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Protocollo di Kyōto




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Protocollo di Kyōto


Un primo tentativo di limitare l'influenza delle attività umane sul clima è stato il Protocollo di Kyōto del 1997. Tale protocollo, pur rappresentando, almeno nelle intenzioni, un passo importante



nella condivisione planetaria delle responsabilità ambientali, presenta due limiti strutturali:

    Obiettivi insufficienti a contenere in modo significativo le emissioni antropiche. L'obiettivo della diminuzione del 6% di anidride carbonica di origine antropica in atmosfera viene infatti giudicato troppo poco ambizioso, dato che bisognerebbe ridurla del 60%.

    L'assenza tra i firmatari di paesi quali gli Stati Uniti. Questi in un primo momento non hanno aderito, ritenendo non provata la relazione tra emissioni di CO2 e il riscaldamento globale; in seguito hanno addotto come motivazione la perdita di competitività dovuta ai costi necessari per ridurre le emissioni di anidride carbonica rispetto a Cina ed India, che invece non sono obbligate dal protocollo a limitare le proprie emissioni.


Se riducessimo le emissioni utilizzando vari accorgimenti riusciremmo a ridurre il livello di CO2 come riportato nel seguente schema:




Energie rinnovabili


Biomassa

Le fonti di energia da biomassa sono costituite dalle sostanze di origine animale e vegetale, non fossili, che possono essere usate come combustibili per la produzione di energia. Alcune fonti come la legna non necessitano di subire trattamenti; altre come gli scarti vegetali o i rifiuti urbani devono essere processate in un digestore.

Biocarburanti

Dalla fermentazione dei vegetali ricchi di zuccheri, come canna da zucchero e barbabietole spesso prodotti in quantità superiori al fabbisogno, si può ricavare l'etanolo o alcool etilico, che può essere utilizzato come combustibile per i motori a scoppio, in sostituzione della benzina.


Dalle oleaginose (quali girasole, colza, soia) si può ottenere per spremitura il cosiddetto biodiesel.

Tramite opportuno procedimento è inoltre possibile trasformare le biomasse di qualsiasi natura in BTL (Biomass to liquid), un biodiesel, ottenuto appunto da materiale organico di scarto o prodotto appositamente con colture dedicate.

Lo sfruttamento di nessuna di queste fonti può comunque prescindere da valutazioni sul rapporto tra energia ottenuta ed energia impiegata nella produzione.


Biogas

Oltre ai vegetali coltivati, anche i rifiuti vegetali e liquami di origine animale possono essere sottoposti a digestione o fermentazione anaerobica (cioè in assenza di ossigeno). La biomassa viene chiusa in un digestore nel quale si sviluppano microorganismi che con la fermentazione dei rifiuti formano il cosiddetto biogas. Dopo trattamento depurativo, questo può essere usato come carburante, combustibile per il riscaldamento e per la produzione di energia elettrica. Anche dai rifiuti raccolti nelle città si può ricavare energia.

Biocombustibili per la produzione di energia elettrica

In alcuni paesi si stanno sperimentando coltivazioni pilotate di vegetali a crescita veloce da utilizzare per produrre energia, ad esempio per alimentare piccole centrali elettriche come già avviene negli USA, in India e in Giappone.

Fra le sperimentazioni in corso si segnala la coltivazione di alcuni incroci ibridi del Miscanthus Giganteus detto Miscanto, un'erba graminacea alta fino a quattro metri con una notevolissima redditività potenziale (60 tonnellate di materia secca per ettaro, equivalenti a circa 60 barili di petrolio). Secondo le stime dell'Environmental Research Institute del Galles, se il Miscanto venisse piantato sul 10% delle aree coltivabili europee potrebbe fornire fino al 9% dell'energia elettrica consumata dall'intero continente. In Italia le sperimentazioni sul Miscanto vengono condotte dall'ENEA in Sicilia.


Biomassa secca e legna ecologica

Acquisisce sempre più importanza e ogni anno cresce la produzione di legna ecologica e biomassa secca ottenute dallo sfruttamento razionale delle foreste. La biomassa secca e la legna ecologica per dirsi tali devono avere queste caratteristiche:

  • abbattimento di piante già morte senza intaccare alberi vivi;
  • biomassa secca, foglie, rametti, scarti lavorazioni agricole, potature di parchi e giardini, metodo del ramo bello annuale;
  • sfruttamento razionale delle foreste metodo della matricina per piccole strisce di bosco o 1 pianta ogni 4;
  • salvaguardia alberi secolari, generi protetti, boschi storici, habitat, ecosistema;
  • lavorazione ecologica (sega a mano, sega elettrica, cippatrice elettrica, accetta, machete, scure);
  • assenza di spese aggiuntive di costi energetici di trasporto via nave e via terra per migliaia di chilometri;
  • retribuzione 25 € per ogni ora di lavoro applicata.




Problemi delle biomasse


Lo sfruttamento delle biomasse, il cui unico problema a livello tecnico sarebbe il potere calorifico moderato (circa la metà del carbone), è in realtà limitato da determinati fattori strettamente legati
alla loro natura:

  • Disponibilità: Le biomasse non sono disponibili in ogni momento dell'anno. Basti pensare ad esempio a tutte quelle che derivano da colture stagionali, la cui raccolta avviene in un determinato periodo dell'anno. Anche il legno, che in via teorica potrebbe essere disponibile tutto l'anno, di fatto viene tagliato prevalentemente di inverno, poiché durante questa stagione esso contiene meno umidità. Per questo motivo impianti di potenza alimentati a biomasse richiedono grandi zone per lo stoccaggio del materiale, che viene di fatto reso disponibile solo una volta l'anno.
  • Resa per ettaro: Al contrario dei combustibili tradizionali, che si trovano generalmente in giacimenti di grandi dimensioni, la produzione di biomasse avviene generalmente su aree molto elevate. Questo è forse il principale limite allo sfruttamento delle biomasse. Si pensi che, volendo alimentare a biomasse l'impianto di generazione elettrica di Porto Tolle (4 gruppi da 660 MW, attualmente alimentato a carbone) sarebbe necessario dedicare alla coltura delle biomasse una superficie maggiore dell'intera Pianura Padana.

Il surriscaldamento globale


Può sembrare improbabile, ma anche un mutamento apparentemente piccolo della temperatura media di un sistema vasto come l'intera superficie del pianeta, se sostenuto per diversi anni, può causare cambiamenti sostanziali nelle dinamiche dei trasferimenti di calore tra oceani, terre emerse e atmosfera. In condizioni normali, quando la temperatura globale è stabile, l'atmosfera restituisce allo spazio tutta l'energia termica ricevuta dal Sole; se ciò non avvenisse, la quantità totale di calore trattenuta dall'aria continuerebbe ad aumentare, e con essa la temperatura del globo. Visto lo spessore dell'atmosfera e la sua struttura a strati, il calore passa comunque piuttosto lentamente dai livelli inferiori a quelli superiori. Anche quando la temperatura globale è stabile, quindi, il trasferimento di calore avviene con un certo ritardo, che comporta un naturale surriscaldamento della superficie terrestre. Questo fenomeno naturale, meglio noto con il nome di 'effetto serra', fu descritto per la prima volta nel 1896 dallo scienziato svedese Svante Arrhenius. Questi aveva capito che la temperatura media caratteristica del pianeta, sufficientemente alta da permettere la sopravvivenza degli organismi viventi, è dovuta proprio al naturale effetto serra dell'atmosfera. Senza di esso il pianeta sarebbe circa 33 °C più freddo e probabilmente privo di qualunque forma di vita.

Già un secolo fa, Arrhenius si preoccupava che la combustione del carbone, del petrolio e dei gas potesse incrementare l'effetto serra aumentando la percentuale di anidride carbonica nell'aria. Il carbone, il petrolio e i gas sono tutti combustibili fossili, residui di materiale organico immagazzinato e trasformato nel corso delle ere geologiche. L'anidride carbonica è il prodotto più comune dell'uso di questi combustibili fossili.

Pertanto, il problema non sta nel chiedersi se esiste un effetto serra oppure no, ma piuttosto fino a che punto le attività umane contribuiscano a incrementare questo effetto, se sia già possibile individuare qualche cambiamento nelle dinamiche naturali causato dal rilascio di gas nell'atmosfera, e quali siano le probabili conseguenze di tutto ciò per la società umana e la vita sulla Terra. I possibili effetti di un riscaldamento globale sono diversi e in alcuni casi molto gravi: potrebbe verificarsi un innalzamento generale del livello dei mari, dovuto sia al riscaldamento e alla conseguente espansione dell'acqua degli oceani, sia alla fusione di parte dei ghiacci polari; inoltre, verrebbero registrate variazioni locali della temperatura e delle precipitazioni; questi cambiamenti, a loro volta, potrebbero causare inondazioni delle zone costiere di tutto il mondo (che generalmente sono le più densamente popolate), alluvioni o siccità e inestimabili perdite di specie animali e vegetali.


Differenza tra effetto serra naturale e riscaldamento globale


La radiazione solare diretta sulla Terra è caratterizzata da onde corte, comprese nella fascia del visibile e dell’ultravioletto; dopo avere colpito la superficie del pianeta, viene in parte riflessa sotto forma di radiazione infrarossa a onda lunga, che corrisponde al calore disperso dalla Terra. Alcuni gas presenti in atmosfera si lasciano attraversare dalla radiazione solare incidente, mentre assorbono la radiazione infrarossa; in altri termini, il calore disperso dal pianeta viene in parte intrappolato nell’atmosfera, determinandone il progressivo riscaldamento. Grazie all’effetto serra, la temperatura media della Terra si mantiene intorno a 15 °C. I gas coinvolti in questo fenomeno sono detti genericamente gas serra e comprendono l’anidride carbonica (che da sola contribuisce al 70% dell’effetto serra), il metano (responsabile di circa il 23% del fenomeno) il vapore acqueo, il protossido di azoto (o ossido di diazoto), l’ozono e i clorofluorocarburi (CFC, correlati anche con il fenomeno del buco nell’ozono).

Dalla rivoluzione industriale, l’incremento nell’uso di combustibili fossili ha causato un aumento del 30% della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, che ha raggiunto 358 ppm (parti per milione). Tale condizione si è aggravata a causa della progressiva distruzione delle foreste (deforestazione) che, eliminando le piante, ne annulla l’azione fotosintetica di riciclaggio della CO2; in questo modo, nell’atmosfera si accentua lo squilibrio tra input (immissione) e output (fuoriuscita) di anidride carbonica. Nel corso della seconda metà del XX secolo, si è registrato anche l’incremento di altri gas serra; in particolare, del metano, derivante da allevamenti di ruminanti, dalle risaie e dalle attività industriali, che è aumentato del 145%; degli ossidi di azoto, prodotti da alcune lavorazioni agricole e dai gas di scarico degli autoveicoli; dell’ozono degli strati più bassi dell’atmosfera (troposfera), prodotto per effetto di reazioni chimiche di agenti inquinanti.

L’aumento dei gas serra ha determinato dal 1860 un incremento del riscaldamento globale della Terra di 0,3-0,6°C, fenomeno che si è verificato soprattutto dopo il 1970. L’attuale tendenza sembra verso un ulteriore aumento della temperatura, che entro i prossimi cento anni potrebbe ulteriormente crescere da 1,5 a 4°C.



Effetto serra naturale




Cause del riscaldamento globale






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