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Dipinti di Umberto Boccioni




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Dipinti di Umberto Boccioni

La città che sale

La città che sale è un importante dipinto ad olio su tela di cm 200 x 290,5 realizzato nel 1910 dal pittore italiano Umberto Boccioni.

Nel 1912 il quadro fu acquistato dal musicista Ferruccio Busoni nel corso della mostra d'opere futuriste itinerante in Europa. È oggi esposto al Museum of Modern Art di New York.

L'opera

Il titolo originale era Il lavoro così come apparve alla Mostra d'arte libera di Milano del 1911. Nonostante la presenza degli elementi realistici come il cantiere o la costruzione, o ancora la resa dello spazio in maniera prospettica, il dipinto viene considerato la prima opera veramente futurista del pittore reggino, pur non discostandosi molto dai quadri analoghi degli anni precedenti, nei quali le periferie urbane erano il soggetto principale. In questo dipinto viene parzialmente abbandonata la visione naturalistica dei quadri precedenti, per lasciare il posto ad una visione più movimentata e dinamica.

Si coglie la visione di palazzi in costruzione in una periferia urbana, mentre compaiono ciminiere e impalcature solo nella parte superiore. Gran parte dello spazio è invece occupato da uomini e da cavalli, fusi esasperatamente insieme in uno sforzo dinamico. In tal modo Boccioni mette in risalto alcuni tra gli elementi più tipici del futurismo, quali l'esaltazione del lavoro dell'uomo e l'importanza della città moderna plasmata sulle esigenze del nuovo concetto di uomo del futuro.

Ciò che mette il quadro perfettamente in linea con lo spirito futurista è però l'esaltazione visiva della forza e del movimento, della quale ne sono protagonisti uomini e cavalli e non macchine. Questo è ritenuto un particolare che attesta come Boccioni si muova ancora nel simbolismo, rendendo visibile il mito attraverso l'immagine. Ed è proprio il 'mito' ciò che l'artista modifica, dunque non più arcaico legato all'esplorazione del mondo psicologico dell'uomo, ma mito dell'uomo moderno, artefice di un nuovo mondo. In parole povere l'intento dell'artista è di dipingere il frutto del nostro tempo industriale.

Il soggetto dunque, da raffigurazione di un normale momento di lavoro in un qualunque cantiere, si trasforma nella celebrazione dell'idea del progresso industriale con la sua inarrestabile avanzata. Sintesi di ciò ne è il cavallo inutilmente trattenuto dagli uomini attaccati alle sue briglie.

La tecnica


Un bozzetto preparatorio dell'opera

L'influsso di Gaetano Previati come si vede è ancora evidente nelle pennellate filamentose e nella tecnica divisionista, le pennellate tratteggiate hanno infatti andamenti ben direzionati e funzionali al mettere in evidenza le linee di forza che caratterizzano il movimento delle figure, non quindi alla costruzione di masse e volumi, anche se i tratti pittorici sono qui volti a dare dinamicità ai volumi fino a far perdere loro consistenza e peso.


La composizione

La composizione del quadro conserva tuttavia ancora un impianto abbastanza tradizionale. Le figure sono scandite su precisi piani di profondità dove in basso si vedono le figure in primo piano, mentre in alto quelle sui piani più profondi.

la composizione può essere divisa in tre fasce orizzontali che corrispondono ad altrettanti piani:

  1. in basso Boccioni colloca le figure umane realizzate secondo linee oblique che ne evidenziano lo sforzo dinamico.
  2. al centro dominano delle figure di cavalli, tra le quali ne risaltano tre, gli ultimi due hanno una colorazione rossa e dei profili di colore blu che assomigliano ad ali sulla groppa:
    1. uno bianco a sinistra che rivolge lo sguardo verso destra,
    2. uno al centro che domina il centro del quadro,
    3. uno sulla destra,
  3. nel terzo piano appare lo sfondo di una periferia urbana, che probabilmente andrebbe identificata con un quartiere di Roma in costruzione.

Stati d'animo

Stati d'animo è il titolo che Boccioni attribuisce a una delle sue opere più rappresentative, realizzata nel 1911. In essa l'artista analizza uno stesso evento nei suoi diversi risvolti emotivi, restituendone alcuni aspetti salienti che corrispondo, appunto, ad altrettanti "stati d'animo". Quest'opera ha prima di tutto, la particolarità di consistere in un ciclo composto da tre dipinti, in ciascuno dei quali lo stesso tema viene trattato da tre punti di vista diversi. Essi si intitolano, rispettivamente, Stati d'animo: Gli addii, Stati d'animo: Quelli che vanno e Stati d'animo: Quelli che restano.

Altra singolarità del trittico è che ne esistono due versioni di poco successive l'una dall'altra. La prima risale a una fase precedente all'incontro parigino con i pittori cubisti. La seconda versione, al contrario, nasce in un momento immediatamente successivo a quell'importante conoscenza e si trova attualmente esposta al Museum of Modern Art di New York. In ambedue le versioni di quet'opera di Boccioni emerge la concezione della pittura come espressione di sensazione e la riaffermazione del ruolo fondamentale della tecnica divisionista.

Stati d'animo:Gli addii, 1911, Civico Museo d'Arte Contemporanea, Milano

Nel primo dipinto della serie, intitolato Gli addii, tali aspetti emergono con particolare evidenza. Nella prima versione, si può notare innanzi tutto come il linguaggio adottato derivi chiaramente dalla tecnica della scomposizione divisionista, in questo caso portata ai limiti estremi delle sue possibilità. Le ondeggianti e nervose linee di colore che serpeggiano sulla tela hanno sostituito l'originaria struttura puntiforme e acquistato la dimensione di masse cromatiche. Esse lasciano intravedere figure appena delineate nell'atto di unirsi in un abbraccio e in qualche modo riverberano quel movimento, espandendone la dinamica nello spazio circostante. La reinterazione del gesto introduce un senso di drammaticità, di coinvolgimento totale.


Stati d'animo: Gli addii, 1911, Museum of Modern Art, New York

Nella seconda versione de Gli addii, il linguaggio di Boccioni appare già molto diverso e, come si può notare, risente fortemente dell'esperienza cubista. Nell'espandersi dinamico della scomposizione dei volumi una serie di sfaccettate, ormai lontane da qualsiasi naturalismo, ripetono la sequenza del movimento dell'abbraccio moltiplicandola nello spazio. Al centro del dipinto emerge il profilo di una vaporiera, riconoscibile solo per parti distinte e disarticolate. Come in un insieme di tanti dettagli fotografici possiamo osservare il tondeggiante duomo della caldaia, il fumo che sale diventando un gioco di colori con toni arancio e celeste o, ancora, il numero di serie, posto tra i respingenti anteriori della locomotiva, che affiora tra l'assieparsi di linee e di piani, assumendo proporzioni tanto irreali come solo nella memoria può accadere. Tra i criteri della pittura futurista enunciati nei vari manifesti, quelli presenti in quest'opera sono immediatamente riconoscibili. Il primo e più evidente è senza dubbio quella della simultaneità della visione. Essa è intesa come contemporaneità degli eventi e degli aspetti della realtà, non più inquadrabili all'interno di un piano prospettico univoco r unitario. Il secondo criterio è quello della sintesi tra la visione ottica e la visione mentale, vale a dire della consapevolezza della complessità dell'atto del guardare una forma. La percezione globale di ogni oggetto e di ogni personaggio, infatti, si compone di due fasi distinte: quella della percezione diretta istante per istante e quella della memoria delle configurazioni e dei movimenti che quel personaggio o quell'oggetto hanno continuato ad assumere nel tempo. Il terzo criterio, infine, è il più tipicamente futurista. Esso consiste nella compenetrazione dinamica, ossia in quella estrema vicinanza e sovrapposizione tra gli oggetti e le loro forme, quasi che gli uni penetrino nelle altre e viceversa. Lo studio della compenetrazione dinamica e la sua applicazione sono finalizzati a portare "lo spettatore nel centro del quadro" rendendolo partecipe e non più solo fruitore passivo.








Sculture

Forme uniche della continuità nello spazio, 1913, scultura in bronzo, 110 x 89,5 x 40 cm, Civico Museo d'Arte Contemporanea, Milano

"Forme uniche della continuità nello spazio" è una scultura in bronzo realizzata nel 1913 e oggi conservata al Civico Museo d'Arte Contemporanea di Milano. L'opera ci suggerisce l'idea di una possente figura che incede a grandi passi nervosi. Come in una fotografia mossa la scia dei corpi contribuisce a creare la sensazione stessa del movimento, in questa scultura la scia sembra quasi solidificarsi nello spazio. La continuità dei profili e il loro sinuoso e ininterrotto fluire ampliano la figura ben oltre i suoi stessi limiti volumetrici. La sensazione che ne deriva è di vorticosa dinamicità e, nel contempo, anche di grande astrazione. Il nuovo soggetto artistico della scultura di Boccioni, infatti, non è più basato sulla consuetudine di assomigliare a qualcos'altro o di riprodurre delle sembianze in qualche modo riconoscibili. Esso, al contrario, si fonda sulla propria, autonoma tridimensionalità, intesa come sintesi delle tre dimensioni in un incessante svolgersi nello spazio di forze e di forme.     



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