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La geodinamica si occupa di tutti i fenomeni geologici connessi alle grandi trasformazioni della crosta terrestre. Oggi appare scontato che la crosta terrestre non sia sempre stata quale ora la vediamo, ma la nascita dell'idea di un'evoluzione geologica è relativamente recente. Le teorie scientifiche più accreditate fino a tutto il '700 erano il fissismo ed il catastrofismo. che disegnavano un mondo statico, in cui gli unici mutamenti possibili avvenivano attraverso repentine catastrofi.
Il primo germe di un'idea evolutiva in geologia si trova in 'Principles of Geology' (1830 - 1833), dove Charles Lyell enuncia il principio dell'attualismo, secondo il quale le cause che hanno modificato la crosta terrestre durante la sua storia sono le stesse che operano attualmente. Gli effetti grandiosi che noi osserviamo non sarebbero dunque dovuti a catastrofi, ma al fatto che tali processi, pur agendo in modo talmente lento da non essere percepibili in tempi brevi, hanno avuto a disposizione tempi lunghissimi per prodursi. La teoria di Lyell afferma implicitamente che i tempi geologici dovevano essere enormemente più lunghi di quanto allora si potesse immaginare e che la terra aveva subito una lenta evoluzione geologica che continuava impercettibilmente ad agire. Nonostante le forti critiche subite, il principio dell'attualismo divenne un punto fermo della scienza geologica ed ebbe tra l'altro notevole influenza sulle teorie evolutive darwiniste. E' così che dalla seconda metà dell'ottocento in poi si susseguirono diverse teorie tese a dar ragione delle principali strutture della crosta terrestre in termini di una lenta evoluzione crostale. Inizialmente i geologi si interessarono principalmente ai processi di formazione delle catene montuose.
Le prime teorie orogenetiche ipotizzavano che le catene montuose si fossero formate in seguito al raffreddamento ed alla conseguente contrazione della crosta terrestre. Le catene montuose sarebbero, secondo tale ipotesi dei corrugamenti superficiali della crosta, paragonabili a quelli che percorrono la buccia di una mela messa in forno. Tale teoria venne presto scartata poiché non permetteva di giustificare il fatto che le catene montuose non si trovavano in realtà distribuite uniformemente sulla crosta terrestre, come ci si sarebbe dovuto aspettare da un raffreddamento omogeneo.
Maggior successo ebbe la teoria dell'isostasia, proposta da Airy nel 1855. Secondo tale teoria le catene montuose potrebbero sorgere grazie ad una serie di lenti movimenti verticali della crosta terrestre. La teoria prevede che la crosta, più rigida e leggera, 'galleggi' sul sottostante mantello plastico, più pesante. Tale modello viene, nelle sue linee fondamentali, accettato ancor oggi, anche se non per spiegare i processi orogenetici. Esso permette di dar ragione di numerosi movimenti verticali della crosta, innalzamenti o sprofondamenti, misurati a carico di estese regioni.
Il modello attuale dell'isostasia prevede che la litosfera continentale sialica possa essere descritta tramite una serie di blocchi rigidi giustapposti che galleggiano sulla sottostante astenosfera, più pesante e plastica. Più alto è il blocco sopra la superficie (rilievo), maggiore è la parte di esso che sprofonda nell'astenosfera, in modo analogo a quanto avviene per un iceberg che galleggia nell'acqua.
L'equilibrio isostatico di tali blocchi può essere modificato in vari modi ed i blocchi reagiscono muovendosi verticalmente per ristabilire l'equilibrio.
Così i paesi bassi e la penisola scandinava sono sprofondati durante le glaciazioni per il peso dei ghiacci, mentre ora si stanno lentamente risollevando, alla velocità di 2 cm l'anno, per ristabilire l'equilibrio isostatico, in modo del tutto simile a quanto avviene quando una nave si libera del suo carico ed una porzione maggiore di essa emerge dall'acqua. Si calcola che la penisola scandinava debba alzarsi di altri 200 m prima di raggiungere nuovamente l'equilibrio isostatico.
In modo analogo si ritiene che il materiale progressivamente eroso dai rilievi e che va sedimentando nelle zone più depresse, provochi uno sprofondamento di queste ultime (subsidenza) ed un innalzamento dei rilievi diventati più leggeri.
Gravimetria ed isostasia (Approfondimento) La gravimetria misura il valore della accelerazione di gravità 'g' sulla superficie terrestre. I dati gravimetrici sono utilizzati ampiamente dai geofisici per studiare la distribuzione e la densità delle rocce all'interno della terra. I geofisici riscontrano numerose differenze tra la gravità misurata e quella prevista teoricamente che interpretano come conseguenza di anomale distribuzioni delle masse rocciose al di sotto della superficie terrestre. Se i valori misurati e corretti (riduzione all'ellissoide) risultano maggiori del valore atteso si parla di anomalie gravimetriche positive, se risultano minori si parla di anomalie gravimetriche negative. I geofisici mettono in relazione le anomalie negative con l'esistenza in profondità di un difetto di massa, cioè di una concentrazione anomala di rocce leggere, mentre le anomalie positive sono evidentemente legate ad un eccesso di massa. Può essere ora interessante vedere come la teoria dell'isostasia nacque in seguito all'osservazione di alcune anomalie gravimetriche.Tra il 1840 ed il 1850 il geografo G. Everest dirigeva il primo rilevamento topografico dell'India. Per ottenere misure più accurate vennero utilizzati due metodi indipendenti.Uno consisteva nel normale utilizzo di strumenti topografici e di misure di triangolazione. L'altro si basava su misure astronomiche e consisteva nel determinare la distanza tra due punti in riferimento all'altezza della stessa stella sul piano dell'orizzonte. Quando tali misure venivano fatte in prossimità dell'Himalaya, i due metodi davano risultati in netto contrasto. Venne proposto che la differenza fosse dovuta all'attrazione gravitazionale dell'Himalaya sul filo a piombo, che avrebbe reso imprecise le misurazioni astronomiche. L'effetto deviante dell'Himalaya venne calcolato, ma risultò eccessivo. Il mistero venne risolto con l'introduzione dell'ipotesi dell'isostasia la quale suggeriva che l'Himalaya possedesse delle profonde radici sialiche che, affondando sul mantello sottostante, provocavano un'anomala concentrazione di rocce leggere. La deviazione del filo a piombo da parte dell'Himalaya doveva essere perciò meno intensa di quella inizialmente calcolata. |
Nel 1873 Dana introduce l'ipotesi che le catene montuose si producano per sollevamento di una geosinclinale. La teoria della geosinclinale ha avuto notevole fortuna ed è sostanzialmente accettata ancor oggi, anche se viene ritenuta una teoria parziale che necessita di essere inserita in una teoria organica e completa della dinamica crostale. Essa nasce per cercare di giustificare la presenza di sedimenti marini di ambiente neritico (di acque basse) in strati di parecchie centinaia di metri di spessore, elevatisi sopra il livello del mare a formare imponenti rilievi (un esempio sono le dolomiti).
L'unica spiegazione possibile era che esistessero delle vaste depressioni dei fondali oceanici, dette appunto geosinclinali, prossime alle coste, dove si depositavano enormi quantità di sedimenti, con il contemporaneo e progressivo abbassamento del fondale marino per subsidenza da carico. Il modello aveva però qualche difficoltà a spiegare in che modo tali sedimenti, dopo essersi formati, potessero essere corrugati fino a diventare grandi rilievi.
Tra il 1910 ed il 1929 prende corpo una teoria geodinamica rivoluzionaria, che ebbe un fortissimo impatto sull'opinione pubblica dell'epoca, la teoria della deriva dei continenti. Sulla base di una serie di evidenze di cui parleremo in seguito, il geofisico tedesco Alfred Wegener propose che circa 200 milioni di anni fa tutte le terre emerse fossero state unite in un unico enorme supercontinente, detto Pangea, circondato dall'unico oceano allora esistente, detto Panthàlassa. Circa 180 milioni di anni fa la Pangea avrebbe iniziato a fratturarsi in blocchi leggeri di SIAL, galleggianti sul sottostante SIMA.
La prima frattura, prodottasi in senso E - W, avrebbe aperto la Pangea in un continente settentrionale detto Laurasia ( da Laurenziano e Asia - Laurenziano è detto lo scudo Canadese che si trova nella regione di S. Lorenzo), comprendente l'attuale America del Nord e l'Eurasia ed uno meridionale, detto Gondwana (dal nome di un'antica regione dell'India), comprendente l'America del sud, l'India, l'Australia e l'Antartide. I due continenti si sarebbero separati per l'aprirsi di un braccio di mare chiamato Tètide (da Thetis, dea greca del mare). Successivamente, con l'apertura dell'oceano Atlantico i continenti avrebbero lentamente raggiunto le posizioni attuali. Wegener spiegava la deriva con l'effetto centrifugo prodotto dalla rotazione terrestre, idea attualmente abbandonata.
Wegener riteneva inoltre possibile spiegare la formazione delle catene montuose con l'effetto prodotto dall'attrito del bordo continentale contro il mantello simatico. La teoria di Wegener venne accolta con grande scetticismo dal mondo accademico ed in molti casi apertamente derisa, soprattutto per la difficoltà nel trovare un meccanismo in grado di giustificare in modo soddisfacente il movimento dei continenti. Al giorno d'oggi la deriva appare un fatto accertato e la teoria di Wegener ha trovato posto all'interno di una teoria geodinamica complessiva, la teoria della tettonica a zolle.
Vi sono diverse evidenze a favore della deriva, esposte a suo tempo dallo stesso Wegener:
3.1 - prove morfologiche
Le coste occidentali africane combaciano con buona approssimazione con le coste orientali americane. In realtà le coste sono state continuamente modificate dal gioco congiunto dell'erosione marina e della sedimentazione fluviale. Una corrispondenza assai migliore della linea di costa si ottiene disegnando i confini dei continenti a qualche centinaio di metri sotto il livello del mare, dove finisce la piattaforma continentale ed inizia la scarpata oceanica (i continenti continuano infatti con lieve pendenza al di sotto del livello del mare per un tratto più o meno esteso al di là della linea di costa, formando un bordo sottomarino detto piattaforma continentale, poi improvvisamente si produce una brusca variazione di pendenza, detta scarpata oceanica, che sprofonda fino a collegarsi con le pianure abissali a 4000 - 5000 m di profondità). Bullard, agli inizi degli anni '60, dimostrò che la corrispondenza tra i continenti risultava migliore a livello dei loro margini sommersi.
3.2 - Prove paleontologiche
Alcuni fossili di organismi viventi assolutamente non in grado di attraversare un oceano, sono stati rinvenuti in sud Africa ed in Sud America. Un esempio particolarmente interessante è dato dall'area di diffusione del rettile 'mesosaurus'.
3.3 - Prove geologiche
Se costruiamo un puzzle non è sufficiente che i pezzi si incastrino, è necessario che appaia anche un disegno con senso compiuto. Nel caso della deriva dei continenti il 'disegno' che deve apparire è rappresentato dai tipi di rocce e dalle fasce montuose osservabili in corrispondenza delle zone costiere dei diversi continenti. Effettivamente sono stati rinvenuti strati sedimentari e catene montuose che terminano lungo una costa e ricompaiono con caratteristiche analoghe sull'altra costa al di là dell'oceano Atlantico.. Ad esempio gli Appalachi degli Stati Uniti orientali continuano con caratteristiche simili in Groenlandia e nell'Europa settentrionale.
3.4 - Prove paleoclimatiche
Antichi conglomerati di origine morenica (tilliti) indicano che tra 200 e 300 milioni di anni fa coltri di ghiacci coprivano la parte meridionale dell'America del Sud, dell'Africa, dell'India e dell'Australia, regioni queste ultime che attualmente si trovano in zone tropicali. Wegener suggerì correttamente che riaccostando tali regioni e spostandole verso sud si poteva ottenere un'unica grande calotta glaciale in corrispondenza degli attuali sedimenti glaciali. In modo analogo, molte regioni che attualmente si trovano a latitudini piuttosto elevate si sarebbero trovate un tempo più a sud, vicine ai tropici, in condizioni adatte alla formazione dei grandi giacimenti di carbone che oggi vi si trovano.
Nonostante il gran numero di prove portate a favore della deriva l'ipotesi di Wegener venne rifiutata dalla gran parte del mondo accademico, soprattutto perché non era allora disponibile alcun serio meccanismo in grado di spiegare il movimento dei continenti.
Tra gli anni '30 e '40 alcuni autori (Daly, 1933 - Perekis, 1935 - Grigg, 1939) iniziarono ad intravedere la possibilità che alla base della dinamica crostale vi fossero enormi correnti di convezione all'interno del mantello simatico.
Negli anni successivi poi, emersero altre e maggiori prove a favore della deriva continentale.
Decisive furono le misurazioni paleomagnetiche effettuate agli inizi degli anni '50 su rocce coeve di continenti diversi. Essendosi infatti formate nello stesso periodo, tali rocce avrebbero dovuto indicare lo stesso paleonord magnetico, mentre i dati paleomagnetici risultavano in aperta contraddizione, mostrando rocce di continenti diversi che indicavano ciascuna un diverso paleonord. Si trattava di un risultato palesemente assurdo e l'unico modo di risolvere l'enigma era di ipotizzare che, dopo aver registrato l'unico paleonord presente al momento della loro formazione, tali rocce avessero subito un movimento di traslazione assieme ai continenti in cui si erano formate. Muovendo i continenti in modo tale che i dati paleomagnetici di rocce coeve risultassero indicare un unico polo nord magnetico fu quindi possibile ricostruire l'antica distribuzione delle terre emerse. In modo analogo, i rilievi paleomagnetici eseguiti su rocce di età diversa permisero in seguito di ricostruire con grande accuratezza i movimenti di deriva dei continenti.
Iniziarono inoltre ad emergere altri fatti che richiedevano sempre più di essere collocati in un modello geodinamico organico, in grado di collegare fenomeni apparentemente slegati, ma di cui si intuiva l'unitarietà. Si iniziò ad esempio a notare la coincidenza tra aree sismiche e vulcaniche, la quale suggeriva un legame tra eruzioni, terremoti e margini crostali in movimento.
Nel 1955 H. Benioff scoprì come gli ipocentri dei terremoti, normalmente situati nei primi 100 km di profondità, facessero eccezione in prossimità della costa pacifica del continente asiatico. In Particolare Benioff dimostrò che essi risultavano sempre più profondi man mano che si procedeva dal limite esterno dell'arco insulare giapponese verso il continente asiatico fino ad una profondità massima di 700 km, disponendosi su di una ideale superficie inclinata di circa 45°, in seguito detta piano di Benioff.
In quegli stessi anni le datazioni radiometriche misero in evidenza che le rocce ai lati della dorsale medio atlantica sono relativamente giovani, mentre la loro età cresce man mano che ci si avvicina alla costa americana ed africana, fino ad una età massima di circa 200 milioni di anni. Misure di paleomagnetismo effettuate sulle rocce basaltiche effuse ai lati della dorsale medio atlantica dimostrarono infine agli inizi degli anni '60, la presenza delle fasce simmetriche a polarità magnetica alterna. Alla luce di tutti questi dati nel 1962 Hess propose la sua teoria dell'espansione dei fondali oceanici, secondo la quale il magma basaltico proveniente dal mantello, in risalita a livello della dorsale medio atlantica, solidificandosi, formava nuova crosta oceanica e spingeva quella vecchia verso il bordo dei continenti. Il fatto poi che non esistesse crosta oceanica di età superiore ai 200 milioni di anni portava ad ipotizzare l'esistenza di un qualche meccanismo in grado di riassorbire la crosta oceanica più vecchia a livello del margine continentale.
Finalmente nel 1967 venne elaborata una teoria geodinamica complessiva in grado di riunire in uno schema unico e coerente tutti i contributi parziali emersi negli anni precedenti. Il modello della tettonica a zolle o a placche venne abbozzato da Parker e Mc Kenzie, ma fu sviluppato ed approfondito in seguito, fino alla sua forma attuale, da un gran numero di studiosi.
Secondo tale teoria la litosfera non sarebbe formata da uno strato roccioso continuo, ma sarebbe frammentata in diversi pezzi a forma di calotta sferica, dette placche o zolle, 6 maggiori e diverse minori. Le zolle combaciano tra loro incastrandosi come in un mosaico, ma si muovono le une rispetto alle altre, trascinate dai movimenti di convezione presenti nella sottostante astenosfera, sulla quale praticamente galleggiano. Ciascuna zolla può essere costituita di sola litosfera di tipo oceanico, di sola litosfera di tipo continentale o di porzioni di diversa grandezza di litosfera dei due tipi. In altre parole i margini delle zolle possono correre attraverso i continenti, attraverso gli oceani o, come avviene nella maggior parte dei casi, al confine tra oceani e continenti. Nel loro movimento reciproco le zolle possono presentare un moto di allontanamento, di avvicinamento o di scorrimento laterale. Le principali interazioni tra le zolle avvengono quindi lungo i loro margini ed è dunque lungo di essi che si verifica la maggior parte dell'attività sismica, vulcanica ed orogenetica del nostro pianeta. In relazione al movimento reciproco delle zolle i margini si classificano in:
Margini divergenti o costruttivi, in corrispondenza dei quali due placche si allontanano lasciando spazio alla risalita di magma dal mantello a formare nuova crosta;
Margini convergenti o distruttivi, in corrispondenza dei quali due zolle si avvicinano provocando la distruzione di crosta;
Margini trasformi o conservativi, in corrispondenza dei quali due zolle scivolano lateralmente l'una rispetto all'altra.
Sono sede di moti convettivi di risalita a livello dell'astenosfera. Il materiale caldo scontrandosi con la litosfera diverge sottoponendola ad enormi trazioni che finiscono per spaccarla e allontanarne i lembi. Sono margini divergenti le dorsali oceaniche e le fosse tettoniche.
costituiscono delle catene di rilievi larghe fino a 1500 km, alte fino a 2000 m, con una lunghezza totale di circa 70.000 km. Costituiscono un sistema continuo che attraversa tutti gli oceani. Nell'oceano Atlantico e nell'oceano Indiano la dorsale è percorsa longitudinalmente da una frattura profonda (Rift Valley). Da tale frattura sono effuse ogni anno quantità enormi di lave basaltiche provenienti dal mantello. Il sistema delle dorsali non si sviluppa secondo una linea continua, ma attraverso una spezzata, nella quale tratti rettilinei di dorsale sono interrotti e spostati da fratture ortogonali (faglie trasformi). Probabilmente le faglie, che risultano più accentuate alle basse latitudini, sono prodotte dalle tensioni differenziali che sulla litosfera esercita la diversa forza centrifuga esistente alle diverse latitudini. In alcuni casi le dorsali affiorano in isole vulcaniche, come accade per l'Islanda, le Azzorre, S. Elena, e Tristan da Cunha.
Si calcola che la dorsale medio atlantica (di gran lunga la più studiata) produca nuova crosta oceanica, sostenendo in tal modo l'espansione dei fondali, alla velocità media di circa 5 cm l'anno. Gli edifici vulcanici che si formano lungo la dorsale contribuiscono certamente ad innalzarla al di sopra del livello dei fondali oceanici, ma si ritiene che la causa principale della sua posizione elevata vada attribuita al magma in risalita. Trattandosi di un materiale molto caldo e quindi meno denso delle rocce circostanti, la dorsale tende a 'gonfiarsi' e a galleggiare sul sottostante mantello. Man mano che ci si allontana dall'asse della dorsale, la litosfera oceanica di recente formazione si raffredda e si contrae, attraverso un processo detto di subsidenza termica. Sono necessari circa 100 milioni di anni affinché i processi di raffreddamento e contrazione si completino. Al termine di questo periodo, rocce che facevano inizialmente parte di un grande sistema montuoso sottomarino, vanno a costituire i fondali oceanici.
Tale fenomeno di contrazione crostale viene invocato anche per spiegare l'esistenza sui fondali oceanici dei guyot, monti sottomarini dalla cima piatta, spesso incrostati alla loro sommità di coralli. La presenza dei coralli, che non vivono a profondità inferiori ai 50 m, porta necessariamente a concludere che i guyot devono essersi trovati in passato molto più vicini alla superficie oceanica di quanto non siano ora. Si ritiene infatti che i guyot siano i resti di vulcani originatisi in prossimità delle dorsali, emersi dal mare come isole vulcaniche ed in seguito erosi ed appiattiti dall'azione del moto ondose. Infine con l'espansione e la contrazione del fondale oceanico sono costretti a sprofondare.
Se lo sprofondamento del guyot è sufficientemente lento, i coralli che vivono lungo i bordi dell'isola vulcanica hanno il tempo di crescere verso l'alto formando un anello circolare. Si ritiene che tale sia il meccanismo di formazione degli atolli corallini.
L'espandimento dei fondali oceanici legato ai margini divergenti è in grado di spiegare anche altre strane strutture osservabili sui fondali oceanici, come gli allineamenti dei vulcani sommersi.
Si è scoperto ad esempio che l'allineamento delle isole Hawaii prosegue verso nord con una serie di vulcani sommersi fino alle isole Midway e poi ancora fino alle Aleutine. La datazione radiometrica ha inoltre messo in evidenza che l'isola più meridionale dell'arcipelago delle Hawaii è la più giovane, mentre man mano che ci si sposta verso nord l'età delle isole e dei successivi vulcani sottomarini aumenta progressivamente. I geofisici ritengono che si tratti di uno dei rarissimi casi di vulcanesimo prodottosi al di fuori dei margini crostali ed indicato con il termine di hot spot o punto caldo. Secondo tale ipotesi i punti caldi sarebbero sostenuti da correnti convettive ascendenti, concentrate in un flusso cilindrico detto plume o pennacchio. L'allineamento degli edifici vulcanici sottomarini e la loro età in progressione potrebbe dunque spiegarsi supponendo che la placca pacifica si stia muovendo sopra un punto caldo relativamente stazionario. L'età di ogni edificio vulcanico indicherebbe perciò il momento in cui esso si trovava sopra il punto caldo. Dati recenti indicano che al largo della costa meridionale dell'ultima isola dell'arcipelago delle Hawaii si stia formando un nuovo edificio vulcanico. Tra non molto tempo, geologicamente parlando, un'altra isola si aggiungerà dunque all'arcipelago.
Non tutti i margini divergenti sono antichi come la dorsale medio atlantica e non tutti si trovano in mezzo all'oceano. Si ritiene ad esempio che il Mar Rosso sia una zona di recente apertura di un margine divergente. L'Arabia si sta infatti muovendo verso nord-est, separandosi dall'Africa. Il Mar Rosso ci mostra in qualche modo come doveva essere l'oceano Atlantico circa 200 milioni di anni fa.
Quando una corrente convettiva divergente si forma sotto una zolla continentale questa, sottoposta ad un'enorme trazione, è destinata a fratturarsi producendo tipici sistemi di faglie a gradinata, con formazione di una fossa tettonica. Anche al centro di una fossa tettonica si trova una caratteristica depressione che la percorre longitudinalmente, detta rift valley.
Esempi di fosse tettoniche sono in Europa la valle del Reno, in Africa il grande sistema che parte dalla valle del Giordano in Libano e proseguendo lungo il Mar Morto ed il Mar Rosso arriva fino alla regione di grandi laghi dell'Africa orientale, per una lunghezza complessiva di circa 5000 km.
Se il flusso convettivo astenosferico permarrà l'Africa sarà destinata ad aprirsi. La rift valley diventerà uno stretto braccio di mare, come l'attuale Mar Rosso, per trasformarsi in milioni di anni in un oceano come quello atlantico.
Poichè lungo i margini divergenti si forma nuova litosfera e la superficie della terra rimane costante, altra litosfera deve necessariamente venir distrutta da qualche altra parte. Ciò accade dove le zolle si scontrano. La collisione di due zolle produce risultati diversi a seconda del tipo di litosfera coinvolta nel processo. In tal modo si possono distinguere sostanzialmente tre tipi di margini convergenti.
La litosfera oceanica più densa e sottile si infila sotto la litosfera continentale più spessa e leggera con un movimento detto di subduzione. Penetrando nell'astenosfera la placca che sprofonda comincia a riscaldarsi, in parte per l'enorme attrito prodotto ed in parte per il gradiente geotermico. In tal modo la litosfera oceanica perde gradualmente rigidità fino ad essere completamente riassorbita dall'astenosfera ad una profondità di circa 700 km. Il piano di subduzione della litosfera oceanica che sprofonda è stato individuato attraverso la rilevazione degli ipocentri dei sismi associati allo sprofondamento della placca e corrisponde al già citato piano di Benioff. Nel punto in cui la crosta oceanica si incurva verso il basso si origina uno sprofondamento del fondale marino che si manifesta come una stretta e lunga fossa oceanica. Le fosse oceaniche sono le zone più profonde degli oceani, con una larghezza variabile tra i 100 e i 200 km, una lunghezza di migliaia di chilometri ed una profondità di 10 - 13 km. Esse corrono in genere parallelamente alla costa continentale che circonda l'oceano Pacifico (fossa delle Marianne, fossa delle Aleutine etc.). Penetrando nell'astenosfera la placca oceanica comincia a fondere. Il magma che si forma è meno denso e meno basico del mantello circostante, a causa del processo di fusione parziale e dell'infiltrazione di acqua. Per questo motivo esso inizia a risalire lentamente verso la superficie. La maggior parte di esso resta imprigionato all'interno della crosta continentale, dove si raffredda e forma rocce intrusive. In parte però arriva alla superficie producendo eruzioni vulcaniche sostenute da magma di tipo andesitico. Si ritiene ad esempio che la catena delle Ande si sia formata proprio in questo modo. Catene montuose di questo tipo, associabili all'attività vulcanica legata alla subduzione della litosfera oceanica sono dette archi magmatici.
L'intera struttura è conosciuta come sistema arco - fossa. Altri esempi di archi magmatici sono la Catena delle Cascate e la Sierra Nevada negli Stati Uniti occidentali. L'erosione continentale intanto accumula enormi quantità di sedimenti soprattutto a livello della fossa, che si comporta quindi come una geosinclinale. In seguito l'avvicinamento delle due zolle comprime e solleva i sedimenti fino a formare delle catene montuose che si fondono con gli archi magmatici, in un processo di orogenesi. Le rocce sedimentarie più profonde subiscono intensi processi metamorfici e spesso contengono caratteristici brandelli strappati alla crosta oceanica in subduzione, noti come ofioliti.
Quando le due zolle che convergono sono entrambe di litosfera oceanica, una delle sue entra in subduzione. Anche in questo caso si forma un tipico sistema arco - fossa. Ma l'arco magmatico invece di impostarsi in corrispondenza del bordo continentale come nel caso precedente, sorge dal fondale oceanico, formando caratteristiche ghirlande di isole vulcaniche, in genere a poca distanza dalla costa. Tipici esempi sono gli arcipelaghi delle Aleutine in Alaska, le Kurili a nord-est del Giappone, l'arcipelago giapponese, le isole della Tonga, le Filippine, il gruppo Sumatra - Giava e, fuori dal Pacifico, le grandi Antille.
Tra l'arco magmatico e la costa si forma un breve braccio di mare, poco profondo, detto bacino marginale o di retroarco. Col passare del tempo, mentre l'arco cresce in altezza per l'attività vulcanica, il processo di erosione accumula sui due lati (bacino marginale e fossa) notevoli quantità di sedimenti. I sedimenti sono destinati ad essere compressi, deformati e metamorfosati dall'enorme compressione prodotta dalle due placche in avvicinamento. Se lo scontro tra le zolle prosegue l'arco insulare è destinato ad addossarsi al continente formando una catena costiera.
Con modalità diverse ma simili, questi primi due tipi di convergenza litosferica finiscono per essere responsabili di fenomeni orogenetici ai margini dei continenti. I geologi ritengono oggi che i continenti si siano progressivamente accresciuti ai loro bordi mediante successive deposizioni orogenetiche, in seguito erose.
In tal modo i continenti sono oggi formatasi da porzioni di litosfera ormai completamente saldate tra loro e spianate dall'erosione, chiamate cratoni, bordati dalle fasce orogenetiche o orògeni, associati ai sistemi arco - fossa. I cratoni sono regioni stabili , pressoché prive di attività sismica e vulcanica. A loro volta si suddividono in scudi e tavolati.
Gli scudi sono costituiti da vaste aree leggermente convesse formati da rocce intrusive e metamorfiche molto antiche di cui non si è più in grado di ricostruire la storia. Intorno agli scudi si depositano tavolati di rocce sedimentarie, al di sotto dei quali si ritrovano comunque le antiche rocce degli scudi.
Gli scudi principali sono quello canadese, lo scudo siberiano, brasiliano, australiano, centro africano.
Se il processo di avvicinamento prosegue entrambi i due tipi di convergenza finora esposti sono destinati a consumare tutta la litosfera oceanica, con relativa chiusura di un bacino marino e successivo scontro di due porzioni di litosfera continentale. In tal caso le due zolle continentali, avendo la stessa densità non entrano in subduzione, ma collidono provocando un raccorciamento crostale ed un corrugamento. Si formano in tal modo le catene montuose interne. Si ritiene che una collisione di questo tipo tra l'India e l'Asia abbia originato la catena Himalayana. Collisioni analoghe hanno prodotto altri sistemi montuosi come le Alpi, gli Appalachi negli Stati Uniti orientali e gli Urali in Russia. Localmente lo scontro di due zolle continentali può portare a fenomeni di raddoppio crostale, con una zolla che si incastra sotto l'altra senza peraltro riuscire ad immergersi nel mantello, come sembra essere avvenuto per l'altopiano Himalayano.
Quando le placche scivolano lateralmente l'una rispetto all'altra si producono margini trasformi o conservativi. La maggior parte dei margini trasformi interessa la litosfera oceanica, ma alcune, come la faglia si San Andreas in California, si trovano all'interno di continenti.
Lungo la faglia di San Andreas la placca pacifica, alla quale appartiene la penisola della California, si sta spostando verso nord-ovest rispetto alla placca nord americana che si sposta verso sud-est. Se il movimento continuerà, tra milioni di anni la California sarà un'isola al largo del Pacifico e potrà forse, alla fine, raggiungere l'Alaska o la Russia.
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