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Cenni storici sulla teoria elettromagnetica e presentazione delle equazioni di Maxwell in forma integrale




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Cenni storici sulla teoria elettromagnetica e presentazione delle equazioni di Maxwell in forma integrale


In meccanica classica ed in termodinamica, si è cercato di determinare l'insieme di equazioni o di leggi più piccolo e compatto che ci permettesse di analizzare il comportamento dei sistemi fisici. In meccanica classica la base è costituita dalle tre leggi del moto di Newton. In termodinamica, i tre principi (numerati zero, uno, due) sono in grado di spiegare una grande quantità di fenomeni. Le equazioni fondamentali dell'elettromagnetismo [.] sono note con il nome di equazioni di Maxwell, in onore del fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879) che per primo le inquadrò in una teoria simmetrica e completa dell'elettromagnetismo. [.]

L'incipit del capitolo 40 sulle equazioni di Maxwell del testo di fisica di Resnick, Halliday e Krane, sintetizza con chiarezza lo spirito che guidava le ricerche sull'elettromagnetismo attorno alla fine del XIX secolo: si tentava, come era stato in passato per le altre branche della fisica classica, di individuare i principi teorici minimi grazie ai quali fosse possibile derivare una spiegazione dei fenomeni elettromagnetici nella loro completezza. Maxwell e la sua formulazione giunsero alla fine di questo processo, che sintetizzò mezzo secolo di osservazioni ed esperimenti nelle quattro equazioni sopra riportate.

Consideriamo qui i protagonisti e le vicende di questa ricerca.

Fino al 1820 le scienze dell'elettricità e del magnetismo si svilupparono separatamente. Esisteva una legge empirica fondamentale posta a fondamento dell'elettrostatica: la legge di Coulomb.


          [legge di Coulomb in forma scalare]


Questa, per l'esattezza, è la forma in cui si presenta la legge se le cariche e sono poste nel vuoto. è detta costante dielettrica del vuoto (o permettività elettrica del vuoto).

Charles Augustin Coulomb condusse esperimenti con una bilancia di torsione e tradusse l'attrazione e la repulsione elettrica in termini quantitativi, deducendo la legge che ne governa l'azione attorno al 1785. Egli scoprì che il modulo della forza elettrica che si esercita tra due cariche (concetto dovuto a Benjamin Franklin) nello spazio è direttamente proporzionale al prodotto delle due cariche e diminuisce con il quadrato della distanza che le separa. Si potevano seguire due strade per attribuire un valore alla costante moltiplicativa che compariva nell'equazione:

definire l'unità di carica e stabilire la costante sperimentalmente

fissare la costante in maniera arbitraria e usare la legge della forza per determinare empiricamente l'unità di carica


Si scelse, di lì a poco, di seguire la prima via e l'unità di carica venne definita in termini di unità di corrente; ciò comportò l'assegnazione di un valore puramente sperimentale alla costante di proporzionalità diretta, dunque a . Nel caso del campo magnetico si scelse l'altra via, e questo spiega perché la permeabilità magnetica del vuoto abbia un valore esatto (tramite il quale determinare l'unità di corrente).

Gli esperimenti condotti quattro anni dopo, con una strumentazione analoga, sull'interazione magnetica, non portarono Coulomb alla formulazione di alcuna legge.
Attorno al 1820 furono altri due francesi, Jean-Baptiste Biot e Felix Savart, ad ottenere un'espressione analitica per la forza magnetica (tecnicamente per il campo); la legge di Biot-Savart era figlia di tre sviluppi essenziali in sede teorica:

si era arrivati a capire che l'interazione tra cariche nello spazio non avviene grazie ad una "azione a distanza" istantanea, com'era, ad esempio, nella meccanica gravitazionale newtoniana.

Alla schematizzazione seguente:


carica D carica


se ne sostituì uno di questo tipo:


carica D campo D carica


I campi costituiscono pertanto i mediatori dell'interazione elettrica e di quella magnetica, ma non si era ancora intuito che ad essi, benché si presentassero fenomenologicamente come entità separate, sottostava una stessa realtà fisica; questo fu il principale contributo dato da Maxwell alla teoria, le considerazioni di simmetria.

Con queste considerazioni, la legge di Biot-Savart non lega, come nel caso coulombiano, la forza magnetica alla quantità di "carica magnetica" di un corpo, ma dà una definizione del campo magnetico individuandolo come prodotto di una certa distribuzione di corrente.


[legge di Biot-Savart in forma scalare]


è la permeabilità magnetica del vuoto di cui parlavo sopra.

l'ultimo paragrafo del punto precedente suggerisce già i due ulteriori sviluppi; anzitutto, considerare il campo magnetico generato da un fenomeno elettrico (il moto di deriva degli elettroni in un cavo) implicava l'aver compreso che i due mondi non erano, in fondo, separati.

Nel 1820, infatti, Hans Christian Oersted rilevò che una corrente elettrica in un cavo è in grado di deflettere un ago magnetico posto nelle immediate vicinanze. Senza questa esperienza non si sarebbe potuti giungere alla formulazione di Biot e Savart, che stabilisce quantitativamente il contributo al campo magnetico dato da una corrente elettrica; i due osservarono che tra due circuiti percorsi da correnti si esercitavano forze mutuamente attrattive o repulsive, dette ponderomotrici.

Coulomb, tentando di stabilire quantitativamente il valore della forza magnetica esercitata tra due corpi, pensava che i parametri fondamentali sarebbero stati, per analogia col caso elettrico, la distanza tra essi e la quantità di magnetismo da loro posseduta intrinsecamente; pensava dunque che fosse possibile definire la carica magnetica come proprietà intensiva di un corpo.

All'epoca in cui Biot e Savart produssero il loro risultato c'era invece molto scetticismo riguardo alla possibilità dell'esistenza di un monopolo magnetico, il quale non era mai stato osservato sperimentalmente. Senza di esso non c'era possibilità di definire un analogo magnetico della carica, e questo guidò i due ad individuare cause diverse. Secondo quanto spiegato ai punti 1 e 2, i fisici avevano capito che l'interazione magnetica seguiva il seguente schema:


carica in movimento D campo magnetico D carica in movimento


O, analogamente:


corrente D campo magnetico D corrente


Questo spiega perché, una volta fissato il valore esatto di () sia possibile definire l'unità di corrente.

Entrambe le leggi di cui abbiamo discusso furono presto superate da altre che sembravano poter descrivere un numero più elevato di fenomeni; queste sono, rispettivamente per il caso elettrico e magnetico, il teorema di Gauss e la legge di Ampère.

Karl Friedrich Gauss dimostrò alcuni importanti teoremi di calcolo integrale e differenziale multidimensionale, che descrivono certe proprietà che i campi vettoriali devono possedere. Uno di questi teoremi lega il flusso di un campo vettoriale calcolato attraverso una superficie chiusa (detta superficie gaussiana) alle sorgenti del campo racchiuse dalla superficie stessa. Nel caso del campo elettrico vale il seguente enunciato: il flusso del campo elettrico uscente da una qualsiasi superficie chiusa che contenga della carica è proporzionale (secondo il fattore ) alla carica netta contenuta nella superficie, indipendentemente dalla sua forma e dalla sua area.  Ciò è esprimibile mediante un'equazione integrale; essa si considera, di solito, come la prima delle equazioni di Maxwell in forma integrale.


       [teorema di Gauss]


Vedremo come lo stesso teorema, espresso in un'altra forma, faccia passare da questa caratterizzazione del campo elettrostatico, che ne mette in luce una proprietà estesa, ad un'altra equivalente, che ne metterà in luce una proprietà locale.
Gauss dimostrò che i suoi argomenti sono una diretta conseguenza della legge di Coulomb e del principio di sovrapposizione, cioè che non contengono alcuna informazione nuova rispetto a queste leggi fisiche. Risulta vera anche la proposizione inversa: se si ammettono validi per un campo vettoriale di forze il teorema di Gauss e la legge di irrotazionalità (espressa dal fatto che la circuitazione del campo elettrostatico lungo un circuito chiuso è nulla), tali forze verificano una legge di interazione di tipo coulombiano e il principio di sovrapposizione.


  [legge di irrotazionalità per un campo vettoriale ]


Anche l'esistenza delle due specie di cariche è contenuta nel teorema di Gauss, quando nel suo enunciato si specifichi che il flusso di uscente da una superficie chiusa può essere positivo o negativo. Esiste una completa equivalenza di contenuti tra il teorema di Gauss e la legge di irrotazionalità da una parte e la legge di Coulomb e il principio di sovrapposizione dall'altra (anche se, a rigore, alle prime due andrebbe aggiunta un'informazione circa il comportamento all'infinito del campo). In linea di principio, un campo elettrostatico può essere calcolato più agevolmente utilizzando il teorema di Gauss e la legge di irrotazionalità, e questo è il motivo per cui lo si considera più generale rispetto alla legge di Coulomb.

Poche settimane dopo aver assistito alla conferenza in cui Oersted presentò le sue osservazioni sui legami tra elettricità e magnetismo, André-Marie Ampère propose una legge che permetteva di calcolare il valore del campo magnetico associato ad una distribuzione di carica usando, come fece Gauss, argomenti di simmetria. L'equazione di Biot-Savart può essere derivata a partire dalla legge di Ampère e si prefigura, al pari della legge di Coulomb, più come una tecnica per il calcolo del campo magnetico che come una sua possibile descrizione.

Ampère mise in evidenza che una corrente di conduzione genera nelle proprie immediate vicinanze un campo magnetico con circuitazione non nulla, e fornì una maniera semplice di calcolare l'integrale di linea che dovrebbe valutare detta circuitazione. La sua legge asserisce che la circuitazione del campo magnetico lungo una curva chiusa semplice è direttamente proporzionale all'intensità delle correnti concatenate alla curva stessa. La costante di proporzionalità è .


         [legge di Ampère]


Questa, che si prefigura come la legge della circuitazione del campo magnetico, è in alcuni testi considerata come la seconda legge della magnetostatica (ad esempio negli elementi di elettromagnetismo di Gatti e Bobbio); di quella fondamentale parleremo tra poco.

A questi due teoremi, il secondo dei quali fu ampliato da Maxwell, furono affiancati due altri enunciati: la legge fondamentale della magnetostatica (sempre dovuta a Gauss) e la legge sull'induzione magnetica, per cui dobbiamo citare Faraday.

Gauss cominciò a condurre esperimenti sul campo magnetico assieme a Wilhelm Eduard Weber (il cui nome fu dato all'unità di misura che quantifica il flusso magnetico attraverso una superficie non chiusa; 1 weber = 1 ) a partire dagli anni '30 dell'ottocento. La prima legge che formularono è nota come legge fondamentale della magnetostatica e afferma che il campo magnetico prodotto da una qualsiasi distribuzione di correnti è solenoidale (rotazionale o incomprimibile).


         [solenoidalità del campo magnetico]


Questa è inoltre la seconda delle equazioni di Maxwell.

La differenza col caso elettrostatico è evidente: nel caso magnetico, infatti, il flusso di attraverso una superficie chiusa è sempre nullo. Non esistono cariche magnetiche da cui partano o in cui terminino le linee vettoriali; esse si presentano pertanto senza inizio né fine (cioè chiuse), oppure estese all'infinito.

Le caratteristiche della circuitazione del campo elettrico furono enunciate nel 1831 congiuntamente da Michael Faraday e Joseph Henry (il cui nome fu dato all'unità di misura che quantifica l'induttanza di un solenoide, l'analogo magnetico della capacità, che si esprime, invece, in faraday). Si riconosce a Faraday la priorità di scoperta perché pubblicò i suoi risultati per primo, in Inghilterra. Essa stabilisce che, in presenza di campi magnetici variabili nel tempo, la circuitazione del campo elettrico è, in generale, diversa da zero: la f.e.m. (forza elettromotrice) agente lungo uno linea chiusa semplice è pari (a meno del segno) alla derivata nel tempo di flusso magnetico concatenato con la linea stessa (legge del flusso); di solito si indica tale curva (o linea) con spira ampèriana. Inoltre, e la differenza è sottile, un campo magnetico variabile genera un campo elettrico rotazionale indotto (induzione elettromagnetica).


                     [induzione elettromagnetica]


                        [legge del flusso]


La legge, se espressa in una singola forma, può far confondere due fenomeni distinti: l'induzione elettromagnetica (che coinvolge un campo magnetico variabile nel tempo) e la forza elettromotrice (che implica il movimento di una particelle cariche attraverso un conduttore). L'uso di entrambe le forme distingue invece tra una legge del flusso, che lega la derivata rispetto al tempo del flusso del campo magnetico alla forza elettromotrice prodotta, e una vera e propria legge dell'induzione magnetica, che lega la derivata rispetto al tempo del campo magnetico stesso al campo elettrico indotto. Bisogna osservare che una f.e.m. è generata in entrambi i casi, ma non un campo elettrico.

Abbiamo quindi individuato le quattro equazioni da cui Maxwell partì nella sua analisi; queste, assieme al principio di conservazione della carica (data una qualsiasi superficie chiusa Σ, la quantità di carica che l'attraversa in un generico intervallo di tempo corrisponde alla variazione della carica contenuta nel volume racchiuso da Σ), costituiscono le leggi fondamentali per l'elettromagnetismo nel vuoto.


[legge di conservazione della carica; "j" è il vettore densità di corrente]


Non è nei miei interessi trattare le stesse leggi in presenza di mezzi materiali, benché l'estensione non sia formalmente troppo complessa.

Per concludere, dobbiamo spiegare in che senso Maxwell modificò la legge di Ampère e quali siano le modifiche apportate da Heinrich Friedrich Emil Lenz alla legge per l'induzione di Faraday-Neumann.

Lenz propose il suo argomento nel 1834, e la sua argomentazione si basava sul principio classico di conservazione dell'energia.

La legge di Lenz (che si esplica nel segno meno al secondo membro dell'equazione sulla circuitazione del campo elettrico) recita come segue: la corrente indotta in una spira conduttrice chiusa ha un verso tale da opporsi alla variazione che l'ha generata.

L'idea fondamentale, in termini intuitivi, è che la corrente indotta da un flusso magnetico variabile non può essere tale da originare un flusso magnetico che si sommi costruttivamente al precedente; se ciò accadesse, si sarebbe instaurato un meccanismo a feedback positivo che consentirebbe di ottenere una quantità arbitraria di energia partendo da un'azione semplicissima, come avvicinare un magnete ad una spira conduttrice circolare. Questo non significa che il campo magnetico della corrente indotta sia sempre tale da ridurre l'intensità del campo magnetico complessivo, ciò che è importante è che si opponga alla variazione, in positivo o in negativo, del flusso magnetico che l'ha generato. Se per esempio ci immaginiamo, con l'esempio precedente, di allontanare il magnete dalla spira circolare, determinando una riduzione del numero di linee del campo magnetico che attraversano qualunque superficie che abbia per orlo la spira, la corrente indotta tenderà a far aumentare il campo magnetico.

Arriviamo infine al contributo di Maxwell. Egli descrisse la sua teoria dell'elettromagnetismo in due testi, il primo del 1864 ("A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field") e il secondo del 1873. Nel primo propose un'interpretazione ondulatoria dei fenomeni luminosi: la luce non è altro che una perturbazione del campo elettromagnetico che si propaga trasversalmente rispetto ad esso. Essa è a tutti gli effetti un'onda elettromagnetica. Maxwell dimostrò inoltre che la velocità della luce è legata ai valori delle costanti di permeabilità elettrica e magnetica del vuoto, e il calcolo che egli fece del suo valore si discostò così poco dai dati sperimentali che nessuno dubitò della sua derivazione. La dimostrazione di ciò, che si può considerare come il coronamento degli sforzi di mezzo secolo di ricerca in fisica, costituirà la parte finale della mia tesina.

Il testo del 1873 ("Trattato sull'elettricità e sul magnetismo") contiene le quattro equazioni di cui sopra, anche se fu il fisico inglese Oliver Heaviside (1850-1925) a esprimerle nella forma con cui sono note oggi. In effetti Maxwell non propose le sue equazioni in forma vettoriale, come sarebbe stato logico, ma in forma scalare per componenti. Questo complicò notevolmente la lettura del suo testo.         

Fu anche per la volontà di semplificare la notazione della teoria elettromagnetica che si iniziò a studiare con rinnovato interesse l'analisi matematica che coinvolgeva campi e funzioni vettoriali. Contributi importanti a questi sviluppi (che costituiscono l'essenza della seconda sezione della tesina) furono dati anche da Hermann Grassmann.

La legge di Ampère fu però modificata da Maxwell come segue:


      [legge di Ampère-Maxwell]


La differenza rispetto alla formulazione di ampere è l'aggiunta di un termine che coinvolge (come nel caso della legge di Faraday-Neumann-Lenz, la sua duale elettrica) il flusso del campo elettrico. Maxwell modificò l'equazione per motivi puramente teorici: egli sosteneva una perfetta specularità delle due equazioni (e quindi dei fenomeni di induzione elettromagnetica). Questo argomento di simmetria non è condizione sufficiente per ritenere che una tale correzione sia legittima, ma possiamo considerare un'evidenza empirica che porta ad una apparente violazione della legge di Ampère, se non si accetta di modificarne l'enunciato,.

Consideriamo un circuito RC e poniamoci nelle vicinanze di uno dei due piatti del condensatore inserito nel circuito. Valutiamo la circuitazione del campo magnetico lungo una spira ampèriana posta, per esempio, a sinistra di un piatto del condensatore. Come in figura.



Sia L la spira in questione; abbiamo piena libertà di scegliere una superficie aperta, purché abbia orlo L, tale per cui la corrente di conduzione i(t) sia concatenata ad essa (un cerchio con circonferenza L andrà bene). Per ogni particolare scelta, la circuitazione del campo magnetico lungo L deve avere un valore diverso da zero. La legge di Ampère ci assicura che questo valore della circuitazione deve essere lo stesso comunque si consideri una superficie con bordo L.  Immaginiamo però di costruire una superficie che non tocchi nessun elemento fisico del circuito; questo è possibile se facciamo attraversare alla superficie in questione la zona compresa tra i due piatti del condensatore, in cui non avviene alcuno scambio di materia.



Nella seconda immagine, la superficie appena ipotizzata è un cilindro aperto. I è la corrente di conduzione, L è ancora la spira ampèriana che consideravamo e R è la base del cilindro situata tra i due piatti del condensatore. Dobbiamo concludere che non c'è alcuna corrente concatenata alla superficie in questione; tra i due piatti di un condensatore esiste solo un campo elettrico la cui intensità dipende dalla densità di carica superficiale sui piatti. Non c'è corrente di conduzione.
Questo semplice esperimento porta ad una violazione della legge di Ampère, poiché in questo caso il valore della circuitazione del campo magnetico deve essere nullo.

Per essere precisi, l'incoerenza sussiste solo durante il tempo di carica del condensatore: nessuna corrente, neppure di conduzione lungo il filo, fluisce prima che l'interruttore chiuda il circuito (cioè prima che la carica inizi a depositarsi sui piatti del condensatore) o dopo che il condensatore sia completamente carico. In entrambe queste circostanze, la corrente concatenata deve essere nulla attraverso qualunque superficie si possa considerare. Perciò, ogni modifica della legge di Ampère deve ricondursi ad essa nel caso di situazioni statiche e limitare la sua validità a situazioni che varino nel tempo.

Potremmo chiederci, con Maxwell: dato che nessuna corrente di conduzione sta fluendo attraverso i piatti del condensatore, cos'altro potrebbe essere presente in quella regione che possa fungere da sorgente di un campo magnetico?

Mentre la carica si accumula sui piatti del condensatore il suo campo elettrico interno cresce; ciò implica che anche il flusso elettrico attraverso la superficie che abbiamo costruito non sia costante nel tempo, e possiamo usare il teorema di Gauss per determinare la sua variazione.

L'unità di misura della variazione del flusso elettrico rispetto al tempo, moltiplicata per la costante dielettrica del vuoto, è il coulomb al secondo, la stessa della corrente elettrica.  Era lecito aspettarsi che fosse una grandezza fisica analoga alla corrente di conduzione a profilarsi come ulteriore sorgente di un campo magnetico. Maxwell chiamò questa grandezza "corrente di spostamento" (displacement current) benché nessuna carica fluisse effettivamente nello spazio; questo nome non è dovuto solo, come si sente dire di solito, a motivi storici, ma anche al fatto che la "corrente" associata alla variazione del flusso elettrico è in legata (in presenza di mezzi materiali) al vettore elettrico spostamento D.


       [corrente di spostamento]


Una conseguenza della correzione apportata alla legge di Ampère è che essa conduce ad associare ad ogni campo elettrico variabile nel tempo un campo magnetico: questo fenomeno, l'induzione magnetoelettrica, costituisce il duale dell'induzione elettromagnetica.

Questo accorgimento, l'ultimo, garantì la validità della legge di Ampère nel caso non statico e portò quasi al massimo livello la simmetria delle equazioni per l'elettromagnetismo; ciò che mancava, e continua a mancare, è l'esistenza di un monopolo magnetico. Gli esperimenti condotti finora non sono riusciti ad evidenziarne la presenza o ad individuare, quantomeno, la necessità logica della sua introduzione nel formalismo elettromagnetico. La sua implementazione nella teoria sarebbe del resto piuttosto agevole.

Un ultimo commento che si può fare sul formalismo maxwelliano è che esso resse alla prova della relatività di Einstein; mentre la meccanica classica newtoniana fu rivoluzionata dall'approccio relativistico, l'elettromagnetismo se la cavò con l'introduzione di alcuni fattori correttivi nelle sue equazioni, ma tutti i suoi principi ressero. Fu, anzi, una conseguenza paradossale che emergeva considerando il modello elettromagnetico della luce congiuntamente alla meccanica classica a costituire uno dei primi Gedankenexperiment (termine di Oersted) compiuti da Einstein per decostruire la teoria del grande fisico inglese.





David Halliday, Robert Resnick e Kenneth S. Krane, Fisica 2-quarta edizione, ed. italiana a cura di A. Pullia, Casa editrice Ambrosiana, Milano, 1998, p. 925

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