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L'interesse delle femministe per l'opera di Regina (1976)




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L interesse delle femministe per l opera di Regina (1976)




La seconda mostra dell autunno 1 76 è quella che viene dedicata a Regina dalla Cooperativa di via Beato Angelico 18 , «collettivo di artiste femministe» con sede a Roma. Sfortunatamente, l'esposizione non fu accompagnata da un catalogo e fu poco recensita; tuttavia, chiaramente non può suggire l'interesse di una mostra su un'artista donna organizzata da un collettivo di artiste mili- tanti nel femminismo. Peraltro, va segnalato che proprio nel 976 - purtroppo non sappiamo in che mese, ma presumibilmente prima dell'inaugurazione della mostra, che cade in novembre - un'altra artista femminista romana, Simona Weller, aveva pubblicato per i tipi de La Nuova Foglio il volume Il complesso di Michelangelo, che è uno dei primi esempi italiani dei gender studies che già da qualche tempo si erano diffusi all'estero, e particolarmente negli Stati Uniti Conviene allora, for- se, principiare dal volume della Weller e arrivare poi alla mostra, sebbene le due cose - nonostan- te le apparenze - non siano così collegate come potrebbe sembrare, poiché in realtà la Weller (che pure è artista, romana e femminista) non fa parte della Cooperativa, anche se conosce cer- tamente almeno alcune delle artiste che l'hanno costituita

Simona Weller, si diceva, è un'artista. Non è qui il caso di ricostruire per intero la sua carriera, per cui si rimanda a quanto riportato in nota ; segnalo solo che - dopo una formazione prevalente- mente romana, ma arricchita da viaggi e soggiorni all'estero - comincia a realizzare opere in qual- che misura assimilabili alla poesia visiva, per quanto caratterizzate dalla presenza di una pittura piuttosto invasiva, che spesso cancella e nasconde la scrittura vera e propria. Quando pubblica Il complesso di Michelangelo, nel 1 76, ha trentasei anni ed è già ben inserita nell'ambiente artistico romano, all'interno del quale è in contatto - tra gli altri - con Capogrossi, Corpora, Burri e Afro, ed è stimata da critici come Crispolti e Cesare Vivaldi (il quale ultimo è anche suo compagno di vita al momento della pubblicazione del volume).

Il complesso di Michelangelo il cui emblematico sottotitolo è Ricerca sul contributo dato dalla donna all'arte italiana del novecento - è un libro molto particolare, in cui critica, informazione, in- chiesta e femminismo si intrecciano in maniera assai stretta e spesso inestricabile. Il volume si a- pre con una interessante Introduzione di Cesare Vivaldi, che intende innanzitutto rendere ragione degli obiettivi ultimi del libro stesso, consistenti in primo luogo - ad un primo e più semplice livello

nella volontà di conferire finalmente la giusta visibilità a quanto prodotto dalle artiste italiane con- temporanee, e secondariamente - ad un livello invece più complesso - nell'intenzione di affrontare la questione del contrastato rapporto tra le donne e il sistema dell'arte. Subito dopo, Vivaldi propo- ne un sintetico ma soddisfacente panorama delle più significative emergenze femminili nell'arte ita- liana del XX secolo, passando dalle futuriste alle 'novecentiste', dalle esponenti della Scuola ro- mana alle 'astrattiste' prebelliche e postbelliche; tra le figure indagate - con un esame che trascor- re senza soluzione di continuità dalla biografia alla considerazione critica - spicca anche Regina, per la quale anzi il critico spende importanti parole di elogio, esprimendo contestualmente una du- ra critica nei confronti di chi non ne ha ancora riconosciuto l'importanza



Direi che Regina è senza dubbi uno dei maggiori scultori italiani tra le due guerre, per i modi aerei paragonabile al solo Melotti (ed è una vergogna che la critica italiana, fatta eccezione per Vanni Scheiwiller e Carlo Belloli, abbia sin qui rifiutato di prenderne atto); una costruttrice di figurine spiritose, ritagliate nella latta o nello zinco, di grandissime fantasia e inventività formale.



Ancora, Vivaldi sottolinea il «senso spaziale personalissimo e acuto» che si può cogliere nelle ope- re futuriste della scultrice, e soprattutto la «nota prevalente» costituita dallo humour, «come atte- stano anche talune composizioni polimateriche .] da collocarsi quasi più in area dadaista o sur- realista che non propriamente futurista: cosa non infrequente nel tardo futurismo . Per di più, a parere di Vivaldi, rispetto a Prampolini o ad altri Regina è più oltranzista, nel senso che trasforma il polimateri- smo in veri e propri assemblages di oggetti alla Puni, preludenti al Nouveau realisme [sic] degli anni sessanta; tanto che una sua composizione del 19 3, 'Polenta e pesci', realizzata con un piatto vero, a metà coperto di carta vetrata gialla, una vera rete da pesca e dei pesci di latta, è una netta prefigurazione di Spoerri, naturalmente con ben altre inventività e carica poetica



Infine, Vivaldi cita - ma in questo caso più brevemente - le «sculture in plexiglas bianco e colorato, memori delle esperienze di Gabo e di Moholy-Nagy» realizzate da Regina negli anni Cinquanta e Sessanta: sono forme ancora una volta aeree, di un lirismo sottile e sovente corretto da un garba- tissimo humour»

Le valutazioni di Vivaldi sono evidentemente assai interessanti. Innanzitutto, mi pare più che evi- dente la stima che egli dimostra nei confronti di Regina, indicata come un'autentica protagonista - ahimè misconosciuta - della scultura italiana tra le due guerre (mentre più tiepido sembra il giudi- zio nei confronti della sua produzione postbellica); inoltre, significativi sono i riferimenti a Melotti, Prampolini, Gabo e Moholy-Nagy, certamente per più aspetti vicini a Regina. Ancor più degni di nota, tuttavia, mi paiono i riferimenti a Dada e al Surrealismo: evidentemente, pur riconoscendo che il «tardo futurismo» conosce spesso deroghe significative rispetto alla poetica più rigorosa- mente boccioniano-ortodossa, Vivaldi doveva comunque intendere il Secondo Futurismo come un movimento segnato da un indirizzo creativo ben definito: di conseguenza, ogni differenza rispetto a questa presunta 'regola secondofuturista' si poteva giustificare a suo avviso in termini di influenza ad opera di altre correnti, e non riconoscendo una particolare libertà alla ricerca 'secondofuturista'344.


Dopo l'introduzione di Vivaldi è la volta della prefazione della Weller, che esprime soprattutto - in maniera ovviamente molto partecipata - quelle che sono state le motivazioni profonde che l'hanno spinta ad impegnarsi nell'impresa, oggettivamente non facile. E qui l'artista romana, dopo i ringra- ziamenti di rito, spiega subito che il libro



Forse è nato dall'impatto col femminismo, che non solo mi ha ridato la coscienza di esistere come persona, ma ha guidato, anche senza che me ne rendessi conto, lo spirito di tutta la mia ricerca. Solo adesso so, ad esempio, che la convinzione che il confronto tra tante espe- rienze fosse necessario per dare il panorama il più attendibile ed esauriente della donna nel campo dell'arte, mi derivava dall'aver assimilato una delle tecniche di lotta adoperate dal mo- vimento, quella per intendersi che si definisce 'il personale è politico'. Nel mio personale cre- do che coraggio, forza maturità siano nate per una sorta di naturale alchimia in cui forse do- vrei mettere in conto anche tutte le volte che la mia dignità è stata calpestata, tutte le volte che mi sono sentita impotente davanti alle sopraffazioni, ai tabù, ai pregiudizi; tutte le volte, ancora, in cui ho conquistato le mie creatività come un diritto abusivo e ho strappato la mia intelligenza al torpore dei luoghi comuni



L'orizzonte di lotta' entro cui si colloca il testo della Weller è palese, e le righe immediatamente successive lo chiariscono ulteriormente con dovizia di particolari, ad esempio quando la Weller ac- cusa la «cultura in cui è l'uomo che sentenzia e che continua a considerare la donna sua proprie- tà», o quando definisce il matrimonio come «la scelta meno negativa», ma comunque limitante, tra le uniche tre strade aperte alla donna («moglie, prostituta, monaca») ; poi, l'autrice segnala tutte le difficoltà riscontrate nella ricerca a causa della «mancanza di materiale esauriente», a propria volta dovuta alla tendenza (che la Weller ritiene quasi caratteristica delle artiste donne) a non raccogliere in maniera coscienziosa e puntuale una vera e propria bibliografia critica . Quindi, prima di segnalare - come del resto già aveva fatto Vivaldi - che il criterio di scelta delle artiste da lei se- lezionate è stato innanzitutto quello della «professionalità» , l'autrice rende ragione del curioso ti- tolo del volume, che allude al complesso di inferiorità in cui a suo avviso la donna artista vive prati- camente da sempre, dovuta al luogo comune secondo il quale «'Non c'è mai stata una Michelan- gelo donna : e anche in questo caso, dunque, la verve polemica è evidente.

A questo punto, il volume prosegue con una serie di interviste di varia impostazione ad artiste e critiche considerate particolarmente importanti o comunque emblematiche di diverse condizioni , e poi con le risposte ad una interessante inchiesta-questionario in dieci domande ; seguono alcuni documenti e infine le schede bio bibliografiche delle artiste selezionate dalla Weller , tra cui come detto compare anche Regina, la cui scheda354 è anzi tra le più corpose, a testimonianza della stima dell'autrice per il lavoro dell'artista pavese. Dal punto di vista strettamente biografico, nono- stante diverse imprecisioni di cui si parlerà nel prossimo capitolo, la scheda è abbastanza comple- ta (e d'altra parte si basa sulle pubblicazioni di Scheiwiller e sull'articolo commemorativo di Belloli); per quanto riguarda invece il profilo critico, pur essendo basato essenzialmente su quanto già scrit- to nei contributi citati in bibliografia e nell'introduzione di Vivaldi (e pur tenendo conto del fatto che l'autrice - mossa da intenti femministi - è tenera nei confronti di tutte le artiste), esso è comunque abbastanza interessante. In particolare, la Weller ritiene assai importante l'opera reginiana del de- cennio Trenta («quello che le dà un posto di rilievo nel panorama della scultura internazionale» nonostante «un certo consentimento al costume dell'epoca»



Con Mino Rosso e Monachesi Regina è lo scultore più importante del futurismo negli anni trenta e quaranta, ed è certamente il più originale nel rifiutare i modelli tradizionali (Boccioni o la plastica cubista) per inventare forme aeree e lievi preludenti, a modo loro, al Calder più maturo. Forme da affiancare a quelle di certo Melotti per l'acuto, musicale senso di scansione spaziale e per il fremito parasurrealista che le pervade e per il loro affidarsi alla sola inventivi- tà. Effettivamente, tra il 1 30 e il 1940, Regina 'inventa' la scultura; una sua scultura fatta di nulla, di semplici profili ritagliati in fogli di metallo, di accostamenti neodadaisti di oggetti, ma 'grande' per il modo tutto nuovo di disegnare nello spazio.



Fatta la tara dell'entusiasmo femminista, che porta la Weller ad elogiare oltre misura tutte le artiste, va detto che il giudizio è acuto, in particolare laddove l'artista romana nota nell'opera di Regina una netta divaricazione rispetto alla tradizione boccioniana (che era certamente futurista, ma tendente a massificare le opere scultoree).

Torniamo dunque alla mostra romana di quello stesso 1 76, organizzata dalla Cooperativa di via Beato Angelico 18. Cerchiamo prima di tutto di chiarire le date della mostra, perché come accen- nato in nota i primi problemi si incontrano già in merito a tale questione, apparentemente banale.

Va precisato, innanzitutto, che nella più recente bibliografia reginiana le date delle rassegne per- sonali e collettive cui Regina ha partecipato non sono sempre incluse negli apparati bio- bibliografici, e soprattutto - anche quando ciò è accaduto - la mostra romana non è sempre stata segnalata; inoltre, come accennato, anche quando la segnalazione è stata fornita , la cronologia della mostra è stata oscillante, e anzi di essa non è mai stata proposta una datazione precisa. Tra i testi che l'hanno indicata, segnalano genericamente la data «1976» all'interno di una cronologia costruita per anni, e priva di puntuali indicazioni circa le date effettive delle rassegne) il volume a cura di Gaetano Fermani e Vanni Scheiwiller del 1983 la personale curata da Caramel nel

e la personale della Casa del Mantegna del 1990 ; invece, i cataloghi delle due personali più recenti e più importanti, ovvero quella di Sartirana Lomellina del 1991 (pure anch'essa a cura di Caramel 360 e quella di Palazzolo sull Oglio del 2 10 , segnalano una datazione a cavallo tra novembre 1975 e gennaio 1976.


In realtà, la mostra si è tenuta esattamente un anno dopo, tra novembre 1976 e gennaio 1977. So- no tanti gli elementi che consentono di dimostrarlo con certezza: alla mostra fa ad esempio riferi- mento, sulle pagine de L'Europeo» del 26 novembre 1976 , Vanni Scheiwiller, il quale scrive che


Il collettivo femminista Cooperativa» (via Beato Angelico 18, Roma) [.] è stato battuto di un soffio dal Centro artistico culturale Giuseppe Amisani di Mede Lomellina nell'allestire la prima mostra postuma di Regina [.].



Più tardi si tornerà sulla recensione scheiwilleriana; qui basti sottolineare la data: il 26 novembre l'esposizione doveva già essere stata inaugurata, ma certo non lo fu prima di quel 0 ottobre in cui aprì la mostra di Mede Lomellina (alla cui inaugurazione, peraltro, Scheiwiller era presente, come testimoniato da due articoli che abbiamo già visto) . Per quanto riguarda invece la chiusura, sicu- ramente è da porre oltre la data del 2 gennaio 1977, in corrispondenza della quale Maurizio Fagio- lo dell'Arco recensisce l'esposizione su «Il Messaggero Inoltre - lo vedremo fra poco - nel

1975 la Cooperativa non era ancora nata, e come se non bastasse presso l'Archivio Fermani ho rinvenuto alcuni materiali della Cooperativa stessa tra cui spicca - in particolare - un foglio mano- scritto su carta intestata della Cooperativa firmato da Suzanne Santoro e datato 7 novembre 1 76 (o meglio, Nov 7-76»; ma la Santoro, per quanto trapiantata in Italia, è statunitense, e dunque uti- lizza il sistema di notazione invalso nel suo paese . Evidentemente, dunque, la mostra non può che essere stata allestita a cavallo tra 1976 e 1977.

Stabilito questo, è interessante dire almeno due parole a proposito della Cooperativa di via Beato Angelico 18, anche se sfortunatamente, se si eccettua una tesi di laurea , su questa interessante esperienza non ci sono veri e propri studi. Può allora essere utile - sia per ricostruire la storia e gli obiettivi della Cooperativa, sia per far luce sulle dinamiche che condussero alla mostra di Regina - ricorrere direttamente alle parole della stessa Suzanne Santoro, cofondatrice della Cooperativa stessa che ha gentilmente voluto rispondere ad alcune domande che le ho posto tramite e-mail, e che per questo ringrazio moltissimo per la disponibilità . Peraltro, dal momento che l'artista ha preferito - piuttosto che rispondere alle singole domande - articolare un discorso più ampio e ra- gionato (cosa di cui le sono grato), riporto prima tutte le mie domande e poi l'unica risposta, pre- mettendo solamente che la Cooperativa nacque nel 1976 e fu costituita - oltre che dalla Santoro - da Carla Accardi, Nilde Carabba, Franca Chiabra, Annamaria Colucci, Regina Della Noce, Nedda Guidi, Eva Menzio, Teresa Montemaggiori, Stephanie Oursler e Silvia Truppi. Ecco dunque le do- mande:



Come nasce il progetto della Cooperativa? E' stato sin dall'inizio un progetto condiviso o qualcuna di voi ha tirato le fila e le altre si sono aggregate? Forse ha guidato lei, che è statunitense e dunque poteva già conoscere i primi gender studies e il femminismo del suo paese?

Mi può sintetizzare la storia della Cooperativa?


Esistono dei volumi monografici dedicati alla Cooperativa?


Perché, dopo la mostra di Artemisia Gentileschi (che dell'arte al femminile è un po' il simbolo), avete scelto di dedicare la prima mostra "storica" proprio a Regina? Perché nel- la storia di Regina (artista ottima ma poco conosciuta) avete riconosciuto una storia che riguarda tante artiste donne? O semplicemente perché ne apprezzavate la qualità? O ancora perché eravate a conoscenza di una sua particolare attenzione per la tematica del rapporto tra la donna e l'arte (nel 19 9-60 Regina aveva organizzato, insieme ad altre colleghe, una mostra polemica di artiste donne "rifiutate" dalla Permanente)?

Qualcuna di voi aveva conosciuto Regina mentre era in vita? Si ricorda come avete con- tattato il marito di Regina? Direttamente o attraverso altri (galleristi, critici, collezionisti)?

Nello stesso anno in cui avete allestito la mostra, Simona Weller ha pubblicato Il com- plesso di Michelangelo, un volume che lei conoscerà sicuramente e in cui lei stessa è ci- tata, e in cui Cesare Vivaldi parla benissimo di Regina. Questo ha qualche rapporto con la vostra scelta? Dal libro della Weller si capisce inoltre che alcune di voi dovevano essere in contatto con lei (Carla Accardi risponde all'intervista, mentre Nilde Carabba risponde alla Weller di non essere d accordo con il suo progetto, e la Weller la critica per que- sto) in che rapporti eravate con la Weller?.



Ed ecco l'articolata risposta di Suzanne Santoro, in un gustoso italiano che risente delle sue origini statunitensi:



Il progetto nasce molto spontaneamente ho conosciuto Eva Menzio a Roma tramite Salva- tore Scarpitta, amico di Luciano Pistoi, marito di Eva. Subito con Eva abbiamo parlato di fare qualcosa in ambito arte e femminismo. Carla Accardi anche era molto entusiasta. Si era sciolto Rivolta Femminile di Carla Lonzi. Io, la Carla, e Anna Maria Colucci facevamo parte del gruppo di Rivolta a Roma e volevamo lavorare sull'arte e il femminismo. Tu saprai che la Lonzi non voleva più dedicarsi all'arte e certo non a quella delle donne argomento ancora non affrontato bene. La Lonzi ha rifiutato il mio libretto: Towards new expression fatto durante l'epoca del gruppo Rivolta Femminile insomma qui abbiamo un grosso problema.

Nessuna leader ognuno metteva il suo lavoro e contributo, soldi e lavoro pratico. È chiaro poi, Eva lavorava sullo storico e le altre, se artiste, facevano la mostra ed altre facevano par- te appoggiando il progetto, alcune non volevano fare mostre, come la Montemaggiori.

Si, sono americana, ma non credo di avere più conoscenze delle altre, anzi, dopo aver ascol- tato Carla Accardi, e Carla Lonzi per anni mi sentivo gratificata a partecipare a conoscenze così profonde. Ero anche molto giovane e molto affascinata dalle due Carla, donne con molte più esperienze di me sia nell'arte che nella vita io ho fatto il femminismo qui anche se a Londra e a NYC andavo e seguivo un po'. Le cose sono andate molto diversamente nei paesi anglo-americani, ma qui sembrava molto più complessa e stimolante.

Io amo le nostre filosofe italiane e non trascuro quelle americane, inglesi, francesi e nessuna, il femminismo essendo un movimento 'planetario' (parole di Carla Lonzi).

Che so io, non ci sono monografici sulla cooperativa. D'altra parte, discorsi sul femminismo, in generale non hanno nessun consenso e poi, in Italia anni fa ho scritto un testo sull'ar- gomento ma non sono una storica d'arte

Veramente, è stata Eva Menzio che ha fatto queste scelte, lei essendo dentro più di tutti noi, col padre Menzio e il marito Luciano Pistoi è lei che ha fatto queste ricerche per quanto ne so io. Non so nulla della Regina e le colleghe rifiutate. Penso siano state scelte per le loro qualità, la Sirani anche.



Non ho conosciuto il marito né Regina è venuto l'erede a montare la mostra con noi. [.]

Conoscevo la Simona Weller e so che c erano delle polemiche ma ora dovrei ritrovare il libro e ricordarmi meglio. Io, personalmente ero in buoni rapporti ma sono tanti anni che non la vedo.



Le parole di Suzanne Santoro ci aiutano a comprendere alcune delle questioni in ballo . La Coo- perativa appare come un raggruppamento sostanzialmente spontaneo e davvero «collettivo», nato per coniugare l'impegno femminista - che molte delle fondatrici avevano già esplicato in Rivolta Femminile - con la professione di artista. È chiaro che la scelta di Regina come prima artista 'sto- rica' dopo la mostra inaugurale dedicata ad Artemisia Gentileschi è un dato molto forte, e di cui non è possibile non tenere conto; tuttavia, sulla base di quanto dice la Santoro, è molto probabile che Regina sia stata scelta proprio per la qualità della sua opera (e magari anche perché in quegli anni Settanta era chiaramente in corso una sua rivalutazione), e non per un suo presunto 'femmi- nismo' ante litteram. D'altra parte, l'episodio della mostra delle 'rifiutate' dalla Permanente (che, lo ricordo, risale a quindici anni prima) non aveva certo fatto storia e doveva anzi essere del tutto sconosciuto ai pi

Come già accennato, la mostra viene recensita su «L'Europeo» da Vanni Scheiwiller , il quale tut- tavia nulla aggiunge a quanto già proposto nella monografia e nel Linguaggio del canarino da lui editi; segnalo solo che - in occasione di questa mostra 'femminista' - Scheiwiller evidenzia che Regina «si firmava col solo nome» (anche se non spiega perché; in ogni caso, si trattava comun- que di un ulteriore buon motivo perché la scultrice potesse essere «rivendicata giustamente dalle femministe»).

Una seconda segnalazione - rapidissima ma per certi versi molto indicativa - esce poi nella già ci- tata edizione de «Il Messaggero» del 2 gennaio 1977, a firma di Maurizio Fagiolo dell'Arco, che de- finisce la scultrice «un intrigante personaggio che negli anni '30 fiancheggia l'avventura dell'astrat- tismo italiano», purtroppo costretta al «destino di tanti artisti tra le due guerre (l'avanguardia nel cassetto)» ma certamente interessante per la sua volontà di proporre un «rappel-à-l'Europe in momenti difficili per qualsiasi forma di intelligenza». Insomma, l'autore qualifica la produzione regi- niana - anche quella degli anni Trenta - come opera di matrice fondamentalmente astratta, e poco sembra interessarlo il fatto che «naturalmente, la partenza era futurista».





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