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Ascolta il Silenzio
C'è un silenzio del cielo prima del temporale,
delle foreste prima che si levi il vento,
del mare calmo della sera,
di quelli che si amano,
della nostra anima,
poi
c'è un silenzio che chiede soltanto di essere ascoltato.
INTRODUZIONE
EDVARD MUNCH
Il grido
Munch è il pittore dell'angoscia, per sua ammissione gli unici temi che lo interessano sono l'amore e la morte. L'ombra della morte lo accompagnerà lungo l'arco della sua intera esistenza: muore la madre, mentre è ancora bambino e, adolescente, assiste alla morte della giovane sorella, logorata dalla tisi. Questi episodi acuiranno la sua sensibilità nervosa, e ne influenzeranno già i primi quadri.
Frequenta
L'uso dei colori, la potenza dei suoi rossi, la lucidità violenta con
cui tratta i suoi temi, lo porteranno ad essere il precursore, se non il primo
degli espressionisti. La fama non gli concede la felicità; cerca di attutire la
sensibilità con l'abuso di alcool; il periodo è travagliato, e si ricovera in
una casa di cura per malattie nervose. Nel 1892 Munch espone a Berlino una
cinquantina di suoi dipinti e il giudizio della critica è così drastico che
dopo una sola settimana la mostra viene sospesa.
Nel 1914 i tempi sono ormai maturi affinché la sua arte, anche se mai del tutto
compresa, venga accettata anche dalla critica. Membro dell'Accademia tedesca
delle Arti e socio onorario dell'Accademia bavarese di Arti figurative, nel
1937 Munch conosce le prime persecuzioni naziste. Il regime hitleriano
definisce degenerate ben 82 opere dell'artista esposte nei vari musei pubblici
della Germania
e ne dispone la loro vendita. Nel 1940, quando i Tedeschi invadono
La psicologia
Con una vita ossessionata da drammatici presentimenti di distruzione e sfacelo, Edvard Munch può oggi venire considerato il profeta di una nuova età dell'ansia che impregna ogni aspetto del vivere quotidiano. Alle figure della realtà esterna ed oggettiva, Munch oppone le immagini della sua tormentata visione interiore, sostituendo gli aspetti concreti del mondo con gli ossessionanti fantasmi che costellano la sua complessa intimità. Largamente influenzato da Nietzsche, Munch colse della sua filosofia gli elementi più stoici e fatalisti che divennero filtri della sua visione del mondo.
Munch mostra un gusto forte per la definizione, una grafica esplicita che racchiude e raffigura ogni cosa, sottolineandola ossessivamente per non permettere che qualcosa, il senso e il messaggio, a volte segreti e indecifrabili, nascosti nelle figure stesse, possano sfuggire o non apparire chiari e risolti.
Munch osserva il mondo e le figure che lo popolano, ed avverte che da esso, non più avvolto da luce serena, non più sereno né confidenziale, gli proviene un urto: un segnale misterioso e drammatico, quasi desolato, che riempie il pittore di sgomento e comincia a propagarsi intorno a lui come una densa cortina di fumo nero; e quel mondo, quelle figure e quegli oggetti, cominciano a riflettersi nella sua mente con una luce distorta e malata, confermando il pittore nelle sue predilezioni narrative di stati d'animo ed emozioni, di sogni visionari caratterizzati da una particolare violenza emotiva, tipica di quelle persone solitarie ed introverse che tendono a restare rifugiate nel bozzolo della loro timidezza.
Immaginazioni contorte, ossessioni funebri ed erotiche, ed intricate fantasie trovano nella pittura di Munch un'espressione positiva, affidata al disegno e al colore che serrano in modo sempre più stretto il suo mondo interiore in una serie di immagini autentiche e persistenti: una volta create, divengono esse stesse matrici di ulteriori emozioni e di nuove figure sempre più contorte. L'uso costante di linee ondulate, armonicamente fluide e mobili, i colori accesi e infuocati o soffocati repentinamente da una brusca manciata di cenere, le sinuosità cromatiche, l'onnipresente spettro della violenza, ora impercettibile, ora un'esplosione violenta e diretta, quasi dolorosamente agghiacciante, sono gli elementi che Munch sfrutta per simboleggiare ed esternare il suo cedimento agli spettri dell'interiorità travolta da un senso sempre più vivo di crescente angoscia. La sua arte è simbolo evidente della sua emotività precaria e insana.
Il Grido è ambientato in un paesaggio allucinato e ondeggiante, in cui è possibile riconoscere, nonostante la distorsione disegnativa delle linee arabescate, due colline e un fiordo attraversato da due barche.
L'instabilità dello spazio circostante è accentuata da un unico elemento rettilineo, un sentiero delimitato da una staccionata. Non è di per sé un paesaggio ostile o minaccioso, ma la centralità del volto disperato della figura principale carica di viiolenza la composizione. Questo personaggio è privo di qualsiasi caratterizzazione, incarnando così l'artista stesso e, simbolicamente, la condizione umana. Il suo viso è simile a quello di un essere agonizzante, di un cadavere o di un teschio e proietta la propria mortale angoscia su tutto il reale.
In un'annotazione nel suo diario, Munch spiega,in una forma lirica ed evocativa, la sensazione all'origine di questo soggetto: <<Camminavo lungo un sentiero con due amici. /Il sole stava tramontando. /Ho sentito un sospiro melanconico. /Improvvisamente il cielo diventò rosso sangue. /Mi fermai,esausto, e mi appoggiai alla staccionata /contemplando le nubi sospese come sangue e lingue di fuoco /sul fiordo di un blu quasi nero e sulla città. /I miei compagni proseguirono il cammino - io restai lì immobile tremando per la paura e per l'angoscia. /E sentii che un grido infinito pervadeva tutta la natura>>.
La natura è pervasa da un suono muto, come una vibrazione che si sente visceralmente: il personaggio principale si tura le orecchie per non restarne assordato, ma gli amici che si allontanano sul sentiero non lo percepiscono.
Il pittore riesce a rendere con grande efficacia, attraverso strumenti stilistici estremamente essenziali, una drammatica condizione individuale che si trasforma in pertinente simbolo di un malessere epocale e universale. L'uso soggettivo del colore e la linea ondulata che fonde in un'unità turbinante l'uomo e la natura sono utilizzati per rendere una visione letteralmente "allucinata".
Il Novecento è contraddistinto da una generale tensione verso la modernità e da una profonda crisi dovuta all'assenza di stabili punti di riferimento.
All'imponente modernizzazione tecnica si accompagna la percezione di una società in rapido cambiamento sia nelle strutture generale sia nelle abitudini di vita.
L'Europa era scossa dai nazionalismi, ovvero la tendenza da parte di ogni nazione a considerarsi superiore alle altre; dagli imperialismi, la tedenza ad espandere i propri possedimenti territoriali anche per motivi economici; dal razzismo, la pendenza a considerare la propria razzo o etnia superiore e a disprezzare la altre.
L'inizio del '900 fu per altro il momento dell'affermazione delle teorie di Darwin, del relativismo di Einstein, della psicoanalisi di Freud.
Le avanguardie storiche europee, quali espressionismo, dadaismo, futurismo e surrealismo, tentano un'appropriazione della nuova realtà, sconfessano violentemente la tradizione ottocentesca, imperniata sul positivismo e in campo artstico-letterario connotata da naturalismo e realismo, innovano profondamente stile, strutture, linguaggio, sferrando nel contempo un deciso attacco anche ideologico, sociale, concettuale, all'intera tradizione borghese. La rivoluzione avanguardista appare immediatamente più vistosa in pittura e in scultura, dove si passa dalle opere figurative a quelle informali e astratte. Ma un analogo processo si può cogliere anche in letteratura, dove infatti vengono meno l'ordine e la costruzione tradizionali, subentrano uno stile e una sintassi irregolari, con libera sovrapposizione di immagini e parole, alterazione dei nessi temporali, effetti di "sorpresa", "velocità", "simultaneità". La poesia si libera dei metri tradizionali, è anti-irica, ribelle, anti-sublime, drammatica e ciò che più la caratterizza sono l'oscurità e la scelta di forme espressive nuove che avvalendosi del silenzio spesso raffgurato dallo spazio bianco e dalla scelta di una forma espressiva armetica si fecero testimoni della difficile epoca che vide lo scoppio delle due guerre mondiali.
Correlate strettamente ai mutamenti esterni, sociali, conoscitivi, appaiono le condizioni interiori del soggetto, sottoposto a inquietudini, crisi, lacerazioni, conflitti, complesso tematico messo fortemente in luce nella letteratura del primo Novecento secondo diverse prospettive. La registrazione della sconfitta sociale nella "lotta per la vita", la tematica dell'inettitudine, le perlustrazioni sull'angoscia ineluttabile della condizione umana, l'analisi del senso di colpa, l'alienazione, il disagio esistenziale ed anche l'orrore indicibile dell'Olocausto sono al centro di molte rappresentazioni artistiche e letterarie del periodo.
ERMETISMO
Alle origini dell'ermetismo c'è la grande poesia simbolista di Stephane Mallarmé e dei suoi prosecutori novecenteschi, come Paul Valery: da qui deriva il concetto di poesia come percorso conoscitivo verso l'assoluto e itinerario etico per raggiungere la purezza, l'essenzialità, l'innocenza. Tutto ciò viene praticato attraverso il valore sublime del segno linguistico, ridotto a espressione essenziale all'interno della pagina bianca, del silenzio perfetto ed enigmatico delle cose. Per gli ermetici la poesia deve fondarsi su un'assoluta sincerità e su una viva tensione a esprimere l'assoluto. Per loro la letteratura è un impegno totale, <<un destino insuperabile, alle cui domande non si può mancare>> e che <<non conosce quasi parole>>: così come dice Carlo Bo nel saggio Letteratura come vita (1938), considerato il manifesto dell'ermetismo. La fede nelle capacità di rivelazione della parola appartiene anche ai critici ermetici: la critica, afferma ancora Bo, <<non lavora esternamente su dei dati>>, ma deve scendere fino all'autenticità degli scrittori e delle opere, fino al <<punto di partenza>> dell'arte: la critica è una ricreazione, sotto altra forma, del mistero cantato dall'arte.
Nonostante il rilievo dei suoi temi, l'ermetismo è rimasto sostanzialmente un fenomeno di stile, di linguaggio lirico. Hanno fatto scuola la sua espressione spoglia, la solitudine dell'io-poeta e degli oggetti poetici, i molti silenzi e le pause cariche di suggestione, l'utilizzo frequente dell'analogia e delle sinestesie come <<urlo nero>>, <<bianco silenzio>> e simili.
GIUSEPPE UNGARETTI
La vita
Dall'Egitto a Parigi
Giuseppe Ungaretti nasce l'8 febbraio del 1888 ad Alessandria d'Egitto da genitori lucchesi e qui compie gli studi in un collegio di una scuola svizzera della città fino al 1905 maturando l'amore per la letteratura.
Nel 1912 Ungaretti lascia Alessandria per trasferirsi a Parigi, dove viene a contatto con alcuni dei personaggi più notevoli della cultura d'oltralpe del tempo, su tutti Apollinaire e Bergson. Frequenta le lezioni della Sorbona e gli ambienti dell'avanguardia letteraria e artistica (simbolisti, cubisti, futuristi), dove conosce artisti come Picasso, De Chirico, Modigliani e altri.
Al fronte sul Carso
Nel 1905, per lo scoppio della guerra, rientra in Italia come soldato semplice di fanteria al fronte carsico; l'esperienza bellica, dolorosa e sconvolgente, è di un'importanza determinante per la formazione poetica di Ungaretti; i giorni trascorsi a contatto con la morte, il dolore, la distruzione, fanno da sfondo ad alcune liriche pubblicate al momento sulla rivista "Lacerba" (1915) e destinate poi a far parte della sua principale raccolta, Allegria di naufragi (1919). Dopo tre anni trascorsi sul Carso , il XIX reggimento di fanteria, nel quale Ungaretti militava, viene trasferito sul fronte francese nella regione della Champagne: l'armistizio gli consente di recarsi più volte a Parigi, dove rimane anche dopo la fine della guerra, lavorando presso l'ambasciata italiana. Nel frattempo, pubblica alcuni scritti in francese e sopsa, nel 1920, Jeanne Dupoix, la compagna ideale della sua vita, dalla quale avrà Ninon e Antonietto, la cui morte ispirerà al poeta un'altra raccolta, Il dolore(1947). Tornato a Roma nel 1921, accetta l'impiego presso l'ufficio stampa del Ministero degli Esteri, che conserva fino al 1930.
La crisi religiosa
Il 1928 segna il momento più alto della sua attività poetica, nonché
l'anno della maturazione personale: superata la crisi interiore che da tempo
gli tormenta l'animo, Ungaretti si accosta all'esperienza della fede,
abbandonando per sempre l'ateismo giovanile. Tra il 1931 e il 1935 diviene
corrispondente della <<Gazzetta del popolo>> in varie città
italiane e compie viaggi in Europa e in Egitto. Sono questi gli anni
dell'adesione al fascismo; il poeta dedica anche una poesia a Mussolini, Popolo,
forse in segno di riconoscenza per
Il periodo brasiliano
Nel 1936 Ungaretti si trasferisce con tutta la famiglia a San Paolo, in Brasile, dove accetta la cattedra di lingua e letteratura italiana presso l'Università; l'esperienza brasiliana è presente nelle sue liriche nella rievocazione della rigogliosa e frastornante vegetazione tropicale e dei costumi e delle abitudine brasiliane. La permanenza in Sud-America, intanto, consente al poeta di fare nuove conoscenze e stringere interessanti amicizie, come quella con lo scrittore Vinicius de Moraes, mentre la sua stessa esperienza umana ne risulta arricchita, specie in seguito alla visite compiute nei luoghi più poveri e inospitali del Brasile.
L'ultimo ventennio: la traduzione e le onorificienze
Nel 1942, causa dello scoppio della seconda guerra mondiale, rientra in
Italia e riceve come onorificienza la cattedra di letteratura italiana presso
l?università di Roma, dalla quale viene dimesso per limiti d'età nel
La poetica del frammento
Utilizzando la parola essenziale e ottenendo allo stesso tempo i medesimi risultati della poetica dei simbolisti francesi, il poeta opera nella poesia italiana un profondo rinnovamento. Dietro queste scelte c'è la ricerca di una poesia essenziale, della parola autentica, "pura", capace di rivelare un frammento del mistero della vita; la parola, dunque, non assume più una funzione descrittiva, ma è intenta a evocare il flusso di sentimenti e di essi diventa quasi eco, come un suono che rimanda a quanto preme in fondo all'anima.
Il dramma della solitudine è un motivo che ricorre di frequente nelle liriche, unito alla sensazione di fragilità e di debolezza, dovuta agli eventi e al tempo che passa e frantuma tutto. L'Allegria, segnata dall'esperienza della guerra, propone sia temi di ordine generale (patria, natura, terra, universo) sia temi esistenziali (amicizia, umanità, paura, morte, solidarietà, fraternità), analizzati attraverso l'esperienza autobiografica. Gli elementi della natura e del paesaggio sembrano infatti vivere e sono ricondotti di continuo all'io del poeta. A sua volta, l'esperienza autobiografica si riallaccia a una dimensione universale e il sentire del poeta si identifica con quello dell'umanità, a tal punto che la testimonianza personale diventa simbolo della condizione umana.
Tra le novità di carattere formale segnaliamo:
I frammenti lirici
Vengono definite dal poeta stesso "frammenti" tutte quelle liriche costruite al massimo da due o tre versi senza schema metrico preciso, bensì essenziali, frutto di un'espressione o di una sensazione immediata. Anche se ridotte a "improvvise folgorazioni", esse hanno il potere di dar vita, grazie alla presenza dell'analogia, un'enorme quantità di sensi allusivi e di significati nascosti che bisogno cogliere al momento, con immediatezza.
La parola è la vera forza di questi versi per la sua potenza espressiva ed evocativa: assume una magica risonanza e, isolata tra spazi bianchi o pause profonde segnate dal rinvio a capo, rimanda a mille significati, a seconda della sensibilità di chi legge. La bellezza di questi frammenti consiste proprio in questo: il lettore ad istinto coglie nell'indetrminatezza di questi schizzi significati (mondi) ipotizzabili, evocati e misteriosi, ma che hanno a che fare tutti col mistero della vita e inducono, in fondo, a un'amara riflessione. Il titolo dei componimenti rimanda al loro contenuto, come se Ungaretti avesse voluto istradare il lettore e pffrire una chiave di lettura, un'interpretazione, e spingere alla riflessione su quell'argomento. Qui davvero la riflessione diviente parte integrante dei versi e la parola, dura e cruenta, su cui il lettore si sofferma, s'innesta all'interno di un discorso poetico che di per sé è giè autonomo.
Sono "immagini senza fili" nel loro essere "sospese", senza alcuna punteggiatura che lasciano attonito il lettore fra stupore e meraviglia, uniti a un senso di vuoto interiore.
Mattina
M'illumino
d'immenso
Santa Maria
Straordinaria per concisione, essenzialità, potenza evocativa ed espressiva, questa lirica è composta di due soli versi-parola.
La lirica è costruita tutta su un'unica sinestesia analogica, che mette in connessione due campi diversi della percezione, l'uno sensibile, coinvolgente la vista in primo luogo, ma anche il tatto, perché la luce è calore, e l'olfatto, perché è apertura all'aria fresca del mattino, e l'udito, perché l'immensità è eco e silenzio; l'altro tutto interiore, in quanto l'immensità è il luogo dello spirito in cui si acquietano tutti i desideri di infinito e di eterno dell'uomo.
Il contesto rimanda al sorgere del sole e contemporaneamente a una sensazione d'illuminazione tutta interiore. Il sentimento di vastità e quell'intensa sensazione d'indefinito sono evidenziati dalla sinestesia (associazione vista-tatto) su cui si fonda tutto il componimento. La gioia interiore è detrminata in effetti dal senso della vista: all'apertura degli occhi corrisponde l'apertura dell'animo, ma un ruolo importante gioca anche l'udito, che "percepisce" il profondo silenzio del mattino e anche dell'animo.
La lirica si risolve in una similitudine ricca di risonanze interiori che vanno bene al di là dei semplici mezzi linguistici impiegati, offrendoci un esempio significativo della straordinaria capacità del primo Ungaretti di toccare corde profonde dell'animo, lavorando esclusivamente sul potere magico-evocativo della parola, potere enfatizzato dalla risonanza che la parola ottiene circondata com'è da ampi spazi bianchi di silenzio.
Non gridate più
Cessate di uccidere i morti,
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire
se sperate di non perire.
Hanno l'impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell'erba,
lieta dove passa l'uomo.
Un appello alla pace e alla solidarietà perché la lezione dei caduti sotti i bombardamenti della seconda guerra mondiale non resti vana.
La lirica si compone come una preghiera, nata dal profondo di un animo che ha sofferto gli orrori delle guerre mondiali e rivolta agli uomini affinchè in silenzio possano recepire il messaggio e l'esempio di chi è già morto, senza lasciarsi ancora sopraffare dall'odio e dall'interesse di parte. Alla violenza scomposta dei vivi (prima strofa) si contrappone la lezione dei morti, difficile da recepire (seconda strofa). Le voci dei caduti non sono chiassose né si avvertono subito, ma alitano nell'aria, sono vive nelle macerie e negli affetti troncati. Esse sono leggere come il crescere dell'erba (v.7), ma allo stesso tempo inducono a riflettere sulle scelte cruente degli uomini che distruggono ogni cosa. Non ascoltare la voce dei morti significa dunque perdere la possibilità di ascoltare la lezione della storia e spegnere quella voce che sussurra parole di pace. Al gridare dell'uomo si contrappone la muta presenza dei morti.
PRIMO LEVI
La vita
Primo Levi nasce a Torino in una famigli ebraica il 31 luglio 1919. Nel 1943 si iscrive al liceo classico Massimo d'Azeglio di Torino e per qualche mese ha Cesare Pavese come insegnante di italiano. Nel si diploma e si iscrive al corso di laurea in chimica presso l'Università di Torino. Nel entrano in vigore le leggi razziali, che introducono gravi discriminazioni ai danni della popolazione di razza ebraica. Gli ebrei perdono anche il diritto di iscriversi all'università, ma con un'eccezione: a chi è già iscritto ed ha già completato il primo anno di corso viene concesso di proseguire gli studi. All'epoca Primo Levi è uno studente del secondo anno.
Le leggi razziali hanno un determinante influsso
indiretto sul suo percorso universitario ed intellettuale. Levi si rende
progressivamente conto di amare la fisica più della chimica, fino ad arrivare a
prendere in considerazione un cambiamento di facoltà. Tuttavia, in quanto
ebreo, non gli è permessa la possibilità di farlo: l'unica opzione che le leggi
razziali gli concedono è di terminare il corso di laurea già
iniziato.
Levi è in regola con gli esami, ma ha difficoltà a trovare un relatore per la
sua tesi; si laurea comunque nel a pieni voti e con lode, con una tesi in fisica. Il
diploma di laurea
riporta la precisazione «di razza ebraica».
Le leggi razziali del regime fascista lo costringono di fatto, in quanto ebreo, a lavori saltuari. La sua breve esperienza in un nucleo della Resistenza locale affiliato a Giustizia e Libertà si conclude con l'arresto da parte della milizia fascista a Brusson, nel , e la detenzione nel campo di transito di Fossoli. Nel febbraio del viene consegnato dai fascisti italiani ai nazisti e deportato ad Auschwitz, dove è assegnato al complesso Auschwitz III - Monowitz, come Häftling (letteralmente prigioniero) numero 174.517.
Dopo un primo periodo di lavori forzati generici, riesce a superare un esame di chimica, che lo salva dalle camere a gas e gli consente di passare nei laboratori della Buna, una fabbrica per la produzione di gomma sintetica di proprietà del colosso chimico tedesco I.G. Farben. Ammalatosi di scarlattina, scampa fortunosamente alla marcia di evacuazione da Auschwitz (marcia della morte) avvenuta poco prima della liberazione del campo da parte dell'Armata Rossa. Viene liberato il 27 gennaio del , anche se il suo rimpatrio avverrà solo nell'ottobre successivo.
Al ritorno in Italia, Levi scrisse di getto Se questo è un uomo, con l'incubo di non essere creduto. Infatti, nel clima di ricostruzione del dopoguerra non c'era la volontà di riaffacciarsi sull'orrore appena terminato e nel 1947 l'editore Einaudi rifiutò il manoscritto. Levi riuscì a trovare un editore, De Silva, che ne stampò appena duemilacinquecento copie, di cui soltanto millecinquecento vendute, soprattutto a Torino, nonostante la buona recensione di Italo Calvino su L'Unità.
Levi, convinto del suo fallimento come scrittore, si dedicò con impegno
alla sola professione di chimico per quasi dieci anni presso
Tornato finalmente a casa, a Torino, continua a sentire il dovere bruciante di raccontare, di descrivere l'indescrivibile, di far confrontare l'uomo con quello che l'uomo è capace di fare.
Benché sia il racconto della sua esperienza nel Lager a dargli la fama, Levi ha cercato successivamente di svincolarsi da questa eredità, ampliando i confini del suo scrivere. Ha scritto molti racconti in cui l'osservazione della natura e l'impatto della scienza e della tecnica sulla quotidianità diventano lo spunto per originali situazioni narrative.
L'11 aprile del Primo Levi muore, forse suicida, gettandosi o cadendo dalla tromba delle scale della sua casa di Torino.
Se questo è un uomo
Se questo è un uomo è un romanzo autobiografico scritto tra il dicembre ed il gennaio , che rappresenta una testimonianza intensa e toccante dell'esperienza dell'autore nel campo di concentramento di Auschwitz.
Scorci della vita quotidiana all'interno del campo di Monowitz - lager satellite del complesso di Auschwitz e sede dell'impianto Buna-Werke proprietà della I.G. Farben - intervallati da riflessioni profonde dell'autore permettono al lettore di immedesimarsi con il protagonista-autore ed affiancarlo virtualmente nella sua 'esperienza'.
Le pagine 'trasudano' di sofferenza, una sofferenza vissuta con la massima dignità che un 'uomo' riesce a mantenere nelle condizioni nelle quali è costretto a vivere all'interno di un campo di concentramento. La lettura del libro è un'esperienza intensa, dolorosa anche per il lettore che rivive insieme all'autore tutta la sofferenza di quei giorni. L'oscurità per l'intera umanità.
La morte è sempre presente, viene però vissuta come un evento ineluttabile della quotidianità. Tra le righe, e forse anche oltre, troviamo anche momenti di speranza, eventi che capitano e che ricordano ai protagonisti che forse non tutto è perduto e che comunque, come dice l'autore, sia la felicità che l'infelicità non sono perfette e nelle imperfezioni di queste sono nascosti dramma e speranza.
Il testo viene scritto non per vendetta, ma soltanto come testimonianza di un avvenimento storico che sa di tragico. Lo stesso Levi dice testualmente che il libro «è nato fin dai giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi» perché «Primo: quanto avevo visto e vissuto mi pesava dentro e sentivo l'urgenza di liberarmene. Secondo: per soddisfare il dovere morale, civile e politico di portare testimonianza».
Non è riducibile a puro referto documentario, ma si propone piuttosto come "racconto commentato" e unisce sempre all'esposizione dei fatti, interpretazione personale dell'autore-testimone, che non smette mai di osservare i comportamenti e le reazioni intorno a sé.
I tedeschi sapevano? Gli Alleati sapevano? Come è possibile che il genocidio, lo sterminio di milioni di esseri umani, abbia potuto compiersi nel cuore dell'Europa senza che nessuno sapesse nulla?
In uno Stato autoritario
La gran massa dei tedeschi ignorò sempre i particolari più atroci di quanto avvenne nei Lager: lo sterminio metodico e industrializzato sulla scala dei milioni, le camere a gas tossico, i forni crematori, l'abietto sfruttamento dei cadaveri, tutto questo non si doveva sapere, ed in effetti pochi lo seppero, fino alla fine della guerra.
Hitler temeva che queste orrende notizie avrebbero compromesso la fede cieca che il paese gli tributava ed il morale delle truppe combattenti; inoltre, sarebbero venute a conoscenza degli Alleati e sfruttate come argomento propaganditico.
Perfino molti funzionari della Gestapo ignoravano cosa avveniva all'interno dei Lager.
Eppure non c'era nemmeno un tedesco che non sapesse dell'esistenza dei campi.
Tutti i tedeschi erano stati testimoni della multiforme barbarie antisemitica.
Nella Germania di Hitler era diffuso un galateo particolare: chi sapeva non parlava, chi non sapeva non faceva domande, a chi faceva domande non si rispondeva.
Il cittadino tedesco tipico conquistava e difendeva la sua ignoranza, che gli sembrava una giustificazione sufficiente della sua adesione al nazismo: chiudendosi la bocca, gli occhi e le orecchie, egli si costruiva l'illusione di non essere a conoscenza, e quindi di non essere complice, di quanto avveniva davanti alla sua porta.
ALFRED DE VIGNY
La vie
Né en Touraine, Alfred de Vigny appartient à une famille de la vieille
noblesse et a grandi dans le culte des armes et de l'honneur. Il abandonne ses
études au début de
La poétique
Vigny est consideré le poète philosophe, la "perle de la pensée" est pour lui le moyen le plus efficace d'exprimer une vision du monde désenchantée et tragique. Dans sa poésie, Vigny s'interroge sur la condition humaine, sur l'existence du mal notamment, ainsi que sur la possibilité s'une liberté morale et spirituelle pour l'homme. Il montre une humanité soumise à une fatalitè aveugle et destiné à la solitude et une nature maratre, imperturbable face à la souffrance.
I
Les nuages couraient sur la lune enflammée
Comme sur l'incendie on voit fuir la fumée,
Et les bois étaient noirs jusques à l'horizon.
Nous marchions sans parler, dans l'humide gazon,
Dans la bruyère épaisse et dans les hautes brandes,
Lorsque, sous des sapins pareils à ceux des Landes,
Nous avons aperçu les grands ongles marqués
Par les loups voyageurs que nous avions traqués.
Nous avons écouté, retenant notre haleine
Et le pas suspendu. -- Ni le bois, ni la plaine
Ne poussait un soupir dans les airs ; Seulement
La girouette en deuil criait au firmament ;
Car le vent élevé bien au dessus des terres,
N'effleurait de ses pieds que les tours solitaires,
Et les chênes d'en-bas, contre les rocs penchés,
Sur leurs coudes semblaient endormis et couchés.
Rien ne bruissait donc, lorsque baissant la tête,
Le plus vieux des chasseurs qui s'étaient mis en quête
A regardé le sable en s'y couchant ; Bientôt,
Lui que jamais ici on ne vit en défaut,
A déclaré tout bas que ces marques récentes
Annonçait la démarche et les griffes puissantes
De deux grands loups-cerviers et de deux louveteaux.
Nous avons tous alors préparé nos couteaux,
Et, cachant nos fusils et leurs lueurs trop blanches,
Nous allions pas à pas en écartant les branches.
Trois s'arrêtent, et moi, cherchant ce qu'ils voyaient,
J'aperçois tout à coup deux yeux qui flamboyaient,
Et je vois au delà quatre formes légères
Qui dansaient sous la lune au milieu des bruyères,
Comme font chaque jour, à grand bruit sous nos yeux,
Quand le maitre revient, les lévriers joyeux.
Leur forme était semblable et semblable la danse ;
Mais les enfants du loup se jouaient en silence,
Sachant bien qu'à deux pas, ne dormant qu'à demi,
Se couche dans ses murs l'homme, leur ennemi.
Le père était debout, et plus loin, contre un arbre,
Sa louve reposait comme celle de marbre
Qu'adorait les romains, et dont les flancs velus
Couvaient les demi-dieux Rémus et Romulus.
Le Loup vient et s'assied, les deux jambes dressées
Par leurs ongles crochus dans le sable enfoncées.
Il s'est jugé perdu, puisqu'il était surpris,
Sa retraite coupée et tous ses chemins pris ;
Alors il a saisi, dans sa gueule brûlante,
Du chien le plus hardi la gorge pantelante
Et n'a pas desserré ses machoires de fer,
Malgré nos coups de feu qui traversaient sa chair
Et nos couteaux aigus qui, comme des tenailles,
Se croisaient en plongeant dans ses larges entrailles,
Jusqu'au dernier moment où le chien étranglé,
Mort longtemps avant lui, sous ses pieds a roulé.
Le Loup le quitte alors et puis il nous regarde.
Les couteaux lui restaient au flanc jusqu'à la garde,
Le clouaient au gazon tout baigné dans son sang ;
Nos fusils l'entouraient en sinistre croissant.
Il nous regarde encore, ensuite il se recouche,
Tout en léchant le sang répandu sur sa bouche,
Et, sans daigner savoir comment il a péri,
Refermant ses grands yeux, meurt sans jeter un cri.
II
J'ai reposé mon front sur mon fusil sans poudre,
Me prenant à penser, et n'ai pu me résoudre
A poursuivre sa Louve et ses fils qui, tous trois,
Avaient voulu l'attendre, et, comme je le crois,
Sans ses deux louveteaux la belle et sombre veuve
Ne l'eût pas laissé seul subir la grande épreuve ;
Mais son devoir était de les sauver, afin
De pouvoir leur apprendre à bien souffrir la faim,
A ne jamais entrer dans le pacte des villes
Que l'homme a fait avec les animaux serviles
Qui chassent devant lui, pour avoir le coucher,
Les premiers possesseurs du bois et du rocher.
Hélas ! ai-je pensé, malgré ce grand nom d'Hommes,
Que j'ai honte de nous, débiles que nous sommes !
Comment on doit quitter la vie et tous ses maux,
C'est vous qui le savez, sublimes animaux !
A voir ce que l'on fut sur terre et ce qu'on laisse
Seul le silence est grand ; tout le reste est faiblesse.
- Ah ! je t'ai bien compris, sauvage voyageur,
Et ton dernier regard m'est allé jusqu'au coeur !
Il disait : ' Si tu peux, fais que ton ame arrive,
A force de rester studieuse et pensive,
Jusqu'à ce haut degré de stoïque fierté
Où, naissant dans les bois, j'ai tout d'abord monté.
Gémir, pleurer, prier est également lache.
Fais énergiquement ta longue et lourde tache
Dans la voie où le Sort a voulu t'appeler,
Puis après, comme moi, souffre et meurs sans parler. '
Analyse
Composée durant la crise profonde de 1837-1838,
La première partie est un véritable récit de chasse; la pause de la deuxième partie ménage la transition du moi lyrique vers la réflexion philosophique de la troisième, une <<morale>> qui s'oppose aux effusions violentes des romantiques.
EMILY DICKINSON
Life
Emily Dickinson was born into a middle-class family in Amherst, Massachusetts, in 1830.
After attending school and college, she began a life of seclusion and, at the age of twenty-three, she wrote to Thomas W. Higginson, who was her only important connection with the literary life of her time: "I seldom leave home any more". She only wore white clothes and never left her father's house except for some walks in the garden.
Letter-writing became her only form of contact with the world and also her poems seem to have been writen for the purpose of communication, rather than for pubblication.
Poetry and isolation
Emily Dickinson's poetry was influenced by the rading of Shakespeare, Milton, the Metaphisical poets, and contemporary writers like Emily Brontë and Robert Browning. Besides, the Puritan tradition and Emerson's trascendentalism contributed to shaping her mind. However, she combinated all these influences in a highly original way, detached from current taste, from the great events and contrasts of the age.
Her themes are the eternal issues of life, so death, love, time, despair, God, nature. She was deeply interested in spiritual experience and almost obsessed by death, that elicited her curiosity and that remained the great mistery, connected with the thought of eternity, and regarded as a liberation from a state of anxiety.
There is no Silence in the Earth -- so silent
There is no
Silence in the Earth -- so silent
As that endured
Which uttered, would discourage Nature
And haunt the World.
This Poem refers to Emily Dickinson's dreaded inner vision. The word 'endured' suggests that she bears a kind of revelationary burden which she must never realise or attempt to express, it is perhaps her own terrified knowledge of infinte nothingness.
Silence is all we dread.
Silence is
all we dread.
There's Ransom in a Voice --
But Silence is Infinity.
Himself have not a face.
Emily Dickinson's solitude bore a wonderful and sublime spirituality. She was possessed of a desire to seek out infinity and immortality, and they presented themselves to her.
This is poem is an insight into Silence.
GARCÍA LORCA
La vida
Nació en Fuentevaqueros, en la provincia de Granada, en 1898. Estudia
las carrera de Letras y Derecho pero terminará sólo la segunda. Cuando a los 21
años se instala en
Diez años después, con una beca, cumple un viaje a Nueva York que será
fundamental para su inspiración poética. Lorca se siente tan cerca del pueblo
que funda en 1932 un grupo teatral, "
La poética
García Lorca dejó en sus obras rasgos de su personalidad única, vital pero al mismo tiempo dolorida y frustrada.
El tono de su poesía es angustiado, nostálgico, desesperado
El sentimiento de imposibilidad de realización, de frustración y el tema del destino trágico son elementos constantemente presentes tanto en la poesía como en el teatro lorquiano. Pero el elemento que hace de su poesía algo único e irrepetible es la convivencia de elementos casi opuestos como lo popular y lo culto, la perfección formal y el sentimiento profundamente humano.
El silencio
Oye, hijo mío, el silencio.
Es un silencio ondulado,
un silencio,
donde resbalan valles y ecos
y que inclina las frentes
hacia el suelo.
Elegía del silencio
Julio de 1920
Silencio, sdónde llevas
tu cristal empañado
de risas, de palabras
y sollozos del árbol?
sCómo limpias, silencio,
el rocío del canto
y las manchas sonoras
que los mares lejanos
dejan sobre la albura
serena de tu manto?
sQuién cierra tus heridas
cuando sobre los campos
alguna vieja noria
clava su lento dardo
en tu cristal inmenso?
sDónde vas si al ocaso
te hieren las campanas
y quiebran tu remanso
las bandadas de coplas
y el gran rumor dorado
que cae sobre los montes
azules sollozando?
El aire del invierno
hace tu azul pedazos,
y troncha tus florestas
el lamentar callado
de alguna fuente fría.
Donde posas tus manos,
la espina de la risa
o el caluroso hachazo
de la pasión encuentras.
Si te vas a los astros,
el zumbido solemne
de los azules pájaros
quiebra el gran equilibrio
de tu escondido cráneo.
Huyendo del sonido
eres sonido mismo,
espectro de armonía,
humo de grito y canto.
Vienes para decirnos
en las noches oscuras
la palabra infinita
sin aliento y sin labios.
Taladrado de estrellas
y maduro de música,
sdónde llevas, silencio,
tu dolor extrahumano,
dolor de estar cautivo
en la araña melódica,
ciego ya para siempre
tu manantial sagrado?
Hoy arrastran tus ondas
turbias de pensamiento
la ceniza sonora
y el dolor del antaño.
Los ecos de los gritos
que por siempre se fueron.
El estruendo remoto
del mar, momificado.
Si Jehová se ha dormido
sube al trono brillante,
quiébrale en su cabeza
un lucero apagado,
y acaba seriamente
con la música eterna,
la armonía sonora
de luz, y mientras tanto,
vuelve a tu manantial,
donde en la noche eterna,
antes que Dios y el tiempo,
manabas sosegado.
BIBLIOGRAFIA
FRANCESE
Bertini et al., Beaubourg, Einaudi scuola, 2002, vol.2A, pp. 58-63
Wikipedia.org (https://it.wikipedia.org/wiki/Alfred_de_Vigny)
Académie-française.fr (https://www.academie-francaise.fr)
INGLESE
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American Poems.com (https://www.americanpoems.com/poets/emilydickinson)
Bartleby.com (https://www.bartleby.com/113/index4/html)
Emily Dickinson.it (https://www.emilydickinson.it/)
ITALIANO
Cesare Segre, Clelia Martignoni, Leggere il mondo, Bruno Mondadori, 2005, volume ottavo, pp. 94-97, 401-404
Di Sacco et al., La letteratura, Bruno Mondadori, 1999, volume quarto, pp. 164-173
Ferraro Giuseppe, Zulati Alessandra, La pagina e i tempi, Simone per la scuola, 2004, pp. 254-277
Primo Levi, Se questo è un uomo, Giulio Einaudi editore, 1976 (da
pag.
La-poesia.it (https://www.la-poesia.it/italiani/fine-1900/ungaretti/GU_indice.htm)
Wikipedia.org (https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Ungaretti)
SPAGNOLO
Federico Garcia Lorca, Antologia poetica, Ugo Guanda, 1979
Felisa Bermejo et al., Manual de literatura española e hispanoamericana, Petrini, 2004, pp. 249-253
Wikipedia.org (https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Garcia_Lorca)
Garcia Lorca.org (https://www.garia-lorca.org)
STORIA DELL'ARTE
Giulio Bora et al., I luoghi dell'arte, Electa Bruno Mondadori, 2003
Umberto Daniele, Gabriela Sanna, Il
mondo dell'arte,
Edvard-munch.com (https://www.edvard-munch.com/)
Wikipedia.org (https://it.wikipedia.org/wiki/Edvard_Munch)
Aurorablu.com (https://www.aurorablu.it/poesie/silenzio.htm)
Il Silenzio Infranto (https://www.ilsilenzioinfranto.it/silenzio.htm)
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