donna, dopo la laurea conseguita, ad esercitare in campo medico. Nel 1898 partecipa al primo "Congresso pedagogico italiano", dove espone i risultati del suo lavoro pedagogico presso la clinica psichiatrica romana. La sua tesi, sostenuta con forza e, soprattutto, confortata dai dati sperimentali del suo lavoro, è che il soggetto anormale richiede un intervento che sia prevalentemente educativo e non medico, tale da perseguire come scopo non solo la "cura" e "l'assistenza", ma la modificazione complessiva della sua personalità. Il 6 gennaio 1907 apre la sua prima Casa dei bambini. per la storia del pensiero pedagogico va detto che segna un momento fondamentale della pedagogia del Novecento. Al bambino ludico di Frobel, la Montessori accosta l'idea del bambino laborioso per il quale crea una scuola nuova, che rompe in via definitiva ogni ponte con la tradizione dell'asilo infantile, luogo di custodia, per proporsi istituzionalmente come scuola dell'infanzia. La Montessori non ha dubbi che la pedagogia richieda un rinnovamento profondo in direzione scientifica, così come è convinta che l'introduzione della scienza in campo educativo postuli un'osservazione obiettiva del soggetto, che deve essere conosciuto per essere adeguatamente educato. Oggetto dell'osservazione non è il bambino studiato in laboratorio, ma deve essere il bambino riscoperto nella sua autenticità e, dunque, il bambino che non solo non si rivela nella situazione artificiale del laboratorio, ma che neppure può manifestarsi nella scuola, dato che quest'ultima ne reprime con i propri metodi costrittivi ogni espressione di spontaneità. "La psicologia infantile, in se stessa - asserisce la Montessori - non può avere scoperto i caratteri naturali e quindi le leggi psicologiche che presiedono nella crescenza infantile, perché nella scuola esistono condizioni di vita così anormali da far risaltare i caratteri di difesa e di stanchezza, invece di rivelare l'espressione di energie creative che aspirano alla vita". Le condizioni metodologiche del rinnovamento scientifico dell'educazione vanno dunque ricercate nella predisposizione di condizioni di vita scolastica che siano tali da consegnare all'osservazione obiettiva l'alunno autentico, l'alunno liberato dalle deformazioni prodotte dalla disciplina e dalle inibizioni dell'ambiente scolastico tradizionale. La Montessori rovescia così uno dei cardini su cui si era basata la pedagogia scientifica dell'ultimo Ottocento. Non è certo la scienza ad edificare la scuola nuova, ma è il rinnovamento della vita scolastica, attuato in funzione della libertà dell'alunno, che pone le premesse per una nuova scienza dell'infanzia. Tutto l'armamentario della psicologia sperimentale va pertanto riconsiderato nelle sue funzioni: non solo deve passare dal laboratorio alla scuola, ma deve trasformarsi da strumento di osservazione e di misurazione dei livelli di sviluppo sensoriale e mantale, in strumento educativo e dunque di trasformazione della personalità infantile. Il nucleo centrale della psicologia infantile disegnato dalla Montessori nasce nei primi due anni di attività della Casa dei Bambini. All'immagine tradizionale del bambino che è tutto gioco e immaginazione, si va sostituendo sotto i suoi occhi l'idea di un bambino concentrato, disciplinato, calmo, severamente impegnato nel suo lavoro, capace di giungere alla conquista esplosiva della scrittura e della lettura già in età prescolastica. È bastato sottrarre il bambino alle influenze negative dell'adulto, alle inibizioni e repressioni del suo bisogno di attività e, quindi, collocarlo in un ambiente adatto, costruito in ragione delle sue possibilità d'azione, perché si rivelasse l'autentica natura dell'infanzia, quella cioè di un soggetto dotato di una straordinaria energia creativa e di insospettate potenzialità di sviluppo. È la scoperta del segreto dell'infanzia, la scoperta del bambino psichico, che non richiede la semplice custodia dell'asilo tradizionale, ma invoca spazio per liberare le proprie potenzialità creative nella costruzione della propria personalità. È quanto consente alla Montessori di occupare un posto di primo piano nell apedagogia del Novecento, per l'istanza che pone di una scuola istituzionalmente riservata all'infanzia ed alla sua prima educazione. Gli elementi che caratterizzano il metodo della Montessori sono : l'ambiente speciale della casa, costruita a misura del bambino, la maestra umile e il materiale scientifico. La teorizzazione psicologica della Montessori è successiva al metodo e quindi volta a giustificare a posteriori le intuizioni originarie. Il diritto del bambino all'educazione in età prescolastica nasce da un profilo psicologico che ne evidenzia chiaramente i momenti evolutivi. Nella prima fase dello sviluppo da 0 a 3 anni, la mente del bambino si configura come mente assorbente, che assimila inconsciamente, ma in modo selettivo, i dati coi quali viene in rapporto nel suo ambiente. È la fase originaria dello sviluppo, ed è quella più creativa, nel senso che è in questi primi tre anni di vita che l'embrione spirituale giunge alla propria incarnazione, e dunque costruisce le strutture fondamentali della personalità. L'apprendimento, in questo periodo, si identifica col vivere stesso, è una sorta di processo vitale durante il quale il bambino realizza le sue prime forme di adattamento all'ambiente.             La seconda fase occupa i tre anni successivi, quelli che coincidono con l'educazione prescolastica. Alla mente assorbente, che continua a mantenere vive le proprie energia di assimilazione, si accosta la mente cosciente che ubbidisce al bisogno del bambino di mettere ordine nell'enorme cumulo di impressioni assorbite nel periodo precedente. È il momento in cui, per la Montessori, si giustifica e si impone l'introduzione di materiale scientificamente studiato, capace di offrire al bambino l'alfabeto dell'organizzazione logica dei suoi contenuti mentali. La Montessori introduce a questo punto la nozione di mente matematica, mentre definisce i materiali didattici costruiti sulla base dell'isolamento di singole qualità sensoriali, che adempiono alla funzione di mediare i rapporti conoscitivi del bambino con il suo ambiente. L'educazione prescolastica assume così, le forme di una vera e propria scuola dell'infanzia, con contenuti e metodi suoi propri, fondati su una serie di esercizi sensoriali di sviluppo, condotti per via analitica, ed esercizi di vita pratica, ad andamento per così dire sintetico, di applicazione delle acquisizioni sensoriali nelle situazioni comuni di vita. Il bambino che entra nella scuola dell'infanzia è quasi sempre, per come asserisce la Montessori, un soggetto deviato, cioè un bambino che per effetto delle inibizioni provocate dall'adulto e dal suo potere ha subito un arresto o una deformazione nello sviluppo spontaneo del proprio embrione spirituale, cercando forme di compensazione che ne hanno alterato l'autenticità e la creatività originarie. La Montessori lo definisce un bambino spezzato che per reagire è dovuto scappare rifugiandosi nei capricci o nel mondo dell'immaginazione. La Montessori classifica come forme di deviazione il gioco, il gusto per le favole, l'immaginazione, le tendenze al possesso e al potere, la pigrizia, la paura, tutte espressioni patologiche del mancato soddisfacimento dei bisogni naturali del soggetto. Queste affermazioni sono supportate, a dire della Montessori, dalla presenza di un ambiente adatto e di un materiale adeguato, dove il bambino perviene immediatamente alla sua "conversione", attraverso la concentrazione sul proprio materiale e, quindi, con un comportamento che esclude gioco e fantasia, e si caratterizza per la ripetizione dell'esercizio, la cura dell'ordine e del lavoro severo. Sotto questo aspetto la scuola montessoriana si configura come "clinica didattica" piuttosto che come scuola dell'infanzia. Altro punto focale della metodologia della Montessori è l'ambiente che comprende la struttura, il materiale della scuola, il materiale scientifico, l'insieme delle attività di vita pratica della casa, e, infine, l'educatrice. La struttura non è costruita per i bambini ma è dei bambini, e dunque ordinata al fine che i bambini la sentano veramente loro. La Montessori insiste sull'importanza che l'intero arredamento sia proporzionato all'età del bambino. Il materiale di sviluppo altro non è che il prodotto delle scelte operate dai bambini di tutto il mondo sulla base degli interessi che hanno manifestato attraverso i loro processi di concentrazione, di ripetizione degli esercizi, di sviluppo complessivo delle loro personalità (incastri solidi, incastri piani, colori). Il materiale è costruito sul principio dell'isolamento di un'unica qualità (forma, colore, suono, dimensione,ecc.), ed è reso didatticamente funzionale dalla logica della sua costruzione scientifica. Simile principio fa si che il bambino soddisfi il suo bisogno di ordine e di lavoro, e nello stesso tempo possa lavorare in autonomia senza interferenze o aiuti da parte dell'educatrice in quanto i bimbi vivono in un ambiente eterogeneo e coesivo che permette loro di ricevere aiuti o indicazioni dai coetanei. Infine all'educatrice viene richiesto un atteggiamento di grande umiltà e di rispetto per il progressivo dispiegarsi dello sviluppo infantile. Ad essa spetta il compito di organizzare l'ambiente e di mostrare ai bambini l'uso corretto del materiale: quindi deve attenderne la normalizzazione (la comparsa della concentrazione su un determinato materiale),per poi dedicarne ogni al'osservazione dei comportamenti individuali. I suoi compiti sono di aiuto finalizzato ad uno sviluppo che deve potersi compiere secondo i ritmi della natura, e nella direzione originale di ciascuna individualità.





MODELLI DELLA MENTE E

MODELLI DI PEDAGOGIA


Ne La cultura dell'educazione (1996) Jerome Bruner afferma che alla base dell'azione formativa stanno precisi "modelli della mente" e dell'apprendimento, dotati i conseguenze altrettanto riconoscibili sulle pratiche di insegnamento e sulle modalità di apprendimento degli alunni. Questi modelli sarebbero sostanzialmente quattro.


I BAMBINI APPRENDONO PER IMITAZIONE:

questo modello si basa sull'atto del mostrare e presuppone la motivazione, la capacità di riconoscere gli obiettivi e i mezzi e di riprodurli; si tratta di un modello tipico delle società tradizionale e dell'apprendistato, basati su una scarsa distinzione fra il "cosa" e il "come" dell'apprendimento e sulla convinzione che ciò che conta è soprattutto il "saper fare" piuttosto che il "conoscere" o "comprendere".

I BAMBINI APPRENDONO PER ESPOSIZIONE DIDATTICA:

ciò presuppone l'ignoranza e la "passività" del discente, la presenza della conoscenza, già costituita, "fuori" di lui e la necessità che fatti, regole e principi gli vengano esposti dal docente, in modo che gli sia possibile impararli e usarli; il sapere "cosa" (ossia le cosiddette conoscenze proposizionali) diventa il preliminare fondamentale per il "sapere come" (le conoscenze procedurali) e lo sopravanza nettamente.

I BAMBINI "COME PENSATORI":

in questo caso si ritiene che i bambini siano costruttori attivi di un modello del mondo, che deve essere mediato e ampliato nello scambio intersoggettivo dell'attività formativa: che insegna si sforza di penetrare il modo in cui il bambino pensa e di dialogare con esso; la conoscenza non è più considerata esistente di per sé e oggettiva, quanto piuttosto come un insieme di credenze che devono essere giustificate e argomentate all'interno di una comunità.

I BAMBINI COME "SOGGETTI INTELLIGENTI":

secondo questo modello i bambini sono presto in grado di riconoscercela differenza fra conoscenze personali e conoscenze "oggettive" depositate nella cultura, e il compito degli insegnati consiste proprio nell'aiutarli a compiere questa distinzione e a penetrare nelle conoscenze depositate nella loro cultura di appartenenza.

Secondo Bruner ciascuno di questo modelli ha il proprio ambito di validità, per questo essi dovrebbero essere fusi in "un'unità coerente", una teoria integrata del processo di insegnamento-apprendimento




LA TEORIA DI PIAGET SULLO SVILUPPO MENTALE DEL BAMBINO



I) La più importante teoria sullo sviluppo mentale del bambino, la prima ad averne analizzato sistematicamente, col metodo clinico di esplorazione delle idee, la percezione e la logica, è quella elaborata da Jean Piaget (1896-1980). Egli ha dimostrato sia che la differenza tra il pensiero del bambino e quello dell'adulto è di tipo qualitativo (il bambino non è un adulto in miniatura ma un individuo dotato di struttura propria) sia che il concetto di intelligenza (capacità cognitiva) è strettamente legato al concetto di 'adattamento all'ambiente'. L'intelligenza non è che un prolungamento del nostro adattamento biologico all'ambiente. L'uomo non eredita solo delle caratteristiche specifiche del suo sistema nervoso e sensoriale, ma anche una disposizione che gli permette di superare questi limiti biologici imposti dalla natura (ad es. il nostro udito non percepisce gli ultrasuoni, però possiamo farlo con la tecnologia).


II) Piaget ha scoperto che la conoscenza del bambino si basa sull'interazione pratica del soggetto con l'oggetto, nel senso che il soggetto influisce sull'oggetto e lo trasforma. La sua formazione strutturalistica gli ha permesso di superare i limiti sia della psicologia gestaltistica e associazionistica (Herbart), che considera l'oggetto indipendente dalle azioni del soggetto; sia del moderne psicologie positivistiche, che vedono nei concetti il prodotto della percezione, escludendo che nella conoscenza sia vitale l'azione del soggetto sull'oggetto.


III) Piaget distingue due processi che caratterizzano ogni adattamento: l'assimilazione e l'accomodamento, che si avvicendano durante l'età evolutiva.

Si ha assimilazione quando un organismo adopera qualcosa del suo ambiente per un'attività che fa già parte del suo repertorio e che non viene modificata (p.es. un bambino di pochi mesi che afferra un oggetto nuovo per batterlo sul pavimento: siccome le sue azioni di afferrare e battere sono già acquisite, ora per lui è importante sperimentarle col nuovo oggetto). Questo processo predomina nella Ia fase di sviluppo.

Nella IIa fase invece prevale l'accomodamento, allorché il bambino può svolgere un'osservazione attiva sull'ambiente tentando altresì di dominarlo. Le vecchie risposte si modificano al contatto con eventi ambientali mutevoli (p.es. se il bambino precedente si accorge che l'oggetto da battere per terra è difficile da maneggiare, cercherà di coordinare meglio la presa dell'oggetto). Anche l'imitazione è una forma di accomodamento, poiché il bambino modifica se stesso in relazione agli stimoli dell'ambiente. Un buon adattamento all'ambiente si realizza quando assimilazione e accomodamento sono ben integrati tra loro.

IV) Piaget ha suddiviso lo sviluppo cognitivo del bambino in 5 livelli (periodi-fasi), caratterizzando ogni periodo sulla base dell'apprendimento di modalità specifiche, ben definite. Ovviamente tali modalità, riferendosi a una 'età evolutiva', non sempre sono esclusive di una determinata fase.

A) Fase senso-motoria. Dalla nascita ai 2 anni circa.

È suddivisa in 6 stadi.

Riflessi innati: dalla nascita al Io mese. Modalità reattive innate: pianto, suzione, vocalizzo ecc., che il bambino utilizza per comunicare col mondo esterno. L'esercizio frequente di questi riflessi, in risposta a stimoli provenienti dal suo organismo o dall'ambiente, porta all'instaurarsi di 'abitudini'. Ad es. dopo i primi giorni di vita il neonato trova il capezzolo molto più rapidamente; pur succhiando sempre il dito, lo discrimina dal capezzolo o dal ciuccio, e smette di succhiare il dito se gli viene dato il cibo. Non c'è ancora né imitazione né gioco, però il bambino è stimolato a piangere dal pianto di altri bambini.

Reazioni circolari primarie: dal 2o al 4o mese. Per 'reazione circolare' s'intende la ripetizione di un'azione prodotta inizialmente per caso, che il bambino esegue per ritrovarne gli interessanti effetti. Grazie alla ripetizione, l'azione originaria si consolida e diventa uno schema che il bambino è capace di eseguire con facilità anche in altre circostanze. In questo stadio il bambino, che pur ancora non riesce a distinguere tra un 'sé' e un 'qualcosa al di fuori', cerca di acquisire schemi nuovi: ad es. toccandogli il palmo della mano, reagisce volontariamente chiudendo il pugno, come per afferrare l'oggetto; oppure gira il capo per guardare nella direzione da cui proviene il suono. Particolare importanza ha la coordinazione tra visione e prensione: ad es. prende un giocattolo dopo averlo visto.

Reazioni circolari secondarie: dal 4o al 8o mese. Qui il bambino dirige la sua attenzione al mondo esterno oltre che al proprio corpo. Ora cerca di afferrare, tirare, scuotere, muovere gli oggetti che stimolano la sua mano per vedere che rapporto c'è tra queste azioni e i risultati che derivano sull'ambiente. Ad es. scopre il cordone della campanella attaccata alla culla e la tira per sentire il suono. Ancora non sa perché le sue azioni provocano determinati effetti, ma capisce che i suoi sforzi sono efficaci quando cerca di ricreare taluni eventi piacevoli, visivi o sonori.

Coordinazione mezzi-fini: dall'8o al 12o mese. Il bambino comincia a coordinare in una sequenza due schemi d'azione (p.es. tirare via un cuscino per prendere un giocattolo sottostante). In tal modo riesce a utilizzare mezzi idonei per il conseguimento di uno scopo specifico. L'intenzionalità si manifesta anche nella comunicazione con gli adulti (ad es. punta il dito verso il biberon per farselo dare). Inizia inoltre a capire che gli oggetti possono essere sottoposti a vari schemi d'azione, come scuotere, spostare, dondolare ecc. Gradualmente si rende conto che gli oggetti sono indipendenti dalla sua attività percettiva o motoria.

Reazioni circolari terziarie (e scoperta di mezzi nuovi mediante sperimentazione attiva): dai 12 ai 18 mesi. Il bambino, nel suo comportamento abituale, ricorre sempre più spesso a modalità diverse per ottenere effetti desiderati. Inizia il 'ragionamento'. Mentre prima, per eseguire una sequenza di azioni, doveva partire dall'inizio, ora può interrompersi e riprendere l'azione a qualsiasi stadio intermedio. Inoltre egli è in grado di scoprire la soluzione dei suoi problemi, procedendo per 'prove ed errori'. Quindi esiste per lui la possibilità di modificare gli schemi che già possiede. Ad es. dopo aver tentato, invano, di aprire una scatola di fiammiferi, esita per un attimo e poi riesce ad aprirla. Infine può richiamare alla memoria gli oggetti assenti, grazie alle relazioni che intercorrono tra un oggetto e la sua possibilità di utilizzo.

Comparsa della funzione simbolica: dai 18 mesi in poi. Il bambino è in grado di agire sulla realtà col pensiero. Può cioè immaginare gli effetti di azioni che si appresta a compiere, senza doverle mettere in pratica concretamente per osservarne gli effetti. Egli inoltre usa le parole non solo per accompagnare le azioni che sta compiendo (nominare o chiedere un oggetto presente), ma anche per descrivere cose non presenti e raccontare quello che ha visto-fatto qualche tempo prima. Il bambino riconosce oggetti anche se ne vede solo una parte. È in grado di imitare i comportamenti e le azioni di un modello, anche dopo che questo è uscito dal suo campo percettivo. Sa distinguere i vari modelli e sa imitare anche quelli che per lui hanno un'importanza di tipo affettivo. Vedi ad es. i giochi simbolici che implicano 'fare finta' di fare qualcosa o 'giocare un ruolo'.


B) Fase pre-concettuale. Va da 2 a 4 anni.

L'atteggiamento fondamentale del bambino è ancora di tipo egocentrico, in quanto non conosce alternative alla realtà che personalmente sperimenta. Questa visione unilaterale delle cose lo induce a credere che tutti la pensino come lui e che capiscano i suoi desideri-pensieri, senza che sia necessario fare sforzi per farsi capire.

Il linguaggio diventa molto importante, perché il bambino impara ad associare alcune parole ad oggetti o azioni. Con il gioco occupa la maggior parte della giornata, perché per lui tutto è gioco: addirittura ripete in forma di gioco le azioni reali che sperimenta (ad es. per lui è un gioco vestirsi e svestirsi).

Imita, anche se in maniera generica, tutte le persone che gli sono vicine: le idealizza perché sa che si prendono cura di lui. Impara a comportarsi come gli adulti vogliono, prima ancora di aver compreso il concetto di 'obbedienza'.

Non è in grado di distinguere tra una classe di oggetti e un unico oggetto. Ad es. se durante una passeggiata vede alcune lumache, è portato a credere che si tratti sempre dello stesso animale, non di diversi animali della stessa specie. Gli aspetti qualitativi e quantitativi di un oggetto può percepirli solo in maniera separata, non contemporaneamente.

Non è neppure capace di relazionare i concetti di tempo, spazio, causa. Il suo ragionamento non è né deduttivo (dal generale al particolare), né induttivo (dal particolare al generale), ma transduttivo o analogico (dal particolare al particolare). Ad es. se un insetto gli fa paura perché l'ha molestato è facile che molti altri insetti che non l'hanno molestato gli facciano ugualmente paura.


C) Fase del pensiero intuitivo. Da 4 a 7 anni.

Aumenta la partecipazione e la socializzazione nella vita di ogni giorno, in maniera creativa, autonoma, adeguata alle diverse circostanze. Entrando nella scuola materna, il bambino sperimenta l'esistenza di altre autorità diverse dai genitori. Questo lo obbliga a rivedere le conoscenze acquisite nelle fasi precedenti, mediante dei processi cognitivi di generalizzazione: ovvero, le conoscenze possedute, relative ad un'esperienza specifica, vengono trasferite a quelle esperienze che, in qualche modo, possono essere classificate nella stessa categoria.

Tuttavia, la sua capacità di riprodurre mentalmente un avvenimento avviene nell'unica direzione in cui l'avvenimento si è verificato. Non è capace di reversibilità. Ad es. mettiamo davanti al bambino due vasi A e B, uguali e trasparenti, e un numero pari di biglie. Chiediamogli di mettere, usando una mano per ogni vaso, una biglia per volta nei due vasi, in modo che siano perfettamente distribuite. Poi si prenderà il vaso B e si verseranno tutte le biglie in un vaso C, di forma e dimensioni diverse da A e B. I bambini di 4-5 anni affermeranno che, nel caso in cui C sia più sottile di A e B, le biglie sono aumentate; diminuite invece, nel caso in cui C è più largo di A e B. Se allo stesso bambino mettiamo di fronte una fila di 8 vasetti di fiori e collochiamo un fiore in ogni vasetto, il bambino dirà che il numero dei fiori e dei vasetti è lo stesso. Se però gli facciamo togliere i fiori per farne un mazzetto, il bambino dirà che i vasetti sono più dei fiori.

Nel Io caso l'errore è dovuto al fatto che egli ha tenuto conto solo del livello raggiunto dalle biglie e non anche della forma del vaso, mentre nel IIo caso il maggior spazio occupato dalla fila dei vasetti ha dominato la sua valutazione. In sostanza ciò che non ha compreso è stata l'invarianza (o conservazione) della quantità al mutare delle condizioni percettive.

Molto importante in questa fase è lo studio psicologico dei disegni infantili.

D) Fase delle operazioni concrete. Da 7 a 11 anni.

Il bambino è in grado di coordinare due azioni successive; di prendere coscienza che un'azione resta invariata, anche se ripetuta; di passare da una modalità di pensiero analogico a una di tipo induttivo; di giungere ad uno stesso punto di arrivo partendo da due vie diverse. Non commetterà più gli errori della fase precedente.

Un ingegnoso esperimento di Piaget illustra bene queste nuove capacità. Si mettano davanti al bambino 20 perle di legno, di cui 15 rosse e 5 bianche. Gli si chieda se, volendo fare una collana la più lunga possibile, prenderebbe tutte le perle rosse o tutte quelle di legno. Il bambino, fino a 7 anni, risponderà, quasi sempre, che prenderebbe quelle rosse, anche se gli si fa notare che sia le bianche sia le rosse sono di legno. Solo dopo questa età, essendo giunto al concetto di 'tutto' e di 'parti', indicherà con sicurezza quelle di legno.

Naturalmente il bambino fino a 11 anni è in grado di svolgere solo operazioni concrete, non essendo ancora capace di ragionare su dati presentati in forma puramente verbale. Ad es. non è in grado di risolvere il seguente quesito, non molto diverso da quello delle perle. Un ragazzo dice alle sue tre sorelle: In questo mazzo di fiori ce ne sono alcuni gialli. La prima sorella dice: Allora tutti i tuoi fiori sono gialli. La seconda dice: Una parte dei tuoi fiori è gialla. La terza dice: Nessun fiore è giallo. Chi delle tre ha ragione?


E) Fase delle operazioni formali. Da 11 a 14 anni.

Il pre-adolescente acquisisce la capacità del ragionamento astratto, di tipo ipotetico-deduttivo. Può ora considerare delle ipotesi che possono essere o non essere vere e pensare cosa potrebbe accadere se fossero vere. Il mondo delle idee e delle astrazioni gli permette di realizzare un certo equilibrio fra assimilazione e accomodamento. Egli è in grado di comprendere il valore di certi oggetti e fenomeni, la relatività dei giudizi e dei punti di vista, la parità dei diritti, la distinzione e l'indipendenza relativa tra le idee e la persona, ecc. è altresì capace di eseguire attività di misurazione, operazioni mentali sui simboli (geometria, matematica) ecc.

Famoso è l'esperimento del pendolo ideato da Piaget. Al soggetto viene presentato un pendolo costituito da una cordicella con un piccolo solido appeso. Il suo compito è quello di scoprire quali fattori (lunghezza della corda, peso del solido, ampiezza di oscillazione, slancio impresso al peso), che ha la possibilità di variare a suo piacere, determina la frequenza delle oscillazioni. Lavorando su tutte le combinazioni possibili in maniera logica e ordinata, il soggetto arriverà ben presto a capire che la frequenza del pendolo dipende dalla lunghezza della sua cordicella.

Ovviamente il pensiero logico-formale non è ancora quello teorico-scientifico, che non si forma certo nel periodo adolescenziale.



PIAGET CRITICATO DA VYGOTSKY


I) Gli esperimenti condotti da Vygotsky condussero lo scienziato russo a risultati opposti a quelli ottenuti da Piaget. Secondo Vygotsky, Piaget è andato a cercare nell'analogia con la logica formale e matematica (contemporanea) la possibilità di dare un fondamento razionale alla psicologia. Egli si è rivolto alla logica formale perché con essa credeva di poter stabilire definitivamente il concetto di invarianza dell'oggetto, per eliminare così le rappresentazioni illusorie del soggetto. Non a caso la maggior parte delle sue ricerche si riferisce alla ricostruzione delle tappe evolutive del principio di conservazione (o invarianza) della quantità-sostanza-peso-volume degli oggetti. La matematica infatti possiede il più forte apparato di descrizione delle invarianti. Di qui il formalismo di Piaget: il suo pensiero è genetico solo in senso cronologico non ontologico, è classificatorio-combinatorio-meccanico, non concettuale-dialettico.


II) Secondo Piaget il legame che unisce tutte le caratteristiche specifiche della logica infantile è l'egocentrismo, che sarebbe una posizione intermedia tra il pensiero autistico e quello controllato (adulto). Il pensiero del bambino sarebbe originariamente autistico e solo con la pressione sociale diventerebbe realistico: questo perché ciò che interessa al bambino è la soddisfazione di piaceri, in antitesi al principio di realtà. Piaget avrebbe preso da Freud: a) l'idea che il principio del piacere preceda quello di realtà; b) l'idea che il piacere sia una forza vitale indipendente.

Vygotsky invece afferma che lo sforzo per ottenere la soddisfazione di un bisogno e lo sforzo per adattarsi alla realtà non sono separabili né opponibili, altrimenti c'è patologia.


III) Piaget sostiene che il gioco (immaginazione) è la legge suprema dell'egocentrismo fino a 7-8 anni. Vygotsky invece sostiene che la funzione primaria del linguaggio -nei bambini e negli adulti- è la comunicazione. Il primo linguaggio è quello sociale (globale e plurifunzionale); in seguito le funzioni si differenziano, cioè si egocentrizzano, permettendo allo sviluppo del pensiero e del linguaggio d'interiorizzarsi. In altre parole, ad una certa età il linguaggio diventa anche egocentrico, ma resta sociale, poiché l'egocentrismo rappresenta soltanto un'interiorizzazione di forme di comportamenti sociali. Nell'adulto c'è il linguaggio interiore (linguaggio egocentrico in profondità), che si sviluppa all'inizio dell'età scolare.

Vygotsky poté costatare che di fronte alle difficoltà il coefficiente del linguaggio egocentrico raddoppiava, ma proprio perché con esso il bambino realizzava un processo di presa di coscienza che lo portava, in un modo o nell'altro, a cercare una soluzione del problema.

È noto il suo esempio: mentre un bambino di 5 anni stava disegnando un tram, gli si ruppe la matita. Accortosi ch'era del tutto inservibile, decise di usare gli acquerelli, disegnando un tram rotto dopo un incidente; egli continuava di tanto in tanto a parlare con se stesso circa il cambiamento del suo disegno. In pratica il linguaggio egocentrico fungeva da mediatore fra quello vocale (se vogliamo 'autistico') e quello 'interiore' (quello che dà 'senso' alle cose).

Qual è la differenza, sotto questo aspetto, fra l'adulto e il bambino? Secondo Vygotsky, il linguaggio egocentrico del bambino è stato così interiorizzato dall'adulto ch'esso, in questi, non si manifesta più come tale. Piaget direbbe che non si manifesta più perché è scomparso; in realtà esso è stato solo 'interiorizzato'.

L'egocentrismo quindi è quella molla che permette di non essere soffocati dal conformismo sociale, per sua natura ripetitivo. Piaget invece pensava che il bambino diventasse adulto nel momento stesso in cui usciva dal piacere egocentrico per entrare nel dovere sociale.


IV) Secondo Vygotsky il pensiero autistico è un risultato del pensiero realistico di Piaget, poiché questi pretende che il pensiero realistico - sganciato da bisogni-interessi-desideri -sia 'puro', capace di ricercare la verità per se stessa. Secondo Vygotsky il pensiero realistico di Piaget si trasforma in autistico perché presume di soddisfare con la fantasia i bisogni frustrati della vita (la logica staccata dalla vita porta all'irrazionalismo).

Va considerata superata la tesi che vede il pensiero egocentrico come un legame genetico tra quello autistico e quello logico-controllato. Nelle sue prime pubblicazioni, Piaget spostava addirittura fino all'età di 7-8 anni la presenza del pensiero egocentrico dominato dall'esperienza del gioco.


V) In Piaget l'apprendimento del bambino utilizza i risultati dello sviluppo senza modificarlo. Piaget vuole studiare l'apprendimento a prescindere dalle esperienze, conoscenze e cultura del bambino. Ecco perché egli pone dei quesiti ai quali il bambino non è in grado di rispondere: p.es. 'perché il sole non cade?'. Piaget vuol costringere il bambino a lavorare su problemi del tutto nuovi, illudendosi di poter studiare le tendenze del suo pensiero in forma pura.


VI) Piaget si è preoccupato di descrivere le operazioni mentali, ma non si è preoccupato di delineare una didattica che modifichi la situazione in cui si svolge l'apprendimento.


VII) Piaget non prende in considerazione i fattori culturali che condizionano le risposte del bambino (cioè le acquisizioni anteriori, ovvero l'appartenenza a un gruppo, ceto sociale.). Gli interessa soltanto descrivere le differenze del comportamento mentale del bambino, a seconda delle età, rispetto al comportamento mentale dell'adulto. Tuttavia può essere considerata acquisita la ripartizione degli stadi conoscitivi: intelligenza senso-motoria, esperienze concrete, operazioni formali.



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