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Il tardo manierismo in italia




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IL TARDO MANIERISMO IN ITALIA


OSSERVA E DESCRIVI


1.JACOPO TINTORETTO, 1565, CROCIFISSIONE, VENEZIA

In tal modo il complesso e dinamico sistema spaziale dell'immensa Crocefissione viene costruito sovrapponendo due composizioni: l'una convergente all'orizzonte, l'altra in senso opposto verso lo spettatore. Il loro fulcro è il Cristo crocefisso, dalla cui croce si dipartono fasci di luce a ventaglio che frantumano ulteriormente lo spazio della rappresentazione. Tintoretto in San Rocco non fa ricorso a costruzioni di natura intellettuale, volte a illustrare complessi contenuti dottrinali; lo stile si pone al servizio di uno scopo più semplice, presentare ai fedeli la storia della Redenzione. Quest'ultima diventa, come miracolo perenne, immediatamente accessibile nella sua essenza, grazie a una struttura espressiva che coinvolge lo spettatore sotto il profilo emozionale. Interpretando così gli autentici sentimenti della devozione popolare, Tintoretto si pone all'avanguardia nel processo di rinnovamento dell'iconografia sacra, sentito ormai come necessario nel clima religioso post-tridentino.



2.PAOLO VERONESE, 1573, CONVITO IN CASA LEVI, VENEZIA

La convergenza della pittura di Veronese con gli ideali e il mondo dell'elegante aristocrazia veneta di quello scorcio di secolo, può essere individuata come una costante del suo percorso artistico: una carriera improntata a un'assoluta coerenza nella soluzione dei vari temi iconografici, fossero quelli di natura profana - quali, per esempio, scene mitologiche e allegoriche - oppure soggetti di carattere religioso.

È quest'ultimo il caso delle famose cene degli anni sessanta. Esse traggono spunto da episodi evangelici, ma vengono trasformate dall'artista in fastose e spettacolari rappresentazioni delle occasioni d'intrattenimento della nobiltà veneziana. Veronese infatti le ambienta in scenari di grande suggestione, strettamente connessi, per quanto riguarda le presenze di carattere architettonico, agli esempi di Palladio, di Sanmicheli e di Sansovino e collegati, per quanto riguarda l'effetto scenografico, alle tecniche delle rappresentazioni teatrali.

Questa libera e laica interpretazione dei temi religiosi causò l'intervento censorio dell'Inquisizione, culminato nel processo a carico dell'artista per la sconveniente redazione dell'Ultima Cena che egli aveva eseguito per il convento veneziano dei Santi Giovanni e Paolo.

Il Veronese decise successivamente di mutare il titolo dell'opera in Convito in casa di Levi, aggirando così l'obbligo di modificare il dipinto. Con questo espediente, che gli era stato imposto, il soggetto del quadro finiva per adattarsi meglio al clima profano caro all'artista. L'episodio non influì negativamente sulla carriera del Veronese, che anzi, negli ultimi decenni della sua attività, ottenne altri prestigiosi incarichi da parte della Serenissima; tra questi figura la celebre decorazione della sala del collegio in Palazzo ducale (1575-1577).

In questo ciclo di carattere allegorico-celebrativo egli riconfermò la propria autorità nel campo della grande decorazione di soffitti (ambito in cui l'artista, insieme a Tintoretto, fu considerato in area veneta l'innovatore per eccellenza), riuscendo a superare la divisione in comparti, creata dal reticolo delle cornici dorate, grazie alla fusione dello spazio dei singoli riquadri in una visione unitaria.



3.FEDERICO BAROCCI, 1575-79 MADONNA DEL POPOLO, FIRENZE

Malgrado la complicata disposizione per contrapposti, ritroviamo nel dipinto un colore soffice e chiaro, una morbida stesura delle superfici, una spaziosità quasi tangibile ed ariosa, elementi che conferiscono grazia nonché eleganza anche ad una composizione così vasta.



4.GIORGIO VASARI, 1560-85, PALAZZO DEGLI UFFIZI, FIRENZE

Nel 1560 Cosimo I promosse la costruzione degli Uffizi, quale sede delle magistrature del governo fiorentino.

L'intento del granduca era quello di affiancare al vecchio Palazzo della Signoria una nuova sede governativa, consona al ruolo rivestito da Firenze dopo la conquista di Siena.

I lavori furono affidati a Giorgio Vasari, che creò una grandiosa struttura su di una stretta striscia di terra, con un lungo piazzale affiancato da due corpi paralleli, aperti al piano terreno da un elegante porticato in stile tuscanico, e al primo piano da un'ariosa galleria. Il complesso si ispira alla sala di lettura della Biblioteca Laurenziana di Michelangelo, ma invece della drammaticità michelangiolesca, qui le strutture architettoniche aggettanti o rientranti sono pacate, e il concatenamento si allenta, diluendosi nella ripetizione continua dei motivi. La monotonia viene però superata Vasari, che alleggerisce l'edificio per la presenza in basso del porticato e in alto di una loggia (oggi chiusa da vetrate) e per le aperture ai lati estremi, una verso Piazza della Signoria, l'altra verso l'Arno.

Nel 1581, a costruzione ultimata, il granduca Francesco I de' Medici decise di collocare nel palazzo le collezioni artistiche di famiglia che, dieci anni più tardi, divennero visitabili su richiesta.

Nel corso del tempo le collezioni si sono arricchite di nuove opere d'arte e di pezzi archeologici.

Alla metà del Novecento le sale del museo, ristrutturate da architetti di fama, quali Scarpa, Michelucci e Gardella, sono state allestite seguendo un ordinamento cronologico che affianca dipinti contemporanei provenienti da aree geografiche diverse, ricostruendo a pieno lo spirito di un determinato periodo artistico.



5. BARTOLOMEO AMMANNATI, 1567-69, PONTE A SANTA TRINITà, FIRENZE

Il ponte, già costruito nel 1252, crollò a causa di una piena dell'Arno nel 1558. La ricostruzione venne affidata all'Ammannati dopo un tentativo di indurre Michelangelo a compiere l'opera. Per questo motivo e per la bellezza dell'opera, c'è che ritiene che Ammannati abbia in realtà ripreso un progetto del ponte già elaborato da Michelangelo (progetto in cui però, non si riscontra la drammaticità tipica dell'autore). Fu nuovamente distrutto dai tedeschi nel 1944, durante una ritirata, e poi ricostruito seguendo il progetto originale, recuperando le pietre cadute nel fiume e riaprendo appositamente la cava di pietre da cui era stato originalmente prelevato il materiale roccioso.



6. GIAMBOLOGNA, 1580-83, IL RATTO DELLA SABINA

Un uomo giovane e vigoroso solleva con impeto una donna, che sembra volergli resistere.

Ella infatti ha le braccia aperte, la testa rovesciata e le labbra dischiuse, quasi cercasse ed invocasse aiuto. Accovacciato tra le gambe salde del giovane, compare un uomo barbuto e dalla folta capigliatura, che si copre gli occhi con una mano. Questo celebre marmo del Giambologna, fu collocato sotto la Loggia dei Lanzi con il titolo Ratto della sabina il 4 gennaio del 1583.

Come riferisce lo scrittore Raffaello Borghini nel suo componimento Il Riposo, la scultura rappresenta in realtà le tre età dell'uomo. In particolare, la figura accovacciata allude alla "manchevole vecchiezza"; l'uomo in piedi alla "gioventù robusta"; infine la donna alla "delicatezza femminile".

In seguito, fu lo stesso Borghini a suggerire il titolo con cui l'opera è ancora oggi universalmente nota.

I molteplici e suggestivi punti di vista cui si presta la composizione serpentinata, evidentemente ispirata a Michelangelo, suggeriscono che la scultura avesse in origine una diversa destinazione. Essa potrebbe essere, verosimilmente, il parco della villa medicea di Pratolino, alla decorazione del quale Giambologna stava lavorando appunto in quegli anni.



7. BARTOLOMEO AMMANNATI, 1563-77, FONTE IN PIAZZA FIRENZE

Nella linea di Michelangelo si muoveva Bartolomeo Ammannati, anch'egli impegnato in piazza della Signoria con la fontana del Nettuno. L'epiteto popolare di "Biancone" sottolinea bene il disprezzo dei fiorentini per la greve sterilità del gigantismo della figura principale, in marmo. La fecondità dell'insegnamento michelangiolesco si avverte assai meglio nelle figure bronzee - ninfe e satiri - che ornano la vasca. Anche in esse, però, come per Bandinelli, l'energia si riassorbe in una forma elegante e artificiosa in assenza di moto reale, secondo il nuovo ideale di bellezza manieristica.






PER RIASSUMERE


1. Alcuni fra i principali autori del tardo manierismo sono: Giorgio Vasari, il Bronzino, Braccio Bandinelli, Bartolomeo Ammannati, il tribolo, Bernardo Buontalenti, Benvenuto Cellini, Giambologna.

La Saliera di Francesco Primo

Questa famosa saliera in oro, smalti e pietre preziose venne iniziata da Cellini per Ippolito d'Este, e terminata poi per la reggia di Francesco I di Francia. Lo stile raffinato, prezioso, di quest'oggetto d'uso quotidiano lavorato come una scultura monumentale, risponde al gusto manierista per tutto ciò che è bizzarro ed eccentrico. In questo periodo la cura del particolare si estende alla produzione di arredi, mobili, suppellettili: gli oggetti, come tutto ciò che fa parte della vita, devono partecipare all'armonia e alla bellezza universali. La funzionalità viene spesso sacrificata all'ideale estetico dello sfarzo.

Le figure principali del Mare e della Terra, dai corpi slanciati e dalla posa languida, hanno le gambe intrecciate: il sale è infatti il prodotto della loro azione comune, che, attraverso la saliera, può diventare argomento di amabile conversazione durante la cena. L'oggetto da conversazione è un genere artistico che si sviluppa in questo periodo, e la saliera di Cellini è uno degli esempi più riusciti. Il Mare è rappresentato dal dio Nettuno, seduto su una conchiglia come su un carro trionfale tirato da quattro animali fantastici, per metà cavalli e per metà pesci. Nella mano destra regge il tridente, e appoggia il braccio sinistro su una barca "ricchissimamente lavorata" (inserita nell'oggetto come contenitore per il sale) e decorata da "battagliette di mostri marini minutamente e diligentissimamente fatte". Di fronte a Nettuno, Cellini pone la figura femminile della Terra, dedicando molta cura alla posizione delle gambe che "con bellissima grazia d'arte entravano l'una nell'altra, una stesa e l'altra raccolta, che figurava il monte e il piano della terra". La dea sfiora con una mano il seno e tiene con l'altra una cornucopia, simboli del suo legame con il cibo e con l'abbondanza. Sotto di lei un tempietto ionico in miniatura contiene il pepe, ed è decorato con piccole sculture che rimandano a quelle di Michelangelo per le cappelle medicee.

Alcuni animali terrestri giocano ai piedi della dea, mentre fra le onde, accanto a Nettuno, compaiono numerosi pesci.

Le figure della Terra e del Mare sono collocate una di fronte all'altra secondo due linee diagonali che, convergendo verso il centro dove è posta la navicella che continene il sale, creano uno schema dinamico che imprime alla composizione equilibrio formale e grande armonia.

La simmetria della struttura e la purezza del disegno dei nudi mitigano gli aspetti edonistici e sensuali che l'oggetto contiene. Il basamento ovale d'ebano è suddiviso in otto nicchie decorate con piccole sculture che raffigurano le quattro stagioni e le quattro parti del giorno.

Tra una nicchia e l'altra simboli araldici colorati a smalto ricordano la casata reale dei committenti.

Quattro sfere d'avorio, inserite nella base d'ebano, permettono alla saliera, ruotando, di spostarsi agevolmente sul tavolo.


2. La chiesa del Gesù è la prima chiesa dell'ordine dei Gesuiti, fondato da Ignazio di Loyola e approvato da papa Paolo III Farnese nel 1540. All'origine della fabbrica era il bisogno di adattarsi alle esigenze di diffusione dell'ortodossia cattolica contro i pericoli della Riforma protestante.

Se il progetto si fosse rivelato funzionale allo scopo, migliaia di altre chiese sarebbero state costruite su quel modello, in tutto il mondo, dai missionari gesuiti impegnati nell'opera di evangelizzazione. Per questo il cardinale Alessandro Farnese, che commissionò l'opera, stabilì regole precise e inderogabili da seguire nella costruzione: anzitutto una sola e grande navata che accogliesse una moltitudine di persone, in modo da dare l'idea della potenza e del seguito della Chiesa cattolica. Anche l'acustica era fondamentale, perché le parole dei predicatori dovevano fissarsi in modo indelebile nelle menti dei fedeli, e così pure l'illuminazione, che, con uno stacco netto tra oscurità e luce, doveva distinguere chiaramente lo spazio e quindi i ruoli del popolo e del clero officiante. Per la confessione, la meditazione individuale e l'adorazione dei santi, erano poi necessarie piccole cappelle, che permettessero il raccoglimento.

Le soluzioni adottate da Vignola risultarono talmente efficaci che la Chiesa del Gesù divenne un modello paradigmatico per l'architettura della Controriforma.



3. Il problema del manierismo veneto è complesso e sfumato, e richiede cronologie anticipate. In Venezia stessa va registrato l'arrivo precoce di tipici e importanti rappresentanti della nuova cultura: l'Aretino, gli architetti Jacopo Sansovino, Sebastiano Serlio, Michele Sanmicheli, lo scultore Bartolomeo Ammannati. Ma è soprattutto dalla terraferma veneta che l'onda manieristica preme per poi infine penetrare nella Venezia tizianesca.

Dopo le precoci sfide del Pordenone nelle ante d'organo di San Rocco a Venezia nel 1528 e del Lotto, un anno dopo, nel San Nicola in gloria al Carmine, pagate con la riespulsione in provincia, è evidente l'equilibrio fra elementi manieristici e "tizianismo" in Paris Bordone, aperto alle suggestioni del gusto scenografico teorizzato e illustrato dal teorico bolognese Serlio.

I sofisticati moduli formali del Parmigianino, direttamente immessi a Venezia già nel quarto decennio grazie alla mediazione di Andrea Schiavone - con forte influsso sugli esordi di Tintoretto - furono all'origine della sprovincializzazione di Jacopo Bassano.

Accomunati da un particolare interesse per le novità della cultura tosco-romana, Jacopo Tintoretto e Paolo Veronese interpretarono originalmente gli stimoli della maniera, elaborando codici figurativi nuovi e al tempo stesso consoni alla realtà sociale, religiosa e culturale della Serenissima.



4. Andrea della Gondola detto Palladio (1508-1580) è il maggiore architetto veneto dell'età manieristica. A differenza di Sansovino e di Sanmicheli, accomunati dalla determinante esperienza romana dei primi due decenni del secolo, egli, dopo aver esordito come lapicida a Vicenza, dove si era trasferito giovanissimo da Padova, venne educato in ambito veneto. Il celebre letterato e umanista vicentino Gian Girolamo Trissino lo prese, infatti, sotto la sua protezione, indirizzandolo agli studi di architettura e introducendolo alla fine degli anni trenta nella cerchia padovana di Alvise Cornaro.

Questi, un colto esponente del patriziato veneto, nonché imprenditore agricolo, aveva favorito l'ingresso in area veneta della moderna cultura architettonica romana di ispirazione bramantesca e raffaellesca. Oltre a ciò, il Cornaro offrì direttamente un fondamentale contributo alla formazione di Palladio mettendo in luce, in un breve trattato, la necessità che l'architettura soddisfacesse anche le esigenze pratiche di una classe dirigente impegnata a promuovere la ristrutturazione agraria dell'entroterra veneto: problema al quale, negli anni successivi, Palladio avrebbe dato eccellenti risposte.

Ancor più determinante, ai fini della sua formazione culturale, fu l'influenza del teorico Sebastiano Serlio, bolognese d'origine e veneto d'elezione, autore di un trattato di architettura (1537), che ebbe larghissima diffusione in Europa. Palladio prese comunque contatto diretto con i monumenti dell'antichità a Roma, dove si recò per la prima volta nel 1541 con Trissino, per poi tornarvi altre volte. Durante questi soggiorni egli studiò a fondo l'architettura romana, acquisendo contemporaneamente dimestichezza con le fonti letterarie dell'antichità. I viaggi romani gli diedero anche l'opportunità di confrontarsi con l'architettura moderna e in particolare con gli esempi di Raffaello, di Bramante e, in certa misura, di Michelangelo.

La Basilica Di Vicenza

A differenza di Sansovino, Palladio operò prevalentemente nell'entroterra, progettando un cospicuo numero di ville per il patriziato veneto e residenze urbane ed edifici pubblici per la committenza vicentina. A Venezia, il suo intervento fu di grande qualità, ma rimase circoscritto nell'ambito dell'architettura religiosa.

Quanto ai palazzi e agli edifici pubblici palladiani si concentrano prevalentemente a Vicenza. In questa città nel 1549 gli fu conferito il primo importante incarico ufficiale, ovvero la ristrutturazione del vecchio Palazzo della Ragione, detto Basilica, al quale erano stati interessati architetti illustri come Sansovino, Serlio, Sanmicheli e Giulio Romano. La struttura ideata da Palladio consiste in un sistema di impronta classica ad arcate sovrapposte in cui domina l'iterazione della serliana. Si tratta di quel tipo di finestra a tre aperture, la centrale ad arco, le laterali architravate, che deriva il suo nome dall'architetto Serlio, ma che era nota fin dalla tarda classicità.

Il complesso palladiano ingloba il vecchio edificio a due piani e ne regolarizza la forma (condizionata da una pianta trapezoidale) rispetto allo spazio della piazza dei Signori che lo ospita. La soluzione palladiana richiama, nell'uso degli ordini classici, nella soluzione porticata e nella balaustra terminale, gli elementi costitutivi della Libreria Marciana del Sansovino; la Basilica però se ne differenzia sostanzialmente per il suo precipuo valore di presenza architettonica in sé. Essa, infatti, non tende a instaurare un rapporto armonico con il tessuto edilizio circostante, ma mira piuttosto, nel suo porsi come monumentale architettura moderna ispirata ai canoni classici, a determinare e qualificare il contesto ambientale in cui è inserita. Analogo presupposto, considerata la sua estraneità alla stessa Basilica che la fronteggia, sta alla base della progettazione della loggia del Capitanato situata nella stessa piazza vicentina, a cui Palladio attese negli anni Settanta.


5. Jacopo Robusti (1519-1594) era figlio di un tintore di panni e da ciò derivò il soprannome di Tintoretto. Durante la sua formazione a Venezia, seppe cogliere le novità delle problematiche del plasticismo tosco-romano introdotte in laguna da Pordenone. Coltivò inoltre lo studio dell'opera di Michelangelo e degli scritti teorici di Sebastiano Serlio specie per l'elemento scenico e teatrale, che divenne uno dei dati più caratteristici della produzione di Tintoretto. Altra componente fondamentale cui si rifece l'artista fu la fluidità di stile di Andrea Schiavone, mediatore dei moduli di Parmigianino in area veneta.

Assimilati tutti questi elementi formali, Tintoretto riuscì a rielaborarli in modo assolutamente originale nella rappresentazione del Miracolo di san Marco per la Scuola grande del santo (1548); l'opera risultò rivoluzionaria per la sua novità e suscitò fortissima impressione, imponendo l'artista sulla scena veneziana. Il dipinto testimonia una piena maturità di linguaggio nella convergenza di molteplici e spettacolari invenzioni sceniche in funzione espressiva. L'azione si svolge in uno spazio a palcoscenico, delimitato da quinte architettoniche. I personaggi si dispongono secondo due diagonali, così da individuare in primo piano un cuneo, dove giace il corpo riverso dello schiavo liberato. A questo si contrappone scenograficamente la figura fortemente scorciata di san Marco, che precipita sulla folla dall'alto, sopraggiungendo dallo spazio in cui sta lo spettatore. L'artificio della diversa illuminazione dello sfondo rispetto a quella della scena in primo piano, colpita da un fascio di luce che proviene da destra, contribuisce a determinare un effetto drammatico, fondato principalmente sulla contrazione degli avvenimenti in una visione istantanea, tesa a comunicare allo spettatore il senso prodigioso del miracolo che si sta compiendo.



6. Tintoretto, Miracolo di San Marco

Il telero narra del miracoloso salvataggio di un servo di un cavaliere di Provenza che aveva abbandonato il padrone per recarsi a venerare le reliquie di san Marco. Il padrone, irato contro il servo, lo aveva condannato all'accecamento e alla frattura delle gambe. Il servo rimase però illeso per l'intervento del santo, rappresentato da Tintoretto in forte scorcio mentre arriva dal cielo in un nimbo di luce. Gli orientali con turbanti rappresentano i turchi, tradizionali rivali dei veneziani e assurti a simbolo dei barbari infedeli.

Il dipinto fu il primo tra i teleri eseguiti dall'artista per la Sala Capitolare della Scuola Grande di San Marco e suscitò accese polemiche fin dal suo primo apparire.

L'opera fu immediatamente apprezzata dal pubblico veneziano soprattutto per l'abilità del pittore nel rappresentare la repentina comparsa del santo, colto da sotto in su, e gli sguardi attoniti e sbigottiti della folla, inconsapevole della sua presenza. Il gruppo di persone presenti al miracolo crea una sorta di anfiteatro che lascia spazio al corpo nudo del prigioniero, rovesciato a terra nel vuoto al centro della scena. Particolare attenzione è riservata agli strumenti del martirio spezzati tra le mani del carnefice e ai lacci miracolosamente sciolti dello schiavo.

Per ottenere questi effetti l'artista ha fatto uso di una pennellata rapida, fatta di tocchi energici, di violenti contrasti chiaroscurali e talvolta di intensi accordi cromatici. L'osservatore non può che essere coinvolto e reso partecipe della scena, divenendo lui stesso uno degli sbigottiti testimoni dell'evento.



7. Paolo Caliari (1528-1588) detto il Veronese si formò nella sua città d'origine, Verona, aperta agli stimoli della vicina Mantova (per la presenza di Giulio Romano) e di Parma (sede delle esperienze di Correggio e delle sofisticate ricerche formali di Parmigianino). Con lui abbandoniamo lo scenario del dramma religioso e visionario, per entrare nel tempio della gloria mondana, nel fasto di una società laica, per la quale passato e presente, sacro e profano si confondono in una sintesi fantastica, dove la natura è un dato sempre presente e tangibile, tale da non trasfigurarsi nel tormento spirituale.

Dal 1553 Veronese si stabilì a Venezia. Qui venne incaricato dalla Serenissima di decorare la sala del Consiglio dei Dieci: fu questo il primo dei suoi numerosi interventi nel Palazzo ducale. Poco dopo l'artista fu incluso nel gruppo selezionato per la decorazione della Libreria Marciana: un gruppo costituito da artisti in vario modo orientati al manierismo.

Nel soffitto della chiesa veneziana di San Sebastiano, le tele con le Storie di Ester (1556) dimostrano quanto Veronese avesse assimilato degli esempi di Giulio Romano a Mantova, per il robusto plasticismo delle figure, che si stagliano in primo piano, e gli arditissimi scorci. L'autonomia rispetto ai modelli si esprime nel particolarissimo uso del colore, caratterizzato dall'assenza di chiaroscuro, dalle ombre colorate e dall'accostamento di tinte complementari di straordinaria luminosità. Tali valori contribuiscono a diminuire la resa di una dimensione spaziale in profondità, già impedita di per sé dallo scorcio improvviso delle basi d'appoggio. Il risultato è la dilatazione scenografica degli elementi architettonici e dei fondali di cielo.



8. Veronese è detto essere l'ultima voce del classicismo cinquecentesco poiché interpreta la stabilità politica, la prosperità economica, l'indipendenza della repubblica veneziana, ed il suo laicismo. L'equilibrio e la chiarezza che gli sono propri, sono elementi apertamente classici, ma la forzatura degli scorci, la conseguente deformazione della figura e l'innaturalezza dell'illuminazione mostrano la sua adesione alla ricerca intellettuale manieristica e quindi un fondamentale anticlassicismo.







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