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Ludwig Van Beethoven




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Ludwig Van Beethoven

La vita e le opere


Ludwig van Beethoven nasce il 16 dicembre 1770 a Bonn. A tre o quattro anni si esercitava già sulla tastiera del pianoforte. Il padre, tenore di professione, voleva farne un bimbo prodigio. In tal modo per il piccolo allievo la musica divenne ben presto supplizio e tormento per le esagerate pretese del padre. Così egli crebbe un po' selvaggio e ribelle e quasi abbandonato a se stesso sperso in una vita errabonda. Così egli conobbe i patimenti e le angustie fin da giovane, che  imprimeranno un solco incancellabile su tutta la sua esistenza.

L'organista Neefe prende a istruire questo povero giovane, il quale, appena tredicenne, gli apparve dotato delle più rare disposizioni, tanto che profeta in lui un secondo Mozart. A quell'età van Beethoven trova impiego come organista, costretto dalla necessità di guadagnarsi i soldi per vivere. Così Ludwig crebbe troppo in fretta, tanto che non ebbe nemmeno il tempo di conoscere i giochi.

Nel 1784 l'arciduca Max Franz prende a ben volere il giovane, cresciuto per molto tempo nella scuola del dolore e che sembrava dover soffrire quanto più era destinato a essere grande.

Nel 1787 van Beethoven perde la madre, logorata dalla tisi. Egli la adorava e fu profondamente scosso dalla sua morte, anche perché era convinto di essere affetto egli stesso dello stesso male. Così fin da quindici anni Ludwig aveva davanti a sé lo spettro  della morte, nuova infelicità che si aggiungeva alle altre che lo angustiavano.

A diciassette anni egli si trova a essere capo di famiglia con l'obbligo di educare due fratelli e con la tristezza di dover richiedere il lavoro del padre vizioso e far rimettere a sé la pensione spettategli, perché non andasse consumato in bagordi anche quel magro denaro risparmiato. Tali dolorose vicende gli faranno ricordare come uno dei più tristi periodi della sua esistenza il tempo trascorso a Bonn.

In questa giovinezza così triste porta un raggio di sole Eleonora di Breuning cui van Beethoven impartiva lezioni di piano. Essa aveva due anni in meno di lui, e gli apriva l'animo all'affetto e alla speranza.

A ventidue anni Ludwig van Beethoven abbandona la patria, dove tanto aveva sofferto, ma che pur tanto amava e che non doveva rivedere mai più. Forse anche per questo gli rimase << sempre tanto bella, tanto cara davanti agli occhi >>, come nel giorno sereno della partenza,in cui per l'ultima volta rimirò i clivi erbosi specchiatisi nell'azzurra corrente del Reno e le Sette Montagne ergersi al cielo.

Nel 1792 van Beethoven parte dunque per Vienna a spese dell'arciduca Franz e con una lettera commendatizia per Haydn; ma fu deluso nelle sue speranze. Haydn lo accolse con cortesia, non priva però di indifferenza. Tuttavia van Beethoven non si scoraggiò:

aveva tempra di lottatore ed era disposto a combattere. Del resto fino ad allora la sua vita non era stata che lotta: e tale sempre sarà.

Nel 1796 van Beethoven avverte i primi sintomi della sordità. Per vari anni egli tiene in sé il suo segreto, fuggendo ad ogni contatto con gli uomini, smanioso che scoprano il suo terribile mistero. Per cinque anni rimane solo nel suo ignorato martirio, il cui strazio già trabocca nella Patetica, composta appunto nel 1799. Infine egli non può sopportare più il peso del suo segreto. Nel 1801 con la disperazione nel cuore, si confida a due amici : al dottor Wegeler e al pastore Amenda. Nella vasta metropoli viennese egli si sente solo, troppo solo, segregato per di più dal suo male, che gl'interdice ogni contatto con gli uomini.

Essi avrebbero colto sicuramente il pretesto di tale infermità per gettare il discredito anche sopra la sua musica. Egli è sul punto di disperare della vita, quando un'altra giovane, Giulietta Guicciardi, lo richiama alla illusione e alla speranza. Giulietta era poco più che una bimba capricciosa e civettuola, della cui grazie van Beethoven si era incautamente invaghito, e che tanto lo fece soffrire andando infine sposa al conte di Gallenberg.

Van Beethoven si accorse che gli sfuggiva la gloria e che gli mentiva anche l'amore, il 6 ottobre 1802 vergo l'angosciato testamento di Heiligenstadt, in cui l'infelice incolpa l'incomprensione degli uomini della sua miseria. E pensa di por fine ai suoi giorni. Ma la fiducia in Dio e la consapevolezza di una missione da compiere lo trattengono dal precipitare nell'abisso.

<<Un giorno, un giorno solo di gioia. è così bello vivere! >> esclama, implorando il Signore.

È questo il grido del naufrago, che nuota disperatamente alla riva, che vuole vivere ancora. Anche se cresce l'affanno. Anche se dura l'angoscia, anche se i nembi all'orizzonte covano un'oscura minaccia.

Dal tormento di tali incalmabili sofferenze vennero espresse  la Sonata op. 26,con la nota marcia funebre per la morte di un eroe; quella denominata del Chiaro di luna, con quel finale così torbido e minaccioso, dedicata alla Guicciardi; la Sonata in << do minore >> per violino e la tempestosa Sonata a Kreutzer.

Ma la Seconda sinfonia, composta nel 1803, rappresenta il naufrago che nuota alla riva. E' la volontà di vivere e di riappacificarsi con il mondo e con gli uomini.

I tempi squillanti di epiche diane gli suggeriscono la Terza sinfonia ( l'Eroica), da lui dedicata a Napoleone Bonaparte, il quale percorre vittorioso l'Europa con i suoi eserciti. Quando però si accorge che Napoleone, anzi che un liberatore dei popoli, come tanti speravano e si illudevano che fosse, è un tiranno e un despota, van Beethoven straccia adirato la dedica della sua sinfonia. Dello stesso anno dell'Eroica-1804 - è pure la fremente Appassionata.





Intanto sul tenebroso orizzonte della vita di van Beethoven si accende una nuova luce: Teresa di Brunswich. Ella amava van Beethoven sin da quando, ancora giovane, aveva ricevuto da lui le prime lezioni di musica. Una sera van Beethoven aprì il pianoforte in casa dell'amata. Era un bel chiaro di luna e la mano del maestro tentava le note

profonde. Poi, lento e solenne, egli intonò l'aria con la quale anche Bach aveva confidato l'animo suo a Maddalena.

La notte taceva, in ascolto, ancorata tra i grandi alberi silenziosi del parco.

Fu quella la sua dichiarazione d'amore, e Teresa era felice. Si fidanzarono. Di questo tempo-1806- è la Quarta sinfonia, sgorgata tutta di seguito, espansiva e confidente, ispirata all'amore di Teresa, l'<<immortale amata>>.

Due anni dopo l'anima di van Beethoven nuovamente tumultua, dibattuta e travolta nelle titaniche spire della Quinta sinfonia, che ascende  ai più alti vertici dell'arte beethoveniana. Ma nello stesso anno-1808- ecco tornare il sereno con la Sesta sinfonia (la Pastorale), profumata di liberi soli e di maggi, la più luminosa e ariosa creazione di van Beethoven.

Nel 1810 anche l'ultimo sogno di amore tramonta. Van Beethoven spasima, ma non piega sotto il nuovo colpo della sorte.

Scrive:

<<Per te non vi gioia al mondo, povero Ludwig. Nelle regioni dell'ideale soltanto troverai consolazione>>.

E ancora:

<<Rassegnazione, rassegnazione profonda al tuo destino. Tu non puoi vivere per te stesso, ma solo per gli altri. Per te non v'è altra consolazione, se non nella tua arte. O Dio, dammi la forza di vincere me stesso>>.

Eccolo dunque, ancora una volta, solo, alla deriva. Egli così nobile e generoso, che aveva tracciato quest'altra massima: << Non conosco altro segno di superiorità che la bontà>>, è ancora sbattuto dalla marea dell'ingratitudine umana.

Diviene scontroso e ombroso: diffida di tutti. Cambia spesso di casa, irrequieto e scontroso.

Egli non ha più bisogno di nessuno. Sa di essere grande e che nella sua povertà può donare quanto mai nessun altro. Nel 1812 getta in faccia alla società infrollita la Settima e l'Ottava sinfonia, frenesie turbinose e sfuriate di violenti sarcasmi, ma anche testimonianza di una vitalità esuberante, che dilaga e trionfa di tutti gli ostacoli.

Nel 1814, in occasione del Congresso di Vienna, i potenti di tutta Europa s'inchinano  di fronte al genio di van Beethoven. La sua musica trionfa e lo consacra alla gloria. Ma anche questa volta, scomparsi i suoi protettori e amici, scrive due anni dopo nel suo taccuino:

<<Sono ormai solo, al mondo>>.

Nell'autunno del 1815 la sua sordità è completa, tanto che, per conversare con gli altri, deve servirsi della scrittura. Così egli riempie ben undicimila pagine di quadernetti. Essi costituiscono una preziosa e originale raccolta di colloqui, di frammenti e di fugaci notazioni di diario, testimonianza di un intimo dramma, confessato con umile e rassegnato dolore.

Nell'autunno del 1816 van Beethoven è affetto da catarro infiammatorio. Da allora è una successione di mali, unitamente allo spettro della tisi, che di tanto in tanto si affaccia a torturarlo.

Il titano è ormai tutto solo, e riempie il silenzio dell'udito con le solitarie e penetranti melodie del suo cuore. Febbricitante, impossessato da un furore selvaggio, con le chiome sconvolte, egli va errando per la campagna dall'alba alla notte, per dimenticare e per trovare uno sfogo al dolore che lo arroventa.

E lo dilania la miseria. Nel 1818 annota:

<<Sono ridotto quasi alla mendicità>>.

E pensare che talvolta questo grande e generoso mendico non può uscire di casa, perché ha le scarpe rotte o le ha regalate a uno più povero di lui.

Adesso van Beethoven compone tormentato dai debiti e dalla fame, con il cuore che gli scoppia in gola, con uno strazio che nessuno ha compreso né potrà comprendere mai. Gli editori gli pagano a stento un trenta o quaranta ducati ciascuna delle prodigiose sonate, intorno alle quali van Beethoven spendeva non meno tre mesi di lavoro.

Il principe Galitzin gli ordina i quartetti op. 127, 130, 132, però senza pagarglieli mai. Sono queste le pagine più dolorose e profonde di Beethoven: l'addio alla vita, che non merita d'essere vissuta più.

Uno sciagurato e spregiudicato nipote finisce col riempirgli del tutto l'amaro calice dell'esistenza.

Da tale abisso di patimenti e di angosce si vede spiccare a volo la Nona sinfonia, la conquista della gioia a traverso il dolore.

La prima esecuzione della Nona si ebbe il 7 maggio 1824 a Vienna. Il pubblico rimase ammutolito, sbalordito dalle tiranniche proporzioni dell'opera. Quindi proruppe in acclamazioni irrefrenabili e trionfali.

Fu la prima volta che van Beethoven ebbe tanti applausi che gli scossero il petto. Decise di andare via da Vienna per sempre.

Alla fine del novembre 1826 egli ritorna intirizzito da un viaggio. Chiese aiuto a quello scapestrato di suo nipote. Ma nessuno lo aiuta. Allora incarica il nipote di cercargli il medico, ma lui se ne ricorda solo due giorni dopo. 

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