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L'ARTE DEI GIOVANI E PER I GIOVANI
'Mi è sempre più chiaro che l'arte non è un'attività elitaria
riservata all'apprezzamento di pochi:
l'arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare'
Keith Haring
Negli anni '50 e '60
i giovani fanno il loro ingresso nella società non solo attraverso la
letteratura (come abbiamo visto con
I giovani nati sotto la stella del consumismo, si trovarono catapultati nella vita metropolitana. Essi erano cresciuti avendo come unico orizzonte muri e palizzate pronti ad ospitare il richiamo della pubblicità; il loro nuovo habitat era ormai dato dalla dimensione underground, in cui scorrono a tutte le ore i vagoni della metropolitana.
Accettata una simile realtà, questi giovani scoprivano, tuttavia, che in essa le parti non erano distribuite nei modi giusti. C'era troppa discriminazione nelle possibilità di accedere a quei piaceri offerti dal consumismo. I "vecchi", la società repressiva dei padri-padroni, vi deteneva troppe leve del potere e c'era anche una separazione troppo stridente tra le classi inserite in quel processo dispregiativo e le altre, gli emarginati.
Quella classe di adulti, di zelanti cultori dell'efficienza, dell'etica del successo negli affari, pretendeva che il mondo delle macchine, in cui si riconosceva e in cui riponeva il proprio orgoglio, fosse improntato al decoro, alla pulizia e all'igiene: per avere successo bisogna reprimere le proprie pulsioni alla gioia, allo sbocco di una sensualità esuberante. Il principio del piacere, della libido, dell'eros va soppresso a vantaggio di una realtà sempre più esigente.
Ecco allora scatenarsi la protesta degli strati psichici del sottosuolo, che in quel caso trovava, non solo metaforicamente, il luogo più adatto di espressione nel sottosuolo delle metropoli. I luoghi neutri e azzeranti, adibiti alla pura funzione di trasporto, quali erano i vagoni della metropolitana, sono i primi ad essere attaccati. Emerge il bisogno che quei non-luoghi ridiventino confortevoli, che ogni viaggiatore si senta a suo agio.
Questi giovani, "nuovi primitivi" di una società tecnologica, rifanno il look esterno dei vagoni, ma non si arrestano certo a quella soglia, penetrano anche all'interno delle vetture, ne aggrediscono le pareti, vi tracciano ghirigori, trasformandole in preziosi scrigni colmi di suggestione, in bomboniere. Iconismo e aniconismo diventano le due facce di un sistema unico: si scopre che è bello, piacevole, gratificante, tracciare enormi lettere dell'alfabeto, purché queste rinuncino alla nuda funzionalità che hanno assunto lungo i secoli dell'età moderna.
Questo graffitiamo chiamato a decorare non più le rozze pareti di una grotta, come il graffitiamo preistorico, ma delle lamiere realizzate con tecnologie sofisticate, deve avvalersi di vernici industriali, racchiuse in bombolette spray.
Questa enorme attività di cosmesi degli spazi pubblici è svolta da una folla di giovani appartenenti ad uno strato semiculturale. Anonimi esecutori di una sorta di "murale" collettivo, molti protagonisti della Graffiti Art preferivano rinunciare ai loro nomi e cognomi per assumerne altri simili a bandiere di combattimento: A-One, C-One, Toxic-One, Craze. Essi sentivano di militare in bande pronte alle battaglie urbane per rivendicare la dignità dei diseredati. Gareggiando con le bombolette spray, si impegnavano per il ripristino dei valori, altrimenti soppressi, dell'"immaginazione al potere".
Accanto a questi "fiori di fango" c'erano i giovani istruiti, artisti colti pronti ad abbeverarsi a questa fonte di creatività di massa, traendone validi spunti verso la definizione di un proprio stile personale e riconoscibile. È questo il caso di Keith Haring.
KEITH HARING
Keith Haring (1958-1990) comprende fin dai suoi primi studi il potenziale espressivo insito nel graffitismo. Dagli albori del suo percorso è sulle tracce di quei "graffitisti ad honorem" che avevano cercato di rinnovare un patto di alleanza con le impostazioni "primitive" o comunque "non acculturate": Picasso, Matisse, Klee, Dubuffet, Pollock.
Ben presto New York, la grande mela, esercita su di lui un'attrazione magnetica a cui egli non sa resistere. Lì ha la possibilità di incontrare le bande anonime di graffitisti, comprendendo tutto l'utile che ne può trarre.
Alle soglie degli anni '80, il punto di partenza della sua carriera sono i fumetti, soprattutto i personaggi di Walt Disney. Egli sembra porsi il compito di "ripassarli" con l'aiuto di uno scanner per rendere le immagini ancora più scarne: non più immagini, in sostanza, ma tracciati schematici, volutamente poveri, così da ritrovare gli ideogrammi di tante culture tribali: l'idea prende corpo e il corpo fenomenico si solleva allo stato di idea. La sua cifra stilistica è rappresentata dalla linea, ridotta all'essenziale da un punto di vista formale, ma in grado di dispiegarsi in modi sempre nuovi; è sempre una linea continua, che sembra guidata dal principio della casualità: la linea si fa contorno, figura e infine simbolo.
Haring non solo è capace di cogliere le generalità più schematiche e riduttive delle icone, ma opera gli opportuni accorgimenti per svuotarle dell'interno e far perdere loro consistenza. I profili di corpi interi non esitano a mostrarsi privi di ogni spessore, lasciando che all'interno dei loro perimetri si aprano ampi occhielli, facendo apparire che dietro quelle pseudodichiarazioni di esistenza c'è il nulla, il vuoto, che insomma si tratta di fantasmi inconsistenti facilmente trapassabili. Le figure di Haring dimostrano di essere largamente sovrapponibili o incrociabili tra loro; ciascuna di esse passa agevolmente attraverso l'apertura ombelicale che si apre nell'altra. All'interno delle sagome non c'è materia o sostanza, ma un insieme di frammenti grafici: i maxi-profili sono superati, quasi cancellati, attraverso la moltiplicazione e la ridondanza dei motivi grafici, volti ad inseguire il piacere della decorazione allo stato puro.
Oltre alla componente grafica, anche quella cromatica, secondo la parsimonia tipica delle arti primitive, viene ridotta ai minimi termini: bastano due o tre colori chiave, il più possibile puri ed essenziali. Su uno sfondo monocromatico si stagliano campi di coloro brillanti; il rosso, il blu e il giallo diventano la paletta cromatica preferita dall'artista. Le sue scelte in campo coloristico saranno sempre improntate a scarse combinazioni, mentre risulta comunque esclusa l'eventualità di ricorrere a tinte mescolate.
Queste caratteristiche grafiche e cromatiche predispongono gli interventi di Haring a uno sviluppo ipertrofico, nella stessa misura in cui non tardano a saltare tutte le pretese di inquadramento e di contenimento: i suoi tracciati si espandono liberamente, gioiosamente. L'arte di Haring è soggetta ad un'espansione illimitata: la sua furia è incontenibile e si abbatte su qualsivoglia oggetto (muri, capi di abbigliamento, automobili, teloni in vinile). Il graffitismo non ammette limiti, lo anima una forza intrinseca che, se si ferma, lo fa solo perché incontra un ostacolo. Haring, dunque, non tarda a liberarsi da ogni riquadro riduttivo e a prolungare quanto più possibile i suoi intrecci grafici.
Grazie alla sua creatività personale, Haring viene consacrato eroe di un'intera classe di giovani, agli occhi dei quali incarnava l'America degli anni Ottanta. I suoi dipinti e i suoi disegni danno voce a questa generazione, diventando una componente imprescindibile della cultura che simboleggiano.
Da un punto di vista contenutistico, egli attinge a piene mani a un repertorio che tematizzava, in modo estremamente esplicito, l'amore, la felicità, la gioia, il sesso, ma anche la violenza, l'abuso, l'oppressione. Molte sono le opere di grande impatto che Haring realizza, ma qui ne citeremo solo alcune.
Le centrali nucleari sono un tema all'ordine del giorno per la sua generazione e Haring si dimostra perfettamente consapevole della realtà controversa in cui vive. Oppositore del nucleare, egli partecipa a numerose manifestazioni e disegna slogan contro l'energia atomica. Gli orrori di questa era sono raccontati in un dipinto untitled, realizzato nel 1982 su un telone vinilico. In bianco sul fondo nero, il bambino carponi al centro di uno scenario nucleare simboleggia la vita sacrificata alla distruzione; marcate croci rosse, intese come contrassegni negativi, sono distribuite sull'intera superficie pittorica. L'essenzialità dei mezzi impiegati potenzia l'impatto del messaggio.
Altre opere sono, invece, dedicate alle ripercussioni negative del progresso tecnologico: scenari grotteschi in cui a dominare sono mostri ingordi e robot muniti di corna, mentre gli uomini vengono trasformati in esseri senza testa, quindi remissivi e malleabili. Altrove il predominio della tecnologia si incarna in un millepiedi con un computer al posto della testa: con l'avvento della tecnica le macchine sostituiscono l'uomo come essere pensante.
Coinvolto in prima persona, Haring partecipa con pitture murali e poster alle campagne contro l'abuso di sostanze stupefacenti. Su un ampio muro, nei pressi di un'autostrada, dipinge un murale in arancio vivo che recala scritta ben leggibile Crack down.
Quando alla metà degli anni '80 la minaccia dell'AIDS si affaccia prepotentemente nella coscienza pubblica e il sesso non è ormai più sicuro, Haring realizza molte opere dedicate a questo tema e che svolgono una funzione deterrente allo scopo di salvare altre vite. Memorabile e particolarmente efficace in questo senso è la tela intitolata AIDS del 1985. La parte centrale dell'opera è occupata dalla testa di una creatura mostruosa foriera di morte, con il marchio nefasto di una croce rossa sul corpo, che soddisfa i molteplici desideri sessuali delle proprie vittime, ghermendole, avvinghiandole, offrendosi loro fino a condurle alla morte. Due figure, con gli occhi contrassegnati da una croce, sono appese per i genitali a testa in giù e dalla lingua che pende si capisce che una è priva di vita. La parte superiore della composizione è delimitata da teschi alati.
Come già accennato, Haring si sofferma anche su tematiche che ritraggono l'aspetto più gioioso della sua generazione.
Il simbolo dell'America è per Haring incarnato da Andy Wharol. In suo onore l'artista crea il personaggio di Andy mouse, un ritratto di Topolino che, munito di parrucca e occhiali da sole, presenta i tratti inconfondibili di Andy Wharol. Questi viene preso per mano dal vero Topolino e accolto con entusiasmo dalla massa, chiaramente rievocata dai colori blu, rosso e bianco della bandiera americana.
La musica e la danza, inoltre, rappresentano uno stimolo creativo fondamentale per Keith Haring. Molti suoi dipinti rispecchiano lo spirito dell'hip-hop, della break dance e dell'electric-boogie. Emblematica in questo senso è la tela untiled del 1983: i gesti del personaggio, che si muove in una sorta di estasi, sono la diretta conseguenza della trasposizione dell'electric-boogie nella pittura. Qui la figura, di solito abbozzata attraverso linee sinuose, è disegnata con tratti frastagliati; i segni che di solito indicano il movimento appaiono come lampi, a sottolineare ulteriormente il tema dell'elettricità. Inoltre le figure di Haring, catturate dal movimento ritmico e impegnate in acrobatiche contorsioni, sembrano dimenarsi a tempo di musica.
Questa furia, iconica e aniconica allo stesso tempo, si prolunga per un decennio di straordinaria creatività, un lasso di tempo in cui Haring riesce a fare di sé un voyeur della società americana, all'interno della quale svolge un ruolo di mediatore: ispirandosi alla vita quotidiana, la rielabora fino a conferirle lo status di affermazione artistica.
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