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L'energia presente sul pianeta arrivava per il 99% dall'esterno per lo più dal sole sotto forma di radiazione e in parte anche dalla luna sotto forma di attrazione gravitazionale, l'1% dell'energia prodotta dalla terra è quella geotermica, nucleare e vulcanica.
Le FER ( Fonti di Energia Rinnovabili) sono quelle fonti che, a differenza dei combustibili fossili e nucleari destinati ad esaurirsi in un tempo definito, possono essere considerate inesauribili e si distinguono in:
Con opportune tecnologie è possibile convertire queste fonti in energia termica, elettrica, meccanica o chimica.
Le fonti non rinnovabili sono, invece, quelle fossili (carbone,
petrolio e gas naturale) ed il nucleare.
Il ricorso all'impiego di queste ultime, oltre a produrre energia, comporta
l'immissione in atmosfera di sostanze inquinanti che sono la causa della
formazione dello smog fotochimico, delle piogge acide e sono responsabili
dell'aumento del naturale effetto serra del pianeta e del buco dell'ozono[1].
Il tutto è accompagnato da pesanti danni all'ecosistema come, ad esempio, gravi
patologie respiratorie e cardiovascolari per l'uomo, mutazioni genetiche e
calamità naturali.
La ricerca di
fonti rinnovabili e iniziata in modo consistente dopo la crisi petrolifere
degli anni '70 che ha evidenziato come l'umanità dipenda dal petrolio.
L'Unione Europea ha stabilito che entro
il 2020 il 20% dell'energia consumata dovrà essere generata da fonti
rinnovabili e il 10% del consumo di energia per i trasporti dovrà essere
fornita da biocarburanti .
La diffusione delle FER esige, tuttavia, il superamento di una serie di
barriere: costi elevati, tecnologia inadeguata, ricerca scientifica
insufficiente, intermittenza nella produzione, eccessiva burocrazia delle
pratiche di autorizzazione dovuta ad una scarsa chiarezza nell'applicazione
della normativa.
Si definisce comunemente buco nell'ozono la riduzione temporanea dello strato di ozono (ozonosfera) che avviene ciclicamente durante la primavera nelle regioni polari (la diminuzione può arrivare fino al 70% nell'Antartide e al 30% nella zona dell'Artide). Per estensione il termine viene utilizzato per indicare il generico assottigliamento dello strato di ozono della stratosfera che si è riscontrato a partire dai primi anni ottanta (stimata intorno al 5% dal 1979 al 1990).
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