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SANTA MARIA NOVELLA
Analisi tipologica funzionale
Tipologia: opera architettonica.
Funzione: religiosa / pubblica.
Analisi materiale:
Materiale:la facciata èdecorata da marmi policromi,lo sfondo è bianco con decorazioni
geometriche in verde scuro;
Tecnica di realizzazione: Il segreto della bellezza e dell'armonia risiede nella rigorosa
griglia di proporzioni che lega le parti tra loro e queste all'insieme. La
facciata si inscrive in un quadrato avente il lato coincidente con la linea di
base della chiesa. Suddividendo questo quadrato in sedici parti si scandiscono
le sezioni fondamentali della facciata : la zona inferiore, l'ordine superiore,
gli ingressi.
Spartendo ancora questi quadrati in quadrati ancora più pccoli (1/16 del
quadrato di partenza) si vengono a determinare le altre misure dell'edificio. La campata del portale inoltre è di
altezza pari a una volta e mezzo la sua larghezza (secondo il rapporto 2/3,
ossia la quinta). i lati dei quadrati intarsiati sulla fascia-cerniera che
separa i due prdini superiore e inferiore misurano un terzo dell'altezza della
fascia stessa e il doppio del diametro delle colonne dell'ordine inferiore
(ottava).
Alcuni dei rapporti di proporzione principali:
La linea di base della chiesa è uguale all'altezza della facciata, con la quale forma un quadrato;
Se la parte inferiore è esattamente la metà di questo quadrato, quella superiore è un quarto posto centralmente;
Dividendo ancora in quattro si ottengono dei sedicesimi di superfice che inscrivono con precisione le volute laterali;
Il portale centrale è alto una volta e mezzo la sua larghezza (rapporto di 2/3);
L'altezza della fascia centrale a cerniera è uguale alla largezza dei portali laterali e degli avelli, ed è sette volte l'altezza dell'ordine inferiore;
I lati dei quadrati intarsiati sulla fascia centrale sono un terzo dell'altezza della fascia stessa ed il doppio del diametro delle colonne della parte inferiore.
Il Sol Invictus rappresentato sul timpano è lo stemma del quartiere di Santa Maria Novella, ma anche un simbolo di forza e ragione; il diametro del tondo del Sole è esattamente la metà del diametro del rosone (compresa la cornice) ed è uguale a quello dei cerchi nelle volute.
Storia La piccola chiesa di Santa Maria Novella (1049), sorta su un precedente oratorio (Santa Maria delle Vigne, IX secolo), fu concessa nel ai dodici frati domenicani giunti da Bologna guidati da Fra' Giovanni da Salerno due anni prima. La prima pietra di un nuovo e più ampio edificio fu posta nel , mutando l'orientamento con la facciata verso sud, e fu completata alla metà del XIV secolo. Il progetto si deve a due frati domenicani, Fra Sisto da Firenze e Fra' Ristoro da Campi. Partecipò all'edificazione anche Fra' Jacopo Passavanti ed il campanile si deve invece a fra Jacopo Talenti. La chiesa, sebbene già conclusa nel Trecento, fu tuttavia ufficialmente consacrata solo nel da papa Eugenio IV in vista alla città. Su commissione della famiglia Rucellai Leon Battista Alberti disegnò il grande Portale centrale, la trabeazione e il completamento superiore della facciata, in marmo bianco e verde scuro (terminata nel ). Tra il e il la chiesa fu rimaneggiata ad opera di Giorgio Vasari, con la rimozione del recinto del coro e la ricostruzione degli altari laterali, che comportò l'accorciamento delle finestre gotiche. Tra il e il fu costruita da Giovanni Dosio la cappella Gaddi. Un ulteriore rimaneggiamento si ebbe tra il e il ad opera dell'architetto Enrico Romoli. Nella piazza retrostante la chiesa ha sede l'omonima stazione ferroviaria, una delle più importanti opere del Razionalismo italiano degli anni trenta (Michelucci ed altri). L'edificio, per la sua dislocazione dietro l'abside della chiesa, suscitò all'epoca polemice per il suo stile moderno, ma invece, rappresenta un esempio di esemplare integrazione tra nuovo ed antico. Un importante restauro è stato effettuato nel con i fondi del giubileo, inseguito al quale per l'accesso alla chiesa è stato istituito un biglietto d'ingresso. Da aprile la facciata è di nuovo in restauro.
La facciata: La facciata marmorea di Santa Maria Novella è fra le opere più importanti del Rinascimento fiorentino, pur essendo iniziata in periodi precedenti e venendo completata definitivamente solo nel 1920. Il primo intervento si ebbe nel quando la sezione fu ricoperta di marmi bianchi e verdi grazie ai fondi lasciati da un tale Turino del fu Baldese deceduto un anno prima. In quella circostanza furono fatti i sei avelli o arche tombali, i due portali laterali gotici e l'ornamentazione marmorea a riquadri e archetti, fino al primo cornicione. La vetrata dell'occhio fu realizzata intorno al . Al centro campeggia l'Incoronazione della Vergine con schiere d'angeli danzanti, mentre nella cornice esterna sono raffigurati i Profeti. Tra e fu rivestita la parte restante, su disegno di Leon Battista Alberti, su incarico di Giovanni Rucellai e l'iscrizione sul frontone del timpano ricorda l'anno del compimento ed il benefattore: IOHA(N)NES ORICELLARIUS PAV(LI) F(ILIUS) AN(NO) SAL(VTIS) MCCCCLXX (Giovanni Rucellai, figlio di Paolo, anno 1470). Inoltre l'elegante fregio araldico marmoreo della 'vela con sartie al vento', altro non è che il simbolo della famiglia Rucellai, anch'esso inserito sulla facciata nella banda orizzontale del fregio fra la parte inferiore e quella superiore. Lo stesso simbolo si si può vedere anche sulla facciata del palazzo e della loggia Rucellai, nonché sul Tempietto del Santo Sepolcro in San Pancrazio. L'Alberti, dovendosi innestare sulle strutture gotiche, realizzò il portale centrale e la parte superiore della facciata, armonizzando gli elementi preesistenti con quelli rinascimentali, per esempio grazie alla crazione dell'alta fascia con la serie di figure quadrate, che maschera alcune contraddizioni della struttura (come la mancata corrispondenza fra lesene superiori e inferiori, per via della preesistenza del rosone). Le incrostazioni bicrome a tarsia si ispirano al romanico fiorentino, in particolare alla Basilica di San Miniato al Monte. Per raccordare la navata maggiore con quelle laterali, notevolmente più basse, l'Alberti ideò le due volute capovolte (quella di destra fu rivestita di marmi solo nel 1920). Il segreto della bellezza delle facciata sta comunque nella sottile rete di rapporti modulari che l'Alberti studiò razionalmente con calcoli matematici per stabilire le proporzioni tra i vari elementi. Molte altre sono le corrispondenze, ed è proprio questa ricerca progettuale dell'Alberti per l'applicazione di principi teorico-razionali a discostarsi definitivamente dal modo di procedere dell'artista-artigiano medievale, rendendo di Santa Maria Novella come il primo esempio di 'euritmia' classica (cioè di armoniosa disposizione degli elementi) del Rinascimento. Le lunette sopra le porte furono dipinte da Ulisse Ciocchi tra il e il . Quella centrale rappresenta San Tommaso d'Aquino in preghiera davanti al crocifisso (sullo sfondo la processione del Corpus Domini che ebbe inizio in Santa Maria Novella). Quelle laterali ritraggono due personaggi del vecchio testamento tradizionalmente legati all'allegoria eucarestica: Aronne con la manna, a destra, e Melchisedech con i pani, a sinistra. Sulla facciata compaiono anche delle strumentazioni scientifiche, a sinistra un'armilla equinoziale in bronzo, a destra un quadrante astronomico in marmo, opere del domenicano fra Ignazio Danti da Perugia ( - ), astronomo e cartografo granducale. Il frate astronomo, grazie a queste strumentazioni, riuscì a calcolare esattamente la discrepanza fra il vero anno solare e il calendario giuliano, allora ancora in uso fin dalla sua promulgazione nel d.c.. Dimostrando i suoi studi con una commissione di altri studiosi a Roma a papa Gregorio XIII si ottenne il riallineamento dei giorni e la promulgazione del nuovo calendario gregoriano, saltando in una notte del dal 4 ottobre al 15 ottobre. La facciata è stata restaurata nel con i fondi per il giubileo e di nuovo dall'aprile . Le uniche altre chiese a Firenze ad avere una facciata in marmi policromi originale sono San Miniato e San Salvatore al Vescovo, mentre le facciate del Duomo e di Santa Croce furono realizzate solo nell'Ottocento.
Analisi iconografica e iconologica:
Soggetto dell'opera: Facciata di Santa maria Novella.
Iconografia: Le vetrate furono eseguite tra il XIV e il XV secolo e fra esse spiccano per esempio la Madonna con Bambino o San Giovanni e San Filippo entrambe disegnate da Filippino Lippi, poste nella Cappella Strozzi. Il rosone che si apre sulla facciata, che raffigura l'Incoronazione della Vergine, è stato disgnato da Andrea Bonaiuto nel XV secolo. Numerose e di altissimo profilo sono le opere d'arte, fra le quali spicca la Trinità di Masaccio, opera sperimentale sull'uso della prospettiva, a proposito della quali il Vasari ebbe a dire: 'Pare che sia bucato quel muro'. Rappresenta uno dei più importanti capolavori dell'arte rinascimentale, attuazione dei nuovi canosni stilistici in pittura, al pari dei traguardi architettonici di Brunelleschi e scultorei di Donatello. La scena sacra è ambientata in una monumentale architettura classica, disegnata con punto di fuga realistico per essere guardata dal basso, mentre la figura di Dio sorregge la Croce di Cristo, con un atteggiamento maestoso, eloquente e solenne. Anche le figure dei committenti, i coniugi Lenzi, inginocchiate ai lati della scena, rappresentano un'importaissima novità, dipinte per la prima volta a dimensione naturale, non piccole figurine di contorno, e con un notevolissimo realismo oltre al quale traspare anche il loro senso di religiosità e la devozione. La scritta sul sarcofago è un memento mori. Il pulpito fu commissionato dalla famiglia Rucellai nel e fu disegnato da Filippo Brunelleschi, mentre la realizzazione spettò al suo allievo Andrea Cavalcanti. Da questo pulpito fu scagliato il primo attacco contro le scoperte di Galileo Galilei. Sempre nella navata sono opere notevoli alcuni sepolcri, come la tomba della Beata Villana di Bernardo Rossellino ( ), quella del Vesco di Fiesole di Tino da Camaino e un'altra di Nino Pisano.
Iconologia: Contesto storico culturale: Primo Rinascimento, nuova concezione delle Arti;
Funzioni comunicative: Devozione e religiosità, l'opera trasmette calma, equilibrio e senso di arminia.
Analisi storica:
L' artista: DATE: Figlio illegittimo di Lorenzo Alberti, nacque a Genova il 14 febbraio 1404 dopo che la famiglia era stata bandita da Firenze ad opera degli Albizzi a causa del suo coinvolgimento nel tumulto dei Ciompi.Poche notizie si hanno dei suoi primi studi: sappiamo che iniziarono a Venezia, dove il padre si trasferì per motivi di affari, e che continuarono nel 1415 prima a Padova, alla scuola del ciceroniano Gasparino Barzizza, poi a Bologna, dove frequentò la facoltà di diritto e dove nel 1421 ebbe la notizia della morte del padre. Gli anni seguenti dovette affrontare difficoltà ed amarezze causate da discordie e soprusi familiari Nel 1428 conseguì la laurea in diritto canonico, dopo aver studiato anche matematica e fisica. Trasferitosi nel 1428 a Firenze (dopo la revoca da parte della Signoria del bando che aveva colpito la sua famiglia) fu molto probabilmente (sino al 1431) in Francia e in Germania al seguito del cardinale Albergati. Nel 1432 divenne segretario del patriarca di Grado, Biagio Molin, e fu da questi fatto nominare abbreviatore apostolico (notaio) alla corte pontificia. Rimase nell'orbita della corte papale fino al 1464, quando papa Paolo II abolì il collegio degli abbreviatori. Il legame con la corte papale gli permise di dedicarsi alla sua attività di letterato e di studioso senza più avere difficoltà finanziarie. Nel 1432 intanto aveva ottenuto il priorato di San Martino a Gangalandi presso Signa. Nel 1435 seguì papa Eugenio IV a Firenze dove entrò in contatto con l'ambiente artistico fiorentino in cui operavano, tra gli altri, Brunelleschi, Ghiberti, Paolo Uccello e Luca della Robbia. Dal 1436 fu poi a Bologna e a Ferrara, dove nel 1438 si aprì il Concilio delle Chiese romana e bizantina. Consulente per le opere architettoniche alla corte di Lionello d'Este a Ferrara nel 1438, si occupò in particolare del monumento equestre di Niccolò I e del campanile della cattedrale. Nel 1439 tornò a Firenze dove organizzò nel 1441 il Certame coronario sul tema dell'amicizia. Nel 1444 fu nuovamente a Roma dove collaborò al programma di interventi urbanistici voluto da Niccolò V, dedicandosi in particolare alla sistemazione del Borgo Curiale, e soprintendendo al restauro di alcuni importanti monumenti antichi ( tra gli altri San Pietro e Santo Stefano Rotondo), alle opere di fortificazione e agli acquedotti.Tra il 1447 e il 1451 si pone la costruzione di Palazzo Rucellai a Firenze; al 1450 circa risale il progetto per il Tempio Malatestiano di Rimini, al 1455 la facciata fiorentina di Santa Maria Novella (terminata nel 1470). Fu a Mantova nel 1459 con Pio II, dove soggiornò in occasione della celebre dieta per la crociata, nel 1463 e poi nel 1470 e 1471, ideò in questa città le chiese di San Sebastiano e Sant'Andrea. Al 1467-'70, in occasione di un ritorno a Firenze, risalgono infine la cappella del Santo Sepolcro in San Pancrazio e la tribuna della Santissima Annunziata. Morì a Roma nell'aprile del 1472.
VITA E OPERE: Leon Battista Alberti fu architetto, letterato e scrittore d'arte e di tecnica artistica. Nato durante l'esilio della sua famiglia, di origine fiorentina, trascorse la giovinezza a Padova, dove divenne allievo dell'umanista Barsizza, e a Bologna; qui si laureò in diritto a ventiquattro anni. Successivamente, impiegatosi presso il cardinale Albergati, legato papale, si reca in Francia e in Germania. Nel 1431-34 lo troviamo a Roma, dove divenne membro della cancelleria pontificia alla corte del papa Eugenio IV, che lo nominò anche priore di San Martino e Gangalandi (1432). In questo periodo scrive il 'Della famiglia' e la 'Descriptio urbis Romae' (Descrizione della città di Roma), per la quale misurò con strumenti matematici di sua invenzione gli antichi monumenti. Nel giugno del 1434, al seguito del papa, Alberti poté finalmente soggiornare a Firenze, la città dei suoi avi, dove frequentò il circolo umanistico di San Marco ed ebbe il primo contatto, rivelatore, con l'arte nuova del Rinascimento fiorentino. Fu in questa occasione che si entusiasmò per le opere del Brunelleschi, di Masaccio, di Donatello. A Firenze scrisse il 'De statua', dove analizzò per primo e sistematicamente le proporzioni del corpo umano, e il 'De pictura', dedicato proprio a Brunelleschi, in cui codificò per la prima volta il metodo di rappresentazione prospettico e la pittura venne intesa come veduta prospettica della natura. Sempre con la curia si trasferì nel 1436 a Bologna; nel 1438 soggiornò a Ferrara alla corte di Lionello d'Este, cui fornisce forse idee e disegni per l'arco del Cavallo e il campanile del duomo, prime opere architettoniche in cui si riconosce un suo intervento. Dopo un altro soggiorno a Firenze nel 1439-43, tornò a Roma e da allora vi si stabilì in permanenza. Con l'elezione di papa Niccolò V (1447), Alberti sovrintese a un ampio programma di rinnovamento edilizio, urbanistico e di restauro di antichi edifici, e nel 1450 scrisse il 'De re aedificatoria' (1450, Dell'architettura), in dieci libri. Alberti giunge all'architettura solo dopo i quarant'anni da diverse esperienze letterarie e scientifiche nelle quali si afferma una diversa intuizione dell'uomo, riconosciuto ora come artefice del proprio destino e capace, dall'indagine della natura, di conoscere il vero e creare il bello, di fondare la propria dignità su una base razionale. Per questo, mentre divide la fase di progettazione da quella dell'esecuzione, eleva l'aspetto pratico-artistico a operazione intellettuale 'separata da ogni materia' (segnando una netta svolta rispetto a Brunelleschi per il quale l'architettura è ancora 'arte di costruire', fatto sperimentale di tecniche e materiale) e la fa entrare in circolo con l'umanesimo letterario, filosofico, scientifico, con l'etica della nuova vita civile; egli procede a una sistemazione teorica e a una fondazione filologica del classicismo, che incide nella storia della cultura al di là delle alterne fortune delle sue opere architettoniche. Ritenuto ottimo disegnatore e prospettico, i suoi disegni sono andati perduti. Sua prima opera certa è, a Roma, Santo Stefano Rotondo: demolendo le pareti già in rovina della chiesa, restaurando il colonnato interno e murando l'intercolumnio [spazio compreso tra due colonne] del secondo colonnato, l'Alberti chiuse l'edificio in una nuova disposizione di spazi. Dopo questo restauro creativo, iniziò nel 1450 il rivestimento della gotica chiesa di San Francesco a Rimini, il Tempio Malatestiano. Ma i precisi progetti di trasformazione dell'interno (già manomesso nel 1447 da Matteo de' Pasti e Agostino di Duccio), cioè la volta a botte in legname, il nuovo transetto e il coro, la cupola semisferica, non ebbero mai principio di esecuzione. Solo il celebre esterno fu realizzato come omaggio dell'Umanesimo all'arte romana. Seguono le opere fiorentine: il progetto per palazzo Rucellai, dalla facciata elegantemente scandita dall'intelaiatura lineare delle cornici e delle lesene [Risalto verticale su una superficie muraria avente forma tale da poter essere assimilato a un pilastro incassato, generalmente a sezione orizzontale rettangolare, sporgente leggermente dalla superficie stessa], il prospetto di Santa Maria Novella, la cappella del Santo Sepolcro in San Pancrazio (1467) e la tribuna dell'Annunziata (disegnata nel 1470). Per i Gonzaga l'Alberti progettò e iniziò tra il 1459 e il 1460 la chiesa di San Sebastiano a Mantova. La facciata subì tali modifiche che ne rendono difficile l'analisi. Chiaro, invece, l'interno, il primo a croce greca dell'Umanesimo, che nella sua essenziale stereometria resistette all'ingiuria dei secoli: al centro della croce, la cupola semisferica e il cubo di 15 m di lato creano uno spazio nitidamente definito e insieme grandiosamente sonoro, perfettamente intonato, pur nella sua solennità, alla misura umana. Nella chiesa di Sant'Andrea, pure a Mantova, ideata nel 1470, l'Alberti, accettando apparentemente la forma basilicale latina, coi suoi progressivi piani prospettici, riuscì a trasformarla in assoluta unità plastica col contrapporre e legare in giochi alterni, sotto la volta maestosa e unificante, le masse chiuse delle cappelle minori e i vani sonori delle cappelle maggiori. Morì a Roma nel 1472. Tempio Malatestiano Il tempio Malatestiano che si trova a Rimini è un esempio eccelso dell'architettura rinascimentale italiana, si limita tuttavia al semplice rivestimento esterno, per giunta incompleto, della chiesa che i francescani avevano eretto, ad aula unica non absidata, nella prima metà del XIII sec. Ma già nel 1350 circa, l'essenzialità dell'interno venne modificata con la costruzione di cinque cappelle lungo i fianchi, dalle quali cominciò, con il loro restauro, la riforma del tempio voluta da Isotta degli Atti e Sigismondo Pandolfo Malatesta, che nella chiesa aveva sepolto i suoi avi. Così nel 1447 ebbero inizio i lavori nella cappella degli Angeli e in quella di San Sigismondo, che in dieci anni vennero ultimati da Matteo de' Pasti, medaglista e architetto, coadiuvato da Matteo Nuti. In strettissima collaborazione attesero alla parte scultorea Agostino di Duccio col fratello Ottaviano, Giovanni di Francesco e Pellegrino di Giovanni veneziani. Ne uscì un interno unico in cui sottili lesene classiche, strette tra due cornicioni, legano tra loro pareti e cappelle in un ritmo verticale di sapore gotico: balaustre, portali, pilastri, cornici, capitelli e persino sculture e bassorilievi sostanzialmente rinascimentali riescono a fondersi senza stridori con una decorazione di scudi, vesti, elmi piumati e damaschi, insegne araldiche e festoni del più lussuoso costume del gotico internazionale, tradotti in marmi e pietre colorate con una intensità e ricchezza decorativa senza precedenti. Questo equilibrio deve molto al linearismo nervoso e scattante degli stiacciati di Agostino di Duccio, che rivestì di pannelli marmorei pilastri, pareti e sarcofagi, evocando, tra fiaba e storia, virtù teologali e cardinali, angeli musici e putti in gioco, pianeti e segni zodiacali, storie e paesi. Per l'esterno, affidatogli nel 1450, Leon Battista Alberti disegnò un involucro autonomo dentro il quale resta perfettamente racchiuso il vecchio organismo con le nuove aggiunte. Il rivestimento del tempio fu realizzato da Matteo de' Pasti, protomaestro di tutta l'opera; ma la crisi malatestiana di quegli anni ne impedì il completamento. Rimangono l'incompiuta facciata ispirata all'arco di Rimini, in cui la classicità romana dei rapporti tra colonna e muro si manifesta in nuovi moduli, e, sugli alti stilobati, i due fianchi, successione di archi e pilastri di una forza e armonia che neppure gli antichi acquedotti conobbero. Così, ispirandosi all'antichità, ma in forma genialmente originale, l'Alberti postulò per primo la glorificazione di una dinastia nelle forme architettoniche di un edificio. A tal punto l'Alberti riuscì nel suo intento che il papa Pio II scomunicò Sigismondo e definì l'edificio 'pieno di opere pagane al punto che sembrava meno una chiesa che non il tempio degli infedeli adoratori del demonio'.
IL PENSIERO: Leon Battista Alberti è stato a lungo considerato come il modello
dell'umanista, come l'uomo che più ha saputo incarnare l'Uomo Nuovo nato
dall'Umanesimo, un uomo integrale e universale, che sa trarre dalla vita e dal
mondo tutto ciò che questi gli possono offrire, un uomo fatto di anima e corpo,
rivolto insieme al cielo e alla terra, libero seppure con i vincoli dati dalla
fortuna. È questo l'uomo della città terrena, cui la religione non comanda più
rinunce o ascesi, ma di 'ben vivere, umanamente vivere questa vita che
è pur dono di Dio, in questo mondo che è pur tempio di Dio' (Garin,
Educazione umanistica, p. 7-8).
Seppure visse il momento della crisi dell'Umanesimo civile fiorentino, Alberti
condivise ed incarnò - almeno in parte - questo modello, rivolgendo i suoi
interessi a tutti i campi del sapere del tempo ed acquistando una conoscenza
veramente enciclopedica, se non pari a quella di Pico, sicuramente assai vicina
ad essa. Fu infatti architetto, pittore, letterato, filosofo, musico, fisico,
chimico, pedagogo e matematico, anticipando in tal senso per poliedricità la
figura di Leonardo da Vinci. Summa di questo sapere dalle mille
sfaccettature a cui non sfugge nulla è l'architetto (non il filosofo) che
diviene, nella prospettiva di Alberti, il modello dell'uomo integrale: 'È
l'architetto che cementa le comunità umane costruendone le sedi, che ne orienta
gli edifici secondo astrologia, che ne scandisce il tempo con gli orologi, che
struttura le istituzioni nei palazzi e nei templi, che regola le acque e apre
le strade, che difende dai nemici e vince le guerre senza sangue'
(Garin, Umanisti Artisti Scienziati, p. 160); dell'uomo che impone un ordine
razionale alla propria vita, seguendo la luce gettata da quella ragione svalutata dai Medievali e che ora - nell'età moderna - è
tornata ad essere curiosa di tutto, secondo il modello inaugurato da Socrate,
programmando e razionalizzando il proprio tempo ed utilizzando le proprie
capacità per fronteggiare la fortuna; di uomo che antepone la vita activa
e operosa (sia in ambito privato, sia in ambito pubblico) alla vita
contemplativa, che sa trasformare la realtà per adattarla ai propri bisogni e
alle proprie esigenze. Insieme all'architetto, dobbiamo ricordare anche il
borghese, l'uomo d'affari ricco di una esperienza acquisita non sui libri, ma
con la frequentazione degli uomini e della società. Il saggio dunque non è il
filosofo, che Alberti identifica nel teologo-filosofo della tradizione
scolastica, ma il pensatore non professionale e non professorale che ha
imparato dagli artigiani e dalla natura a conoscere l'uomo e il mondo. Dio ha
creato (e in ciò Alberti concorda pienamente con Pico e Ficino, e in generale
con gli altri Umanisti) l'uomo come ente superiore a tutti gli altri, come ente
capace di opere eccellenti ma anche dia zioni deplorevoli (proprio in ciò sta
la libertà umana): 'Fece la natura, cioè Iddio, l'uomo composto parte
celesto e divino, parte sopra ogni mortale cosa formosissimo e nobilissimo [.]
sia adunque persuaso che l'uomo nacque, non per atristirsi in ozio, ma per
adoperarsi in cose magnifice e ample, colle quali e' possa piacere e onorare
Iddio in prima, e per avere in se stessi come uso di perfetta virtù, così frutto di felicità' (I libri della famiglia, IV, 2). Nella costruzione
dell'uomo ideale, un ruolo di primo piano è esercitato - secondo gli Umanisti
italiani del Quattrocento - dallo studio dei classici antichi, che
costituiscono una voce che, ancora viva, continua a porci questioni sempre
attuali (l'eterno ti estin socratico). La filologia, nel suo sforzo di ripresentare i classici nel
loro volto originario, assume il compito di educare gli uomini, ristabilendo il
dialogo con i grandi del passato. Il Medioevo rappresenta solo un deviamento,
uno sbandamento, un momento - secondo Hegel - in cui la coscienza umana è
'infelice' perché impotente di fronte ad un Dio che tutto pùò. Ma
Alberti non contribuì ad aprire questa prospettiva, ne fu semmai un erede, lucido e critico laddove rifiutò atteggiamenti da
epigono e da imitatore, peraltro non giudicati negativamente dagli intellettuali
dell'epoca. Nella sua ambizione di essere considerato il nuovo Vitruvio, egli
frequentò con assiduità i testi classici, ripetutamente citati, anche con
sfoggio di erudizione, e presenti come punto di riferimento nelle sue opere, ma
non cercò in essi modelli da copiare quanto piuttosto di apprendere da loro per
'mettere innanzi nuove cose trovate da noi per vedere se gli si può
acquistar pari o maggior lodi di loro' (De Re Aedificatoria,
I,9). Oltre agli elementi classici presenti nelle opere di Alberti architetto,
vanno qui ricordati alcuni aspetti che costituiscono lo sfondo sul quale
Alberti costruisce il suo rapporto con gli antichi:
1] l'alta considerazione che Alberti, almeno dopo il ritorno a Firenze,
mantiene del presente: come è scritto nella dedica a Brunelleschi del De
Pictura, il presente supera l'antichità nel trovare nuove arti e scienze, senza precettori e modelli come poterono fare gli antichi, i quali
poterono contare per raggiungere i risultati che conosciamo, sull'edificazione
di una lunga tradizione: il presente non è solo una rinascita, ma una nuova
fondazione di un'arte e di una scienza mai viste prima; il presente è sì sempre
nuovo, ma non per questo sganciato dal passato. 2] L'indipendenza che anche in
questo ambito Alberti seppe mantenere nei confronti dell'Umanesimo codificato e
di moda del suo tempo. Se guardiamo alla letteratura, i suoi riferimenti
classici furono soprattutto Plauto, Luciano, Esopo e non gli autori apprezzati
dagli umanisti fiorentini (Platone, Aristotele, Quintiliano).
3] L'autonomia che mostra nei confronti della semplice imitazione dei modelli
classici. Pur muovendosi in un ambito già esplorato dagli umanisti italiani,
Alberti sembra voler sgretolare e smembrare procedure e codificate per
introdurre nei prodotti letterari che hanno come modello i classici,
chiaroscuri, contrasti e un forte carattere di originalità. Un aspetto
particolare del rapporto con gli antichi riguarda la questione della lingua per
la quale abbiamo la presa di posizione di Alberti nella lettera dedicatoria a
Francesco d'Altobianco Alberti del Libro III del De familia. In essa
Alberti fa propria la tesi sostenuta da Flavio Biondo nel De locutione
romana in un dibattito avvenuto a Firenze nel 1435, secondo la quale in
primo luogo nell'antica Roma vi era una sola lingua che aveva assunto due
forme, il latino classico e quello di uso comune, ed in secondo luogo il
volgare discende dal latino corrotto dopo la caduta dell'Impero per le
invasioni straniere. Secondo Alberti, il volgare è in grado di esprimere
qualunque contenuto e di rivolgersi ad un numero più ampio di persone. Per dare dignità
letteraria al volgare e mostrarne le potenzialità espressive, è sufficiente che
i letterati comincino ad utilizzarlo rimediando alle sue mancanze sintattiche e
lessicali tramite il latino. Questo atteggiamento ha una puntuale
corrispondenza con la prosa albertiana, ricca di latinismi, sia nel lessico,
sia nella struttura sintattica delle frasi. Si deve dunque rimarcare come
Alberti compia pertanto un passo decisivo verso il superamento del pregiudizio
secondo il quale il volgare non poteva essere utilizzato per trattare argomenti
seri. A partire dal 1440, gli interessi tecnico-scientifici e artistici
cominciarono a prevalere in Alberti rispetto a quelli letterari, con i quali
aveva esordito. Un primo esempio è lo scritto De equo animante (1441) in
cui Alberti, utilizzando fonti sia antiche che moderne, descrive le forme e le
caratteristiche del cavallo, il suo allevamento, le sue funzioni sia in pace
sia in guerra. Negli anni successivi si dedicò a questioni pratiche (la
misurazione della città di Roma, il restauro di edifici, fontane e acquedotti,
il recupero di una nave romana nel lago di Nemi) che troviamo descritte nelle
sue opere a partire dal De re aedificatoria. Numerose descrizioni
contenute in quest'opera testimoniano la competenza di Alberti nella tecnologia
e nell'ingegneria idraulica. Nei Ludi elaborò una serie di esercizi di
matematica:
a] Dal I al VII troviamo problemi di misurazione indiretta attraverso un
traguardo ottico
b] Nell'VIII e nel IX troviamo descritti strumenti per la misurazione della
profondità del mare e la fontana di Erone;
c] I rimanenti riguardano astrolabi, quadranti, bilance, anemometri, ecc.
d] Il XVI illustra il metodo per misurare 'il sito e ambito di una terra e
li sue vie e case', da collegare con la Descriptio urbis Romae.
Nel De componenda statua definisce le misure proporzionali del corpo
umano utilizzando il 'definitore', uno strumento simile all'orizzonte
graduato, costituito da un disco da porre sul capo con un regolo sporgente e un
filo a piombo appeso, per fornire allo scultore i punti di riferimento di un
ideale cilindro da cui ricavare la statua. Il De componendis cifris è il
primo trattato moderno di criptografia.
Nella Descriptio urbis Romae elaborò un metodo di eccezionale importanza
per la cartografia basato sull'uso delle coordinate polari. Adottando
tendenzialmente il dialogo di marca ciceroniana (più che platonica), pur
essendo di orientamento stoicheggiante, Alberti si oppone al monologo medievale
gestito dalla fede, dove mancava il libero circolo di idee e di opinioni: la
scelta della forma dialogica corrisponde appunto alla precisa esigenza di
cercare un confronto, un libero scambio di opinioni anche con chi si muove
seguendo prospettive diverse; l'apertura albertiana, del resto, si riverbera
all'interno dei suoi stessi scritti, primi fra tutti I libri della famiglia,
nei quali egli invita i figli a seguire liberamente le proprie attitudini, e
non le costrizioni che vengono imposte dai genitori (che, così facendo, forzano la loro
natura). Si devono dunque assecondare e potenziare le capacità dei figli, senza
però proteggerli eccessivamente, tenendoli lontani dalla realtà: bisogna invece
lasciare che essi imparino a cavarsela da sé. La prima cosa da fare è
avvicinare i fanciulli alle humanae litterae, affinchè prendano contatto
con la cultura, poiché non si può essere gentiluomini senza di essa. Sempre in
ambito familiare, Alberti riconosce pari importanza e dignità al marito e alla
moglie, sebbene essi svolgano mansioni diversissime nella casa. Accanto a
queste questioni di carattere familiare, Alberti tratta anche del rapporto tra
virtù e fortuna (che sarà ripreso da Machiavelli), dicendo che la fortuna vince
laddove la virtù non ha costruito le giuste difese: ne consegue -
umanisticamente - che l'uomo è signore di sé o, per dirla con la celebre
espressione sallustiana, è faber fortunae suae, libero di scegliere la
propria sorte (entro certi limiti, naturalmente)
Datazione Databile tra il 1458 e il 1470.
Luogo di conservazione: Firenze.
Stato di conservazione: Perfetto.
Civiltà e cultura d'appartenenza: Rinascimento fiorentino.
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