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LE PAROLE SONO FINESTRE (OPPURE MURI)
"Le parole sono finestre, oppure muri,
ci imprigionano o ci danno la libertà"
Ruth Bebermeyer
Il mondo in cui viviamo, la società di cui facciamo parte è caratterizzata da infinite possibilità di comunicare; il progresso e la tecnologia hanno contribuito notevolmente alla capacità di comunicazione, tuttavia l'uomo moderno non si trova ancora completamente a suo agio nella società.
Il problema consiste nel fatto che l'uomo è violento per natura, e secondo Arun Gandhi ciò di cui ha bisogno è di portare un cambiamento qualitativo nella sua vita.
"Spesso non riconosciamo che siamo violenti perché crediamo che la violenza consista solo di lotte, di uccisioni, aggressioni o guerre - tutte cose che la persona media di solito non fa", spiega il nipote del leggendario M.K. Gandhi. Invece esiste un altro tipo di violenza, chiamata "violenza passiva", la quale può essere addirittura definita più insidiosa di quella attiva. Essa è infatti alla base de meccanismo che genera rabbia nella vittima, quindi in altri termini è proprio la violenza passiva che alimenta la violenza fisica.
Già Gandhi aveva sottolineato con enfasi che dobbiamo diventare noi stessi il cambiamento che vorremmo nel mondo, se vogliamo davvero cambiare qualcosa.
Il mondo è così come noi lo abbiamo fatto, se cambiamo noi sicuramente anche esso cambierà. Possiamo cominciare con le parole, imparando ad usarle nel modo giusto e al momento giusto ed evitando di considerarle superflue, vuote, inutili. Il libro che ho letto, e che dà il titolo a questa parte del mio percorso, introduce il lettore in un'atmosfera diversa da quella in cui mi sono abituata a vivere, basata sull'importanza della nonviolenza nella comunicazione. Essa infatti dovrebbe permettere a ciò che è positivo in noi di sbocciare, grazie alla possibilità delle parole di trasmettere i nostri sentimenti.
Marshall Rosenberg porta avanti questo discorso da anni, esponendo un processo di comunicazione nonviolenta dai contenuti estremamente profondi e proponendo soluzioni estremamente semplici.
Egli attribuisce una grande importanza alle parole. Con le parole neghiamo le nostre responsabilità, attribuendo i nostri atti a forze impersonali, alle condizioni di salute, alle autorità o a pulsioni incontrollabili. l'uso disinvolto e approssimativo delle parole ci fa contribuire quasi senza che ce ne accorgiamo alla strutturazione violenta dei nostri rapporti sociali. Invece bisogna recuperare l'originaria naturalezza dell'uomo nel dare e nel ricevere con empatia: la comunicazione nonviolenta (CNV) ci aiuta a metterci in relazione con noi stessi e con gli altri, in un modo che permette alla nostra naturale empatia di sbocciare. Essa ci guida nel ridare forma al modo in cui ci esprimiamo ed ascoltiamo gli altri, concentrando la nostra consapevolezza su quattro aree: che cosa osserviamo, che cosa sentiamo, di che cosa abbiamo bisogno e che cosa chiediamo per arricchire le nostre vite.
La comunicazione che blocca l'empatia
Provare gioia nel dare e nel ricevere con empatia fa parte della nostra natura. Tuttavia il professore spiega come abbiamo imparato presto molte forme di "comunicazione che aliena dalla vita", che ci portano a parlare e a comportarci in modi che feriscono gli altri e noi stessi. Una forma di comunicazione di questo tipo è l'uso di giudizi moralistici, che implicano il torto o la cattiveria di coloro i quali non agiscono in armonia con i nostri valori. Un'altra forma di comunicazione che aliena dalla vita è l'uso di paragoni, che possono bloccare l'empatia sia verso noi stessi che verso gli altri. Questa comunicazione, inoltre, offusca la nostra consapevolezza di essere ognuno responsabile dei propri pensieri, sentimenti ed azioni. Un'ulteriore forma di linguaggio che blocca l'empatia è comunicare i nostri desideri nella forma di pretese.
Le quattro componenti della comunicazione nonviolenta:
OSSERVARE
SENZA VALUTARE: la prima componente della CNV comporta la separazione
dell'osservazione dalla valutazione. Quando combiniamo l'osservazione con la
valutazione, gli altri saranno propensi a udire una critica e ad opporre
resistenza a quello che diciamo.
INDIVIDUARE
ED ESPRIMERE I SENTIMENTI: la seconda componente che è necessaria per esprimere
noi stessi sono i sentimenti. Sviluppando un vocabolario di sentimenti che ci
permetta di descrivere le nostre emozioni con chiarezza e specificità, possiamo
connetterci più facilmente l'uno con l'altro. Permettere a noi stessi di
mostrarci vulnerabili, esprimendo i nostri sentimenti, può aiutarci a risolvere
i conflitti.
PRENDERSI
RICHIESTE
CHE POSSONO ARRICCHIRE
Possiamo aiutare gli altri ad aver fiducia nel fatto che stiamo facendo una richiesta e non una pretesa esprimendo il nostro desiderio che loro obbediscano solo se lo fanno volentieri. Lo scopo della CNV non è quello di cambiare le persone e il loro comportamento per fare le cose a modo nostro; è invece quello di creare relazioni basate sull'onestà e sull'empatia, che successivamente soddisferanno i bisogni di tutti.
Ricevere con empatia
L'empatia è una comprensione rispettosa di quello che gli altri provano. Invece di offrire empatia, spesso abbiamo un forte impulso a dare consigli o rassicurazioni e a piegare a nostra opinione o i nostri sentimenti personali. L'empatia, invece, ci chiede di svuotare la nostra mente e di ascoltare gli altri con il nostro intero essere.
Con
Per dare empatia abbiamo bisogno di empatia. Quando ci accorgiamo di stare sulla difensiva o di essere incapaci di empatizzare, allora dobbiamo: a) fermarci, respirare, dare empatia a noi stessi, oppure b) urlare in modo nonviolento, oppure c) prenderci un "time out".
Il potere dell'empatia
La nostra capacità di dare empatia ci permette di essere vulnerabili di ridurre la violenza potenziale, di aiutarci ad ascoltare la parola "no" senza prenderla come un rifiuto, di ridare vita ad una conversazione spenta e persino di ascoltare i sentimenti ed i bisogni espressi tramite il silenzio.
Molte volte le persone che hanno avuto un sufficiente contatto con qualcuno che li ascolta empaticamente possono superare gli effetti paralizzanti del dolore psicologico.
Relazionarci a noi stessi con empatia
La più importante applicazione della CNV potrebbe riguardare il modo in cui trattiamo noi stessi. Quando facciamo degli sbagli, possiamo utilizzare il processo di celebrare la perdita in CNV e di perdono verso noi stessi per capire come possiamo crescere, invece di farci intrappolare da giudizi moralistici su noi stessi.
Valutando i nostri comportamenti in termini di bisogni non soddisfatti, lo stimolo al cambiamento deriverà non dal senso di vergogna o di colpa, dalla rabbia o dalla depressione, ma dal nostro genuino desiderio di contribuire al benessere nostro e altrui.
Il professore raccomanda di coltivare l'empatia verso noi stessi anche quando scegliamo di agire, nella vita di tutti i giorni, solo servendo i nostri bisogni e valori anziché per dovere, per ottenere riconoscimenti esteriori, o per evitare la vergogna, il senso di colpa o la punizione. Se riesaminiamo le azioni onerose cui ci sottoponiamo quotidianamente e traduciamo "devo" in "scelgo di", riportiamo in gioco l'integrità della nostra vita.
Esprimere interamente la propria rabbia
Incolpare e punire gli altri sono espressioni superficiali della propria rabbia. Se desideriamo esprimere la rabbia pienamente, il primo gradino consiste nel sollevare l'altra persona dalla responsabilità per la nostra rabbia. Invece, facciamo brillare la luce della consapevolezza sui nostri sentimenti e bisogni personali. Esprimendo i nostri bisogni, è molto più probabile che essi siano soddisfatti che non se giudichiamo, incolpiamo o puniamo gli altri.
I
quattro gradini verso l'espressione della rabbia sono: 1) fermiamoci e
respiriamo, 2) individuiamo i nostri pensieri di giudizio, 3) colleghiamoci ai
nostri bisogni e 4) esprimiamo i nostri sentimenti e bisogni insoddisfatti.
Talvolta potremmo di scegliere di empatizzare con l'altra persona tra i passi 3
e
L'uso protettivo della forza
In quelle situazioni dove non c'è la possibilità di comunicare, come ad esempio in condizioni di imminente pericolo, potremmo dover ricorrere all'uso protettivo della forza.
Lo scopo che sta dietro l'uso protettivo della forza è quello di prevenire gli infortuni o le ingiustizie, mai quello di punire o di far sì che gli altri soffrano, si pentano e cambino.
L'uso punitivo della forza tende a generare ostilità e a rafforzare la resistenza a quello stesso comportamento che stiamo cercando di ottenere. La punizione riduce la disponibilità e l'autostima e distoglie la nostra attenzione dal valore intrinseco di un'azione per spostarsi sulle sue conseguenze esterne.
Incolpare e punire non contribuiscono a creare le motivazioni che vorremmo ispirare negli altri.
Liberare noi stessi ed aiutare gli altri
Possiamo
sostituire
Esprimere apprezzamento in comunicazione nonviolenta
I complimenti convenzionali prendono spesso la forma di giudizi, benché positivi, e spesso vengono fatti per manipolare il comportamento altrui.
Quando riceviamo un apprezzamento espresso in questo modo, possiamo farlo senza alcun sentimento di superiorità o falsa modestia, festeggiando assieme alla persona che ce lo offre.
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