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ISRAELE
Posizione geografica
Israele si trova nell'Asia
sudoccidentale, sulla costa orientale del Mar Mediterraneo e confina a nord con
il Libano, a nord-est con la Siria, ad est con la Giordania, a sud-ovest con
l'Egitto e ad ovest con il Mar Mediterraneo. La punta più meridionale d'Israele
raggiunge il Golfo d'Aqaba, un'insenatura del Mar Rosso. Ha una superficie di
21.946 km².
Israele può essere diviso in cinque zone topografiche principali: la regione montuosa della Galilea, la Piana di Esdraelon, le pianure costiere, i monti della Giudea e della Samaria e il Negev. I colli della Galilea dominano la parte settentrionale di Israele e si estendono verso est per 40 km circa da una stretta pianura costiera fino al Lago di Tiberiade (anche noto come Mare di Galilea).
A sud della zona montuosa della Galilea si trova la Piana di Esdraelon, lunga 55 km circa e larga 25 km circa, che attraversa Israele dalle vicinanze di Haifa sulla costa mediterranea fino al fiume Giordano. La valle, che in precedenza era una palude, è stata bonificata ed è attualmente una regione agricola densamente popolata e produttiva.
La larghezza delle pianure costiere che si estendono per 195 km circa lungo il Mediterraneo varia da meno di 1 km fino a un massimo di 32 km circa. I Monti della Giudea e, a nord, le colline della Samaria formano una barriera che attraversa da nord a sud quasi tutto Israele.
Il Negev è una regione desertica che si estende a sud del Golfo di Aqaba fino a una linea che va dall'estremità meridionale del Mar Morto al Mediterraneo, passando appena a sud di Be'er Sheva.
Il fiume principale di Israele è il Giordano, che nasce dal Monte Hermon, sul confine libano-siriano, raggiunge il Lago di Tiberiade, a 209 m circa sotto il livello del mare e sfocia nel Mar Morto, a 408 m circa sotto il livello del mare, la più bassa altitudine sulla superficie terrestre.
Il clima di Israele è generalmente subtropicale, con precipitazioni limitate principalmente ai mesi invernali. Le precipitazioni non sono distribuite equamente e variano da 1.015 mm circa l'anno in Galilea a 510 mm circa intorno a Tel Aviv-Giaffa e a 25 mm circa nella zona del porto di Elat.
La vegetazione spontanea, tipicamente mediterranea lungo la costa, assume i caratteri della steppa procedendo verso l'interno, mentre al sud, nel Negev, è di tipo desertico. Sono presenti circa 2500 diverse specie di piante, per lo più xerofile, cioè piante che vivono in ambienti aridi; a partire dal 1948 sono stati piantati oltre 200 milioni di alberi e, a tutt'oggi, le aree rimboschite coprono circa il 6% del territorio. Le specie animali sono numerose e comprendono la lontra, il lupo, la mangusta e lo sciacallo, oltre a gazzelle e porcospini. Alcune zone vengono invase periodicamente dalle locuste.
ASPETTO STORICO-ATTUALE
Il numero degli ebrei presenti in Palestina all'inizio del XX secolo era esiguo, ma in progressivo aumento, passando da 12.000 presenze nel 1845 a quasi 85.000 nel 1914. Già all'epoca della prima guerra mondiale il movimento era sostenuto dalla Gran Bretagna, che approvò, il 2 novembre 1917, la dichiarazione di Balfour, nella quale si impegnava a creare un 'focolare nazionale ebraico' in Palestina. Nel 1922 i termini di tale dichiarazione furono inclusi anche nel mandato palestinese approvato dalla Società delle Nazioni, che affidava alla Gran Bretagna l'amministrazione dell'area. A partire da questo momento la comunità ebraica (Yishuv) crebbe notevolmente, in special modo negli anni Trenta, quando un elevato numero di ebrei fuggì dall'Europa per sottrarsi alle persecuzioni del nazismo. Tel Aviv divenne il maggiore centro di accoglienza e in tutto il territorio furono fondate decine di nuovi villaggi e centinaia di aziende agricole collettive; inoltre, molti partiti politici fondati nell'Europa orientale come parte del movimento sionista mondiale, svilupparono le proprie basi anche in Palestina.
Nel frattempo, sotto l'egida dell'Organizzazione sionistica mondiale e dell'Agenzia ebraica per la Palestina (che provvedevano alla raccolta di fondi all'estero nonché alla ricerca di appoggio da parte dei governi occidentali), l'Yishuv aveva esteso le proprie istituzioni amministrative. Tra queste vi erano un'Assemblea elettiva e un Consiglio nazionale, che si occupava di ogni aspetto della vita quotidiana; le questioni religiose erano controllate dal Consiglio dei rabbini. Si svilupparono anche i primi organi di governo locale e si diede una prima organizzazione al sistema educativo, che puntava alla diffusione di una lingua e di una cultura comuni.
Le questioni riguardanti la difesa, la sicurezza, l'immigrazione e persino il servizio postale e i trasporti erano gestite da un alto commissario britannico nominato dal governo di Londra. Gli inglesi cercavano di mantenere un delicato equilibrio tra gli interessi della comunità ebraica e quelli della popolazione araba, ma con l'aumentare delle ondate immigratorie ebraiche l'opposizione araba al dominio britannico e al sionismo si fece sempre più intransigente, culminando in estese rivolte a partire dal 1936. Durante la guerra, tuttavia, a causa del massacro cui era sottoposta la popolazione ebraica da parte dei nazisti (vedi Olocausto), i sionisti intensificarono le richieste per l'autonomia interna e tentarono di facilitare con tutti i mezzi l'immigrazione (anche clandestina) in Palestina, dove la comunità ebraica si opponeva, spesso in modo violento, alle autorità mandatarie inglesi.
Nel 1947 gli inglesi chiesero l'intervento della neonata Organizzazione delle Nazioni Unite, che stabilì un piano per la divisione della Palestina in due stati indipendenti, uno ebraico e uno arabo, mentre Gerusalemme sarebbe diventata zona internazionale controllata direttamente dall'ONU. Il 14 maggio 1948, a Tel Aviv, un governo provvisorio proclamò la nascita dello stato d'Israele 'aperto all'immigrazione di ebrei provenienti da tutte le parti del mondo'; il giorno seguente gli eserciti di Egitto, Transgiordania (l'attuale Giordania), Siria, Libano e Iraq si unirono alle popolazioni palestinesi e alla guerriglia araba che stavano lottando contro le forze ebraiche sin dal novembre del 1947, dando avvio alla prima guerra arabo-israeliana. Gli arabi, tuttavia, non riuscirono a evitare la formazione del nuovo stato e la guerra si concluse nel 1949 con quattro armistizi approntati dall'ONU tra Israele ed Egitto, Libano, Giordania e Siria.Il conflitto alterò profondamente gli equilibri etnici. Gli accordi estesero il territorio israeliano al di là dei confini stabiliti inizialmente dall'ONU (da circa 15.500 a 20.700 km2), comprendendo anche la parte nuova di Gerusalemme, che fu eretta a capitale; la striscia di Gaza, sul confine tra Israele ed Egitto, venne affidata a quest'ultimo, mentre la Cisgiordania e la parte antica di Gerusalemme furono annesse dalla Giordania. Degli oltre 800.000 arabi che abitavano la Palestina nel 1949, ne rimasero solamente 170.000; i rimanenti si rifugiarono nei paesi confinanti. Nel 1949 si tennero le prime elezioni per la Knesset (il Parlamento) e Chaim Weizmann, eminente leader sionista, divenne il primo presidente del paese.
I tentativi di convertire gli armistizi del 1949 in trattati di pace fallirono e a ogni azione di guerriglia dei rifugiati arabi Israele rispondeva con una rappresaglia. Il rifiuto egiziano di concedere il libero passaggio alle navi israeliane attraverso il canale di Suez, da poco nazionalizzato dal presidente egiziano Gamal Abd el Nasser, e il blocco dello stretto di Tiran, l'accesso di Israele al Mar Rosso, vennero considerati atti di guerra e gli incidenti di frontiera con l'Egitto aumentarono sino a sfociare nel secondo conflitto arabo-israeliano (vedi Crisi di Suez). Con l'appoggio di Gran Bretagna e Francia, Israele si assicurò una facile vittoria e in pochi giorni prese possesso della striscia di Gaza e della penisola del Sinai. Tuttavia, mentre le forze israeliane al comando di Moshe Dayan raggiungevano il canale di Suez e inglesi e francesi iniziavano il loro attacco, i combattimenti furono fermati dall'ONU (appoggiata da USA e URSS), che inviò sul posto alcuni contingenti; i tre paesi invasori furono costretti a lasciare la zona del canale, ma gli israeliani si rifiutarono di abbandonare Gaza sino agli inizi del 1957, quando fu riaperto lo stretto di Tiran.
La guerra dei sei giorni
Dopo il conflitto del 1956 il nazionalismo arabo toccò l'apice e nel 1967 la costituzione di un contingente militare arabo unito, la chiusura dello stretto di Tiran e il ritiro delle truppe dell'ONU dalle zone di confine meridionali, indussero Israele ad attaccare contemporaneamente la Giordania, la Siria e l'Egitto (vedi Guerre arabo-israeliane; Guerra dei Sei giorni). Forti della loro supremazia aerea, dopo sei giorni di combattimento gli israeliani ebbero la meglio. Al termine della guerra, Israele - contro le risoluzioni dell'ONU - prese possesso di Gaza e della penisola del Sinai, della zona araba di Gerusalemme (Gerusalemme orientale) e della Cisgiordania (sottratte alla Giordania), delle alture del Golan (già appartenenti alla Siria), raggiungendo un'estensione quattro volte superiore rispetto a quanto stabilito dall'armistizio del 1949. I territori occupati erano abitati da circa un milione e mezzo di palestinesi.
I territori occupati dalla resistenza araba
Dopo il conflitto, la questione dei territori occupati dominò il dibattito politico. La destra politica e i leader dei partiti religiosi ortodossi si opponevano al ritiro dalla Cisgiordania e da Gaza, mentre nel Partito laburista si discuteva se fosse opportuno il ritiro o il mantenimento delle posizioni acquisite. Alcuni giorni dopo la fine della guerra, tuttavia, Israele unì formalmente le due zone di Gerusalemme. A ciò fece seguito una recrudescenza del nazionalismo arabo palestinese; alcune fazioni interne all'Organizzazione per la liberazione della Palestina intrapresero attacchi terroristici contro scuole, mercati e aeroporti israeliani con l'obiettivo dichiarato di liberare la Palestina.
Nel '73 l'Egitto si unì alla Siria in una nuova lunga guerra contro Israele attaccando proprio nel giorno del kippur (festa religiosa dell'espiazione dei peccati, celebrata con il digiuno completo per 24 ore). Anche questa volta Israele riuscì a sconfiggerli. In questo caso per rifarsi della sconfitta i paesi arabi ridussero le esportazioni di petrolio agli Stati Uniti ed alle altri nazioni occidentali che avevano per prestato aiuto ad Israele. Ci fu così la prima crisi mondiale del petrolio. Gli Stati Uniti furono costretti ad avviare una sistemazione pacifica della questione araba-israeliana, in particolare la situazione di crisi venne risolta dal segretario generale degli Stati Uniti, Henry Kissinger. La conclusione della guerra non pose però fine né a disordini, né all'insoddisfazione generale che portarono alle dimissioni del primo ministro israeliano Golda Meir. Nel '79, grazie all'intervento del Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, e del presidente egiziano Sadat, si firmò un trattato di pace fra Egitto e Israele. Tale trattato causò l'espulsione dell'Egitto dalla lega Araba
Nel 1981, anno in cui il Likud tornò alla guida del paese, Israele inviò alcuni bombardieri a distruggere un reattore nucleare in costruzione nei pressi di Baghdad, in Iraq, suscitando reazioni negative a livello internazionale, che furono accentuate poi dall'annessione unilaterale delle alture del Golan. Nonostante questi sviluppi e le complicazioni causate dall'assassinio di Sadat (ottobre 1981), nel 1982 venne completato il ritiro israeliano dal Sinai. Due mesi dopo Israele invase il Libano, con l'intenzione di disfarsi della presenza dell'OLP in quell'area e di instaurarvi un governo filoisraeliano; dopo aspri combattimenti nei dintorni di Beirut, i palestinesi ritirarono le proprie forze dalla città, mentre le truppe israeliane rimasero di stanza nella zona meridionale del paese. In seguito alle proteste internazionali - dovute anche al vasto massacro commesso da milizie cristiane nei campi profughi palestinesi controllati dagli israeliani - e alla continua crisi economica, Begin annunciò le sue dimissioni da primo ministro e da leader del Likud nell'agosto del 1983; gli succedette il ministro degli Esteri Yitzhak Shamir. Nelle elezioni del 1984 vinsero di stretta misura i laburisti che, insieme al Likud, formarono un governo unitario, nell'intento di ristabilire le relazioni internazionali. La carica di primo ministro fu così affidata a Shimon Peres, leader laburista fino al 1986, quando fu sostituito da Shamir.
I rapporti tra israeliani e palestinesi entrarono in una nuova fase nei tardi anni Ottanta, con l'avvio dell'intifada (1987), una serie di rivolte palestinesi nei territori occupati. La dura risposta del governo attirò le critiche dell'Occidente e dell'ONU. La coalizione Likud-laburisti crollò nel 1989 e Shamir guidò un governo provvisorio sino al giugno del 1990. Tra il 1989 e il 1990 giunsero oltre 200.000 ebrei dall'Unione Sovietica; questa nuova ondata immigratoria minò gravemente la già debole struttura economica del paese. Durante la guerra del Golfo, in cui molti palestinesi appoggiarono l'Iraq, numerosi missili Scud colpirono ripetutamente Israele, ma Israele non si lasciò coinvolgere nel conflitto.
I primi colloqui di pace tra Israele, le delegazioni palestinesi e i confinanti stati arabi iniziarono nell'ottobre del 1991. Nel 1992 il Likud perse le elezioni parlamentari e il leader del Partito laburista Yitzhak Rabin formò un nuovo governo. Nel 1993 il primo ministro Rabin e il leader dell'OLP Yasser Arafat firmarono a Washington uno storico trattato di pace (frutto di un lungo lavoro preparatorio svoltosi nei mesi precedenti a Oslo in gran segreto). Il leader palestinese riconosceva a Israele il diritto a esistere come stato; Israele si impegnava a concedere l'autogoverno palestinese nei territori occupati, prima nella striscia di Gaza e nella città di Gerico e successivamente in altre aree della Cisgiordania.
Nel maggio dello stesso anno, le truppe israeliane si ritirarono da Gerico e dalla striscia di Gaza, che passarono sotto l'autorità palestinese. A luglio, Rabin e Hussein di Giordania firmarono a Washington un accordo di pace che, fondamento per il vero e proprio trattato del 26 ottobre, pose fine a 46 anni di guerra tra i due paesi.
Il 4 novembre 1995 il primo ministro Rabin fu assassinato da Yigal Amir, un estremista ebreo; l'episodio suscitò una profonda emozione e la reazione della società israeliana fu immediata e massiccia. Il paese voleva la pace, ma, lacerato dalle divisioni, era sull'orlo della guerra civile. Tra febbraio e marzo del 1996 attentati islamici colpirono le maggiori città israeliane causando decine di vittime.
Alle elezioni del maggio 1996 il Likud - che aveva condotto una campagna all'insegna della sicurezza e che fino a pochi giorni prima era ritenuto sfavorito - vinse le elezioni per una differenza di appena 26.000 voti. Benjamin Netanyahu, il leader del partito, fu eletto primo ministro e formò un governo con i partiti della destra religiosa, contrari all'accordo di pace e fautori dell'estendersi della colonizzazione israeliana nei territori occupati.
Dal 1996 il governo israeliano ribadì più volte la necessità di rivedere gli accordi di Oslo, sia per quanto riguardava l'autonomia palestinese, sia, e soprattutto, per quanto riguardava la possibilità di insediare nuove colonie ebraiche nei territori occupati. Le crisi nelle relazioni israelo-palestinesi da allora si susseguirono, arrivando nel settembre allo scontro armato tra esercito israeliano e polizia dell'autorità palestinese, che causò 76 morti e centinaia di feriti.
La situazione non migliorò nel 1997, quando il continuo rinvio dell'applicazione degli accordi di Oslo e ulteriori concessioni alla destra religiosa da parte del governo israeliano (come l'approvazione di un'altra colonia, la sesta, a Gerusalemme Est) cacciarono il processo di pace in un vicolo cieco. Verso la metà dell'anno, nell'intento di far avanzare le relazioni tra le due parti in conflitto e far uscire Israele dall'isolamento internazionale, ripartì l'attività diplomatica statunitense.
Il presidente degli Stati Uniti Clinton tuttora sta cercando di formare all'Interno di Israele uno stato indipendente della Palestina insieme al presidente d'Israele Netayahu e il leader dei palestinesi Arafat.
Israele ha un'alta densità di popolazione, un elevato fabbisogno di risorse e un territorio di piccole dimensioni. E comunque un Paese ben sviluppato, con un efficiente rete di acqua potabile e un buon sistema fognario. L'acqua è la risorsa naturale che più condiziona la vita in questi luoghi e le riserve in prossimità dei confini nazionali hanno dato origine a conflitti. Malgrado questo, Israele ha avuto una crescita agricola sostenuta, in parte grazie a misure di conservazione dell'acqua come l'irrigazione a gocciolamento. L'inquinamento marino è diminuito grazie alle leggi varate dai Governi e alla loro rigorosa applicazione. La qualità dell'aria nei centri urbani dovrebbe migliorare con la diffusione del carburante senza piombo e delle marmitte catalitiche.
Israele si trova alla congiunzione geografica di tre importanti zone climatiche ed ecologiche e presenta una ricca biodiversità, nonostante le dimensioni relativamente piccole. Il deserto del Negev copre oltre la metà del Paese, ma lungo la costa del Mediterraneo vi sono ampie distese di macchia mediterranea e di vegetazione sempreverde. Le foreste si trovano perlopiù alle elevazioni più alte. Il 4,9% (1995) del Paese è coperto da foreste, delle quali circa il 37% è foresta naturale; infatti ogni anno vengono rimboschiti 25 km² circa di territorio. Barriere coralline contornano il breve tratto di costa israeliano del Mar Rosso.
Molta terra coltivabile è sottoposta a coltivazione intensiva. L'acqua di scarico dei terreni coltivati irrigati è spesso contaminata da prodotti chimici usati in agricoltura. Quasi tutte le zone umide della regione erano scomparse già intorno alla metà del XX secolo. L'ambiente ha patito direttamente le devastazioni delle guerre moderne, quando ampi territori protetti posti fuori mano diventarono campi di battaglia. Questi fattori hanno reso difficile mantenere territori protetti e conservare gli habitat. Ciò nonostante, il 14,8% (1996) del territorio è protetto sotto forma di parchi nazionali, riserve naturali e forestali. I parchi sono mete frequentate dai turisti e rappresentano una voce significativa delle entrate del Paese. Israele partecipa al programma MAB (Man and Biosphere, l'uomo e la biosfera) dell'UNESCO e ospita una riserva della biosfera.
Israele ha ratificato numerosi accordi internazionali per la tutela dell'ambiente, fra cui quelli relativi alla biodiversità, alle specie in via d'estinzione, ai rifiuti pericolosi, alla messa al bando degli esperimenti nucleari, alla protezione dello strato di ozono e all'inquinamento di origine navale. Ha firmato anche la Convenzione per la protezione dei luoghi patrimonio dell'umanità e la Convenzione di Ramsar sulle zone umide. Israele partecipa a diverse convenzioni regionali per la tutela della costa del Mediterraneo.
Israele conta circa 5.300.000 abitanti (1994), con una densità media di 242 unità per km2. La popolazione è prevalentemente urbana (90,6%; 1995) e, anche se composta per l'83% da ebrei, presenta caratteristiche etniche e culturali assai diversificate. Anche i cosiddetti sabra (gli ebrei nati in Israele, che costituiscono oltre la metà della popolazione ebraica), infatti, hanno origini differenti dacché i loro immediati progenitori provenivano da oltre cento paesi e parlavano circa 85 diverse lingue e dialetti. Nei raggruppamenti principali sono inclusi gli ashkenaziti, che discendono da popolazioni che abitavano aree slave e balcaniche; i sefarditi, i cui antenati popolavano la penisola iberica, e altre genti che raggiunsero Israele dal Nord Africa e da altri paesi dell'Asia sudoccidentale. Circa il 17% della popolazione è araba.
Circa l'82% della popolazione professa l'ebraismo, e le festività ebraiche e il Sabbath sono, per legge, osservati in tutto il paese. La minoranza più numerosa è costituita da musulmani (13% circa), ma sono presenti anche cristiani (di diverse confessioni) e drusi. A partire dal 1991 si è aggiunta anche una discreta comunità di falascià, provenienti dall'Etiopia. La lingua ufficiale è l'ebraico, ma è molto diffuso anche l'arabo, usato nelle scuole e in politica. Molti parlano l'inglese, l'yiddish, il russo e un considerevole numero di altre lingue europee.
Fin dal 1949 l'istruzione è gratuita e obbligatoria dai 5 ai 15 anni. Per quanto riguarda gli studi secondari, lo Stato prevede sussidi che coprono fino al 100% dei costi. Tra gli istituti superiori si citano l'Università ebraica di Gerusalemme (1918), che ospita la maggiore biblioteca del paese, e l'Istituto israeliano di tecnologia (1912) di Haifa. Oltre al sistema scolastico laico, esiste un sistema parallelo di scuole religiose ebraiche, che culminano in istituti di ricerca post-laurea. Il tasso di analfabetismo si aggira intorno al 5% (1992).
Sebbene la cultura israeliana rifletta le diverse origini della popolazione, è sempre stata forte la volontà di creare una letteratura e un'arte nazionali. Tale problema venne risolto dagli intellettuali di maggior successo, come il romanziere Shemuel Yosef Agnon, Nobel per la letteratura nel 1966, e il filosofo Martin Buber, attingendo alle tradizioni e agli avvenimenti che scossero, specialmente nell'ultimo secolo, la popolazione ebraica, riuscendo così a creare un sostrato culturale comune, nel quale ogni membro della comunità si potesse identificare. A partire dalla fondazione del nuovo stato, scrittori come Moshe Shamir e A. Ukhmani, anziché guardare all'esperienza della guerra e della lotta per la conquista dell'autonomia (come Aharon Megged o Smilanski Yizhar), nonché a quella della vita nel kibbutz (come Abba Kovner), si volsero ai problemi riguardanti l'evoluzione della società che si andava formando, contribuendo anch'essi con le loro opere a rafforzare la coesione interna. In Israele sono presenti oltre cento musei, tra i quali il Museo di Tel Aviv e il Museo israeliano, a Gerusalemme, che ospita una vasta collezione di arte popolare ebraica, manufatti antichi e una notevole raccolta di pergamene del Mar Morto.
Ordinamento dello stato
Israele è una Repubblica parlamentare; non esiste una Costituzione scritta, ma un insieme di leggi approvate dal Parlamento regola l'attività del governo. Il presidente della Repubblica (che possiede poteri limitati) viene eletto dall'Assemblea nazionale ogni 5 anni. L'organo esecutivo principale è un Gabinetto composto da circa 25 membri, guidati dal primo ministro; questi rimangono in carica tramite il voto di fiducia del legislativo. A partire dal 1996 il primo ministro viene eletto tramite suffragio universale. Il potere legislativo è nelle mani dell'Assemblea nazionale unicamerale (o Knesset) che comprende 120 membri eletti ogni 4 anni in base a un sistema proporzionale. Sono in vigore due sistemi giudiziari, l'uno civile, l'altro religioso. Il primo consiste di una Corte suprema, maggiore Corte d'appello del paese, alla quale sono sottoposti i tribunali distrettuali; le facoltà delle corti minori sono piuttosto limitate. Ai tribunali religiosi vengono affidati i casi di matrimonio, divorzio e testamentari.
Negli anni Novanta erano due i principali schieramenti politici del paese: il Likud, gruppo conservatore formatosi nel 1973 dalla fusione di diverse organizzazioni, tra cui il Gahal (destra nazionalista) e il Tsomet; e il Partito laburista, un raggruppamento socialdemocratico istituito nel 1968 dalla fusione di partiti come il Mapai e il Rafi. Il Shas, un partito di ebrei sefarditi ortodossi, è il partito religioso che vanta il più ampio numero di rappresentanti al Knesset. Il quarto partito in ordine di importanza è il Meretz, una coalizione di gruppi di sinistra.
Gerusalemme 602.100 (1997 stima)
Haifa 355.300 (1997 stima)
Holon 163.900 (1997 stima)
Ramat Gan 121.500 (1997 stima)
Tel Aviv-Giaffa 353.100 (1997 stima)
Sebbene negli anni Settanta e Ottanta l'economia israeliana fosse caratterizzata da un altissimo tasso di inflazione e da un cronico squilibrio della bilancia commerciale - soprattutto a causa degli ostacoli posti dalle spese di carattere militare e dall'assorbimento di continue ondate immigratorie - nella prima metà degli anni Novanta la situazione si è discretamente ristabilita e vi è stato un innalzamento generale delle condizioni di vita, che si è avvicinato agli standard dell'Europa occidentale. Il prodotto interno lordo pro capite ammonta a 14.410 dollari USA (1994).
L'agricoltura fa fronte a circa i tre quarti del fabbisogno di cibo del paese e alcuni prodotti - perlopiù agrumi e uova- vengono esportati. Tra le colture più importanti si citano arance, pomodori, patate, viti, cereali, diverse varietà di frutta, tabacco e cotone. L'allevamento, di grande rilievo, si avvale perlopiù di bovini, ovini, caprini e animali da cortile. Il successo del settore agricolo israeliano è stato reso possibile dalla fiducia verso la ricerca scientifica e i metodi di tecnologia avanzata, che hanno permesso di compiere vaste opere di bonifica e di mettere in atto ambiziosi programmi di irrigazione (come l'acquedotto Kinneret-Negev, che trasporta l'acqua del lago di Tiberiade fino alle zone desertiche del sud), rendendo fertili territori prima inutilizzabili.
Le forme di colonizzazione agricola si suddividono in tre categorie principali. Negli insediamenti collettivistici (kibbutz) i componenti non ricevono un compenso in denaro, ma prelevano dalle disponibilità comuni tutto ciò di cui hanno bisogno; in quelli di tipo cooperativo (moshav) ogni fattoria lavora separatamente, ma il prodotto ottenuto viene commercializzato in comune con le altre dello stesso villaggio; le moshava (piccole fattorie), infine, sono gestite da imprenditori privati. I primi due tipi si avvalgono di terre in affitto di proprietà delle varie organizzazioni colonizzatrici, tra le quali spicca il Fondo nazionale ebraico.
Gran parte dei programmi di bonifica e di conservazione attuati dal governo israeliano riguarda il rimboschimento, specie nelle zone collinari; nei primi anni Novanta le foreste coprivano il 6% del territorio del paese. La pesca è tutt'altro che trascurabile e oltre la metà del pescato consiste in pesce d'acqua dolce proveniente da allevamenti.
Industria
L'industria estrattiva israeliana sfrutta le considerevoli risorse minerarie del paese. Nonostante nella zona desertica del Negev siano presenti alcuni giacimenti di rame, minerali ferrosi, manganese, granito, marmo e mica, i prodotti maggiormente redditizi sono petrolio, gas naturale, fosfati, nonché le grandi quantità di potassa, bromo e magnesio estratti dai depositi salini del Mar Morto.
Le fabbriche sono situate perlopiù nei dintorni di Haifa e Tel Aviv-Giaffa, anche se un grande complesso industriale è in via di sviluppo nei pressi del nuovo centro portuale di Ashdod. I principali settori sono quelli alimentare (tra cui vino e olio d'oliva), chimico, petrolchimico, tessile, metallurgico, elettronico, nonché della produzione di tabacco, abbigliamento, materiali da costruzione, strumenti di precisione, cemento e lavorazione dei diamanti.
Haifa e la baia artificiale di Ashdod sono i principali centri portuali; un altro scalo marittimo si trova a Elat, sul golfo di Aqaba. I 574 km (1991) di ferrovia presenti sul territorio sono di proprietà statale. La rete stradale copre circa 13.351 km (1991). El Al è la compagnia aerea nazionale, ma i voli interni vengono gestiti dalla Arkia. L'aeroporto principale (Ben Gurion) è poco distante da Tel Aviv-Giaffa. Quasi la totalità delle telecomunicazioni è direttamente gestita dallo Stato.
L'unità monetaria è il nuovo sciclo (sheqel), diviso in 100 agorot ed emesso dall'unica banca statale, il Banco d'Israele.
Tra i principali prodotti d'importazione si annoverano: diamanti grezzi, equipaggiamento militare, greggio e derivati dal petrolio, macchinari, prodotti chimici, ferro, acciaio e derrate alimentari. Le esportazioni comprendono diamanti lavorati, prodotti chimici, agrumi, tessili e abbigliamento. I maggiori partner commerciali sono gli Stati Uniti, alcuni paesi dell'Unione Europea, il Giappone, il Canada, la Svizzera e Hong Kong. Anche il turismo contribuisce in larga parte all'economia del paese, così come le donazioni degli ebrei che vivono in altri paesi (soprattutto negli Stati Uniti).
curiosità
Gerusalemme
Gerusalemme è la capitale dello stato di Israele; ha una popolazione di 602.100 abitanti, circa. É la città santa per le tre grandi religioni occidentali: l'ebraismo, il cristianesimo e l'islamismo. Il documento più antico in cui si fa riferimento alla città risale al 1800 a.C. Secondo i testi sacri Abramo, padre spirituale delle tre grandi religioni monoteiste, giunse qui con la sua tribù; più tardi, attorno al 1000 a.C., il re Davide vi stabilì la capitale del suo regno, comprendente le dodici tribù nomadi d'Israele. Con la sua morte iniziò un lunghissimo periodo di lotte e invasioni da parte di Babilonesi, Greci, Romani, Turchi selgiuchidi, crociati, Mamelucchi e Ottomani. Nel 1917, infine, gli inglesi si impadronirono della città e la dichiararono patria degli ebrei, provocando l'aggravarsi dei conflitti tra arabi e israeliani. Dopo il ritiro della Gran Bretagna nel 1948 e la costituzione del moderno Stato d'Israele, Gerusalemme fu divisa in due zone. La separazione durò 19 anni fino allo scoppio (1967) della guerra dei Sei giorni, con cui Israele occupò la città e la proclamò capitale.
La cinta muraria costruita dagli Ottomani 400 anni fa separa oggi la zona storica e i suoi antichi monumenti dai quartieri periferici sorti disordinatamente attorno al centro. All'interno delle mura della città vecchia si trovano i luoghi sacri più importanti delle tre grandi religioni che fanno capo a Gerusalemme: il Muro del Pianto per gli ebrei, la Cupola della Roccia per i seguaci dell'Islam e il Santo Sepolcro per i cristiani. Numerosi sono i pellegrini che giungono in visita da tutto il mondo. Le aree urbane di recente costruzione sono suddivise in circoscrizioni arabe e israeliane, tutte però accomunate dall'intenso traffico automobilistico e dalla presenza di moderne strutture architettoniche, che le pongono in netto contrasto con la città vecchia.
La deportazione
Ritornati in Inghilterra dopo il 1650, all'epoca di Oliver Cromwell, e incoraggiati a insediarsi nelle colonie americane, gli ebrei furono riammessi anche in Francia nel 1791, nel contesto degli ideali libertari della Rivoluzione francese adottati poi da Napoleone, che nel corso delle sue campagne militari affrancò gli israeliti confinati nei ghetti delle varie città europee. La nuova politica di repressione, favorita dalla Restaurazione dopo il 1815, non bloccò comunque il processo di integrazione degli ebrei nella vita sociale dei paesi dell'Europa occidentale, e intorno al 1860 la loro cosiddetta 'emancipazione' poteva dirsi fatto compiuto.
L'Europa orientale conobbe invece un'epoca di recrudescenza delle persecuzioni antiebraiche soprattutto dopo l'annessione alla Russia, fra il 1772 e il 1796, delle regioni orientali della Polonia; il regime zarista favorì direttamente i pogrom, periodici massacri di ebrei, la cui presenza era considerata una fonte di diffusione degli ideali liberali nel contesto ancora semifeudale dell'impero russo della fine del XIX secolo. Per sottrarsi alle persecuzioni, scatenate fino alla rivoluzione comunista del 1917, circa due milioni di israeliti viventi nei territori posti sotto il controllo russo emigrarono negli Stati Uniti fra il 1890 e la fine della prima guerra mondiale, unendosi alle comunità già presenti in quel paese fin dal 1654, anno dell'immigrazione di un gruppo di marranos brasiliani, a cui fece seguito l'insediamento, dal 1780, e, in misura maggiore, dal 1815, di ebrei europei e soprattutto, dopo il 1848, tedeschi. Nel 1924, pertanto, la popolazione statunitense di origine ebraica ammontava, quando furono imposti limiti al flusso migratorio, a circa tre milioni di unità.
L'emancipazione ormai raggiunta in Europa occidentale spinse gli ebrei a superare il loro isolamento integrandosi nella vita sociale e politica dei paesi in cui si trovavano, e il XIX secolo conobbe così, accanto a figure come quella di Moses Mendelssohn, traduttore della Bibbia in tedesco e fondatore di un ebraismo che sarà detto 'riformato' a motivo dell'atteggiamento di apertura verso le istanze della cultura moderna, personaggi quali il poeta tedesco Heinrich Heine, ebreo convertito al cristianesimo, e lo statista inglese Benjamin Disraeli, figlio di un ebreo convertito. Se Karl Marx e Sigmund Freud erano ebrei apparentemente lontani dalla cultura dei padri, come anche Albert Einstein e il pittore Camille Pissarro, i decenni a cavallo fra il XIX e il XX secolo saranno caratterizzati dall'attività di alcuni movimenti che, prendendo le mosse dalle istanze di rinascita culturale tipiche della Haskalah, o 'illuminismo ebraico', inviteranno le comunità israelitiche a riscoprire, anche al di fuori della dimensione religiosa, la propria identità tradizionale e la propria storia, promuovendo il ritorno all'uso dell'ebraico come lingua parlata.
Quest'epoca di intensa attività intellettuale sarà caratterizzata dal sorgere di una nuova forma di ostilità nei confronti della popolazione di origine ebraica, il cosiddetto antisemitismo, termine utilizzato per definire l'atteggiamento proprio dei diversi movimenti di pensiero inclini a individuare gli ebrei, indipendentemente dal loro orientamento in materia politica e religiosa, come componente razziale da considerarsi comunque non appartenente al novero dei popoli europei. Il diffondersi di posizioni di questo genere in Francia condizionò sicuramente la vicenda nota come affare Dreyfus, dal nome dell'ufficiale ebreo ingiustamente condannato per tradimento al termine di un celebre processo, che ebbe fra i suoi spettatori più attenti l'ebreo austriaco Theodor Herzl. Quest'ultimo, nel 1896, fondò il movimento del sionismo, per dare voce agli israeliti decisi a rivendicare la creazione di uno stato ebraico indipendente come unica soluzione al problema dell'antisemitismo e di ogni forma di intolleranza. Le speranze del sionismo si realizzeranno compiutamente soltanto nel 1948, con la creazione dello stato d'Israele dopo le tragiche vicende dell'Olocausto, lo sterminio degli ebrei perpetrato dai nazisti negli anni della seconda guerra mondiale.
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