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Interventi e prevenzione del burnout




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INTERVENTI E PREVENZIONE DEL BURNOUT


Uno dei principali obiettivi dello studio della sindrome del burnout è, ovviamente, la determinazione di strategie di trattamento e prevenzione, la pars costruens. Ciò si lega all'approfondito studio dell'eziologia del fenomeno che, analizzandone le cause di insorgenza, intende far scaturire degli interventi mirati a modificare o, se ciò non è possibile, ad attenuare gli elementi (o le componenti) personali, gruppali, organizzativi e sociali che determinano l'origine del burnout.

Come per le teorie che abbracciano lo studio del burnout, sono molte le idee presenti su come trattare tale sindrome, ma nessuna prova concreta di ciò che veramente serve perché il burnout sia curato o prevenuto. Questa incertezza è dovuta al fatto che l'impatto a lungo termine di un qualsiasi intervento non è facile da stabilire perché richiede accorgimenti particolari nelle ricerche longitudinali, ma tali valutazioni sono essenziali per perfezionare future strategie di intervento e cambiamento (Del Rio, 1998).

La difficoltà nel definire i modelli di intervento o di prevenzione dipendono dalla complessità e multifattorialità del fenomeno del burnout, perché una più o meno attenzione ad una delle componenti da considerare, predilige dei modelli di intervento (prospettiva centrata sull'individuo) a discapito di strategie mirate alla prevenzione, e viceversa (prospettiva centrata sull'organizzazione). Spesso però si considera che le medesime indicazioni di massima possono valere tanto per un'azione di prevenzione che per un'azione di intervento sul disagio in atto. Gli accorgimenti da adottare nella 'lotta' contro il burnout tendono in ogni caso, per un verso a contenere l'insorgenza dello stress, per un altro ad aumentare le occasioni di soddisfazione lavorativa.

Nella disamina del fenomeno del burnout, nella sua genesi come nel suo trattamento, deve essere tenuta in grande considerazione l'aiuto che la 'lente' della psicologia di comunità offre, per non ridurre lo studio del burnout in una delle possibili prospettive centrate su una delle componenti, ma per avere un modello di integrazione che sia più efficace alla risoluzione del problema e a favorire l'empowerment dell'individuo e dell'organizzazione.

L'obiettivo fondamentale della psicologia di comunità è migliorare la qualità della vita con un'azione sinergica di ricerca/valutazione delle condizioni di vita presenti in una certa comunità e di intervento per sviluppare l'armonia nel rapporto uomo-ambiente, promuovendo il benessere individuale e sociale attraverso lo sviluppo delle competenze della comunità e delle capacità individuali di coping (Francescano, Girelli, 1988).

Per una più chiara ed esplicita descrizione, distingueremo strategie di intervento che si possono operare in situazioni in cui l''incendio' è già stato innescato ed è possibile riscontrare una sintomatologia diagnosticabile come sindrome di burnout, da strategie di prevenzione primaria che intendono ridurre il rischio e l'incidenza del fenomeno di burnout nel lavoro e nelle specifiche realtà organizzative. Questa differenza spesso perde i suoi confini perché le strategie che possono essere svolte con l'intento di prevenire il burnout possono essere indicate anche per ridurre il disagio già manifestatosi, e viceversa.


Interventi sul burnout


Spesso capita di sentire professionisti e lavoratori che arrivano ad affermare di essere stressati dal lavoro e dall'impossibilità di vivere una vita personale soddisfacente a causa del lavoro. Questo è naturale, poiché lo stress è ormai parte integrante della nostra vita sociale; siamo costantemente sollecitati da stimolazioni esterne di qualsiasi genere e intensità, sta a noi accrescere la capacità di affrontarle adeguatamente (eustress) o risentirne gli effetti negativi e l'incapacità di rispondere adeguatamente a tali sollecitazioni (distress) (Selye, 1956).

Nei contesti professionali e lavorativi aumentano a dismisura le situazioni che comportano uno sforzo cognitivo e psicologico, dato che si devono prendere decisioni, optare strategie di intervento, risolvere problemi e soddisfare tutte le richieste che vengono fatte, e per soddisfare tali richieste abbiamo bisogno di tutte le risorse di cui disponiamo. Può accadere che le richieste superino le risorse e le competenze del bagaglio professionale che si è andato delineando durante la formazione e le esperienze che si sono succedute lungo la vita lavorativa, ciò comporta un notevole sforzo per adeguarsi e adattarsi alle richieste da soddisfare ed essere sempre pronto ad apprendere e acquisire capacità necessarie ad uno svolgimento sufficiente dei compiti lavorativi. Purtroppo le nostre capacità e le nostre risorse hanno dei limiti che non possono essere superati senza un'ingente quota di stress.

Quando un operatore si trova in difficoltà nel contesto lavorativo, perché si sente stressato dalle continue richieste che non riesce ad affrontare, pensa di provvedere alla risoluzione di uno stato di malessere e disagio con delle strategie individuali, senza considerare la possibilità di soluzione all'interno del contesto lavorativo. Questo tipo di soluzioni non affronta realmente il problema delle discrepanze tra la persona e il lavoro perché è necessario focalizzarsi sia sull'individuo sia sul luogo di lavoro; le cause che comportano stress, e che quindi possono sfociare nel burnout, sono più situazionali che personali (Maslach, Leiter, 1997).

È bene quindi distinguere gli interventi di riduzione dello stress e gestione della crisi seguendo due approcci: uno individuale e l'altro organizzativo.

L'approccio individuale consiste nel considerare le strategie che propongono cambiamenti messi in atto dal soggetto in relazione a se stesso e all'ambiente lavorativo. I singoli soggetti possono prendere l'iniziativa di problem solving per bloccare e risolvere il burnout quando sono consci di essere di fronte ad una situazione insostenibile che ha la necessità di essere affrontata, ma per farlo devono avere la volontà di attivare un processo di cambiamento, devono avere una comprensione delle discordanze del loro lavoro e devono essere capaci di lavorare con i colleghi. La capacità di collaborare con gli altri è dovuta al fatto che il lavoro del singolo è, quasi sempre, connesso con il lavoro che svolgono i colleghi, e solo con una partecipazione di tutti quelli che lavorano insieme è possibile trattare il burnout con efficacia (ibidem).

Maslach e Leiter (1997) considerano essenziali nell'insorgenza e nell'analisi del burnout sei discrepanze tra il lavoro e la persona: il sovraccarico di lavoro, la mancanza di controllo, la remunerazione insufficiente, il crollo del senso di appartenenza comunitario, l'assenza di equità e i valori contrastanti. Considerandole il punto di partenza, queste sei discrepanze sono anche il punto di arrivo dove i cambiamenti devono essere apportati per risolvere il burnout, prevenire nuove insorgenze di crisi e promuovere l'effettivo impegno nel lavoro. Il risultato che si ottiene da un intervento sulle discrepanze più emergenti nel lavoro, non è un 'lieto fine', ma un costante processo di adattamento ad un contesto lavorativo in continua evoluzione.

I suggerimenti forniti dalla letteratura sulla gestione dello stress, e conseguenzialmente applicabili al burnout, a livello individuale sono sicuramente numerosi, ne è un esempio il diretto e semplice testo che Bernstein e Halaszyn (1989) forniscono agli operatori sociali 'bruciati'.

Le diverse strategie di coping dello stress sono distinguibili, secondo Kyriacou (1987)[1], in strategie ad azione diretta, con cui si cerca di eliminare direttamente la fonte di stress con un cambiamento della situazione stressante, e strategie ad azione indiretta con l'utilizzo di tecniche palliative che, pur accettando la situazione di stress, cercano di mitigarne gli effetti. Le tecniche di riduzione dello stress e dell'ansia sono molteplici è possono essere suddivise dall'obiettivo che prediligono: il corpo per le tecniche di respirazione e di rilassamento, la mente per le tecniche cognitivo-comportamentali (per esempio "l'arresto del pensiero" o il dialogo interno) e le abilità sociali per le tecniche assertive o di miglioramento di analisi dei problemi e decison-making (Meazzini, 1998) .

Altri studiosi, (Santinello, 1990; Santinello e Furlotti, 1992; Siringatti e Stefanile, 1993) che si sono concentrati sui fattori individuali di sensibilizzazione e predisposizione allo stress, evidenziano che i fattori precipitanti dei disturbi da stress e del burnout dipendono dal filtro percettivo e cognitivo dei diversi soggetti; nelle medesime condizioni ambientali, alcuni soggetti, infatti, si stressano e cadono in burnout, mentre altri mantengono una soddisfacente qualità di lavoro e di vita, continuando ad operare costruttivamente. Il potere stressante di uno stimolo non dipende solo dalla sua forza, ma soprattutto dall'incapacità dell'individuo di modulare l'entità e il grado di risposta ad esso. La possibile azione patogena dello stress, a parità di intensità e durata, è quindi funzione di elementi condizionanti in grado di esaltare o bloccare la risposta allo stress, sia esso rappresentato da fattori interni (costituzione, predisposizione, personalità, età, sesso, ecc.) o esterni (farmaci, dieta, abuso di alcool, vita privata, ecc.) (Anchisi, Gambotto, 1999).

Partendo da questi studi, Anchisi e Gambotto (1999) ritengono gli interventi di prevenzione incentrarsi su tre fattori prioritari: l'assertività, l'empatia e la risposta rilassante; i primi due sono normalmente approvati nei programmi di formazione volti a migliorare le abilità comunicative e la qualità dei rapporti interpersonali, mentre il terzo risulta poco studiato e considerato in Italia. Secondo questi autori l'azione della "risposta rilassante" è a largo spettro, perché non solo agisce positivamente nei confronti degli altri due fattori (facilita l'assertività, eliminando l'ansia sociale e sviluppando l'autonomia di giudizio, e predispone all'empatia, ponendo in primo piano il valore universale della persona), ma di per sé risulta un potente fattore di miglioramento dell'ambiente interno al soggetto, sia psicologico sia fisiologico, conducendo ad una condizione di calma energica e costruttiva.

Avendo conferma da ricerche effettuate all'Harward Medical School nel 1975 da Benson e, più recentemente, al Dipartimento di Psicologia dell'Università dell'Arizona nel 1998 da Shapiro sulla meditazione come "risposta rilassante", gli autori considerano un training di MT (questo è il modo con cui sono indicati gli esercizi di risposta rilassante) come un utile ed efficace programma di prevenzione e di trattamento dello stress e del burnout.

La migliore cura e intervento nei confronti del burnout e di tutte le situazioni di crisi della vita resta, in ogni modo, la continua ricerca di un sano equilibrio tra la vita professionale e quella privata, l'equilibrio tra il dare e ricevere, tra stress e calma, tra lavoro e ansia; tutto questo contrasta proprio con gli squilibri che il burnout determina nella situazione lavorativa.

L'approccio organizzativo tende ad evidenziare gli interventi, messi in atto dalla e sull'organizzazione, di carattere prevalentemente psicosociali, in quanto si tratta di migliorare e rendere meno oneroso il rapporto tra individuo e ambiente lavorativo (Rossati, Magro, 1999).

Cherniss (1983), che focalizza maggiormente l'attenzione sulle cause e gli effetti del burnout a livello organizzativo, evidenzia come la situazione lavorativa ed i cambiamenti apportati in essa siano il più utile ed efficace focus d'intervento. A suo parere è più facile ristrutturare un ruolo, che ristrutturare il carattere sia dell'individuo sia della società, ed è più evidente ottenere risultati a breve termine.

Il problema di un intervento improntato ad un approccio organizzativo sta sul fatto che, un adeguato intervento sulla situazione lavorativa, richiede il coinvolgimento e la disponibilità dei "vertici", pena l'insuccesso dell'intervento stesso. Questo è possibile solo grazie ad una valutazione realista e obiettiva, da parte dei responsabili e leader delle organizzazioni, dell'insorgenza di operatori in burnout che, a discapito di una diffusa opinione contraria, costa perdite di produttività ed efficienza all'organizzazione intera. Questo è un punto che Maslach e Leiter (1997) rilevano con frequenza, soprattutto prendendo in questione organizzazioni che pongono in primo piano la dimensione economica e che, quindi, non affrontano con la dovuta serietà il fenomeno del burnout perché non considerano rilevante la sua influenza nei risultati economici. Questo è anche accreditato dall'idea che il burnout sia un problema che dipende unicamente dalla persona e non dalla situazione lavorativa, senza valutare, che il comportamento di una persona nel luogo di lavoro può essere compreso solo quando è analizzato all'interno del contesto sociale di quel posto di lavoro.

Riuscendo a comprendere la situazione come un sistema complesso tra la persona e l'ambiente, è naturale non tralasciare l'analisi di tutte le variabili che ne influenzano il processo e la condizione. Sono diversi i motivi che portano ad evidenziare come un approccio organizzativo sia portatore di cambiamenti efficaci, dato che sono le organizzazioni ad avere il potere e le risorse per realizzare interventi risolutivi. Un approccio organizzativo si rivolge ai problemi di un gruppo di persone promuovendo l'impegno nel lavoro per l'intero gruppo, invece che focalizzarsi su singoli individui; si accresce tanto la produttività quanto la qualità della vita lavorativa dei dipendenti di un'organizzazione, aumentando la possibilità di riuscita di un intervento più rapido e più duraturo nel tempo.

Con l'approccio organizzativo entriamo in quel campo di interventi che mirano, oltre a adoperarsi su stati già avanzati di burnout, a prevenire l'insorgenza di altri casi; inizia a sfumare la linea di demarcazione tra la risoluzione concreta del burnout, già innescato in alcuni operatori, e la vera e propria prevenzione di casi di burnout in operatori ad alto rischio di insorgenza per alcune variabili presenti nel contesto lavorativo.



Prevenzione del burnout


Una strategia di intervento del burnout, prediletta da tutti gli studiosi che si sono occupati di questo fenomeno, è la prevenzione dell'insorgenza di casi conclamati di burnout; "un grammo di prevenzione vale quanto mezzo chilo di cura" (Maslach, 1982) perciò bisogna puntare soprattutto sulla prevenzione in modo da ridurre il burnout e bloccarlo prima del suo manifestarsi.

Pines e coll. (1981) considerano che come siano presenti ambienti lavorativi stressanti che inducono al burnout, così ci sono condizioni di lavoro positive che lo prevengono; le caratteristiche di lavoro come la varietà, l'autonomia, la significatività, la presenza di sostegno e di stimolo promuovono nell'individuo atteggiamenti che svolgono una funzione protettiva dalla tendenza al burnout e aumentano le occasioni di soddisfazione lavorativa.

La progettazione e l'applicazione di misure, tese a prevenire il burnout, non può prescindere da una precisa conoscenza della situazione e condizione dell'ambito organizzativo in cui si devono operare dei cambiamenti; in ogni modo vi sono delle variabili che se modificate apportano dei miglioramenti sulla realtà lavorativa e sul benessere di coloro che vi operano quotidianamente. Per effettuare una completa diagnosi di un sistema si rivela indispensabile l'"analisi organizzativa multidimensionale" che, seguendo Bruscaglioni (1982), integra in uno schema guida quattro dimensioni presenti e operanti in ogni sistema organizzativo: la dimensione strutturale o giuridico/politico/economico, la dimensione funzionale (che esamina il sistema operativo e gestionale), la dimensione psicodinamica (che approfondisce la conoscenza dei vissuti dei membri e del gruppo nella dinamica delle diverse strutture psichiche) e la dimensione psicosociale o psicoambientale (che analizza le reti di relazioni interne ed esterne all'organizzazione) (Francescato, Ghirelli, 1988).

Alla base del lavoro vi è la formazione e il confronto, come pure la possibilità di esternare i propri sentimenti e difficoltà, che se carenti o assenti alimentano negli operatori elevati livelli di ansia e di disagio.

L'approccio organizzativo affronta la discordanza lavoro-persona dalla prospettiva del posto di lavoro e non da quella del lavoratore; con dipendenti motivati e qualificati, il compito quotidiano della direzione è di eliminare le barriere e gli ostacoli per un lavoro efficace mentre il compito e l'obiettivo a lungo termine è di creare un contesto organizzativo positivo e armonioso per nuove possibilità di crescita e sviluppo (Maslach, Leiter, 1997). Per ottenere lo scopo di una strategia organizzativa, centrata sulla creazione di strutture e processi gestionali che promuovano l'impegno e prevengono il burnout, è necessario disporre di informazioni aggiornate sullo stato dell'organizzazione nelle sei aree, considerate fondamentali da Maslach e Leiter: carico di lavoro, controllo, ricompense, senso di comunità, equità e valori. Solo agendo sulla regolazione e riequilibrio delle discordanze di queste sei aree, con un programma e un progetto che coinvolge tutte le persone che cooperano in un'organizzazione e che investe sul miglioramento dell'ambente di lavoro, è possibile che gli interventi diano dei risultati utili e stabili. La prevenzione del burnout è parte integrante di una buona gestione, un'organizzazione che promuove attivamente l'impegno tra il suo personale è un'organizzazione più efficiente (ivi).

Cherniss (1980) ha offerto una varietà di metodi e aree su cui intervenire per ridurre e, principalmente, prevenire il burnout; i livelli strategici su cui un'organizzazione, attenta al disagio dei suoi operatori, deve focalizzarsi sono:

lo sviluppo dello staff per definire i programmi e gli obiettivi ed aumentare la consapevolezza del pericolo del burnout e della possibilità per fronteggiarlo;

intervento sull'organizzazione del lavoro e specificatamente su ruoli, orari, carichi di lavoro e sviluppo di carriera;

funzione di gestione e managment con una formazione adeguata e controllo di dirigenti e supervisors, specialmente in quanto emettitori di ruoli;

gestione del conflitto organizzativo e dei processi decisionali con la creazione di strutture formali ad hoc e un allargamento della partecipazione;

definizione dei modelli di gestione con particolare cura di obiettivi, formazione, ricerca e partecipazione della comunità sociale.

In linea con quanto esprimono gli autori che si sono occupati dello studio del burnout e dello stress e disagio nel lavoro, possiamo ritenere delle convergenze in merito alla presenza e allo sviluppo di gruppi di supporto tra pari e gruppi di auto aiuto, che permettano il confronto e il sostegno su temi problematici e aumentino il feedback dei risultati positivi per incentivare e motivare gli operatori. Molti autori sono anche concordi nella presenza e nel potenziamento di supervisors, che facilitino l'identificazione di misure di intervento, affinché possano migliorare lo sviluppo cognitivo dei campi di interesse del lavoro e possano sviluppare un senso di appartenenza, di èquipe, e quindi un senso di condivisione delle emozioni e dei sentimenti, tra gli operatori più a stretto contatto (Di Maria, Di Nuovo, Lavanco, 2001; Zani, Palmonari, 1996).

Altro punto su cui gli autori concordano è la formazione come strumento necessario per approfondire la conoscenza dei fattori e delle dinamiche che contribuiscono allo sviluppo dello stress e del burnout e per apprendere nuove modalità e strategie di coping; oltre all'essenziale formazione, sia iniziale che in servizio, è fondamentale, per i professionisti operanti nei servizi alle persone, una consapevolezza che i processi formativi si devono misurare con istanze di promozione umana e con esigenze etiche di umanizzazione integrale della vita sociale e istituzionale (Palmonari, 1996).

Tutte queste considerazioni sono da rimandare, implicitamente, all'esistenza di una disponibilità politico-amministrativa dei 'vertici' dirigenziali a farsi carico, sia di una conoscenza specifica di tale fenomeno, sia di un riconoscimento dovuto alla gravità che questi problemi implicano nelle diverse realtà lavorative. Questo si collega ad una prospettiva più ampia del burnout che va oltre la visione individualistica e organizzativa e che abbraccia la visione socio-comunitaria del lavoro e di tutto quello che compete ad esso, comprese le forme di disagio e malessere di una tendenza sociale alla flessibilità e alla specificità del lavoro (Del Rio, 1990).



Promozione del benessere


Questo paragrafo si ricollega a quello precedente perché, partendo dall'analisi di strategie di intervento basate sulla prevenzione, cerca di applicare con un punto di vista socio-istituzionale le modificazioni e i cambiamenti che rendono migliore il rapporto tra l'individuo e il contesto lavorativo (Di Maria, Di Nuovo, Lavanco, 2001). Dopo le riflessioni fatte precedentemente, è spontaneo riflettere su come sia possibile applicare tutti gli accorgimenti e le strategie di miglioramento della realtà lavorativa con tutte le risorse disponibili, ad un livello più vasto che comprende la società e la comunità, e che possa a lungo termine favorire quell'accordo psicosociale tra gli individui e gli ambienti di vita tanto agognato da Murrell (1973).

Oltre ai due approcci esposti precedentemente, individuale (relazionale) e organizzativo, si può considerare, nelle strategie di intervento e di prevenzione, un terzo approccio istituzionale che analizza le responsabilità, il peso e il supporto provenienti dall'istituzione e dalla società nel suo complesso, dando un carattere più vasto, macrosociale, alla sindrome del burnout. Quest'approccio affonda le sue basi nella rilevanza esterna, sociale del complesso fenomeno del burnout, perché implica dei costi elevati per tutti i soggetti coinvolti nella gestione dei servizi e, quindi, una perdita per la comunità sia in termini di qualità, sia in termini di investimenti in ambito sociale e nei pubblici servizi.

Nella genesi del disagio del burnout hanno anche un ruolo per la sua manifestazione le variabili del contesto socioculturale in cui l'operatore vive ed esercita la propria professione, come le idee condivise, gli stereotipi, le aspettative sociali e i problemi socioeconomici; un intervento multidimensionale non può tralasciare l'analisi e la possibilità di agire e apportare dei cambiamenti anche su queste variabili (Di Maria, Di Nuovo, Lavanco, 2001).

La psicologia di comunità che si occupa di programmare strategie di promozione del benessere in tutti i contesti di vita, risulta essere la piattaforma teorica e operativa su cui articolare l'intervento; lo psicologo di comunità assume, infatti, la funzione di un agente di cambiamento e il suo scopo principale diventa quello di promuovere l'accordo psicosociale tra gli individui e gli ambienti sociali, attivando tutte le risorse disponibili nella comunità.

Un costrutto fondamentale della psicologia di comunità è il "Social Support System", che si lega ai concetti di rete sociale (social network) e di sostegno sociale (social support), definito da Caplan (1974) come «un durevole vincolo interpersonale in un gruppo di individui che possono contare sulla disponibilità di sostegno emotivo, assistenza e risorse nel momento del bisogno, che forniscono feedback e che condividono standard e valori» e da Cobbs (1976) come «un'informazione che consente agli individui di essere fiduciosi nel fatto che sono tenuti in considerazione, amati, stimati e valutati e che fanno parte di una rete di comunicazioni ed obblighi reciproci». Esistono due ipotesi teoriche sulle vie di azione e sulle situazioni in cui il sostegno interviene influenzando lo stato di salute psicofisica: una prima prospettiva considera un effetto primario del sostegno sul benessere nella vita quotidiana del soggetto ben inserito e integrato in una rete di sostegno; una seconda prospettiva, definita buffering hypothesis, ritiene che il sostegno funga da tampone o cuscinetto protettivo e moderatore delle conseguenze degli stress (Francescato, Ghirelli, 1988).

Le fonti di sostegno possono essere suddivise in due sistemi supportivi, informale che comprende i legami con le persone più direttamente coinvolte nella vita di un individuo (familiari, parenti, amici e persone intime), e formale, composto da strutture istituzionali e organizzative come le persone con cui si lavora e i gruppi nati come funzione di supporto. Nello sviluppo di tutti i sistemi di sostegno, soprattutto da un punto di vista istituzionale, si può utopicamente pensare ad una comunità ideologica che prevenga e offra sostegno contro stress e burnout e che migliori la qualità di vita (Del Rio, 1990).

Ai concetti di rete e sostegno sociale sono direttamente collegabili gli interventi di prevenzione primaria e seguendo le due ipotesi si può riscontrare: il senso della promozione del benessere psicofisico coerente con l'ipotesi dell'"effetto primario" che ha lo scopo di migliorare la qualità dello scambio sociale e influenzare lo stato di salute; e il senso di protezione del benessere coerente con l'ipotesi del sostegno come moderatore dello stress (buffering hypothesis) aumentando l'empowerment, individuale, organizzativo e di comunità, e le capacità empatiche e supportive degli individui della comunità (Francescato, Ghirelli, 1988).

Pines et al. (1981) hanno sistematizzato i vari modi e funzioni di richiesta, offerta e accettazione di sostegno in sei categorie base: l'ascolto, il sostegno tecnico (bisogno di apprezzamento e di feedback sul lavoro svolto), lo stimolo tecnico (utile nelle situazioni di noia e di ripetitività di compiti), il sostegno affettivo (svolto da una persona che può non condividere il modo di agire di un individuo ma che gli resta vicino umanamente), lo stimolo affettivo (fornito da una persona che funge da specchio per esaltare le difese e gli errori di un individuo) e il feedback sulla realtà sociale (svolto da un collega che conforta le convinzioni e le percezioni che sia hanno della realtà lavorativa e sociale).

Questa classificazione ha lo scopo, di facilitare la consapevolezza sulla necessità e specificità del sostegno che offriamo o che riceviamo, di rendere partecipi le persone in modo conscio di una rete di sostegno e di allargare e arricchire l'orizzonte interpersonale.

Lo studio del fenomeno del burnout permette alla psicologia di comunità:

di costatare un allentamento di tutti i legami familiari e di vicinato presenti nella comunità, e lavorativi all'interno delle organizzazioni;

di effettuare una ricerca-intervento sulla realtà contrassegnata da un'ingente rischio di burnout a causa degli inevitabili cambiamenti storico-sociali che si verificano nell'assetto delle relazioni umane e quindi anche lavorativi;

di costatare come l'applicazione di concetti, di costrutti e di strategie a essa care, come l'empowerment che permette agli individui di aumentare le capacità e le abilità nel controllare attivamente le proprie scelte di vita e nel gestire adeguatamente le situazioni stressanti e problematiche che incontrano, come il social support system che rafforza il senso di comunità considerato anche un fattore protettivo e preventivo del burnout, e come l'analisi organizzativa multidimensionale, la prevenzione primaria e la promozione del benessere, siano gli interventi più idonei ed efficaci per un fenomeno complesso e multifattoriale come il burnout;

infine, conferma l'affermazione attribuita alla psicologia di comunità come "psicologia della salute" perché ha lo scopo principale di promuovere la salute attraverso la relazione armonica e coerente con l'ambiente personale significativo (Martìn, Lòpez, 1996; Lavanco, Novara, 2001).



Specifici interventi per gli agenti della polizia penitenziaria


Tutte le strategie e gli interventi esposti nei paragrafi precedenti, sono ovviamente validi anche in possibili casi di burnout negli agenti della Polizia Penitenziaria, ma è possibile ed utile fare delle considerazioni di specificità in un contesto particolare come è l'istituzione totale degli istituti di pena dove il Corpo della Polizia Penitenziaria opera.

Innanzitutto, nell'ambito del problema della diagnosi del setting è necessario utilizzare dei criteri orientativi che differenziano le situazioni lavorative in due grandi categorie con caratteristiche opposte: setting sovradelimitati (overbounded) e setting sottodelimitati (underbounded). Eisenstat e Felner (1983) tengono presente nella multidimensionalità del fenomeno del burnout il pericolo del sovraccarico e il pericolo della noia del contesto lavorativo; entrambi questi ordini di fattori, sia quelli stressanti, sia quelli che arricchiscono l'esperienza lavorativa, sono da tenere in considerazione nello strutturare le mansioni di un operatore per evitare che i lavoratori rimangano oppressi dal carico e dalle difficoltà dei compiti, e che le funzioni non siano abbastanza motivanti da poter far crescere la professionalità dell'operatore. Farber (1983) denomina come deficit model il burnout «causato non dalla presenza di fattori stressanti, quanto piuttosto dall'assenza di fattori motivanti».

Nei sistemi sovradelimitati, tra cui gli autori indicano la prigione e l'ospedale psichiatrico, le attese di ruolo tendono ad essere estremamente precise, dettagliate e restrittive e le persone si sentono confinate e limitate, sperimentano una mancanza di stimolazione e percepiscono la struttura organizzativa con tutta la sua forza sull'individuo. Questo tipo di setting darebbe luogo ad una sintomatologia di bassa motivazione del lavoratore e persone intrappolate in ruoli alienanti.

Nei sistemi sottodelimitati, che sono i servizi di emergenza negli ospedali e i vari pronto intervento telefonici (come il telefono giallo, telefono amico, ecc.), le attese di ruolo tendono ad essere poco chiare, incomplete e conflittuali, c'è una grande diversità di domande problematiche provenienti da fonti molteplici e scoordinate e gli operatori si sentono frammentati e isolati. La sintomatologia che si presenta agli operatori in questi sistemi è caratterizzata da un alto livello di stress che conduce ad uno stato di esaurimento emotivo. Con questa diversificazione che permette una diagnosi differenziale della patologia del setting, gli autori parlano di "sistemi burnout" per i primi e di "persone burnout" per i secondi (Eisenstat e Felner, 1983).

Questa differenziazione ci permette di ritenere che, essendo l'istituto penitenziario un "sistema burnout", è solo un intervento mirato a livello organizzativo a potere modificare le attese di ruolo, creando maggiori stimolazioni e motivazioni e abbassando il livello di disagio e malessere che si presenta negli operatori penitenziari alienati.

Una strategia di intervento di prevenzione del burnout, che si valuta di grande efficacia e utilità nella professione di agente penitenziario, è un percorso formativo centrato sulla conoscenza del fenomeno del burnout e sulle conseguenze che comporta; programmi formativi di aggiornamento centrati su acquisizioni cognitive e psicologiche dei problemi legati all'Aids, alla tossicodipendenza, e alle conseguenze psicologiche che la restrizione di libertà comporta negli individui; la possibilità di formare negli agenti un "saper essere" adeguato nella relazione con i detenuti favorendo per l'espletamento delle funzioni istituzionali (sorvegliare, risocializzare e rieducare) quell'interessamento distaccato (detached concern) che permetta un equilibrio, difficile da raggiungere e mantenere, tra empatia e obiettività (Del Rio, 1990).

Infine, si considera di estremo rilievo anche la possibilità di una supervisione e di un lavoro di gruppo, che permetta la condivisione di vissuti e sentimenti tra i colleghi e favorisca il supporto emotivo e il senso di appartenenza al contesto lavorativo.





Kyriacou C. (1987), "Teacher stress and burnout: an international review", in Educational research, n° 29,2-06, pp. 146-152; citato in Rossati A. e Magro G. (1999), Stress e burnout, Carocci, Roma.

Meazzini P. (1998), "Quando lo stress colpisce, ovvero fatti e misfatti dello stress nella scuola", in Psicologia e Scuola, 91, XVIII, pp. 28-56; citato in Rossati A. e Magro G. (1999), Stress e burnout, Carocci, Roma.

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