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LE ORIGINI DEL PROBLEMA
La coscienza di una grave ingiustizia sociale a livello mondiale è storia recente, perché solo da una cinquantina di anni l'opinione pubblica dei Paesi economicamente sviluppati ha cominciato a capire che la distribuzione della ricchezza, del benessere, del cibo, delle risorse di base, della libertà dal bisogno favorisce in modo scandaloso un quarto appena dell'umanità, mentre almeno la metà della popolazione della Terra vive in condizioni di indigenza. Dalla metà del nostro secolo questa situazione di ingiustizia coinvolge emotivamente anche chi non ne è direttamente colpito e costringe tutti a prendere in qualche modo posizione nei riguardi di questo problema.
Quando la Seconda guerra mondiale ebbe termine, nel 1945, ebbe termine anche il modo di considerare i rapporti fra le diverse parti della Terra.
Fino a quando sussisteva un rapporto diretto fra colonizzatori e colonizzati era evidente che i primi non consideravano se stessi come ricchi e i secondi come poveri, anche perché il concetto di povertà non si adattava a definire la situazione di un territorio coloniale:una colonia era male organizzata, era poco utile, era arretrata ma mai povera, e i suoi abitanti erano inadatti a governarsi da soli, incivili etc.
I Paesi colonizzatori avevano sempre pronto l'alibi morale delle differenze razziali, per cui la popolazione mondiale si divideva in razze superiori e razze inferiori, e le prime avevano per legge di natura il primato sulle seconde.
Solamente con l'inizio degli anni Cinquanta il problema del sottosviluppo iniziò ad essere avvertito in modo nuovo. Una pubblicazione delle Nazioni Unite nel 1951 cominciò a diffondere le statistiche dei redditi nazionali annui per abitante mostrando per la prima volta la grave ingiustizia.
Si cominciò così a pensare che nel mondo esisteva uno squilibrio gravissimo nella disponibilità delle risorse. Si cominciò a parlare di paesi del 'Terzo Mondo'.
UNA POSSIBILE DEFINIZIONE
Per rispondere a questa domanda bisogna tenere presente che l'uomo ha alcune necessità esistenziali di base e che, se non le soddisfa, avverte a livello conscio o subconscio una sensazione di pericolo e di grave insoddisfazione:in questa condizione egli deve dedicarsi primariamente a risolvere il problema di garantirsi la sopravvivenza immediata e per un certo tempo almeno nel futuro, tralasciando ogni altro interesse.
Fra queste esigenze di base quella avvertibile con più immediatezza e continuità è quella alimentare. L'uomo per vivere ha bisogno di assumere una quantità di calorie.
Se non riceve con continuità questa dose di calorie, il suo corpo deperisce, si debilita e muore. Questo porta ad un indebolimento cronico, a una minore resistenza nei riguardi di molte malattie e a una riduzione della capacità lavorativa.
Ma le necessità esistenziali di base per l'uomo non sono solo quelle alimentari.
L'uomo infatti, contrariamente agli altri animali, deve coprirsi, deve ripararsi dal freddo e dal sole, deve proteggersi dagli attacchi degli altri animali o da altri uomini deve trovare un giusto rapporto con le persone che vivono attorno a lui etc. etc.
L'uomo insomma ha bisogno, oltre che di alimenti sufficienti anche di una casa, di farsi una famiglia etc. etc.
Tutte le società che riescono di norma a dare una risposta abbastanza sicura e durevole alle esigenze degli individui vivono in condizioni di sviluppo; questo tipo di sviluppo può essere definito 'sviluppo sostenibile'. L'impossibilità di provvedere in modo corretto alle più importanti esigenze esistenziali provoca il 'sottosviluppo'.
Bisogna però distinguere il concetto di sottosviluppo dal concetto di povertà, perché se essa è presente certamente nel sottosviluppo, è anche presente nei Paesi ricchi.
In Europa vi sono moltissimi poveri che vivono in Paesi ricchi, ben organizzati, con sistemi produttivi validi ed efficienti e non appartengono certamente al sottosviluppo.
Per queste considerazioni è difficile quantificare in modo esatto la popolazione afflitta da sottosviluppo.
Le espressioni più forti in cui il sottosviluppo si manifesta sono:
la più importante perché essenziale per la vita umana, è la condizione alimentare.
Dopo di essa vengono la situazione sanitaria,
La condizione di vita dei bambini,
L'istruzione di base,
Il problema demografico etc. etc.
Fra tutte le parti del mondo, quella che presenta più diffusamente e con maggiore gravità le caratteristiche del sottosviluppo è certamente l'Africa. Ma se andiamo indietro solamente di alcuni decenni, troviamo un'Africa del tutto differente. L'Africa uscita dall'esperienza coloniale conservava ancora ricchezze immense: le sue risorse erano state appena sfiorate, vastissimi territori potevano ancora essere messi a cultura, idrocarburi, uranio, carbone garantivano energia in quantità illimitata, mari pescosissimi e pascoli poco sfruttati potevano fornire proteine per una popolazione molto più numerosa di quella allora esistente. Queste potenzialità lasciavano sperare in un futuro senza grandi problemi, con un moderato benessere diffuso su tutto il continente, con una rapida industrializzazione, commerci in espansione etc. etc.
Ma oggi, alla fine del millennio, l'Africa offre un'immagine disastrosa e solo pochi Stati di questo infelice continente possono essere considerati "in via di sviluppo".
La situazione dell'Africa è peggiorata in maniera drammatica negli anni Ottanta, quando molti governi hanno dovuto rinunciare a ogni politica di sviluppo perché sommersi dai debiti e nella più assoluta incapacità di fare fronte ai gravi problemi sociali emersi soprattutto dopo le gravissime siccità del 1984-85.
Con gli anni Novanta gli Stati industrializzati e le banche internazionali - in particolare la Banca Mondiale e il Fondo mondiale internazionale - hanno dato inizio a un nuovo periodo nei rapporti col sottosviluppo africano, cercando di condizionare i loro interventi all'adozione di politiche in modo di affrontare il problema dalle sue radici con un'azione diretta sui singoli Paesi.
Se il problema più immediato dell'Africa è quello della fame, la prima analisi che bisogna fare per comprendere il sottosviluppo di questo continente è quella relativa alla grave situazione del settore primario, che nel 1980 assorbiva ancora il 69% della popolazione attiva di tutta l'Africa, contro il 12% del settore industriale e il 19% dei servizi. Se l'agricoltura e l'allevamento non riescono a produrre sufficienti derrate alimentari per i bisogni della popolazione e da immettere sul mercato, non ci può essere risparmio, né accumulo di capitale, né investimenti e, dunque, non ci può essere un'economia diversificata.Non ci sarà mai sviluppo se l'Africa sarà costretta a raddoppiare le proprie importazioni di cereali, dipendendo così dall'aiuto estero per la propria sopravvivenza.
La produzione di beni di prima necessità non è aumentata in proporzione alla crescita demografica, e anzi in molti casi è regredita anche in termini assoluti portando a quasi 200 milioni il numero di africani in una situazione di fame cronica.
Spiegare perché agricoltura e allevamento (e pesca) in Africa stiano andando così male non è cosa molto facile. Certamente come si è detto la colonizzazione ha delle colpe enormi perché non ha mai curato l'agricoltura di sussistenza, mentre ha puntato sull'agricoltura di piantagione, che oggi è in difficoltà sul mercato mondiale. Le cause diverse dalla colonizzazione sono molte. Le principali sono la particolare visione della vita dei popoli africani, la politica dei diversi governi a sostegno di opere pubbliche di prestigio e di immagine e nello stesso tempo la scarsa considerazione per la popolazione rimasta in campagna, la vastità degli spazi e quindi le difficoltà dei trasporti etc. etc.
La psicologia degli africani, soprattutto per quanto riguarda il senso del tempo e dello spazio è molto differente da quella degli occidentali. Questa differenza di comportamento ha significative conseguenze. E' molto difficile far comprendere ad un agricoltore africano che concentra la sua attenzione sul presente che certi suoi modi di agire potranno avere conseguenze negative sul futuro. (Fino a quando un terreno produce non si vede alcun motivo per cambiare le tecniche di coltivazione, mentre se una semente dà risultati soddisfacenti non c'è motivo per sostituirla con un'altra, e se in un anno la produzione è stata buona non si pensa a immagazzinare parte del raccolto nella prospettiva di un periodo di scarsità). L'agricoltura africana è ancora oggi per larga parte basata sulla zappa, cioè sull'energia fornita direttamente dall'uomo, in Africa l'uso dei buoi per tirare l'aratro è ancora limitatissimo e non si riesce a diffonderlo; vi è la netta separazione fra agricoltura e allevamento bovino. Sono stati fatti diversi tentativi per fare uscire l'Africa dall'agricoltura con la zappa, per passare direttamente al trattore.Tutti i piani di sviluppo agricolo hanno puntato sulla mecanizzazione moderna, con risultati spesso negativi. L'uso delle macchine presuppone un'organizzazione molto complessa, ad esempio si sono visti trattori fermi per mesi in attesa di un pezzo di ricambio dall'Europa.
Nei popoli africani manca, almeno per ora, una mentalità adatta all'attività industriale. Un sistema produttivo di tipo industriale richiede capacità di pianificazione, rispetto dei tempi e del modo di lavorare, organizzazione dei trasporti e molte altre cose ancora, tutte in varia misura assenti dalla mentalità africana.
Il problema del sottosviluppo ormai ha raggiunto le coscienze di tutti: in quella parte del mondo che è ricca si guarda con preoccupazione e con paura a quanto avviene nei Paesi poveri, e i diseredati del mondo guardano con sempre maggiore rabbia verso i Paesi ricchi, accusandoli di fare poco o niente, o almeno non abbastanza, per risolvere i loro problemi.
In realtà i Paesi industrializzati mettono ogni anno a disposizione delle regioni sottosviluppate una parte della loro ricchezza, che l'ONU spera di aumentare. Tutti i fondi che in mille maniere arrivano nelle regioni del sottosviluppo per iniziativa privata o di piccoli gruppi e che sono basati sulla buona volontà e sul senso di fratellanza e di solidarietà delle persone sono certamente considerevoli. Questa ricchezza però non è sufficiente a risolvere tutti i problemi del sottosviluppo e c'è da chiedersi come mai gli effetti che essa provoca siano così poco sensibili, soprattutto in Africa.
Una di esse è che troppo spesso gli investimenti vanno in opere che non hanno un impatto immediato sull'economia della regione interessata. Inoltre troppo spesso le opere costruite non vengono mantenute in efficienza o continuate dal Paese beneficiario, sia perché mancano i tecnici sia perché non ci sono i mezzi per mantenerle in attività: l'Africa è piena di strade, di palazzi, di pozzi, di impianti di vario genere che sono in completo abbandono a pochi anni dalla loro realizzazione. Molte volte inoltre manca una valida conoscenza dei problemi dei Paesi che si vuole aiutare e così progetti validissimi sul piano tecnico sono risultati del tutto fallimenatri perché realizzati senza tenere conto delle caratteristiche sociali, culturali delle popolazioni che poi avrebbero dovuto gestirli. D'altra parte i Paesi sottosviluppati non hanno saputo chiedere, se non raramente, aiuti dimensionati alle loro effettive esigenze e capacità di gestione.
Ma se la lotta al sottosviluppo ha dato fino a oggi risultati solamente parziali, qual è la speranza per il prossimo millennio?
L'umanità si appresta a vivere una nuova Rivoluzione economica, dopo quella agraria e quella industriale. La produzione di ricchezza sarà sempre più affidata all'informazione e sempre meno alla trasformazione. In tale sistema saranno più forti non coloro che avranno manodopera a basso costo da mettere sul mercato, ma quelli che avranno le tecnologie e il controllo dell'informazione e che con le tecnologie e le informazioni saranno nella possibilità di ottenere quei redditi che né l'agricoltura né l'industria di base sono in grado di garantire.
Le ipotesi sulla conseguenza della Rivoluzione economica dell'inizio del millennio prevedono che l'economia mondiale registrerà uno straordinario incremento degli investimenti e della ricchezza nel continente asiatico e una situazione sempre negativa in Africa.
Un' Europa sempre più vecchia, con sempre più disoccupati, sempre meno importante, rischia di rimanere tagliata fuori non dalla ricchezza ma dal controllo della stessa e di perdere ogni possibilità di fare una politica di crescita economica dei Paesi sottosviluppati e in modo particolare dell'Africa.
E' ormai evidente che la sfida della povertà non può essere vinta con azioni di beneficienza, con interventi occasionali:essa può essere affrontata solamente modificando drasticamente le regole dell'economia mondiale e sostituendo alle impietose leggi del profitto quelle dettate da una esigenza di giustizia e di equilibrio su scala mondiale.
E' una sfida che non sarà vinta tanto presto.
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