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L'odissea




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L'ODISSEA


Il mondo omerico


La civiltà, molto evoluta, che nel II millennio a.C. ebbe i suoi centri maggiori attorno al mare Egeo, prima nell'isola di Creta, poi, dopo la distruzione dei palazzi cretesi (circa 1400 a.C.) a Micene, Tirinto, Pilo, Atene e in altre città greche, cadde piuttosto bruscamente intorno al 1200 a.C. a causa d'ampi movimenti migratori che interessarono tutta la penisola greca, le isole e l'Asia minore. Della civiltà cretese-micenea restarono scarse tracce perché i beni materiali e culturali da essa prodotti non si confacevano al livello di vita assai primitivo dei nuovi immigrati. Le residenze principesche furono distrutte e abbandonate, l'uso della scrittura fu dimenticato, l'artigianato artistico mirabile (specie nella ceramica e nella metallurgia) scomparve.

I secoli XI-VIII a.C. ('medioevo ellenico') hanno lasciato pochi resti monumentali, oltre a vaghe memorie su migrazioni e fondazioni di nuove città.

Il medioevo ellenico, dunque, dovette essere un periodo di forti tensioni interne e di rapida ascesa, che creò le basi della civiltà greca classica.

Su questi secoli abbiamo però una documentazione nell'Iliade e nell'Odissea che presero la forma attuale verso la fine dell'VIII secolo. Le notizie biografiche tramandate da Omero non ci permettono però di identificare in alcun modo l'autore o gli autori dei poemi.

L'analisi del testo omerico ed il confronto con altri poemi dell'epoca ci danno un'idea dell'epica greca preletteraria, ossia un prodotto di composizione e tradizione orale. I canti venivano trasmessi a memoria da una generazione all'altra. In questo processo la conservazione del testo prevaleva sull'innovazione e sull'invenzione. Questo compito veniva affidato ai cantori analfabeti, i quali possedevano capacità mnemoniche notevoli. Essi conservavano la struttura narrativa e sintattica dell'epos ma ne aggiornavano il contenuto.

I poemi omerici, che furono presto affidati alla scrittura (non sappiamo quando), conservano le caratteristiche dell'epica orale (formule, scene 'tipiche'), sul cui terreno sono nati e sono costruiti intorno al tema della storia troiana (l'ira d'Achille e il ritorno d'Odisseo). Sia l'Iliade che l'Odissea hanno una trama originale, grande e complessa. Nel 1795, F.A.Wolf risolse le difficoltà poste dal testo omerico con ricerche che conservano tuttora un valore inestimabile. Le soluzioni principali a cui si giunse possono essere riassunte così:

i poemi sono nati dall'aggregazione di poemetti sparsi e autonomi;

i poemi sorsero attraverso aggiunte successive attorno ad un nucleo, ad un originario poema breve;

varie composizioni epiche sono nate rifuse da un poeta o da un redattore nell'Iliade e nell'Odissea.

Fino ad oggi prevale l'ultima soluzione.

I problemi furono impostati quando la civiltà micenea era ancora pressoché sconosciuta e si stentava ad immaginare una poesia non composta a tavolino.

L'analisi filologica ha almeno stabilito che i poemi contengono forme linguistiche di diversa data, che alcune parti di essi saranno state composte o rielaborate per ultime e che l'Odissea nel complesso è posteriore all'Iliade.

La lingua epica è un prodotto altamente artificiale, lontana dal greco parlato; in essa arcaismi e neologismi, come le forme dialettali diverse, si mescolano dappertutto.

Riguardo al contenuto dei poemi entrambi trattano del tema della guerra di Troia.

Nella seconda metà del XIII secolo a.C. la città anatolica di Troia fu incendiata e distrutta, probabilmente da un esercito nemico. Nulla impedisce di credere che la distruzione fosse opera di una coalizione micenea, come racconta Omero. E' possibile che tra i capi della coalizione ci fossero Achille, capo di Ftia in Tessaglia, e Agamennone, re d'Argo e Micene; che tra essi durante l'assedio nascesse un grave contrasto; che a guerra finita l'itacese Odisseo tornasse a casa dopo lunghe peregrinazioni, trovando la moglie fedele, il figlio cresciuto ed un gruppo di pretendenti alla successione. Ma da Omero non ci si può aspettare un racconto attendibile di quei fatti. I cantori del medioevo ellenico non potevano più avere un'idea delle monarchie micenee, della loro struttura interna e della loro condotta di guerra nelle imprese d'oltremare. Anche in Omero i sovrani vivono in palazzi fastosi e comandano grossi eserciti, ma per il resto i ricordi non sono precisi, salvo le indicazioni geografiche che potevano trasmettersi senza troppa difficoltà.

Gli avvenimenti centrali dell'Iliade e dell'Odissea ci riportano ad un momento storico in cui nelle comunità tribali governate da un capo elettivo e revocabile emergono individui, poi gruppi, dotati di mezzi materiali e quindi di prestigio che danno loro potere politico. Sta sorgendo quindi l'aristocrazia che troveremo al potere in molte città-stato arcaiche e pertanto i poemi omerici documentano la fase finale del medioevo ellenico.

L'Odissea ha uno sviluppo poco intricato perché il protagonista è sempre lo stesso, anche quando è assente dalla scena, e perché il luogo della vicenda centrale non è uno sterminato campo di battaglia, ma una comunità appartata di modeste dimensioni. In compenso, dopo la lunga premessa dei primi quattro libri (la 'Telemachia'), siamo trasportati d'un tratto nel mondo del meraviglioso e, con la rievocazione delle avventure d'Odisseo tra potenze magiche e sotterranee, su un piano temporale diverso. Non si può dire che tra le due parti, quella della vendetta e dei viaggi, ci sia incompatibilità formale e quindi diversità d'autore. Anche la vendetta avrà avuto un'origine remota nel mito (la storia del reduce che torna dopo una lunga assenza sotto mentite spoglie e punisce i corteggiatori della moglie è ben nota nel folclore), ma qui è motivata di continuo e condotta a termine con seri argomenti, riflessioni e giustificazioni. Invece i viaggi sono lasciati allo stato di leggenda, come dovevano essere nelle fonti del poeta, fonti nelle quali probabilmente il protagonista era un eroe diverso da Odisseo. Noi possiamo trovare qualche differenza tra l'Odisseo prudente che ad Itaca si premunisce contro tutti i rischi e quello sconsiderato che nelle peregrinazioni affronta l'ignoto senza riflettere.

Un altro indizio può far pensare ad un'originaria dipendenza delle due parti: l'Odisseo d'Itaca può contare sulla protezione costante d'Atena, che invece non lo ha mai aiutato durante le peripezie dei libri IX-XII. La protezione di una divinità era una caratteristica dell'eroe epico. Il poeta dell'Odissea lo sa, spiegandosi con una rapida battuta della stessa Atena: alle rimostranze d'Odisseo, la dea dice (XIII, 341-343) che non lo ha aiutato per non mettersi in contrasto con lo zio Posidone.

Ma se Omero ha concentrato per primo molta materia del repertorio attorno ad alcune figure dominanti, non ha però dotato i suoi eroi di una caratterizzazione morale ed un comportamento conseguente. Nell'Odissea basta che l'identità del protagonista sia assicurata dal nome e dagli aggettivi costanti che lo accompagnano. Nell'epica orale del resto, è normale che agli eroi più noti siano attribuite gesta già compiute da eroi diversi.

I Greci delle età posteriori hanno tentato di usare indicazioni disparate per dare ai suoi eroi maggiori un'unità di carattere. Ma l'Odisseo omerico non è per sua natura cauto o temerario, leale o scaltro, come appare in autori posteriori. Ha un carattere composito, se non inconsistente, perché l'epica, di per sé, ignora i ritratti psicologici individuali, e Omero, che riconduce situazioni diverse al nome di un solo personaggio, nel grande poema dilata un'azione esemplare, la vendetta, inserendovi altre azioni per altro verso esemplari, le avventure di viaggio. Può darsi che queste avventure siano state assegnate ad Odisseo semplicemente perché nella storia del suo ritardato rimpatrio c'era spazio a volontà da riempire con frequentazioni di divinità irate, ninfe, maghi, mostri ed ospiti cortesi. Se il motivo fu soltanto di tecnica e d'opportunità compositiva, il risultato è di sicuro sorprendente. L'ambiguità del personaggio ci ricorda quella di grandi figure letterarie moderne, come Don Chisciotte o Amleto.

Nei momenti critici, quando si trovano a confronto tra loro sul terreno della realtà quotidiana, gli eroi sono in sostanza tutti uguali: dato che le loro qualità si rivelano nell'impiego intelligente della forza fisica, coronato dal successo e dal riconoscimento dell'opinione pubblica; di un eroe si può dire soltanto che è più forte o capace di un altro.

Ma ci sono personaggi che il lettore moderno sente più vicini e comprensibili perché appaiono in una specifica luce tragica o patetica: il gentile Patroclo, le figure femminili. In un senso diverso, sono precisati con tratti umoristici o caricaturali i pochi personaggi di rango inferiore: Eumeo, che è commovente nella sua fedeltà, ma nel libro XIV, di fronte alle menzogne del padrone, è trascinato in un'atmosfera assolutamente picaresca, di divertente menzogna.

Riguardo al mondo divino, che comprende un Apollo sempre solenne, un Efesto sempre ridicolo, uno Zeus capace di tutto, esso ci presenta nell'Odissea un olimpo ordinato, ma anche in continua azione nel mondo umano.

A differenza però degli uomini, che rischiano seriamente, anche negli scontri più violenti gli dei non possono morire, e così devono limitarsi agli eccessi verbali e maneschi dei litigiosi impotenti. Solo salendo all'Olimpo il poeta può ritrarre dal vivo gli aspetti non eroici, più meschini, della vita umana.  Nell'Odissea, veramente, si fa strada una concezione più seria della divinità, sia che Zeus, proprio all'inizio del poema, parli in tono grave delle colpe umane e della giustizia superiore, sia che l'uomo arrivi a confidarsi familiarmente con un dio ben disposto, come quando Atena ed Odisseo, seduti al piede d'un olivo, discorrono sulla vendetta (libro XIII).

Una rappresentazione così ampia, spregiudicata e complessa della vita umana non poteva nascere che in una civiltà di progresso, capace di reinterpretare con audacia il suo passato. Era il momento in cui si preparava il governo dei 'migliori', l'aristocrazia, e con esso lo Stato politico.

Fino a tutto il V secolo Omero fu considerato dai greci, con poche eccezioni, un maestro sicuro anche per la religione e la vita pratica. Solo dal IV secolo, dopo la polemica di Platone contro la poesia, l'autorità d'Omero fu sempre più ristretta al campo della letteratura.

Il modello omerico restò normativo per l'epica che tuttavia, essendo diventata un genere letterario accanto agli altri, si limitava a riprenderne il linguaggio e le forme esteriori. Attraverso la traduzione latina di Livio Andronico (III secolo a.C.), che ancora al tempo d'Orazio era un libro di testo per le scuole, ed i poemi omerizzanti d'Ennio e Virgilio, il culto d'Omero fu trasmesso alla cultura romana e quindi a quella medievale. Ma il testo originale andò perduto per l'Occidente. Esso fu conosciuto e tradotto nella prima età umanistica. Diventò interessante il confronto tra Omero e Virgilio: a giudizio dei classicisti il primo appariva troppo rozzo, tanto che nel tardo Rinascimento ed in età barocca Omero ebbe pochi estimatori. Ad una valutazione più obiettiva giovarono le buone traduzioni in lingue moderne, a partire da quelle inglesi di Chapman (1598-1618) e Pope (1715-20), il nuovo senso della storia, stimolato nel Settecento dai filologi, dagli archeologi e anche dai viaggiatori che visitavano il Mediterraneo centro-orientale, ed infine dal romanticismo. Attorno al 1800, in Italia, la passione per Omero è attestata dalle traduzioni di Cesarotti, Monti, Pindemonte e Foscolo.

In quel periodo i problemi dell'esistenza storica d'Omero e della genesi dei poemi erano già stati posti da tempo, ma solo nell'Ottocento la 'questione omerica', con la prevalenza della critica testuale ed analitica dell'Iliade e dell'Odissea, finì col rendere problematico o addirittura illecito ogni giudizio sulle qualità poetiche d'Omero. Se la critica ancora oggi, non riesce a formulare un giudizio unanime sull'abilità dell'autore dei due poemi, questo dipende anche dal fatto che essi riflettono una cultura tanto diversa dalla nostra.













L'Odissea


L'Odissea (divisa in 24 canti, circa 12.000 versi) è il poema del ritorno in patria dell'ultimo degli eroi di Troia, Odisseo (Ulisse). Il poema inizia in medias res: dopo la guerra di Troia, dieci anni sono trascorsi, gli altri eroi greci sono tornati a casa o morti nel ritorno, mentre Ulisse è trattenuto lontano da Itaca da Posidone, infuriato con lui a causa del figlio Polifemo.

Da otto anni ormai egli si trova presso la ninfa Calipso dove è giunto dopo le avventure che egli stesso racconta nella reggia d'Alcinoo, re dei Feaci. Si tratta, dal punto di vista narrativo, di un vero e proprio flash-back, racconto nel racconto, che spezza la linearità del tempo narrativo e dimostra le capacità d'Omero nel comporre la narrazione.

All'inizio del poema gli dei a consiglio decidono che anche Odisseo torni a casa e Posidone cessi la sua ostilità. Dopo difficili e varie peripezie, Odisseo arriva finalmente ad Itaca con una nave dei Feaci e prepara la vendetta e la riconquista del regno.

Il canto XXIV mostra le anime dei Proci uccisi che scendono all'Ade, l'incontro d'Odisseo con il padre Laerte e la riappacificazione finale degli Itacesi.

Nell'Odissea c'è un protagonista dominante, l'uomo del ritorno, delle avventure e della vendetta, che da il titolo al poema stesso. Ci sono però anche molti personaggi secondari, ma altrettanto forti, come Circe, Nausicaa, Polifemo, Alcinoo, Telemaco, Penelope, le creature fantastiche dei viaggi e gli eroi incontrati nel regno dei morti.

Mentre nell'Iliade Omero racconta d'eroi in guerra, nell'Odissea la guerra appartiene al passato, ma prolunga i suoi effetti nel presente; l'eroe vuole tornare in patria, recuperare la casa la famiglia ed i beni. I temi caratteristici sono quindi l'avventura, il coraggio, la forza, l'astuzia e l'amore.

Il poema omerico ci presenta il confronto tra dei ed eroi e ci mostra come i primi intervengano violentemente sull'agire umano. Solo l'immortalità segna la distanza tra le due categorie, mentre spesso le divinità sono soggette agli stessi difetti e passioni degli uomini. Inoltre nessuna azione eroica può essere scelta solo dagli uomini: perché essa dia esito favorevole ci deve essere anche la volontà divina.

La lingua omerica era un misto di diversi dialetti e rappresentava una lingua letteraria adatta al verso della poesia epica (esametro). La poesia era considerata il genere proveniente dagli dei ed infatti il verso iniziale dei poemi omerici presenta l'invocazione alla Musa.

La poesia traduce nell'Odissea il culto classico della bellezza: Ulisse incarna la perfezione fisica, che incanta maghe, ninfe e fanciulle, l'astuzia e l'ingegno, che gli permettono di sconfiggere Polifemo ed i Proci, il coraggio e la curiosità insaziabile, che lo spingono ad esplorare nuove terre ed a vivere nuove esperienze. Tutto ciò conferma che i Greci vedevano nella sembianza esteriore dell'uomo la sua interiorità e credevano che fra bellezza e spiritualità esistesse uno stretto rapporto.

L'Odissea, come tutti i poemi epici, ci presenta spesso l'eroe umano a confronto con la potenza della natura e dei suoi elementi.

La natura 'divina' si esprime nell'Odissea con immagini di tempeste e d'isole incantate tanto che essa ci sembra più accessibile all'uomo e più favorevole al dialogo ed alla comunicazione. Le similitudini sono più misurate e familiari: dolce appare la terra ad Ulisse come al figlio è dolce la vista del genitore; il fiume rappresenta una fonte d'incanto religioso ed Ulisse prega allo spirito dell'acqua; una pace di chiarori annuncia l'arrivo di Nausicaa; giochi, canti e vesti distese al sole lungo la spiaggia traducono la dolcezza d'incontri familiari.

In compenso ci sono le foreste, le cime dei monti, i turbini marini, la luna e le stelle e le ombre vive degli dei che creano l'atmosfera meravigliosa e fantastica della narrazione.

Da Omero, inoltre, ci viene l'immagine di un eroe che lotta, sfida ed accetta senza rassegnazione il proprio destino, il Fato.

E' comunque importante sottolineare che il fascino eterno dei poemi omerici dipende anche dai simboli narrativi che essi ci propongono e che molti altri scrittori hanno successivamente ripreso e rielaborato. Tra le nostre letture, in qualità di giovani studenti del 2000, non mancano certo romanzi o testi di teatro che ripropongono i miti eroici del passato, che ci presentano il viaggio avventuroso come un'importante esperienza di formazione e di maturazione personale, che ci fanno riflettere sul rapporto uomo-divinità e che ci riconducono ai grandi valori dell'amore, la famiglia e la patria.

Ulisse è vicino a noi perché si fonde con personaggi quali Candido, Amleto, Don Giovanni ecc.

Ulisse è l'uomo che immagina, pensa e si tormenta; l'uomo che vive l'incertezza delle sue conquiste, ma che esprime la sua grandezza con il pensiero; il naufrago che si avventura nel mare della vita e che cerca di approdare alle rive sicure dell'amore e della pace nella vecchiaia.


Omero


Sommo poeta greco (forse IX sec. a.C.). Malgrado le molte biografie ed il Certame d'Omero ed Esiodo, tutto è incerto della sua vita e la sua stessa esistenza è stata messa in dubbio. Sette città (Atene, Argo, Chio, Colofone, Rodi, Salamina e Smirne) si disputarono l'onore di avergli dato i natali. La leggenda lo raffigura vecchio, cieco, girovago e mendico, alla maniera dei rapsodi, come lo descrisse il passo autobiografico dell'Inno ad Apollo a lui attribuito. Oltre l'Iliade e l'Odissea (entrambe in dialetto ionico), la tradizione gli assegna anche gli Inni agli dei, la Piccola Iliade, la Batracomiomachia ed i poemetti Focide e Margites. Ma già alcuni critici alessandrini avevano affermato che l'Iliade e l'Odissea, opere tanto differenti per stili, mondo sociale ed economico, non potevano essere opera dello stesso autore. Aristarco di Samotracia attribuì invece l'Iliade alla gioventù e l'Odissea alla vecchiaia d'Omero. La tesi dei due differenti autori fu ripresa, in età moderna, dall'abate d'Aubignac e da G. B. Vico, che, nella Scienza nuova seconda (1730), diede inizio alla 'questione omerica', affermando che la poesia d'Omero è l'espressione impersonale di un'età ancora barbara. Nel 1795 F. A. Wolf, nei Prolegomena ad Homerum, negò l'esistenza del poeta e sostenne che i due poemi fossero originati da brevi componimenti, opera di più aedi, raccolti organicamente ai tempi di Pisistrato (VII sec. a.C.). Ancora oggi, i pareri sono molti e discordanti.

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