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paleomagnetismo
da tempo si è constatato che alcune rocce possiedono una magnetizzazione propria.
Queste rocce cantengono minerali ferromagnetici, cioè minerali che possiedono una magnetizzazione stabile che mantengono, indipendentemente dall'esistenza di un campo magnetico esterno. I minerali ferromagnetici più noti sono la magnetite e l'ematite.
Processi di Magnetizzazione delle rocce
Magnetizzazione permanente:
Le modalità attraverso le quali una roccia acquisisce una magnetizzazione permanente possono essere diverse, ma dipendono da un unico fattore: durante le fasi di formazione di una roccia che contiene sostanze magnetizzabili, deve essere presente un campo magnetico esterno, capace di indurre un orientamento ordinato dei campi magnetici associati agli atomi dei minerali ferromagnetici.
La magnetizzazione permanente viene quindi indotta dal c.m.t. esistente al momento della formazione della roccia.
a) materiale non sottoposto ad un
campo magnetico esterno
b) materiale sottoposto ad un campo
magnetico esterno
Da quanto detto precedentemente il punto di Curie corrisponde alla temperatura alla quale scompare il magnetismo permanente, quando si riscalda un materiale magnetico. Una fondamentale proprietà di molte rocce magnetiche è che, raffreddandosi sotto il punto di Curie, acquisiscono una magnetizzazione che ha la stessa direzione del campo magnetico in cui erano immerse al momento del raffreddamento.
Una lava fuoriuscendo da un vulcano, raffreddandosi, "si orienta", assume cioè una magnetizzazione secondo il campo magnetico di quel luogo e di quel momento. Una volta divenuta roccia a meno di essere riportata sopra il punto di Curie, i dati magnetici rimangono registrati in questa lava per sempre, quasi fossero congelati. Questo magnetismo fossile, che si conserva anche se il campione di roccia è sottoposto a modesti disturbi meccanici, magnetici, termici e che quindi permane inalterato anche a distanza di decine o centinaia di milioni di anni, è detto paleomagnetismo.
Soltanto alcuni tipi di rocce risultano utili all'indagine paleomagnetica. Le lave basaltiche, ad esempio, appartengono a questa categoria; esse sono abbastanza ricche di minerali ferriferi ed acquisiscono la magnetizzazione mentre si raffreddano.
Misure paleomagnetiche sono possibili anche su rocce sedimentarie ricche di ossido di ferro.
Alcune di queste possono presentare una magnetizzazione permanente (detta magnetizzazione detritica residua). Questa magnetizzazione viene aquisita durante il processo di sedimentazione, quando detriti e frammenti molto piccoli, contenenti minerali già magnetizzati cadono nell'acqua del mare e tendono a depositarsi secondo il c.m.t. La magnetizzazione detritica è in genere molto più debole della termorimanente.
Principio fondamentale:
La direzione ed l'intensità della magnetizzazione residua è proporzionale e parallela rispettivamente al c.m.t. all'epoca della magnetizzazione.
Procedimento in laboratorio:
eliminare componenti di magnetizzazione secondaria,
determinare i paleo-poli (poli paleo-geomagnetici): risalire ai paleo-poli da un insieme di campioni, tenendo conto dell'inclinazione e della declinazione della magnetizzazione residua di ogni singolo campione.
Sfruttando questa proprietà i geofisici soprattutto negli anni cinquanta e sessanta cominciarono a raccogliere rocce di tutte le età e di varie parti del globo rilevando tre interessanti e sorprendenti fenomeni:
La migrazione (apparente) dei poli,
Le inversioni di polarità,
Le anomalie magnetiche dei fondi oceanici.
Negli
ultimi cinquant'anni vari gruppi di ricercatori indagando sul paleomagnetismo
presente in vari tipi di rocce distribuiti sia sul continente americano sia
europeo, hanno registrato una continua variazione della posizione del polo nord
attraverso le varie ere geologiche.
L'indagine ha rilevato che circa 500 - 600 milioni di anni fa, il polo nord si
trovava lungo l'equatore, nel mezzo dell'attuale Oceano Pacifico, inoltre i
risultati ottenuti dall'analisi delle rocce americane rispetto a quelle europee
davano posizioni diverse per il polo.
La spiegazione del fenomeno comportava due possibili soluzioni: o si facevano migrare i continenti mantenendo fissi i poli, o si facevano migrare i poli tenendo fissi i continenti.
All'inizio si pensava che la migrazione dei poli fosse causata dallo spostamento dell'asse di rotazione terrestre; quando ciò avviene, i poli, che sono i punti in cui tale asse incontra la superficie terrestre, si spostano su di essa compiendovi un certo tragitto.
Già nel 1889 l'astronomo italiano Schiapparelli aveva fatto notare che l'asse di rotazione terrestre può non coincidere con l'asse di inerzia.
I due assi corrisponderebbero solo nel caso in cui le masse che costituiscono
la Terra fossero disposte con perfetta simmetria rispetto all'asse di rotazione
terrestre, il che evidentemente non corrisponde alla realtà. Conseguentemente
il movimento di rotazione non è del tutto regolare, e si è constatato che la
posizione dei poli subisce in effetti dei piccoli spostamenti, dell'ordine di
pochi metri attorno all'asse dell'ellissoide terrestre. In mancanza di
perturbazioni esterne l'asse di rotazione terrestre, in accordo con la legge di
conservazione del momento angolare, rimane praticamente fisso nello spazio.
L'unica ipotesi plausibile per spiegare l'apparente migrazione dei poli è quindi quella di considerare la deriva dei continenti; in realtà sono i continenti che, migrando sulla superficie del globo, si sono mossi rispetto all'asse di rotazione terrestre.
Un particolare aspetto del paleomagnetismo, riguarda le inversioni del campo geomagnetico, riconosciute per la prima volta quando a seguito dell'analisi delle colate laviche degli ultimi cinque milioni di anni si riscontrò direzioni del campo paleomagnetico divergenti di 180°.
Irregolarmente, ma circa ogni mezzo milione di anni, il campo magnetico della Terra cambia polarità (il polo nord diventa polo sud e viceversa), impiegando qualche migliaio di anni ad invertire la propria direzione. Successivamente, usando vari metodi di datazione, si è potuto stabilire che queste inversioni si succedono con lo stesso ordine cronologico, anche in zone assai distanti tra loro e si è ricostruita la storia delle inversioni negli ultimi 5 - 7 milioni di anni.
Si è così trovato che circa la metà di tutte le rocce studiate hanno magnetizzazioni opposta a quella dell'attuale campo magnetico della Terra. Questo implica che il campo magnetico si è "ribaltato", da normale ad inverso piuttosto frequentemente nel passato geologico e che campi magnetici normali o inversi sono ugualmente probabili.
I periodi
più lunghi, dell'ordine del mezzo milione di anni, sono chiamati epoche magnetiche, ognuna con un nome di
un famoso scienziato del paleomagnetismo. Ma durante le epoche si registrano
anche brevi inversioni dette eventi
magnetici che possono durare dai 10.000 ai 100.000 anni. La causa di queste
periodiche inversioni del campo geomagnetico non è ancora conosciuta, tuttavia gli scienziati americani Glatzmaier e Roberts simularono, con diverse
prove, il riscaldamento e una variazione nei movimenti interni del profondo
strato di metallo liquido (nucleo esterno) per verificare quali conseguenze
potrebbero esservi nel campo magnetico terrestre.
Durante queste prove di simulazione si è potuto verificare che l'agitazione
dello strato di metallo liquido che avvolge il nucleo terrestre comporta una
serie di modifiche al campo magnetico terrestre; questo aumenta o diminuisce a
seconda dei casi, i poli magnetici si spostano e in alcuni casi si invertono. Secondo
i due scienziati americani queste inversioni richiedono alcune migliaia di anni
per completarsi e, a differenza di quello che si pensava, non comportano l'azzeramento
del campo magnetico ma una sua modifica.
Durante le inversioni dei poli il campo magnetico non scompare ma modifica la sua struttura e diventa più complesso. Le sue linee di forza in prossimità della superficie terrestre tendono a divenire aggrovigliate e i poli magnetici si spostano prima di completare l'inversione. Non è ancora stato accertato se il campo si affievolisce lentamente per poi aumentare gradualmente nella direzione opposta o se semplicemente si ribalta. Tutto il fenomeno dipende da quella sorta di dinamo che è il nucleo terrestre, la quale, evidentemente, può variare la propria polarità casualmente e con una certa facilità.
Anche se ci muoviamo nell'ambito delle
ipotesi, perché pur sempre di ipotesi si tratta, gli studi di Glitzmaier e
Roberts dimostrerebbero che l'inversione dei poli magnetici non dovrebbe avere
conseguenze devastanti per la vita sulla Terra, anche perché darebbero ragione
del fatto che se anche ci fossero state almeno due inversioni nell'ultimo
milione di anni, la razza umana non si è estinta. Tale fenomeno porterebbe
tuttavia la Terra ad avere una minore schermatura contro il vento solare e
questo potrebbe comportare un assottigliamento dello strato di ozono e una
maggiore penetrazione delle radiazioni ultraviolette che determinerebbe un
aumento delle malattie tumorali.
Il fenomeno inoltre potrebbe avere anche effetti sulle specie animali che
impiegano il campo magnetico per il proprio orientamento (le balene, le
tartarughe, alcune specie di uccelli migratori).
Strettamente collegate all'inversione di polarità sono le strane ed importantissime anomalie magnetiche riscontrate sui fondali oceanici.
Durante la perlustrazione dei fondi oceanici, gli oceanografi scoprirono delle anomalie magnetiche distribuite in modo assai caratteristico. Queste anomalie rappresentano delle piccole deviazioni dei valori medi dell'intensità del campo magnetico terrestre. In un'area con anomalia positiva, il campo magnetico terrestre ha intensità maggiore del normale, mentre in un'area con anomalia magnetica negativa, l'intensità è minore del normale.
La lava
proveniente dal sottosuolo che solidifica registra le inversioni del campo
magnetico terrestre e si formano delle fasce di fondale (larghe da
Correlando queste inversioni con la scala dei tempi geomagnetici, è stato
possibile datare i fondi oceanici e si è constatato che i fondali oceanici non
hanno un'età superiore a 200 milioni di anni nelle parti più antiche, età che è
molto diversa da quella registrata per alcune rocce continentali che arrivano a
3,8 miliardi di anni. Questo significa che il fondo oceanico è cambiato molte
volte nel corso della storia della Terra.
Altro interessante aspetto delle anomalie magnetiche dei fondi oceanici è che è possibile ricostruire la posizione dei continenti, l'uno rispetto all'altro, in un dato momento della storia della Terra. Spostando e facendo coincidere con l'asse della dorsale le anomalie associate allo stesso periodo temporale, si ottiene il profilo del fondo oceanico in quel particolare tempo geologico e quindi anche i profili delle terre emerse.
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