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Magnetismo




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MAGNETISMO


Aspetto dell'elettromagnetismo che studia le interazioni magnetiche tra corpi e le proprietà della materia connesse a tali fenomeni. Le particelle cariche in movimento, come gli elettroni, producono forze di carattere magnetico: ciò mostra che elettricità e magnetismo sono manifestazioni di uno stesso fenomeno fisico, la propagazione delle onde elettromagnetiche. La teoria che inquadra in un unico schema questi processi è appunto la teoria elettromagnetica.  L'osservazione dei fenomeni magnetici che si manifestano a livello microscopico ha fornito importanti indizi per lo studio della struttura atomica della materia.


Spargendo della limatura di ferro intorno a una calamita è possibile evidenziare le linee di forza del campo magnetico da essa generato. I frammenti si dispongono spontaneamente lungo curve la cui direzione in ogni punto coincide con quella del campo, e la cui densità è proporzionale alla sua intensità.


Primi studi


L'uso della bussola per la navigazione in Occidente e le prime ricerche sul comportamento dell'ago magnetico risalgono circa al 1200, ma il primo studio organico dei fenomeni magnetici si trova nell'opera De magnete pubblicata nel 1600 dal fisico William Gilbert. Lo scienziato, utilizzando un ago magnetico e una calamita di forma sferica, osservò che la Terra stessa si comporta come un'enorme calamita e, attraverso una serie di esperimenti condotti con metodo scientifico, riuscì a sconfessare numerose nozioni scorrette sul magnetismo accettate fino ad allora. Nel 1750, il geologo John Michell inventò una bilancia con la quale mostrò che l'intensità della forza attrattiva o repulsiva tra due poli magnetici è inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Successivamente Charles-Augustin de Coulomb, a cui si deve la descrizione completa della forza tra cariche elettriche, verificò e sviluppò le osservazioni di Michell con grande precisione.


La teoria di elettricità e magnetismo

Dalla fine del XVIII secolo le teorie dell'elettricità e del magnetismo furono sviluppate contemporaneamente. Nel 1819 Hans Christian Oersted osservò che un filo conduttore percorso da corrente elettrica esercita una forza su un ago magnetico posto nelle vicinanze. Nel 1831 Michael Faraday scoprì che una variazione del campo magnetico che investe un conduttore può indurre in esso una corrente elettrica: l'effetto contrario fu poi osservato da Oersted, il quale, sulla base dei suoi precedenti esperimenti, concluse che una corrente elettrica che circola in un filo conduttore genera a sua volta un campo magnetico.


Fu quindi chiamato induzione magnetica in un punto, il vettore avente la direzione di un ago magnetico (libero di ruotare) nella posizione di equilibrio assunta in quel punto, verso coincidente con quello Sud-Nord dello stesso ago e per modulo la grandezza:


dove F è la forza agente sulla corrente in modo perpendicolare al campo magnetico, i è l'intensità di corrente, l la lunghezza del conduttore ed  è l'angolo formato dalla corrente e dal campo magnetico. Da ciò si ricava che l'unità di misura dell'induzione magnetica è N/(Am).


Questa scoperta, che portò un'ulteriore prova della relazione tra elettricità e magnetismo, fu seguita dagli studi di André-Marie Ampère sulle forze agenti tra fili percorsi da corrente, e di Dominique-François-Jean Arago, che magnetizzò un pezzo di ferro semplicemente ponendolo nelle vicinanze di un filo percorso da corrente elettrica. Fu Ampère, infatti, a scoprire che due conduttori paralleli, percorsi da corrente, interagiscono fra loro con forze attrattive o repulsive a seconda che la corrente percorra i due conduttori nello stesso verso o in versi opposti. Tale legge è spiegata nella seguente relazione:


dove m0=4p10-7henry/m è la costante di permeabilità magnetica del vuoto, i1 e i2 le intensità di corrente dei due conduttori paralleli di lunghezza l e a distanza d l'uno dall'altro.


A James Clerk Maxwell si deve la formulazione organica dell'elettromagnetismo, sintetizzata nelle sue famose quattro equazioni che descrivono in modo correlato fenomeni elettrici e magnetici.



Il flusso del campo elettrico uscente da una superficie chiusa è uguale al rapporto tra la somma delle cariche contenuta all'interno della superficie e la costante dielettrica e0.


Il flusso dell'induzione magnetica uscente da una superficie chiusa è sempre nullo.


La circuitazione dell'induzione magnetica, lungo un percorso chiuso, è uguale al prodotto della permeabilità m0 per la somma della corrente effettiva e di quella di spostamento.


La circuitazione del campo elettrico lungo una linea chiusa è uguale al rapporto, cambiato di segno, tra la variazione del flusso dell'induzione magnetica concatenato col percorso considerato e l'intervallo di tempo in cui è avvenuta la variazione.


Egli predisse inoltre l'esistenza delle onde elettromagnetiche e riconobbe la natura elettromagnetica della luce. Gli studi successivi furono volti a individuare le origini atomiche e molecolari delle proprietà magnetiche della materia. Nel 1905 Paul Langevin diffuse una teoria che giustificava la dipendenza delle proprietà magnetiche di alcune sostanze dalla temperatura. Questa teoria fu uno dei primi esempi di descrizione di fenomeni macroscopici in termini di proprietà atomiche, e quindi microscopiche. In seguito la teoria di Langevin fu ampliata dal fisico francese Pierre-Ernst Weiss, che postulò l'esistenza di una sorta di campo magnetico molecolare per spiegare l'origine delle forti proprietà magnetiche di alcuni materiali.


Gli sviluppi del XX secolo


Dopo la pubblicazione della teoria di Weiss, iniziarono numerosi e dettagliati studi sulle proprietà magnetiche della materia. Con il modello atomico di Niels Bohr si comprese l'origine delle spiccate proprietà magnetiche degli elementi di transizione, come il ferro e gli elementi delle terre rare, o i composti che contengono tali elementi. I fisici Samuel Abraham Goudsmit e George Eugene Uhlenbeck dimostrarono nel 1925 che l'elettrone è dotato di spin, e che il suo comportamento è riconducibile a quello di una barretta magnetica con momento magnetico definito. Il momento magnetico di un oggetto è una grandezza vettoriale, che fornisce intensità e direzione del campo magnetico dell'oggetto, e ne determina il comportamento in un campo magnetico esterno. Nel 1927, il fisico tedesco Werner Heisenberg fornì una dettagliata spiegazione per la teoria del campo molecolare di Weiss, sulla base dei principi della meccanica quantistica appena sviluppata.


Le linee di forza del campo magnetico e il movmento di una particella 


Oggetti magnetizzati o fili percorsi da correnti elettriche interagiscono con forze di natura magnetica. Queste forze possono essere descritte mediante il concetto di campo magnetico e rappresentate graficamente con un insieme di linee di forza o di campo, mostrate nell'illustrazione.


L'andamento delle linee di forza di un campo magnetico dipende dalla forma geometrica e dalle caratteristiche del magnete o del sistema di fili conduttori percorsi da corrente che lo generano; nel caso di un magnete a sbarra, ad esempio, le linee di forza emergono da una delle estremità della sbarra, si incurvano nello spazio circostante, raggiungono l'altra estremità e si chiudono all'interno della sbarra, dove sono tutte vicine e parallele. Alle estremità del magnete, le linee di forza sono più fitte, il che corrisponde a una maggiore intensità del campo, mentre sui lati il campo è più debole, e dunque le linee sono più distanziate. È possibile rilevare la direzione e il verso delle linee di forza di qualunque campo magnetico per mezzo di un aghetto magnetico o di un po' di limatura di ferro. I magneti tendono ad allinearsi lungo la direzione delle linee di campo: infatti una bussola, che altro non è se non un piccolo magnete libero di ruotare, se è posta in un campo magnetico si allinea con le linee di forza del campo. Analogamente si comporta la limatura di ferro che, sparsa su un foglio di carta tenuto sopra un oggetto magnetizzato, si distribuisce lungo le linee di forza del campo. Oltre che su materiali magnetici, il campo magnetico agisce su particelle cariche in moto. Quando una particella si muove attraverso un campo magnetico, è soggetta a una forza, detta forza di Lorentz. Questa forza è data dalla seguente legge:


Per azione della forza di Lorentz, quindi, se una particella carica entra parallelamente al campo, essa non è soggetta ad alcuna forza, mentre se entra in un campo magnetico in modo perpendicolare, la sua traiettoria viene incurvata e risulta circolare; il raggio e la frequenza di tale circonferenza sono rispettivamente:


Come si può notare la frequenza non dipende dalla velocità.


Infine se la particella entra in modo obliquo rispetto al vettore induzione magnetica, soltanto la componente ortogonale al campo della velocità sarà soggetta alla forza di Lorentz, così il moto della particella risulterà elicoidale.


La forza di Lorentz viene sfruttata negli acceleratori di particelle e negli spettrometri di massa per guidare le traiettorie delle particelle cariche o per distinguere fra particelle di carica diversa.


Induzione magnetica


Fenomeno fisico che consiste nella comparsa di una corrente elettrica all'interno di un circuito conduttore immerso in un campo magnetico, ogni volta che si verifica una variazione del flusso del campo attraverso il circuito stesso. Il flusso del campo magnetico rappresenta il numero di linee di forza che attraversano una data superficie nell'unità di tempo; dipende da una parte dall'intensità, dalla direzione e dal verso del campo magnetico, dall'altra dall'estensione della superficie e dalla sua orientazione nello spazio.


La sua unità di misura nel sistema S.I. é il WEBER. Le linee di forza dell'induzione magnetica non hanno né inizio né fine, infatti, sono linee chiuse. Questa proprietà fa si che, comunque si tracci una superficie chiusa, il numero delle linee di forza entranti é uguale al numero di linee di forza uscenti, per cui il flusso dell'induzione magnetica attraverso la superficie é nullo. Tale proprietà viene enunciata nel famoso teorema di Gauss per il magnetismo: "Il flusso dell'induzione magnetica uscente da una superficie chiusa è sempre nullo, qualunque sia il campo magnetico e per qualunque superficie".


Aumentando o riducendo l'intensità del campo, spostando i magneti che lo producono, o variando l'orientazione nello spazio del circuito conduttore, si producono variazioni del flusso attraverso la superficie racchiusa dal circuito, che 'inducono' la nascita di una corrente elettrica, detta per questo corrente indotta. L'induzione elettromagnetica venne scoperta nel 1831, dal fisico inglese Michael Faraday, grazie a due espe­rienze che ora descriveremo.


Prima esperienza di Faraday: conduttore fermo, campo magnetico variabile


La figura 1 mostra uno schema del dispositivo di Faraday: un anello di ferro che passa attraverso due bobine A e B. La bobina A è alimentata da una batteria ed è provvista di un interruttore, mentre la bo­bina B fa parte di un circuito in cui è inserito soltanto uno strumento rilevatore di correnti, particolarmente sensibile, in genere un milliamperometro o Un galvanometro. Chiudendo l'interruttore I, Faraday osservò che nella bobina B si aveva per un breve inter­vallo di tempo un passaggio di corrente; il fenomeno si ripete­va nell'istante in cui, aprendo l'interruttore I, s'interrompeva il passaggio della corrente in A. Egli inoltre osservò che il ver­so della corrente che circolava in B durante la chiusura del circuito A era opposta a quello della corrente che si generava nella stessa bobina nell'istante in cui s'interrompeva il passag­gio della corrente in A.


Lo stesso Faraday scoprì che la presenza del nucleo di ferro non era essenziale, ma serviva solo ad intensificare l'effetto. La corrente prodotta, in B è chiamata "corrente indotta" e la sua produzione è ora nota co­me fenomeno di induzione elettromagnetica. E` importante sottolineare che la corrente indotta generata nell'esperimento di Faraday ora descritto dura solo per un intervallo di tempo molto bre­ve, quando si chiude o si apre il circuito A, mentre durante il tempo in cui il circuito A rima­ne chiuso, qualunque sia l'in­tensità di corrente che lo attra­versa, non si genera in B cor­rente indotta.


Seconda esperienza di Faraday: conduttore fermo, magnete in moto


Dopo circa un mese e mezzo Fa­raday scoprì un altro caso di corrente indotta molto impor­tante, perché servì a chiarire ancora meglio del primo le cau­se dell'induzione elettromagne­tica.


Egli si accorse che, avvicinan­do una calamita ad una bobina collegata ad un milliamperome­tro, si produce una corrente in­dotta (fig. 2 a) che attraversa la bobina nell'intervallo di tempo in cui il magnete è in movimen­to e s'interrompe quando la ca­lamita è ferma. Se la calamita è allontanata dal­la bobina (fig. 2 b) il verso della corrente indotta è l'opposto. Si trova anche (fig. 3), agli effet­ti del verso della corrente in­dotta, che l'avvicinamento del polo Nord della calamita alla bobina equivale all'allontanamento del polo Sud e, vicever­sa, il verso della corrente indot­ta nella bobina quando si allon­tana il polo Nord coincide con quello della corrente che si produce quando si avvicina il polo Sud. Inoltre gli effetti sono sempre gli stessi, sia che il solenoide re­sti fisso rispetto a un sistema di riferimento e il magnete si muova, sia invece che il magne­te rimanga fisso e il solenoide sia in moto. Per la produzione della corrente indotta è neces­sario solo che ci sia un moto re­lativo del magnete rispetto al solenoide.


In entrambe le esperienze, le correnti indotte si producono quando il campo magnetico sulla superficie, delimitata dal circuito indotto, varia nel tempo. Se si produce una corrente indotta, nel circuito si produrrà anche una forza elettromotrice indotta, pari a quella che si avrebbe per generare una corrente d'intensità uguale a quell'indotta.


In una spira immersa in un campo elettromagnetico ed in movimento rispetto ad esso, tipo quella in Fig.4, si produrrà quindi una corrente indotta. Indicando con  il campo magnetico, su ciascun elettrone di carica -e agisce la forza di Lorentz.


Tale Forza compie un Lavoro per spostare un elettrone da A a B pari a:


Poiché la f.e.m. è definita come il rapporto tra il lavoro compiuto per spostare una carica elettrica da un polo all'altro di una pila e la carica stessa, la forza elettromotrice indotta della spira sarà:


Quindi, indicando con R la resistenza della spira, l'intensità di corrente, risulta uguale a:


Ancora riferendoci alla figura 4, possiamo osservare che il flusso del vettore  attraverso la superficie delimitata dalla spira, in un istante generico in cui il tratto BC di spira immerso nel campo magnetico è x, essendo ora la normale alla spira parallela al campo magnetico, vale: Φ = Bxl. Dopo un intervallo di tempo Δt il flusso diventa: Φ1 = Bl(x-Δx), dove Δx = vΔt. Esiste, quindi una variazione del flusso pari a: ΔΦ = Φ1- Φ = -BlΔx, che è una quantità negativa perché la superficie è diminuita. Il rapporto tra la variazione di flusso nell'intervallo di tempo Δt risulta:


La relazione precedente è nota come la legge di Faraday-Neumann, ed è stata scoperta dal secondo nel 1845. Essa spiega la concatenazione del flusso del campo magnetico con la spira. Osserviamo, inoltre che il verso della corrente indotta è tale da opporsi alla causa che ha determinato la corrente, ovvero il campo magnetico da essa prodotto si oppone alla variazione del flusso Φ(B) concatenato con il circuito considerato. Questa importante osservazione è il fondamentale contributo che Emil Lenz nel 1834 diede alla legge di Faraday-Neumann. Matematicamente la legge di Lenz è rappresentata dal segno meno che appare nella  f = -(ΔΦ/ Δt).


Autoinduzione


Quando varia la corrente circolante in un circuito conduttore, il campo magnetico variabile che ne deriva investe il circuito stesso inducendo su di esso una differenza di potenziale. Questa differenza di potenziale autoindotta si oppone alla differenza di potenziale del generatore e tende a ridurre o invertire la corrente originaria.


Il concetto di autoinduzione elettrica è simile a quello di inerzia meccanica. Una bobina d'arresto tende ad addolcire l'andamento di una corrente variabile, così come un volano addolcisce quello rotatorio di un motore. La capacità di autoinduzione di una bobina viene quantificata dall'induttanza, grandezza fisica indipendente dall'intensità di corrente o dalla differenza di potenziale e determinata unicamente dalle caratteristiche geometriche della bobina e dalle proprietà magnetiche della sostanza che ne costituisce il nucleo. In un solenoide, per esempio, il flusso del campo elettromagnetico generato dalla corrente che passa nelle spire è uguale a:


Dove la quantità  è costante e viene chiamata induttanza del solenoide. Essa si misura in Henry e viene disegnata nei circuiti.


La legge di Faraday-Neumann diventa in funzione dell'intensità di corrente


Una conseguenza dell'autoinduzione è la presenza dell'extracorrente di apertura e di chiusura di un circuito. Infatti nel brevissimo intervallo di tempo della chiusura e dell'apertura del circuito, la variazione dell'intensità di corrente produce una f.e.m. autoindotta espressa dalla suddetta formula, che, per la legge di Lenz, ostacola il raggiungimento del valore di regime, che nel caso della chiusura è    i = fp / R , mentre in quello dell'apertura è i = 0 ,come si può osservate in fig.6.


Da ciò ne segue che l'extracorrente di chiusura e di apertura sono rispettivamente:


Dove τ = L / R e dove l'intensità di corrente arriva a regime dopo un tempo uguale a 3 o 4 volte Tau.  Si può dimostrare, quindi, che esiste un energia intrinseca della corrente che rappresenta la differenza tra l'energia erogata dal generatore e quella dissipata per effetto Joule, durante l'intervallo di tempo in cui la corrente aumenta da 0 a i; la stessa energia viene restituita quando l'intensità di corrente torna a 0, aprendo il circuito. Tale energia risulta:


che espressa in funzione del campo magnetico diventa:


Da quest'ultima si può ricavare la densità di energia per unità di volume del campo magnetico:


Un'alta applicazione dell'autoinduzione, può essere considerata la MUTUA INDUZIONE.


In generale, dati due circuiti 1 e 2 (fig. 7) fissi, il flusso Φ2(B) dell'induzione magnetica, dovuta alla corrente i1 che attraversa il circuito 1, concatenato con il circuito 2 è direttamente proporzionale alla corrente i1 secondo la legge:


Analogamente, il flusso Φ1(B) dell'induzione magnetica, dovuta alla corrente i2 che attraversa il circuito 2, concatenato con il circuito 1 è direttamente proporzionale alla corrente i2 secondo la:


in cui M è la quantità costante che appariva anche nella legge precedente. Tale costante prende il nome di coefficiente di mutua induzione ed ha come unità di misura l'henry. Si dice invece che c'è Mutua induzione, quando c'è una variazione di corrente in un circuito che fa variare il flusso del campo magnetico dell'altro circuito. La legge che descrive il fenomeno è:


La scoperta dell'induzione elettromagnetica permise l'invenzione del generatore elettrico rotativo, che converte lavoro meccanico in energia elettrica. Nei dispositivi che sfruttano il fenomeno dell'induzione elettromagnetica, la variazione del flusso si ottiene generalmente mediante campi magnetici di intensità variabile. Si mandano degli impulsi di corrente attraverso un filo conduttore o un'elettrocalamita, che generano un campo magnetico a impulsi. Questo rende possibile l'induzione di una corrente elettrica in un circuito situato in posizione tale da risentire delle variazioni del campo. Una delle principali applicazioni tecniche dell'induzione elettromagnetica è il trasformatore, un dispositivo costituito da due bobine conduttrici adiacenti, avvolte intorno a un nucleo di materiale ferromagnetico. La sua funzione consiste nell'accoppiare due o più circuiti in corrente alternata (AC), sfruttando l'induzione tra le due spire.


CAMPO ELETTRICO INDOTTO


Dato un flusso elettromagnetico variabile su una spira, la forza di Lorentz agente sugli elettroni produce un vettore campo elettrico indotto, che ha un verso opposto a quello della forza di Lorentz e un'intensità pari a:


La circuitazione del campo elettrico indotto lungo la spira è uguale alla f.e.m. indotta, vale a dire il lavoro della forza di Lorentz compiuto lungo tutta la spira, diviso per la carica dell'elettrone. Essendo la circuitazione diversa da zero, ne segue che il campo elettrico indotto non è conservativo.


Il concetto generale in tutta la questione precedente è che una variazione del flusso in un campo magnetico produce un campo elettrico indotto che esiste indipendentemente dalla presenza di una spira, per cui quest'ultima risulta solo un dispositivo idoneo alla rivelazione del campo elettrico a mezzo della corrente indotta. 


Il paradosso della teoria di Ampère


Il circuito di fig.1 è alimentato da una f.e.m. alternata; il condensatore piano inserito, non impedisce il passaggio della corrente, in quanto le sue armature si caricano alternativamente di segno positivo e negativo al variare della polarità della tensione di alimentazione.


Indichiamo con i l'intensità di corrente ad un certo istante in cui l'armatura superiore del condensatore è positiva e quella inferiore è negativa e supponiamo che la corrente aumenti nel tempo. Abbiamo indicato nella figura una linea chiusa piana di forma qualsiasi concatenata con il circuito. La circuitazione dell'induzione magnetica, prodotta dalla corrente i, lungo la curva 1 è uguale per il teorema di Ampère al prodotto della permeabilità magnetica per la somma algebrica delle correnti concatenate con il percorso chiuso considerato.  Osservando la figura, però, nella superficie b non è attraversata da corrente, mentre la superficie a, lo è.


Per eliminare questo paradosso James Clerk Maxwell con un'ipotesi, che in un primo momento parve ai fisici del suo tempo artificiosa, suppose che nello spazio compreso tra le armature del condensatore avesse luogo qualche fenomeno equivalente ad una corrente. Egli la chiamò corrente di spostamento:


Il teorema della circuitazione di Ampere, nella forma modificata da Maxwell, diventa perciò:


Poiché si può dimostrare che i=is , tale ipotesi acquista un significato fisico importante, in quanto egli suppose che la corrente di spostamento produca un effetto magnetico come la corrente effettiva legata al movimento delle cariche. Dobbiamo perciò pensare che nella regione di spazio compresa tra le armature del condensatore esista un campo magnetico, le cui linee di forza sono concatenate con quelle del campo elettrico. Come un campo magnetico variabile nel tempo produce un campo elettrico, così un campo elettrico variabile nel tempo produce un campo magnetico. Maxwell, quindi, con le sue quattro famose equazioni, riassunse tutte le proprietà del campo elettrico e di quello magnetico.


Il flusso del campo elettrico uscente da una superficie chiusa è uguale al rapporto tra la somma delle cariche contenuta all'interno della superficie e la costante dielettrica e0.

Il flusso dell'induzione magnetica uscente da una superficie chiusa è sempre nullo.

La circuitazione dell'induzione magnetica, lungo un percorso chiuso, è uguale al prodotto della permeabilità m0 per la somma della corrente effettiva e di quella di spostamento.

La circuitazione del campo elettrico lungo una linea chiusa è uguale al rapporto, cambiato di segno, tra la variazione del flusso dell'induzione magnetica concatenato col percorso considerato e l'intervallo di tempo in cui è avvenuta la variazione.

La prima formulazione completa della teoria delle onde elettromagnetiche è esposta in una serie di articoli pubblicati dopo il 1860 dal fisico britannico James Clerk Maxwell. Questi, oltre a proporre un'analisi matematica della teoria del campo elettromagnetico, scoprì la natura elettromagnetica della luce. Il fatto che la luce si propaghi in forma di onde trasversali, ovvero di onde che oscillano lungo la direzione perpendicolare alla direzione di avanzamento del fronte, era noto fin dall'inizio del XIX secolo. Tuttavia, ritenendo che fosse necessario un mezzo di supporto per la propagazione di qualsiasi tipo di onda, i fisici del tempo avevano postulato l'esistenza dell'etere, una sostanza invisibile, che permeava tutto lo spazio. Benché resa totalmente inutile dalla teoria di Maxwell, l'assunzione dell'esistenza di un etere cosmico aveva numerose implicazioni connesse al concetto newtoniano di sistema di riferimento spazio-temporale assoluto nell'universo, e probabilmente per questo motivo essa non venne immediatamente abbandonata. Verso la fine del XIX secolo, un celebre esperimento condotto dal fisico Albert Abraham Michelson e dal chimico Edward Williams Morley determinò la crisi del concetto di etere e aprì la strada allo sviluppo della teoria della relatività. Una conseguenza di questo esperimento fu l'osservazione che la velocità della radiazione elettromagnetica nel vuoto è invariante, cioè ha un valore costante che non dipende dalla velocità della sorgente o dell'osservatore: 299.792.458 m/s. La Radiazione elettromagnetica è l'insieme delle onde prodotte dall'oscillazione o dall'accelerazione di cariche elettriche. Tali onde sono costituite da due componenti, una elettrica e una magnetica, e costituiscono il cosiddetto spettro elettromagnetico, di cui la regione della luce visibile è solo una parte. Classificando la radiazione in base a frequenze decrescenti, che equivale ad andare da lunghezze d'onda molto piccole a lunghezze d'onda più grandi, si riconoscono raggi gamma, raggi X duri e molli (rispettivamente più e meno energetici), radiazione ultravioletta, luce visibile, radiazione infrarossa, microonde e onde radio. Dai raggi gamma alle onde radio l'ordine di grandezza della lunghezza d'onda varia dal miliardesimo di micrometro al chilometro. La conoscenza della lunghezza d'onda, o equivalentemente della frequenza, è importante per determinare il potere di riscaldamento, la visibilità, la capacità di penetrazione e altre caratteristiche dei diversi tipi di onda elettromagnetica.


La capacità di penetrazione delle radiazioni elettromagnetiche attraverso l'atmosfera terrestre dipende dalla lunghezza d'onda. Dal grafico, che rappresenta l'altitudine a cui si ha il massimo assorbimento delle radiazioni al variare della lunghezza d'onda, appare evidente che le uniche onde elettromagnetiche che penetrano fino al livello del mare sono la luce visibile, i raggi infrarossi e le microonde.


Le onde elettromagnetiche come si è precedentemente detto non necessitano di un mezzo materiale per potersi propagare. La luce e le onde radio emesse dal Sole e dai corpi celesti possono, perciò, viaggiare attraverso lo spazio interplanetario e interstellare e giungere fino alla superficie terrestre. Presentando tutte le caratteristiche del moto ondulatorio, le onde elettromagnetiche possono dar luogo a fenomeni di diffrazione e interferenza.


Dalla figura 2 si evidenzia una proprietà notevole che è una conseguenza della equazioni di Maxwell: il campo elettrico e l'induzione magnetica sono sempre in fase tra loro. Si dimostra che tra i valori massimi B0 ed E0 sussiste la relazione:


Inoltre, poiché la densità di energia del campo elettromagnetico è:


con la propagazione dell'onda elettromagnetica si ha anche una propagazione di energia con la stessa velocità dell'onda. Lo stesso Maxwell dedusse teoricamente dalle sue celebri equazioni che le onde elettromagnetiche si propagavano nel vuoto con velocità:


Accenni sui Quanti di radiazione


Nei primi anni del XX secolo, però, i fisici scoprirono che la teoria ondulatoria non rendeva conto di tutte le proprietà della radiazione osservate. Nel 1900 il fisico tedesco Max Planck dimostrò che lo spettro del corpo nero, una superficie ideale che assorbe tutta la radiazione incidente, poteva essere spiegato solo assumendo che i fenomeni di emissione e di assorbimento di radiazione elettromagnetica da parte della materia avvenissero per scambio di quantità discrete di energia, dette quanti. Nel 1905 Albert Einstein riuscì a spiegare alcuni risultati, all'apparenza incomprensibili, di esperimenti condotti sull'effetto fotoelettrico, postulando che la radiazione elettromagnetica potesse assumere un comportamento corpuscolare. In seguito furono messi in luce altri fenomeni di interazione tra radiazione e materia spiegabili solo in virtù della teoria quantistica. Si è giunti così alla conclusione che la radiazione elettromagnetica presenta a volte le caratteristiche di una particella, a volte quelle di un'onda. Il concetto simmetrico, cioè che anche la materia alterni un comportamento ondulatorio a uno corpuscolare, fu proposto nel 1925 dal fisico francese Louis de Broglie.


PROPRIETÀ MAGNETICHE DEI MATERIALI


Esistono diverse classificazioni dei materiali in base alle loro proprietà magnetiche. La classificazione che distingue le sostanze in diamagnetiche, paramagnetiche e ferromagnetiche è basata sulle diverse reazioni dei materiali sottoposti all'azione di un campo magnetico esterno e a come la suscettibilità magnetica xm, numericamente legata a μr (permeabilità magnetica relativa), varia nei diversi materiali.


Diamagnetismo  


Quando una sostanza diamagnetica viene posta all'interno di un campo magnetico, reagisce generando al proprio interno un piccolo momento magnetico diretto in verso opposto a quello del campo esterno. Questo fenomeno è la conseguenza macroscopica dell'induzione, all'interno del materiale, di correnti elettriche atomiche, i cui singoli momenti magnetici hanno verso contrario al campo applicato. In esse la permeabilità magnetica è indipendente dal campo e dalla temperatura e presenta un valore lievemente inferiore all'unità. Da questo segue che la suscettibilità magnetica è compresa tra 10-5 e 10-6. Sono molte le sostanze diamagnetiche: le più tipiche sono il bismuto metallico, l'argento, il rame, l'acqua e alcune molecole organiche come il benzene, la cui struttura ciclica favorisce l'instaurarsi di correnti indotte.


Paramagnetismo


Il comportamento paramagnetico riguarda materiali i cui atomi e molecole sono per loro natura dotati di momento magnetico proprio. In presenza di un campo magnetico esterno, i singoli momenti magnetici atomici tendono ad allinearsi lungo la direzione del campo applicato, rinforzandolo. I materiali paramagnetici contengono solitamente metalli di transizione o elementi delle terre rare, i cui atomi sono caratterizzati dalla presenza di elettroni spaiati. I fenomeni paramagnetici nei non-metalli dipendono generalmente dalla temperatura: in particolare, l'intensità del momento magnetico indotto è inversamente proporzionale alla temperatura. Ad alte temperature infatti l'allineamento dei momenti magnetici atomici della sostanza lungo la direzione del campo magnetico è ostacolato dal moto vibrazionale di agitazione termica degli atomi stessi. Per queste sostanze, come il platino, l'aria, l'alluminio, μr è leggermente superiore dell'unità, mentre Xm risulta compresa tra 10-4 e 10-5.


Ferromagnetismo


Una sostanza si dice ferromagnetica se è capace di conservare un momento magnetico anche quando il campo magnetizzante è stato rimosso. Questo effetto è il risultato di una forte interazione tra i momenti magnetici dei singoli atomi o elettroni della sostanza, che li pone in una condizione di allineamento. In una situazione ordinaria, i materiali ferromagnetici sono divisi in piccole aree chiamate domini, all'interno dei quali i momenti magnetici sono allineati in un'unica direzione. Quando si applica un campo magnetico esterno, i domini, che normalmente hanno un'orientazione casuale, si allineano in direzione del campo, determinando la magnetizzazione del materiale. L'energia che è richiesta per smagnetizzare il materiale si manifesta in un ritardo nella risposta, detto isteresi. Al di sopra della cosiddetta temperatura di Curie, così chiamata in onore del fisico francese Pierre Curie che studiò il fenomeno nel 1895, i materiali ferromagnetici perdono le loro proprietà. Per il ferro metallico la temperatura di Curie è di circa 770 °C. Questi materiali, come il ferro, il nichel e il cobalto, quindi, μr  dipende sia dalla temperatura che dal campo e puo raggiungere valori comprei tra 103 e 105.


Altre caratteristiche magnetiche


In seguito alla comprensione dell'origine atomica delle proprietà magnetiche, sono state osservate nuove famiglie di materiali, caratterizzati da proprietà magnetiche meno evidenti e di natura più complessa. Si conoscono sostanze per le quali risulta energeticamente favorevole che i momenti magnetici siano allineati in modo antiparallelo: sono le cosiddette sostanze antiferromagnetiche. Al di sopra della temperatura di Néel, l'equivalente della temperatura di Curie, le proprietà antiferromagnetiche scompaiono. Nelle sostanze cosiddette ferrimagnetiche, invece, esistono a livello atomico almeno due tipi diversi di momento magnetico, antiparallelo uno all'altro. Questi momenti sono di intensità diversa e quindi creano un momento magnetico totale netto: ciò distingue questi materiali da quelli antiferromagnetici, che posseggono invece momento magnetico totale nullo. Secondo questa classificazione, la magnetite risulta un ferrimagnete, e non un ferromagnete; sono infatti presenti nel materiale due tipi diversi di ione ferro, ciascuno con un momento magnetico diverso. L'isteresi è caratteristica di sostanze sia ferromagnetiche che ferrimagnetiche: i materiali che mostrano poca isteresi sono chiamati materiali magnetici 'dolci', e sono generalmente utilizzati per realizzare strumenti con correnti alternate, in modo da limitare il consumo di energia a ciascun ciclo; i materiali che presentano una forte isteresi sono detti 'duri', e sono impiegati per realizzare magneti permanenti. Sono state osservate anche strutture atomiche più complesse, in cui i momenti magnetici sono disposti a spirale: studi di questi sistemi hanno fornito importanti informazioni sulle interazioni tra momenti magnetici nei solidi.


APPLICAZIONI


Negli ultimi cento anni il magnetismo ha trovato numerose applicazioni. L'elettrocalamita, ad esempio, è la base del motore elettrico e del trasformatore. In tempi più recenti, inoltre, lo sviluppo di nuovi materiali magnetici è stato importante per la rivoluzione prodotta nel campo dei sistemi per computer. La memoria dei computer, ad esempio, può essere fabbricata mediante domini a bolla: questi domini sono piccole regioni che presentano una magnetizzazione parallela o antiparallela rispetto alla magnetizzazione dell'intero materiale. A seconda della direzione di magnetizzazione, ciascuna bolla rappresenta un 1 o uno 0 nel sistema di codifica binario utilizzato nei computer. I materiali magnetici sono anche impiegati nella fabbricazione di nastri e dischi per la registrazione di dati. In molte tecnologie moderne sono utilizzati grossi e potenti magneti. I treni a levitazione magnetica scorrono sulle rotaie per mezzo di forti magneti, evitando così il contatto e l'attrito tra ruote e rotaie dei treni convenzionali. Anche nella risonanza magnetica nucleare, un importante strumento diagnostico utilizzato in medicina, si usano forti campi magnetici. Inoltre, negli attuali acceleratori di particelle si usano magneti superconduttori per mantenere i fasci ben focalizzati e farli viaggiare su orbite predefinite.


I treni a levitazione magnetica, che fluttuano senza contatto sulle rotaie sfruttando la forza elettromagnetica delle calamite, sono più rapidi, silenziosi ed efficienti dei treni convenzionali. I paesi all'avanguardia nel campo di questo sistema di trasporto alternativo, che ancora non risulta praticabile per le merci, sono la Germania, il Giappone e gli Stati Uniti.


Geografia generale


Minerali


I minerali sono corpi naturali, inorganici, che presentano una composizione chimica definita e costante, caratterizzati da proprietà chimiche e fisiche ben definite. Alcuni minerali sono costituiti da semplici elementi (zolfo, oro), altri di composti chimici. A volte si presentano casi di vicarianza, cioè uno ione può sostituirne un altro nella medesima struttura senza modificarla [ Ca,Mg(CO3)2 ]. I minerali possono avere o una struttura cristallina o una struttura amorfa secondo le condizioni in cui si sono solidificati. Quando una sostanza presenta strutture diverse con proprietà fisiche differenti, si parla di polimorfismo. Le proprietà sono: peso specifico, durezza (scala di Mohs, sfaldabilità, frattura, tenacità, elasticità, plasticità, malleabilità, duttilità, proprietà termiche, suscettività magnetica, conducibilità elettrica e proprietà ottiche.


Le principali famiglie di minerali sono: i silicati, gli ossidi, i solfuri, i solfati, i carbonati e gli alogenuri.


I silicati sono i minerali presenti in maggiore quantità sulla crosta terrestre(90%) e si possono suddividere a seconda della loro struttura e della presenza di silice. Il Quarzo e l'Opale sono le forme più diffuse dei silicati, la loro formula è SiO2 e la struttura è un tetraedro formato da un atomo di silicio legato a quattro atomi di ossigeno disposti ai vertici.



Silicati a tetraedri isolati: Olivine (gli ioni positivi sono rappresentati da magnesio e ferro e la formula del gruppo Si/O risulta SiO4), sono minerali compatti, duri, con una colorazione verde intensa.


Silicati a coppie di tetraedri: Calamina (la formula del gruppo Si/O risulta Si2O7)


Silicati a catene o anelli di tetraedri: Pirosseni (la formula del gruppo Si/O risulta SiO3) e Anfiboli (la formula del gruppo Si/O risulta Si4O11), hanno composizione variabile e una colorazione che va dal verde al marrone al blu e hanno la proprietà di sfaldarsi facilmente lungo le direzioni parallele alle catene di tetraedri.


Silicati a strati di tetraedri: Miche, grossi cristalli esagonali la cui caratteristica è la facile sfaldatura e Caolinite (la formula del gruppo Si/O risulta Si2O5), più comunemente argille, che non si presentano mai in grossi cristalli ma in masse porose.


Silicati a struttura spaziale: feldspati, un gruppo di minerali contenenti Al, K, Na e Ca, in varie combinazioni e proporzioni. Sono i minerali più ricchi in silicio e sono chiari e incolori. Tra essi ricordiamo i Plagioclasi, di colore bianco latteo e il feldspato di potassio che può avere colori diversi, dal bianco al rosa al rosso. Altra famiglia sono i fedspatoidi che sono simili ai feldspati ma hanno minore contenuto di silice e un maggiore numero di cationi, anch'essi sono chiari e incolori.


Rocce magmatiche


Le rocce sono aggregati naturali di minerali. Esse sono solitamente eterogenee, in altre parole costituite da più minerali, ma possono anche essere omogenee, come nel caso della Calcite. Le rocce magmatiche si formano direttamente in seguito a raffreddamento e consolidamento di una massa fusa detta magma, proveniente dall'interno della terra. Esse, si dicono intrusive, se derivano dal consolidamento lento del magma ed effusive, se derivano dal rapido raffreddamento della lava (magma privo di componenti volatili che fuoriesce dalla crosta). Tutte sono caratterizzate dalla totale assenza di fossili e di norma di stratificazioni.


Il magma é una miscela molto complessa di sostanze, in prevalenza silicati, associati a vapor d'acqua e gas in percentuale variabili. I componenti volatili, anche detti agenti mineralizzatori, concorrono a mantenere la massa magmatica più fluida e più mobile durante il processo di raffreddamento e n'aumentano la pressione. Le masse fluide si formano nella zona parzialmente fusa del mantello ed hanno inizialmente una temperatura elevata (da 600 a 1600 gradi centigradi). Alcuni magmi solidificano completamente in profondità originando giganteschi ammassi di rocce intrusive, detti Plutoni, altri riescono a raggiungere la superficie sotto la spinta dei gas che contengono, provocando un'eruzione vulcanica e originando le rocce effusive. In alcuni casi il magma solidifica entro la crosta ma in prossimità della superficie, sotto forma di piccoli corpi intrusivi, che si raffreddano in condizioni di temperatura e pressione intermedie. Le rocce che così si formano vengono dette rocce ipoabissali.


La struttura delle rocce magmatiche può essere di tre tipi:


Oleocristallina: si tratta di una struttura tipica delle rocce intrusive. Tutti i minerali componenti sono visibili in forma di granuli, le cui dimensioni sono pressoché uguali, con colorazioni e forma definite che spesso permettono il riconoscimento immediato. Poiché non tutti i minerali si formano contemporaneamente, solo i primi possono raggiungere il loro abito cristallino tipico, gli altri occupano gli spazi rimasti, dando origine a granuli la cui forma dipende dallo spazio disponibile. L'Olivina e i minerali scuri si formano per primi, seguiti dai feldspati, per ultimo cristallizza il quarzo.


Vetrosa: si tratta di una struttura tipica delle rocce effusive che si formano per brusco raffreddamento, senza cristallizzare. Per esempio lo sbalzo di temperatura di una colata lavica (l'Ossidiana, la pomice).


Porfirica: si tratta di una struttura tipica delle rocce effusive costituite da cristalli molto grossi intrusivi, detti Fenocristalli, immersi in una pasta di fondo microcristallina o vetrosa. I Fenocristalli si formano lentamente, quando il magma é ancora localizzato in profondità o durante la risalita, e restano immersi nella massa del magma, che solidifica rapidamente quando fuoriesce in superficie. Quando nello stadio finale, le rocce si trovano ad una temperatura e pressione intermedia tra i processi intrusivi ed effusivi, il magma s'infiltra nelle sue fratture originando i filoni, corpi più sottili e con aspetto digitiforme, nei quali proprio per le ridotte dimensioni il magma si raffredda più rapidamente.


Aplitica e pegmatitica: si tratta di una struttura tipica delle rocce ipoabissali. La struttura Aplitica è finemente granulare, con cristalli tutti delle stesse dimensioni, ma molto piccoli. La struttura pegmatitica presenta le stesse caratteristiche, ma qui i cristalli sono di dimensioni notevoli (anche alcuni metri) e talvolta minerali rari e preziosi.


La composizione delle rocce magmatiche presenta una prevalenza di minerali salici, detti essenziali. Dalla percentuale di silice SiO2, esse possono essere classificate in:


Rocce acide (con contenuto di silice superiore al 66%).


Rocce intermedie (con contenuto di silice compreso tra il 66% ed il 52%).


Rocce basiche (con contenuto di silice compreso tra il 52% ed il 45%).


Rocce ultrabasiche (con contenuto di silice inferiore al 45%).


Le rocce magmatiche vengono inoltre classificate in famiglie, secondo il grado di acidità e la composizione mineralogica.


Famiglia dei graniti: si tratta di rocce ricche di quarzo, feldspato di potassio, spesso associato a plagioclasio di sodio, e modeste quantità di miche. Sono rocce chiare e leggere con una densità variabile, ma sempre minore alle rocce femiche. I graniti sono le rocce intrusive. Esse costituiscono buona parte della crosta terrestre nelle aree continentali. Sono invece totalmente assenti nella crosta oceanica. Le rioliti sono le corrispondenti effusive.


Famiglia delle dioriti: si tratta di rocce nelle quali il quarzo è assente o presente in minima parte. Aumentano i minerali femici: miche, anfiboli e pirosseni. I feldspati sono presenti in forma di plagioclasi di Na e di Ca. Le dioriti sono rocce intrusive (grigie) e le andesiti sono quelle effusive.


Famiglia dei gabbri: si tratta di rocce con alto contenuto di minerali femici il quarzo è assente, mentre possono essere presenti olivine ed anfiboli. Ricchi di pirosseni e contenenti plagioclasi prevalentemente calcici, i gabbri sono rocce intrusive, mentre i basalti sono le rocce effusive scure o nere, che ricoprono interamente i fondali oceanici.


Famiglia delle peridotiti: si tratta di rocce ultrafemiche, contenenti quasi esclusivamente pirosseni e olivine. Le peridotiti sono le rocce intrusive, le picriti quelle effusive.


Famiglia delle sieniti: si tratta di rocce molto simili ai graniti, con un tenore di silicio intermedio, in cui il quarzo è assente o presente in quantità minime. Le sieniti sono le rocce intrusive mentre le trachiti quelle effusive. Questi tipi di rocce appartengono alla serie alcalina, mentre le altre famiglie considerate appartengono alla serie alcali-calcica.


Attualmente si ritiene che esistano due tipi fondamentali di magma: un magma primario, femico, con composizione basaltica e un magma secondario, sialico, con composizione simile al granito. Il primo si forma a profondità maggiori, nel mantello, e a temperature più elevate.


La temperatura di fusione del magma basaltico diminuisce quando la pressione esterna si riduce, mentre per il magma granitico avviene il contrario. E` perciò probabile che il magma basaltico, caldo e fluido, nonostante il raffreddamento che avviene mentre risale, si mantenga sempre sopra il punto di fusione; al contrario il magma granitico viscoso e relativamente freddo, può raggiungere più facilmente la temperatura di solidificazione, che s'innalza man mano che il magma risale, poiché diminuisce la pressione esterna. L'affermazione che esistono due tipi di magma, non é sufficiente per spiegare le diversità di composizione delle rocce eruttive, che in parte dipendono anche da processi di differenziazione chimica del magma.  Bowen riuscì a dimostrare che in un magma basaltico in progressivo raffreddamento in condizioni intrusive, al diminuire della temperatura, i minerali cristallizzano in tempi successivi e in ordine preciso che dipendono dalla composizione del fuso di partenza e dalla temperatura di fusione di ciascun componente. Egli identificò due diverse serie di reazioni completamente indipendenti tra loro:


La serie discontinua: il primo minerale a cristallizzare è l'olivina, poi i pirosseni, gli anfiboli ed infine la biotite.


La serie continua: in essa si formano i plagioclasi, tuttavia a causa delle proprietà dei minerali coinvolti non si formano minerali distinti, a composizione nettamente definita, ma miscele a composizione variabile.


Termine delle due serie: si formano K-Feldspato, muscovite e quarzo. Le due serie procedono insieme e la composizione finale e definitiva dei cristalli, dipende dalla composizione del magma e dalle condizioni di raffreddamento (magma intrusivo).


A volte, i cristalli che si formano per primi non rimangono a contatto con il magma residuo e si separano per decantazione oppure perché la massa fusa migra altrove. Il processo prende il nome di cristallizzazione frazionata ed è uno dei fattori responsabili della differenziazione del magma.


Vulcanismo


Con il termine vulcanismo viene identificato l'emissione attraverso condotti e fenditure sia di fluidi a composizione silicatica (lave), sia di componenti solidi (materiali piroclastici), sia di vapore e gas, legati nella loro genesi alla presenza, all'interno della crosta terreste, di masse magmatiche fuse e calde.


Una parte consistente dei magmi non riesce a raggiungere la superficie e si solidifica in profondità: in tal caso si forma un corpo igneo intrusivo, di dimensioni straordinariamente variabili, che cristallizza all'interno della litosfera ed è chiamato genericamente Plutone. In molti casi, invece, la massa fluida del magma risale per spinta idrostatica verso le regioni superficiali della crosta e tende a concentrarsi in bacini magmatici (camere magmatiche), che possono alimentare le eruzioni vulcaniche. La spaccatura della superficie terrestre attraverso la quale fuoriescono i magmi prende il nome di vulcano. L'edificio che si forma per l'accumulo di tutto il materiale eruttato costituisce nel suo insieme l'edificio vulcanico, mentre il condotto interno che congiunge la camera magmatica con l'esterno è detto camino vulcanico.


In alcuni casi si assiste ad un'emissione tranquilla, la lava fuoriesce senza ostacoli e scorre senza difficoltà lungo i fianchi dell'edificio vulcanico (vulcanismo effusivo); in altri casi l'eruzione è caratterizzata da esplosioni violente e distruttive (vulcanismo esplosivo). Il tipo d'attività dipende dai caratteri chimico-fisici del magma, in particolare dal contenuto in silice e dalla percentuale di vapor d'acqua e gas presenti.


I vulcani si classificano in base alle caratteristiche dei loro edifici esterni e ai diversi modi con cui si verificano l'eruzioni:


Vulcani di tipo hawaiano o vulcani a scudo: caratterizzati da lave molto fluide e dall'assenza d'esplosioni e lanci di materiale piroclastico. Emettono lava basaltica che si espande facilmente a notevole distanza; gli edifici vulcanici perciò hanno una tipica forma a scudo, con pendii dolci e poco inclinati, formati da strati sovrapposti di colate laviche.


Vulcani di tipo stromboliano o stratovulcani: caratterizzati dall'emissione di colate laviche alternate a gas e materiali piroclastici. Hanno una lava a composizione variabile, a volte più fluida a volte viscosa. Periodicamente ristagna e solidifica ostruendo il cratere centrale. Negli stratovulcani si formano facilmente crateri avventizi sui fianchi del cono principale (Etna). In essi frequentemente si osservano cavità con le pareti scoscese e fondo piatto d'ampiezza insolita, chiamate caldere. Esse sono il risultato di un'attività esplosiva ripetuta nel tempo. In seguito, al loro interno possono formarsi nuovi coni (Vesuvio).


Vulcani di tipo vulcaniano: mancano quasi del tutto le colate laviche e l'attività vulcanica si manifesta con l'emissione esplosiva di materiali solidi e dense nubi di ceneri e gas (nubi ardenti). Tipico esempio è Vulcano, nelle isole Eolie. La lava di questi vulcani è riolitica o andesitica, molto viscosa e facilmente occlude il camino vulcanico con un tappo spesso e consistente. Anche il Vesuvio nel corso della sua complessa storia ha attraversato fasi con attività di tipo vulcaniano. Le eruzioni violente simili a quelle del Vesuvio, vengono chiamate eruzioni di tipo pliniano.


Vulcani di tipo pelano: caratterizzati dall'emissione di lava molto viscosa e ricca di gas che forma cupole di ristagno o guglie, che otturano il condotto. L'attività vulcanica si manifesta con esplosioni di grande violenza, accompagnate dal crollo delle pareti dell'edificio vulcanico e dall'emissione di nubi ardenti (La Pelèe).


Si possono avere anche eruzioni lineari, nelle quali il magma fuoriesce in grande quantità da fratture allungate strette che possono svilupparsi anche per chilometri, originando ricoprimenti (plateaux) estesi per migliaia di chilometri quadrati.






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