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L'incubo nel mondo latino




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L'incubo nel mondo latino

Originariamente, secondo il folklore romano, ma già a partire da antiche credenze mitologiche, un "Incubo" (Dal latino "Incubare", che significa "Giacere sopra") era un demone di aspetto maschile, una sorta di genio malefico, che giaceva sui dormienti, solitamente donne, per trasmettere sogni cattivi, comunicando un senso generale di soffocamento, e talvolta per avere rapporti sessuali con esse. È qui dunque già presente la duplice componente dell'incubo: da un lato il suo carattere ignoto e malefico, dall'altro la proiezione sessuale. Era anche associato, come nome secondario, a Fauno, insieme ad altri come "Fatuus", "Fatuclus" ed "Inuus". Le fonti che attribuiscono tale epiteto alla divinità silvestre sono tarde e sporadiche e ne precisano le caratteristiche come manifestazione visiva, notturna ed a sfondo sessuale. Sant'Agostino d'Ippona riporta nel XXXIII capitolo del XV Libro della sua opera, il "De Civitate Dei": "Ed è notizia assai diffusa, e molti confermano d'averlo sperimentato o d'avere udito chi l'aveva sperimentato, che i silvani ed i fauni, i quali comunemente sono denominati "Incubi", spesso sono stati sfacciati con le donne e che hanno bramato e compiuto l'accoppiamento con loro.". L'Incubo sottrae energia alla donna con cui giace per trarne nutrimento, e, nella maggior parte dei casi, uccide la sua vittima o la lascia in pessime condizioni di salute. Questi demoni erano rappresentati aventi in testa un berretto conico, che talvolta perdevano mentre folleggiavano; colui che trovava uno di questi acquistava il potere di scoprire tesori nascosti. Anche lo scrittore latino Petronio Arbitrio riporta notizia nel suo "Satyricon" riguardo a questa caratteristica degli Incubi: infatti, nel capitolo 38 al passo 84, scrive: "Sed quomodo dicunt - ego nihil scio, sed audivi - quom Incuboni pilleum rapuisset, et thesaurum invenit.", "Io non lo so per certo, l'ho solo sentito, ma gira voce che abbia rubato il berretto a Incubo e ci abbia trovato dentro un tesoro.".

La presenza di una figura come l'"Incubus" non è attestata solo nella tradizione romana, ma trova rispondenza in figure analoghe quali l'Efialte in Grecia, l'Alp ed il Mahr nel mondo germanico, l'Alu in quello babilonese, . e molti altri ancora.

L'Alp è una creatura degli incubi d'origini tedesche, che solitamente tormenta i sogni delle donne: secondo le leggende, se si manifesta in maniera fisica, sarebbe molto pericoloso. L'Alp è a volte collegato alla figura del vampiro, ma il suo comportamento lo avvicina di più all'Incubo del mondo romano. Un Alp è solitamente maschio: a volte è presentato come lo spirito di un parente deceduto da poco, altre volte come un vero e proprio demone. Durante il Medioevo era visto apparire sottoforma di alcuni animali, quali il gatto, il maiale, un uccello o altri ancora, ma in tutte le sue manifestazioni portava un cappello. Come spirito, può volare e galoppare ed ha un atteggiamento valoroso, che lo porta raramente ad uccidere. L'Alp, sottoforma di farfalla, entra dalle finestre e si poggia sul dorso del dormiente, succhiando sangue dai capezzoli degli uomini e dei bambini, anche se tende a preferire il latte delle donne. Poiché legato alle paure della mente ed al sonno, l'Alp è virtualmente impossibile da uccidere. Sempre secondo la leggenda, si diventerebbe un Alp quando la madre, nel momento del parto, utilizza delle briglie intorno ai denti per il dolore.

L'Alu è un demone della mitologia assira. Fa parte dei demoni Utukku, vendicativi e malvagi. Il suo nome è la traduzione del sumero "Gallu", che significa "Tempesta", e deriva proprio il suo appellativo dalla tempesta portata dal vento del Sud. Tali demoni erano più temuti della morte stessa e sono descritti come orribili spettri con le sembianze di uomini lebbrosi, talvolta privi di un arto. Sarebbero creature notturne ed androgine che, in maniera affine agli Incubi della mitologia latina, disturbano i sogni delle loro vittime e ne possono provocare la morte mozzando loro il respiro. La figura dell'Alu è spesso ricollegata a quella di Lilith, in quanto Alu sarebbe stato in origine un demone asessuato, che prese poi attributi femminili, per diventare infine un demone maschile. Era descritto come per metà umano e per metà diavolo ed è riconducibile all'ebraico Ailo che, a seconda delle tradizioni, sarebbe una figlia di Lilith o Lilith stessa con uno dei suoi segreti nomi. Inoltre, anche dal nome Gallu deriverebbe, passando attraverso l'ebraico, uno dei nomi segreti di Lilith: Gilu. Altre fonti parlano degli Alu come di esseri per metà umani e per metà animali che circolavano per le strade nascondendosi negli angoli bui o deserti. Alu era anche il nome del toro celestiale creato dal dio Anu per vendicare sua figlia Ishtar, uccisa da Gilgamesh ed Eabani.

L'incubo nel Medioevo

Con l'inizio del Medioevo il sogno divenne, più che un segnale di divina saggezza, l'inquietante terreno in cui operava il demonio con le sue illusorie immagini e le sue maligne provocazioni, poiché era considerato empio che qualcuno potesse decifrare il futuro, noto solo alla Provvidenza divina, affidandosi alle sfuggenti e nebulose immagini notturne. Ma la credenza nel sogno profetico continuò, a livello folklorico, a sopravvivere come mezzo rudimentale di divinazione; era un modo comunque di continuare a dare un valore all'esperienza che ogni uomo vive, inevitabilmente, per tutte le notti della sua vita: infatti (Come scriveva il sofista Sinesio verso la fine dell'epoca antica) "Nessun tiranno, per quanto crudele, può impedire ai suoi sudditi di sognare, a meno che non metta al bando dal so regno il sonno". Gli incubi continuano ad essere presenti nelle leggende medievali, dove la loro figura diventa più malvagia. Durante la caccia alle streghe, l'ammissione di aver avuto rapporti sessuali con un demone o Satana era uno dei peccati per i quali le donne erano uccise. Si riteneva che a volte gli incubi concepissero dei figli con le donne che possedevano; una delle leggende più famose di un tale caso è quella di Mago Merlino, il famoso mago della leggenda di Re Artù.

Curiosità: altre versioni dell'incubo e folklore locale italico

Un succubo all'esterno di una locanda inglese, che suggerisce che vi si potesse trovare un postribolo.

 
Una versione femminile dell'Incubo è chiamata "Succubo". Nelle leggende della Roma antica, ed in seguito in quelle medievali, un "Succubo" o una "Succube", la cui definizione proviene dal termine latino "Succuba" che significa "Amante", era un demone d'aspetto femminile che seduceva gli uomini (Specialmente i monaci) per avere rapporti sessuali con essi. Secondo la leggenda, i Succubi assorbivano l'energia dell'uomo per alimentarsi, spesso portandolo così alla morte. Secondo altre versioni del mito, questi facevano cadere l'uomo nel peccato con le loro tentazioni. Questa superstizione fu anche utilizzata nel Medioevo come spiegazione medica per le eiaculazioni notturne che capitavano ai giovani d'età preadolescenziale. Secondo il "Malleus Maleficarum" ("Il martello delle streghe", un trattato sulla stregoneria di H. Institor Kramer e J. Sprenger, la cui prima edizione è datata 1487 ed alla quale fanno seguito numerose edizioni successive; ebbe l'approvazione ufficiale della facoltà teologica dell'università di Colonia ed assolse a lungo le funzioni di testo giuridico nei processi contro le presunte streghe, ai quali impresse un carattere di spietata repressione), i Succubi raccoglievano il seme degli uomini con cui giacevano e gli Incubi lo usavano per ingravidare le donne che tormentavano: si supponeva che i figli così concepiti fossero più sensibili alle influenze demoniache.

Sembrerebbe che, in alcune regioni dell'Italia, questo mito sia stato modificato, sino a rendere l'Incubo protagonista di molte tradizioni locali, ma anche temuto personaggio notturno, ritenuto attivo ancora oggi. Ovviamente diversi nomi gli sono stati attribuiti e la sua stessa natura di demone spesso è modificata. Come in Sardegna, dove, in tempi non troppo remoti, i pastori sostenevano l'esistenza di creature notturne capaci di disturbare i dormienti, provocando inevitabilmente sogni angosciosi. A volte, secondo queste credenze, queste creature assumono l'aspetto di esseri muniti d'artigli, quindi facilmente collegabili come aspetto a lupi o a cani di proporzioni gigantesche, come l'Ammuntadore sardo, il quale è spesso raffigurato in modi differenti e spesso discordi tra loro. Altre volte, però, assumono l'aspetto di folletti, il cui unico scopo è custodire tesori e disturbare coloro che dormono (Generalmente sedendosi sul loro petto, impedendo così una respirazione regolare) che, dopo essersi dimostrati pazienti nei loro riguardi, possono entrare in possesso d'immense ricchezze. L'Ammuntadore (O "Ammutadori", dal sardo "Ammuntare", vale a dire "Assalire attraverso incubi") è una creatura della mitologia sarda che attaccherebbe le persone nel sonno, attraverso, appunto, incubi. Per alcuni versi, questa figura non sembrerebbe altro che un'interpretazione dell'Incubo dei Romani. Per alcuni studiosi, tale credenza ebbe origine dopo il 241 a. C., ovvero dopo la conquista della Sardegna da parte dei Romani a seguito della vittoria riportata sui Cartaginesi, ma per altri l'isola avrebbe sviluppato queste superstizioni già molto prima. Ancora oggi è possibile ascoltare dagli anziani qualche racconto riguardo questa mitica creatura, sebbene molte testimonianze comincino a mancare e queste credenze inizino ad abbandonare l'interesse delle nuove generazioni. L'Ammuntadore ha perso col tempo il suo carattere di spirito notturno, assumendone uno più "Cristiano" poiché è comunemente associato a Satana. Esisterebbero anche formule e preghiere per scacciarlo. Dai sintomi riferiti dalla gente che sarebbe stata visitata da questo spirito, si direbbe che rappresenti le creature della notte chiamate Incubi, o nella loro versione femminile di Succubi: i sintomi provocati dagli Incubi sono una forte pressione sul petto e visioni macabre e spaventose, mentre nel caso della Succube appare una donna irresistibile che, mentre si hanno contatti sessuali con essa, si mette sopra la sua vittima e diventa sempre più grossa e pesante, provocando la morte della vittima per soffocamento. Dalle testimonianze, l'Ammuntadore e gli Incubi risultano essere molto simili, quindi si tratta probabilmente dello stesso demone con un nome diverso. Davvero tante sono le persone che dicono d'essere state sue vittime. Secondo quanto dicono le varie testimonianze, dovrebbe trattarsi di un essere che non possiede una vera e propria forma, poiché questa cambia a seconda della vittima, e porta un senso di soffocamento e di disperazione che spesso arrivano a svegliare il dormiente. Una volta svegli ci si troverebbe davanti ad uno spettacolo davvero macabro: alcuni sostengono d'aver visto l'Ammutadori sotto forma di strega, di scheletro, di nuvole di vapore o di persone il cui volto non era ben visibile o insanguinato. Durante questo periodo di tempo, solitamente breve, non si può muovere alcun muscolo, e se si prova ad urlare non ci si riesce. Alcuni sostengono d'aver provato anche forti dolori al petto, come se qualcosa si trovasse su di esso e li obbligasse a rimanere come paralizzati. Ovviamente, molti sono gli scettici e spesso si trovano teorie capaci di ridurre questo genere d'apparizioni definendole semplicemente come normali incubi notturni. Si deve, infatti, riconoscere che l'aspetto che si attribuisce all'Ammutadori è generalmente collegato alla morte (Tranne per alcuni casi) e quindi ciò potrebbe semplicemente essere dovuto al timore di chi sogna nei confronti di questa. Una teoria legata allo stato di paralisi che si prova durante il presunto attacco dell'Ammutadori riporta al passaggio tra la veglia è il sonno, o viceversa: in questa fase particolare, il corpo si trova addormentato mentre la mente risulta essere cosciente. È possibile trovare molta documentazione relativa a queste sensazioni quando si affronta l'argomento dei sogni lucidi e dei viaggi astrali. Chi ha provato l'esperienza di un OBE ("Out of Body Experience", vale a dire "Esperienze extracorporee"), ha sperimentato la paralisi notturna con un contorno di sensazioni associate ad essa che vanno dal percepire la presenza di una o più persone nella stanza, al vedere oggetti estranei o esseri mostruosi, all'udire suoni più o meno intensi, al sentirsi chiamare per nome, fino all'udire musiche, scampanio o forte ronzio. Sono presenti altre teorie, più o meno simili, mentre c'è chi si è arreso a quello che tuttavia riconosce semplicemente come l'ennesimo mistero della mente umana, riconoscendosi, però, distintamente contro chi identifica questa come una creatura realmente vivente.

Due incubi nella letteratura antica greca e latina: le "Argonautiche" di Apollonio Rodio e "Le metamorfosi" di Apuleio

Vediamo ora due racconti d'incubi presenti nella letteratura classica: il primo si discosta dalla dimensione mitico - fantastica per avvicinarsi di più alle moderne teorie psicoanalitiche, mentre il secondo è ancora legato alla concezione mitico - profetica dell'incubo.


"Adagiata sul letto, la fanciulla alleviava le sue pene con un sonno profondo. Ma ben presto l'angoscia le inviò sogni terribili, portatori d'inganno e turbamento. Le pareva che non per il desiderio di conquistare il vello del montone lo straniero avesse accettato la prova, che non a questo fine avesse raggiunto la città di Eeta, ma per condurre lei nella sua casa come sposa legittima; le sembrava di lottare lei stessa contro i tori e di domarli con facilità, ma i suoi genitori calpestavano la promessa col pretesto che non a lei, ma a Giasone in persona avevano dato l'ordine d'aggiogare i tori. Ne scaturiva una contesa insanabile tra suo padre e gli stranieri, e alla fine le due parti lasciavano a lei il giudizio: sarebbe stato come voleva il suo cuore, e lei subito sceglieva lo straniero, senza curarsi dei genitori. Questi, presi da un dolore violento, lanciarono un urlo di collera: a quel grido Medea si svegliò. Diede un balzo, palpitante di paura, e guardò tutt'intorno i muri della stanza; poi raccolse a fatica il respiro nel petto, e riavutasi disse ad alta voce: "Povera me, che orribili sogni m'hanno sconvolta! [.]" "


Medea, con la sua travolgente passione per Giasone, è l'indiscussa protagonista di tutto il terzo libro. Il primo incontro tra i due avviene all'interno della reggia di Eeta, padre di Medea, nella Colchide. La giovane rimane profondamente colpita e turbata dalla visione dello straniero, ed è in questa situazione psicologica che si inserisce il sogno angoscioso in questione. Apollonio definisce le visioni di cui è preda Medea come , vale a dire "Sogni terribili / funesti", e , "Sogni ingannatori", tipici di chi è in preda all'angoscia (). Medea si raffigura Giasone, intento a superare le prove impostegli da Eeta per potersi impadronire del mitico vello d'oro; ma in un secondo tempo, con un processo che anche Freud riconosce come tipico e comune a molti sogni, Medea immagina d'essere lei stessa a dover affrontare le difficili prove. Si trova così a lottare con i tori; ma, una volta sconfitti, una prova ben più ardua le si prospetta: dover scegliere tra lo straniero ed i suoi genitori. Senza esitazione, decide di seguire Giasone causando un immenso dolore ai suoi genitori che esplodono in grida furenti. Sono proprio queste urla a richiamare Medea dal sonno che, ancora ansante e piena di paura (), si mette a sedere sul letto, gemendo per il terribile incubo (). Due sono gli aspetti interessanti di quest'incubo. Il primo riguarda la concezione freudiana di sogno come "Realizzazione allucinatoria del desiderio", di cui Apollonio sembra avere già sentore, come si desume dal verso 630: Medea preferisce lo straniero ai genitori, ma il suo animo è fortemente combattuto, ed è questo che genera angoscia. Il secondo particolare è la duplice componente amore - morte, tipica dell'incubo secondo Freud, e che qui ritroviamo ben espressa.


Il secondo passo è tratto dai paragrafi otto e nove dell'ottavo capitolo de "Le metamorfosi" di Apuleio:

"[8] . umbra illa misere trucidati Tlepolemi sanie cruentam et pallore deformem attollens faciem quietem pudicam interpellat uxoris: "Mi coniux, quod tibi prorsus ab alio dici iam licebit: etsi in pectore tuo non permanet nostri memoria vel acerbae mortis meae casus foedus caritatis intercidit - quovis alio felicius maritare, modo ne in Thrasylli manum sacrilegam conveniam neve sermonem conferas nec mensam accumbas nec toro adquiescas. Fuge mei percussoris cruentam dexteram. Noli parricidio nuptias auspicari. Vulnera illa, quorum sanguinem tuae lacrimae perluerunt, non sunt tota dentium vulnera: lancea mali Thrasylli me tibi fecit alienum" et addidit cetera omnemque scaenam sceleris inluminavit. [9] At illa, ut primum maesta quieverat, toro faciem impressa, etiamnunc dormiens, lacrimis emanantibus genas cohumidat et velut quodam tormento inquieta quiete excussa luctu redintegrato prolixum heiulat discissaque interula decora brachia saevientibus palmulis converberat. Nec tamen cum quoquam participatis nocturnis imaginibus, sed indicio facinoris prorsus dissimulato, et nequissimum percussorem punire et aerumnabili vitate sese subtrahere tacita decernit. ."


"[8] . l'ombra dell'assassinato Tlepolemo con un volto tutto sporco di sangue e sfigurato dal pallore si presentò durante il sonno alla casta sposa e: "O moglie mia - le disse - (E nessun altro possa mai chiamarti così!) se non ti dura ancora nel cuore il mio ricordo, o se la tragedia della mia orribile morte ha ormai distrutto il patto del nostro amore, maritati pure con chi vuoi purché non sia Trasillo. Non metterti nelle sue sacrileghe mani, non rivolgergli mai la parola, non sederti mai alla sua mensa, non accettar mai il suo letto. Fuggi la mano sanguinosa del mio assassino; non porre le tue nozze sotto il sinistro augurio di un così infame omicidio. Le sanguinanti ferite che tu lavasti col tuo pianto non furon tutte dei denti del cinghiale; la lancia del perfido Trasillo mi separò da te". Ed altro ancora aggiunse e rischiarò così tutta la scena del delitto. [9] Carite s'era addormentata piena di tristezza con la faccia posata sul guanciale, e anche dormendo le sgorgavano le lacrime bagnandole le guance; sicché, ridesta dal quel sonno agitato come da un incubo, rinnovò il pianto ed i lunghi lamenti, si stracciò la veste e si percosse fieramente con le palme le belle braccia. Tuttavia non parlò con nessuno di quella visione notturna, ma dissimulando la rivelazione che aveva ricevuto del delitto, decise dentro di sé di punire l'infame assassino e poi di sottrarsi a una vita così piena di dolori. ."


Protagonista è ancora una giovane donna, Carite, ed ancora una volta l'incubo vede intrecciarsi al suo interno le due grandi tematiche di Amore e Morte. Tlepolemo, il marito della giovane, è morto da poco in seguito all'assalto di un cinghiale durante una battuta di caccia. Questi, però, appare in sogno alla moglie, con il volto coperto di sangue ("Sanie cruentam") e sfigurato dal pallore ("Pallore deformem"). Si rivolge a lei con parole affettuose ("Mi coniux") e le rivela una terribile verità: non è stato un cinghiale ad ucciderlo ("Non sunt tota dentium vulnera: lancea mali Trasylli me tibi fecit alienum"), ma il malvagio Trasillo, spasimante di Carite, deciso a prendere in sposa la giovane vedova. Carite si sveglia sconvolta, ma decisa a sventare il piano dell'assassino di suo marito. In questo caso, l'incubo ha la funzione di "Rivelatore", vale a dire portatore di una verità nascosta. Questa sua caratteristica gli è già stata attribuita da Artemidoro ed è ripresa anche nell'episodio shakespeariano dell'apparizione ad Amleto del fantasma del padre¹, anch'egli rivelatore del suo vero assassino.


Sempre nell'opera d'Apuleio troviamo un altro esempio di incubo, precisamente nel ventisettesimo paragrafo del IV Libro. Protagonista è ancora una volta la giovane Carite che, essendo stata rapita da alcuni briganti, fa un sogno angoscioso nel quale rivive il momento del suo rapimento, ma con tratti ancora più tragici. La ragazza, dopo essersi svegliata, racconta il sogno alla vecchia sua carceriera: questa tenta di tranquillizzarla e, proprio al fine di ciò, le dice cosa afferma la tradizione popolare a proposito dei sogni. Il volerla rasserenare sarà preso anche a pretesto per raccontare la favola di Amore e Psiche. Questa scena è cronologicamente antecedente a quella analizzata precedentemente:

" [27] Sed ecce saevissimo somnio mihi nunc etiam redintegratur immo vero cumulatur infortunium meum; nam visa sum mihi de domo de thalamo de cubiculo de toro denique ipso violenter extracta per solitudines avias infortunatissimi mariti nomen invocare, eumque, ut primum meis amplexibus viduatus est, adhuc ungentis madidum coronis floridum consequi vestigio me pedibus fugientem alienis. Utque clamore percito formonsae raptum uxoris conquerens populi testatur auxilium, quidam de latronibus importunae persecutionis indignatione permotus saxo grandi pro pedibus adrepto misellum iuvenem maritum meum percussum interemit. Talis aspectus atrocitate perterrita somno funesto pavens excussa sum." Tunc fletibus eius adsuspirans anus sic incipit: "Bono animo esto, mi erilis, nec vanis somniorum figmentis terreare. Nam praeter quod diurnae quietis imagines falsae perhibentur, tunc etiam nocturnae visiones contrarios eventus nonnumquam pronuntiant. Denique flere et vapulare et nonnumquam iugulari lucrosum prosperumque proventum nuntiant, contra ridere et mellitis dulciolis ventrem saginare vel in voluptatem veneriam convenire tristitie animi languore corporis damnisque ceteris vexatum iri praedicabunt. ."


" [27] Ma il sogno che ho fatto or ora rinnova e porta e porta anzi al colmo la mia sventura. Perché mi pareva di essere di nuovo rapita con grande violenza dalla mia casa, dal mio appartamento, dalla mia camera, dal mio stesso letto, e d'essere trascinata via per solitudini inaccessibili gridando a gran voce il nome di mio marito. E che lui, vedendosi così diviso dalle mie braccia, ancora tutto profumato ed incoronato di fiori si mettesse a seguire le mie tracce mentre fuggivo ma su piedi non miei. Mio marito urlava a perdifiato che gli avevan rapita la sua bella e cara moglie, e gridava alla gente "Aiuto! Aiuto!"; ma allora uno dei briganti, arrabbiato per quell'importuno inseguimento, raccolto ai suoi piedi un grosso sasso, lo scagliava contro di lui, poverino, e l'uccideva. Spaventata dall'atrocità di tale visione tutta tremante mi son destata a un tratto da quel sonno funesto.

La vecchia allora mentre la fanciulla seguitava a piangere così le disse sospirando:

- Fatti coraggio, padroncina, e non aver paura delle vane apparizioni dei sogni. Anzitutto dicono che quanto si sogna quando si dorme durante il giorno non è vero; e poi anche quel che si sogna di notte qualche volta annunzia tutto il contrario. Per esempio il piangere, l'esser bastonato, e qualche volta anche l'essere assassinato annunziano fortuna e quattrini; mentre il ridere, il fare delle scorpacciate di dolci, o anche i piaceri dell'amore predicono che si sarà afflitti da dispiaceri, malattie e tant'altri simili malanni. ."


Note

¹ = "Amleto" di William Shakespeare; Atto Primo, Scena Quinta


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