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Le strategie adottate per risolvere il problema




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LE STRATEGIE ADOTTATE PER RISOLVERE IL PROBLEMA


La maggior parte degli scienziati concorda nel ritenere che l'obiettivo primario da raggiungere sia la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, quanto prima possibile. Non si tratta di una meta facile dal momento che la maggior parte dell'energia che sostiene le attività dei Paesi sviluppati e in via di sviluppo proviene dai combustibili fossili e, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, molta dell'energia prodotta proviene dalla combustione di biomassa non adeguatamente rimpiazzata.

Comunque sono molti e diversi gli sforzi che possono essere compiuti in direzione dell'obiettivo, a partire da una sensibilizzazione maggiore dei cittadini riguardo al problema del riscaldamento globale.

Un passo importante verso questa direzione è stato compiuto, il 19 gennaio 2007, con l'uscita nelle sale cinematografiche del film di Al Gore: "An Inconvenient Truth'.

Gore, ex vicepresidente degli Stati Uniti e candidato alle elezioni nel 2000, ha dimostrato, sin dall'inizio della sua carriera politica, di avere particolare riguardo nei confronti della situazione ambientale.

Nel suo film egli fa riferimento soprattutto agli studi compiuti dal suo professore universitario Roger Revelle[1], docente di Harvard, a quelli dei ricercatori dell'università di Berna dell'istituto di Fisica ed all'European Project for Ice Coring in Antartic.

In un'intervista[3] Gore ha dichiarato che, dopo aver visto il documentario, "un gran numero di persone ha preso delle iniziative individuali per ridurre il rischio di inquinamento globale. Molti altri hanno fatto pressione sui loro leader e sui partiti affinché si cambi politica. Per quanto riguarda gli Stati Uniti d'America, uno Stato determinante e vasto come la California ha appena emanato una legge che porterà ad una significativa riduzione di anidride carbonica. Altri Stati hanno emanato leggi simili e 330 città hanno aderito al Protocollo di Kyoto senza aspettare il consenso del governo nazionale."

Altre iniziative che vanno nella stessa direzione sono state la Giornata mondiale per l'Ambiente, istituita nel 1972 dall'assemblea delle Nazioni Unite, che si è tenuta il 5 giugno 2007 in Norvegia. Lo slogan della giornata è stato : "Ghiaccio che si scioglie, un tema che scotta?", a sostegno dell'anno internazionale per i Poli.

Obiettivo di questa giornata, spiega l'Onu, «é dare un volto umano alle questioni ambientali; far sì che le persone diventino agenti attivi dello sviluppo equo e sostenibile; accrescere la consapevolezza che le comunità sono di importanza fondamentale per il cambiamento dell'atteggiamento riguardo le questioni ambientali; promuovere partnership, che garantiranno a tutte le nazioni e popolazioni un futuro maggiormente sicuro e prospero».

L'Onu ha inoltre deciso di rilanciare la campagna dell'Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente, "Pianta per il Pianeta", che ha l'obiettivo di riuscire a piantare un miliardo di alberi nel mondo. Un'iniziativa sottolineata dal direttore dell'Unep, Achim Steiner: «Abbiamo così poco tempo per evitare i danni e gli effetti negativi del cambiamento climatico». A livello globale, la diffusione delle foreste sulla Terra è diminuita di un terzo rispetto ad un tempo. «È dunque giunta l'ora di capovolgere questo trend, è ora di agire».

La questione ambientale non ha lasciato indifferente neppure il Papa, che ha invitato a "incentivare ricerca e promozione di stili di vita, modelli di produzione e consumo improntati al rispetto del creato e alle reali esigenze di progresso sostenibile dei popoli".

POLITICHE CLIMATICHE NEL MONDO

L'inizio delle politiche climatiche su scala globale si può far risalire all'istituzione dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), fondato nel 1988 dal programma ambientale delle Nazioni Unite e dall'organizzazione meteorologica mondiale. In particolare i rapporti dell'IPCC (1990, 1995, 2000), hanno sottolineato la relazione tra le emissioni di gas-serra ed i cambiamenti climatici in atto e sono stati il "background" scientifico per i negoziati della Convenzione Quadro sui cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change).

Questa Convenzione è stata adottata a New York nel Maggio del 1992 e successivamente sottoscritta a Rio de Janeiro, durante il Vertice della Terra nel 1992, dai delegati di 154 paesi, più l'Unione Europea. È entrata in vigore nel Marzo del 1994. 

La convenzione aveva tuttavia il limite di prevedere solo un impegno di massima per riportare entro il 2000 le proprie emissioni di gas ai livelli del 1990.

Nel 1995 si è svolta a Berlino la Prima Conferenza delle Parti (COP), col compito di valutare e ratificare annualmente gli interventi effettuati alla luce della Convenzione e dei rapporti dell'IPCC. Vi parteciparono circa 180 Paesi e i delegati conclusero che gli impegni concordati nella Convenzione non erano sufficienti. Si aprì dunque un nuovo ciclo di negoziati: il Mandato di Berlino.

Sicuramente, però, il momento della svolta per la politica sui cambiamenti climatici si è avuto durante la COP 3, svoltasi nel 1997 a Kyoto, con l'introduzione del cosiddetto Protocollo di Kyoto.


IL PROTOCOLLO DI KYOTO

A livello mondiale è proprio il Protocollo di Kyoto uno dei principali trattati per la salvaguardia del clima mondiale.

L'obiettivo dichiarato del Protocollo di Kyoto è quello di ridurre le emissioni di gas-serra nei Paesi industrializzati del 5% nel periodo 2008-2012, rispetto ai livelli del 1990.

Il Protocollo prevede sanzioni per i Paesi che non onoreranno gli impegni assunti per il 2012. Nessun tipo di limitazione alle emissioni di gas serra viene previsto per i Paesi in via di sviluppo per evitare di ostacolare la loro crescita economica, anche se questa esclusione è ritenuta ingiusta da alcuni governi.

Tra i Paesi non aderenti al protocollo di Kyoto figurano, gli Stati Uniti, responsabili del 36,1% del totale delle emissioni, ma anche Cina e India, due importanti Paesi in via di sviluppo, oltre all'Australia, al Principato di Monaco, alla Croazia e al Kazakistan.


Obiettivi del Protocollo, politiche e misure:

promozione e miglioramento dell'efficienza energetica in settori rilevanti dell'economia nazionale;

promozione di metodi sostenibili di gestione forestale, di imboschimento e di rimboschimento per incrementare la capacità del pianeta di assorbire l'anidride carbonica;

promozione di forme sostenibili di agricoltura;

ricerca, promozione, sviluppo, e quindi maggiore utilizzazione di fonti rinnovabili di energia (ad esempio l'uso delle biomasse per la produzione di energia, in sostituzione delle fonti fossili e di altri materiali), e di tecnologie avanzate ed innovative compatibili con l'ambiente;

politiche fiscali appropriate per disincentivare le emissioni di gas serra;

limitazione e/o riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra nel settore dei trasporti;

limitazione e/o riduzione delle emissioni di metano attraverso il recupero e utilizzazione del gas nel settore della gestione dei rifiuti, nonché nella produzione, trasporto e distribuzione di energia.


Dal vertice del G8, del 6-8 giugno 2007, è emerso però che nessuno dei Paesi del G8 ha soddisfatto gli obiettivi del Protocollo. In particolare il WWF ha stilato le climate scorecards, le pagelle sulle politiche climatiche dei Paesi del G8 e la "classifica"  sulla sensibilità ambientale è risultata la seguente: ultimi gli Usa preceduti nell'ordine da Canada, Russia, Italia, Giappone, Regno Unito, Francia e Germania.

Pagelle speciali sono state stilate per i G5, i cinque Paesi in via di sviluppo ammessi al G8 tedesco. Brasile, Cina, India, Messico e Sudafrica presentano infatti condizioni e peculiarità molto diverse da quelle degli 'otto grandi', come per esempio l'impossibilità per ampie fette della popolazione di accedere all'energia. Eppure i G5 cominciano a porsi il problema dell'impatto ambientale del loro sviluppo: molti dipendono da petrolio e carbone, dunque stanno già studiando strategie per rallentare l'aumento delle emissioni.

Nello stesso vertice Bush ha detto di percepire «un avvicinamento molto significativo sulla necessità di ridurre in modo sostanziale le emissioni di CO2», in particolare ha sottolineato che il protocollo di Kyoto scade nel 2012 ed è necessario rinnovarlo con nuovi obiettivi.

Ha dunque proposto un nuovo quadro di discussioni, aperte con 10-15 paesi maggiormente responsabili delle emissioni, ma senza obiettivi precisi e vincolanti predefiniti. Bush si è inoltre presentato come potenziale mediatore fra Europa, Cina e India, ribadendo:
«Il nostro ruolo è gettare un ponte fra i popoli dell'Europa e gli altri come la Cina e l'India, se li vogliamo al tavolo delle discussioni con noi , è importante che diamo loro la possibilità di fissare un obiettivo globale».

Ricordiamo in proposito che la giustificazione della Casa Bianca sul rifiuto degli Usa di ratificare il Protocollo di Kyoto delle Nazioni Unite è data dal fatto che Pechino e New Delhi non vi prendono parte.


POLITICHE CLIMATICHE IN EUROPA


Già nel 2000 la Commissione europea ha lanciato un programma sul cambiamento del clima (European Climate Change Programme), con l'obiettivo di accelerare le procedure di applicazione del Protocollo di Kyoto.

Le recenti normative hanno introdotto dei particolari meccanismi per sostenere il contenuto delle emissioni di gas serra (Emission Trading Scheme) e l'incentivazione della produzione da fonti rinnovabili (Certificati Verdi).

La Commissione europea ha recentemente adottato una comunicazione con la quale fissa un calendario per la revisione dell'ETS. 

Per Stavros Dimas, commissario responsabile per l'ambiente, "il cambiamento climatico è la sfida più grave che l'umanità stia affrontando e lo scambio di quote di emissione rappresenta lo strumento più efficace per farvi fronte. Lo schema adottato dall'Ue - ha spiegato Dimas - è una chiara prova dell'impegno comunitario per il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto. Adesso dobbiamo cercare di perfezionare ulteriormente il sistema. Migliore sarà la sua concezione e più facile sarà per altri paesi adottare politiche simili".

La revisione dello schema mirerà ad estenderlo ad altri settori e ad altri gas responsabili dell'effetto serra, oltre a quelli già previsti.

Oltre al biossido di carbonio, i provvedimenti comunitari potrebbero riguardare, per esempio, il protossido di azoto derivato dalla produzione di ammoniaca e il metano prodotto dalle miniere di carbone. Si cercherà, inoltre, di agevolare il contributo dei piccoli impianti alla lotta contro i cambiamenti climatici, riducendo al contempo i loro costi. Alla luce delle divergenti interpretazioni degli Stati membri, con la revisione si preciseranno quali tipi di impianti di combustione debbano essere coperti dal sistema.

I Paesi dell'Unione hanno presentato, entro il 30 giugno 2006, i piani nazionali di assegnazione delle quote di emissione che dovevano essere approvati dalla Commissione europea ed eventualmente modificati.

Questi provvedimenti riguardano da vicino il nostro Paese. Infatti il piano consegnato dall'Italia è stato modificato dalla Commissione in quanto il tetto di emissione proposto è stato ritenuto troppo alto rispetto al limite coerente col Protocollo di Kyoto.

Le industri italiane si stanno movendo verso una riduzione delle emissioni e in particolare alcune Società hanno investito in nuova capacità produttiva adottando le più innovative tecnologie sia per lo sfruttamento delle risorse rinnovabili sia per conseguire maggiore efficienza nelle produzioni tradizionali.

È stato promosso soprattutto lo sviluppo della produzione eolica e nel campo termoelettrico, dove si è passati da centrali ad olio combustibile a impianti che utilizzano come combustibile il gas naturale.














CONCLUSIONI


Il problema del riscaldamento globale esiste e già si iniziano a vedere le sue ripercussioni sugli esseri umani, sugli animali e su tutti gli equilibri del pianeta.

Così come ha affermato lo scienziato Wolfgang Sachs[4], cambiamenti climatici, risorse energetiche e tutela dell'ambiente sono ormai una questione che riguarda i diritti umani, in particolare quelli economici e sociali, a livello mondiale".

Inoltre, la necessità di salvaguardare l'ambiente e risparmiare le risorse naturali si fa più urgente proprio nel momento in cui i Paesi in via di sviluppo rivendicano il loro diritto a raggiungere il benessere che gli altri Paesi sperimentano da tempo.

È giusto pretendere da questi paesi i sacrifici che i Paesi sviluppati hanno sinora attuato in maniera poco consistente?

Per rispondere anche solo parzialmente a questa domanda si potrebbe ricordare "Il principio di responsabilità. Un'etica per la società tecnologica" del filosofo tedesco Hans Jonas (1903-1993).

Egli chiarisce, presentando la propria nozione di responsabilità, che essa riguarda ciò che deve essere fatto e non ciò che è stato fatto (secondo una visione tradizionale di responsabilità come rendiconto). Si può dunque intendere la responsabilità come << il dovere di chi ha il potere >> di agire per il bene di ciò (o di chi) dipende da lui.

Se le società pretecnologiche vedevano la natura come un oggetto, non modificabile strutturalmente ad opera dell'uomo, considerato come un essere non intaccabile dalla tecnica era sufficiente un'etica dell'intenzione: ciò che conta è l'intenzione con cui si compie un'azione non importano i risultati.

Nell'odierna società tecnologica, dove la tecnica può creare dei danni irreversibili, l'etica dell'intenzione non è più sufficiente, occorre considerare le ripercussioni future delle nostre azioni attuali e non all'interno di una realtà locale, ma mondiale in quanto nel mondo globalizzato in cui viviamo le conseguenze sono globali.

Si mette così in evidenza la responsabilità politica e in particolare tre diversi elementi di uno stesso aspetto: la totalità, la continuità e il futuro.

Con la caratteristica della totalità Jonas si riferisce al fatto che l'uomo di Stato ha nei confronti dei cittadini una responsabilità che investe ogni aspetto della loro vita.

L'esercizio della responsabilità deve essere dunque costantemente presente e in questo sta la sua continuità. Il politico ha quindi l'impegno di preservare nel tempo l'identità collettiva di una nazione. Riguardo al futuro - osserva Jonas - il compito della responsabilità non è tanto quello di determinarlo, quanto quello di renderlo possibile. 

Al modello della responsabilità deve e può ispirarsi per Jonas un'etica delle responsabilità, valida più in generale per tutti gli uomini, in epoca di crisi ecologica. L'oggetto della responsabilità sarà in questo caso la vita umana, la sua stessa sopravvivenza e la conservazione del pianeta Terra in cui essa è possibile.

A questo fa riferimento una delle formulazioni di imperativo etico: <<agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un'autentica vita umana sulla Terra>>. 

Importante in proposito è l'emergere di nuovi soggetti di diritto. Se abitualmente siamo portati a considerare come soggetti di diritto solo gli uomini con i quali siamo a contatto quotidianamente, per Jonas sono soggetti di diritto anche la Natura e le generazioni future (successivamente filosofi come P. Singer saranno considerati soggetti di diritto anche gli animali).

Gli uomini dovrebbero dunque agire seguendo la massima: " fiat iustitia, nepereat mundus". Cioè bisogna compiere azioni giusta affinché il mondo non muoia, valutando l'incidenza delle nostre azioni.


BIBLIOGRAFIA

Schneider, Stephen H. "Global Warming". Geo, 1990.

Angela, P.; Pinna L. "Atmosfera istruzioni per l'uso". Mondadori, 1990.

Bernacca, Edmondo. "Il tempo domani. Dagli influssi lunari all'effetto serra: clima e previsioni". Giunti, 1991.

Neviani, I; Pignocchino Feyles, C. "Geografia generale. La Terra nell'Universo".  SEI, 2006.

Ciuffi; Luppi; Zanette. "I filosofi e le idee". Vol 3b. Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 2006.





Revelle ricevette nel 1986 il Premio Balzan per i suoi studi nei campi dell'oceanografia e della climatologia, in particolare per le sue fondamentali ricerche sull'aumento del biossido di carbonio nell'atmosfera e le sue conseguenze per il futuro del clima.

Questi studi mostrano come nei ghiacciai dell'Antartide le concentrazioni di anidride carbonica siano di molto superiori a qualsiasi altro periodo negli ultimi 650.000 anni.

Intervista di gennaio 2007 de "La Nuova Ecologia", di Katia Ippaso.

Scienziato del Wuppertal Institute attualmente diretto da Peter Hennicke. Le attività dell'istituto prevedono la suddivisione in tre gruppi di lavoro scientifici (nuovi modelli di benessere, eco - efficienza, sistemi di analisi) e quattro divisioni scientifiche (scientifiche (politiche per il clima, flussi di materia e cambiamenti strutturali, energia). L'analisi dei flussi materiali, la gestione delle risorse naturali, la contabilità ambientale e lo sviluppo di indicatori di sostenibilità sono tra le principali attività della divisione Division Material Flows and Structural Change.

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