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AppuntiMania.com » Superiori » Appunti di Arte cultura » APPUNTI SU J. J. ROUSSEAU - Lo 'stato di natura' come ipotesi di lavoro, Il valore normativo dello 'stato di natura', Rousseau contro gli Enciclopedisti




APPUNTI SU J. J. ROUSSEAU - Lo 'stato di natura' come ipotesi di lavoro, Il valore normativo dello 'stato di natura', Rousseau contro gli Enciclopedisti




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APPUNTI SU J. J. ROUSSEAU

1. Lo 'stato di natura' come ipotesi di lavoro

Francese per formazione spirituale, ma ginevrino per tradizione morale e politica, Rousseau si è sempre considerato uno straniero nella patria elettiva. Tale sentimento di spaesamento può forse ritenersi il fondamento psicologico di quelle analisi socio-politico-culturali che ne hanno fatto un critico radicale della vita civile del tempo. Nostalgico di un modello di rapporti sociali, improntato al recupero dei sentimenti più profondi dello spirito umano, egli avanzò l'ipotesi dell'uomo di natura, originariamente integro, biologicamente sano e moralmente retto; dunque non malvagio, non oppressore. L'uomo non era, ma è diventato malvagio e ingiusto, e il suo squilibrio non è originario, come riteneva Pascal sulla scorta della Bibbia, ma è uno squilibrio derivato e di ordine sociale. Rousseau amava e odiava gli uomini. Pur odiandoli egli sentiva di amarli. Li odiava per ciò che erano diventati, li amava per ciò che sono in profondità. La sanità morale, il senso della giustizia, l'amore, fanno parte della natura dell'uomo, mentre la maschera, la menzogna, la fitta rete dei rapporti alienanti sono effetti di quella sovrastruttura che si è andata formando lungo un crinale di estraneamento dai bisogni e dalle inclinazioni originarie. Lo stato di natura, più che una realtà storicamente databile, è un'ipotesi di lavoro che Rousseau attinge scavando principalmente dentro di sé e che utilizza per cogliere quanto di tale ricchezza umana è stato oscurato e represso dall'effettivo cammino storico.

2. Il valore normativo dello 'stato di natura'

Dunque, più che di un periodo storico o di una particolare esperienza storica, si tratta, quando parliamo di uno stato di natura in Rousseau, di una categoria teorica che agevola la comprensione dell'uomo presente e delle sue contraffazioni. Lo stato di natura ha un valore normativo, è un punto di riferimento nella determinazione degli aspetti corrotti che si sono insinuati nella nostra natura umana. Il tema del ritorno alla natura attraversa e sostiene tutti gli scritti del filosofo ginevrino. Su tale orientamento di pensiero è evidente l'influsso del mito del 'buon selvaggio', diffuso nella letteratura francese, a partire dal Cinquecento quando, in seguito alle grandi scoperte geografiche, comincia l'idealizzazione dei popoli primitivi e l'apologia della 'vita selvaggia'. Quando nel Settecento la vita sociale con i suoi 'costumi corrotti' venne sottoposta alla critica della ragione, il gusto dei costumi esotici e il fascino di quanto appariva estraneo alla civiltà europea si accentuarono e si diffusero. Rousseau studia con passione quel materiale documentario, e le sue analisi risultano di estremo interesse. 'I selvaggi - afferma nel Discorso sulle scienze - non sono precisamente cattivi, perché non sanno cosa sia essere buoni; poiché non è l'accrescimento dei lumi né il freno della legge, ma la calma delle passioni e l'ignoranza del vizio che impedisce loro di fare il male' (intellettualismo etico socratico). Si tratta, dunque, di uno stato al di qua del bene e del male. Lasciata al suo libero sviluppo, la natura porta al trionfo dei sentimenti, non della ragione, dell'istinto, non della riflessione, o dell'autoconservazione e non della sopraffazione. L'uomo non è soltanto ragione, anzi originariamente, l'uomo non è ragione, ma sentimenti e passioni.



3. Lo 'stato di natura' come stimolo di cambiamento per l'uomo moderno

L'attenzione di Rousseau, anche se egli guarda al passato, è tutta rivolta all'uomo presente, corrotto e disumano. Non si può parlare di primitivismo o di culto della barbarie, anche perché Rousseau conosce i limiti di quello stadio di vita. Il mito del 'buon selvaggio' è soprattutto una sorta di categoria filosofica, una norma di giudizio in base a cui condannare l'impianto storico-sociale che ha mortificato la ricchezza passionale dell'uomo, come la spontaneità dei suoi sentimenti più profondi. Confrontando l'uomo qual era con l'uomo qual è, Rousseau intendeva stimolare gli uomini a un cambiamento salutare.

4. Rousseau contro gli Enciclopedisti

Rousseau è contro la cultura, così come si è storicamente configurata, perché essa ha deturpato la natura. Originariamente sano, l'uomo si ritrova sfigurato; una volta simile a un dio, è diventato, ora, peggiore di una bestia feroce. L'uomo ha seguito una curva di decadenza. Trasferire le diseguaglianze, i dislivelli, le ingiustizie del presente sull'uomo originario o riportarle alla struttura dell'uomo, significa leggere il passato con gli occhi del presente. Lo spirito competitivo e conflittuale non è originario, ma derivato, perché frutto della storia. In sostanza, Rousseau pronuncia un giudizio severo e radicale su quanto l'uomo ha fatto e detto, come sulla riduzione dell'uomo a realtà razionale e sull'esaltazione dei suoi prodotti culturali, perché non hanno fatto progredire, ma regredire l'umanità. Quella di Rousseau fu una posizione 'scandalosa' perché riteneva responsabile dei mali sociali quelle lettere, arti e scienze in cui gli Enciclopedisti riponevano le cause del progresso. Le scienze, le arti e le lettere - si legge nel Discorso sulle scienze - non hanno fatto progredire la felicità umana ma hanno consolidato i vizi che le hanno provocate. Ciò che per gli Enciclopedisti era progresso, per Rousseau era regresso e corruzione. 'Tutti i progressi della specie umana l'allontanano continuamente dal suo stato primitivo; più noi accumuliamo nuove conoscenze e più ci precludiamo di acquistare la più importante di esse'. Questa storia di corruzione e ingiustizie ha avuto inizio per Rousseau con il nascere della diseguaglianza fra gli uomini, con l'affermazione della proprietà privata.

5-Visione pessimistica della storia

Quella di Rousseau è, pertanto, una visione pessimistica della storia e del suo corso, come dei suoi prodotti culturali. Voltaire squalificò il Discorso sull'ineguaglianza come un 'libello contro il genere umano'. Oltre che contro gli Enciclopedisti, Rousseau attacca anche Hobbes. L'uomo non è di per sé un lupo per l'altro uomo. L'uomo lo è diventato nel corso della storia. Lo stato di natura non è lo stato dell'istinto violento, dell'affermazione della vitalità senza controllo.


5. Rousseau illuminista

Rousseau è contro gli illuministi, non contro l'Illuminismo, di cui è interprete e fautore intelligente; è contro i giusnaturalisti, non contro il giusnaturalismo. Rousseau è un illuminista, perché considera la ragione lo strumento provilegiato per il superamento e la vittoria sui mali, in cui secoli di deviazione hanno gettato l'uomo. Rousseau è un giusnaturalista perché ripone nella natura umana la garanzia e le risorse per la salvezza dell'uomo. Egli è contro gli illuministi e i giusnaturalisti del tempo che ritenevano avviato l'itinerario di liberazione. Ai suoi occhi la società era ancora il prolungamento di una storia decadente e superstiziosa, e le arti, le scienze e le lettere le riteneva fondate su falsi presupposti. La strada della salvezza è un'altra. È la strada del ritorno alla natura e quindi della 'rinaturalizzazione dell'uomo'.

La società non può essere guarita con semplici riforme interne o con il semplice progresso delle scienze e delle tecniche. È necessaria una trasformazione dello spirito del popolo, un totale mutamento delle istituzioni. È necessaria una grande e dolorosa rivoluzione, una rottura radicale. Alla razionalità illuministica bisogna opporre una razionalità interiorizzata, in grado di recuperare la voce della coscienza. Infatti, se 'il selvaggio vive in se stesso, l'uomo della società, sempre al di fuori di sé, sa vivere unicamente dell'opinione degli altri, ed è per così dire soltanto dal loro giudizio che egli trae il sentimento della propria esistenza'. La società si è del tutto esteriorizzata e l'uomo ha perso il collegamento con il mondo interiore.

6.Il Contratto sociale

'L'uomo è nato libero e tuttavia è ovunque in catene', esordisce Rousseau nel Contratto sociale. Sciogliere l'uomo dalle catene e restituirlo alla libertà, è l'obiettivo del nuovo contratto che il filosofo ginevrino si appresta a delineare. Tale contratto non prospetta il ritorno alla natura originaria, ma esige la costruzione di un modello sociale, non fondato sugli istinti e sugli impulsi passionali, come quello primitivo, né però sulla sola ragione isolata e contrapposta ai sentimenti o alla voce del mondo pre-razionale, ma sulla voce della coscienza complessiva dell'uomo, aperto alla comunità. E qual è il principio che renderà possibile tale palingenesi storica? Certo non la volontà astratta o la ragione pura, estranea alle passioni, o la concezione individualistica dell'uomo, su cui facevano leva gli illuministi del tempo. Il principio che legittima il potere e garantisce la trasformazione sociale è costituito dalla volontà generale amante del bene comune.  Ma cos'è la volontà generale? La volontà generale non è il frutto di un patto di soggezione (pactum subiectionis) a una terza persona (come in Hobbes), il che implicherebbe la rinunzia alla propria responsabilità diretta e la delega dei propri diritti. La volontà generale è frutto di un 'pactum unionis' che ha luogo tra eguali, che restano sempre tali. Questo principio afferma la totale collettivizzazione e socializzazione dell'uomo che, con la volontà generale, deve pensare a sé solamente pensandosi insieme agli altri e solo tramite gli altri; e deve considerare gli altri non come strumenti ma come fini in sé. Nessuno deve ubbidire all'altro, ma tutti alla legge, sacra per tutti, perché espressione della volontà generale (Qui Rousseau anticipa l''etica del dovere' kantiana). Rousseau sottolinea, dunque, l'interiorizzazione della vita sociale e dei suoi doveri. Non c'è nulla di privato. Tutto è pubblico o almeno deve diventarlo. L'uomo è - come sosteneva Aristotele - essenzialmente sociale, un animale politico. È l'affermazione del primato della politica sulla morale o meglio la fondazione della morale sulla politica.


7. L'EMILIO

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Per Rousseau, dunque, l'educazione deve avere carattere naturale. Ma ciò implica  due conseguenze di notevole portata teorica e storica: a) il fine dell'educazione non può essere dettato dalla società, ma deve trovare fondamento nell'uomo stesso, nell'autonomia morale che è chiamato a conquistare; b) il metodo educativo deve essere ricavato dall'evoluzione naturale del soggetto e, dunque, deve risultare ordinato secondo precise scansioni psicologiche. Alla precisa domanda di ciò che è più importante fare in campo educativo, il R. risponde, in modo apparentemente paradossale:<<Molto senza dubbio: cioè bisogna impedire che qualche cosa sia fatto.>>. E' la famosa formula che definisce la cosiddetta educazione negativa. Educazione negativa significa per il R. negazione di ogni intervento intempestivo dell'educatore, e dunque rispetto dell'evoluzione naturale del soggetto e dei suoi bisogni; significa, ancora, azione molto accorta per impedire influenze negative esterne e il sorgere di molti pregiudizi, dato che il fine dell'educazione è lo sviluppo dell'uomo nella libertà, in direzione della sua perfezione naturale. L'educatore è al servizio di un grande maestro che avanza più fondate pretese , è al servizio della natura e della sua evoluzione. Il suo non è però un semplice osservare, ma anche un predisporre esperienze che evitino che il bambino contragga errate e distorte abitudini. Per quanto riguarda la prima infanzia, il R. segue indicazioni sensistiche (Condillac), insistendo sull'importanza dei rapporti che il bambino istituisce con gli oggetti e sull'efficacia del movimento. Nella prima infanzia bisogna escludere ogni forma diretta di educazione morale: divieti e opposizioni devono giungere al bambino dalle cose. La seconda infanzia e la fanciullezza (tre-sei anni e sei-dodici anni) sono ancora caratterizzati dall'educazione negativa, ma il campo d'azione del precettore si va allargando sempre di più. Per il R., infatti, la libertà non è un dato dell'esistenza, ma è una conquista, per cui l'educazione naturale non è, per lui, educazione nella libertà, ma educazione alla libertà. Posto che in questa fase dello sviluppo il soggetto non dispone ancora dei poteri della ragione, così come è evidente che ancora non può intendere divieti e comandi, , ma solo la forza e la necessità delle cose, allo stesso modo egli sarà insensibile all'ascolto dei precetti morali. Ciò che contraddistingue la prima e la seconda infanzia dalla terza (preadolescenza: 11-14 anni), invece, è il ribaltamento dei rapporti tra bisogni e potere di soddisfarli. Nelle fasi precedenti l'educatore si vedeva costretto a circoscrivere le esperienze per la debolezza intellettiva del soggetto; ora, invece, i poteri di quest'ultimo si dilatano a dismisura, la ragione si rafforza e si consolida sostenuta dalla curiosità e dalla sperimentazione di azioni e conoscenze che gli si configurano come utili. Sul piano psicologico intervengono nuove motivazioni: è tempo, dunque, di passare dal criterio didattico della educazione negativa a quello della educazione positiva e a una didattica che ora si fa carico di introdurre il soggetto nel mondo del sapere formale. Bisogna però sottolineare che educazione positiva non significa trasmissione di idee già ordinate in scienza, ma si traduce-muovendo dalla curiosità e ponendo attenzione alla utilità di quanto ci si occupa- in ricerca e scoperta, prendendo avvio dal mondo dell'esperienza e dagli oggetti. La vera educazione, secondo Rousseau, inizia propriamente durante l'adolescenza, e cioè nel momento in cui nel soggetto esplodono le passioni che lo conducono fuori di se stesso , nel mondo degli uomini. Fino a questo momento, il soggetto è vissuto in un mondo prevalentemente fisico, entro il quale ha esercitato i propri sensi e la propria intelligenza; la sua educazione è consistita più nel mantenere la mente libera dall'opinione e il cuore esente dai vizi, che dall'espansione della sua personalità. Ora, con lo sviluppo delle passioni e dell'immaginazione, l'educazione conosce un nuovo mutamento nei contenuti e nel metodo, perché introduce il soggetto nel mondo degli uomini, lo immerge nelle problematiche morali e, infine, lo proietta verso l'orizzonte delle idee astratte, fino alla conquista razionale dell'amore di Dio. L'amore di sé, quando non si tramuta in amor proprio, è sempre buono e porta alla pietà per il prossimo. Da quì le raccomandazioni del R. per accostare l'adolescente ad esperienze di sofferenza e di dolore, così che, progressivamente, egli possa pervenire al sentimento d'amore per tutti gli uomini. Così, di grado in grado, Emilio è condotto al cospetto dei valori, della giustizia, della pace tra gli uomini, di Dio. Alle soglie dell'età adulta, Emilio sposerà Sofia (ragazza comune, con difetti propri del suo sesso, quali la golosità e la civetteria, ma dotata di solida moralità e di raffinato gusto estetico) e darà vita a una nuova famiglia e sarà, a sua volta, precettore dei suoi figli. Il compito del suo precettore è finito: l'alunno è ora diventato a sua volta educatore


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