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Universo finito o infinito?




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Universo finito o infinito?

Archimede, nel terzo secolo a.C., diede il primo esempio concreto di calcolo in cui il numero di cose realmente esistenti, anche se piccolissime, non è infinito. Egli infatti, utilizzando il suo complesso sistema di numerazione, elaborò una stima del numero dei granelli di sabbia presenti in tutto l'universo (intendendo per universo la sfera delle stelle fisse di cui Aristarco aveva indicato le dimensioni). Archimede volle dimostrare in questo modo l'errore di coloro che, ai suoi tempi, ritenevano il numero dei granelli di sabbia un esempio di infinito.
Il calcolo su cui si basò Archimede, è evidente, prevede un universo assolutamente finito. Alla luce delle conoscenze scientifiche attuali non possiamo sapere in realtà se l'universo sia infinito, ma sono stati elaborati alcuni modelli interpretativi.
Nel 1929, l'astronomo inglese Edwin Hubble, dopo avere stimato le distanze delle galassie e la loro velocità, osservando spettroscopicamente lo spostamento verso il rosso (redshift), concluse che le galassie sono in costante allontanamento tra di loro, e che la velocità del loro allontanamento (o recessione) è direttamente proporzionale alla loro distanza, misurata dalla Terra, non certo perché la Terra sia un punto privilegiato dell'universo, ma perché è il punto dal quale possiamo effettuare le misurazioni. Si immagini un palloncino sul quale sono incollati dei coriandoli: gonfiando il palloncino i coriandoli si allontanano tra di loro: ciascun coriandolo vede gli altri allontanarsi da sè come se fosse posto al centro. Il paragone universo-palloncino e galassie-coriandoli è evidente.
Senza abbandonare l'esempio, supponiamo che i coriandoli si possano muovere sulla superficie del palloncino: il loro universo sarebbe costituito dalla sola superficie bidimensionale del palloncino. Essi si potrebbero muovere solo su quella superficie, e non concepirebbero l'esistenza di una terza dimensione (l'altezza): il 'sopra' e il 'sotto' non hanno infatti alcun significato in una superficie a due dimensioni.
Quando il palloncino si gonfia, i coriandoli, vedendo allontanarsi gli altri coriandoli, immaginano che il centro dell'espansione sia posto sulla superficie del palloncino stesso, ma non si rendono conto che in realtà il centro di espansione (che ovviamente è il centro del palloncino) si trova al di fuori di quella, in un'altra dimensione. E' a tre dimensioni, infatti, che si espande il palloncino, e la curvatura del suo spazio ne produce la superficie.
Passiamo ora al nostro universo, facendo il salto di una dimensione. Il mondo in cui sono immerse le galassie e in  cui siamo immersi noi è tridimensionale: dov'é il centro dell'espansione? Ancora una volta occorre aggiungere una dimensione, al di fuori dello spazio a noi accessibile: la quarta. E' solo in uno spazio a quattro dimensioni che esiste il centro dell'espansione del nostro universo. Come abbiamo già detto all'inizio, la nostra mente non concepisce più di tre dimensioni, ma i nostri calcoli matematici sì. E' in termini matematici, dunque, che vengono studiati i modelli interpretativi della struttura dell'universo. La quarta dimensione è strettamente legata al tempo: la dimensione dell'universo è una dimensione spazio-temporale: nello spazio-tempo ogni punto è individuato da tre coordinate spaziali ed una temporale (x-y-z-ct).
Conclusione: l'universo si espande nello spazio-tempo, e non è immaginabile un centro di espansione nello spazio ordinario a tre dimensioni.
La legge di Hubble porta a immaginare uno stato iniziale dell'universo in cui una massa al limite infinita era concentrata in un punto di volume al limite nullo, di temperatura e densità elevatissime. E' la teoria del Big Bang: da questo punto l'universo ha cominciato ad espandersi con progressiva diminuzione della densità e della temperatura. In realtà, non siamo in grado di sapere cosa sia stato prima di 10 elevato alla -46 secondi dal momento dell'inizio.
A questo punto, possiamo esaminare i possibili modelli interpretativi dell'evoluzione dell'universo.
Essi dipendono dalla densità media dell'universo. Se questa è maggiore di una densità critica pc, si ha un universo chiuso e curvo (è il modello a ipersfera), il cui moto di espansione finirà con l'essere arrestato dalle forze di gravità. Quando verrà raggiunta la dimensione massima, le galassie inizieranno a riavvicinarsi tra di loro (sarà dunque osservabile un generale spostamento verso il blu), fino a collassare di nuovo in un punto di raggio nullo inconcepibilmente denso e caldo: é il cosiddetto Big Crunch, il processo inverso del Big Bang. Non è escluso che, da quel momento, abbia inizio una nuova creazione.
Se la densità dell'universo è invece minore di pc, si ha un universo aperto e curvo, che continuerà ad espandersi all'infinito (è il modello a ipersella), divenendo sempre piò freddo e vuoto.
Se la densità fosse invece proprio uguale a  pc, si avrebbe un universo aperto e piano, la cui espansione continuerebbe sempre all'infinito, ma con velocità sempre minore.

Il valore della densità critica

Come si è detto, il valore della densità critica pc deve esprimere quel valore soglia oltrepassato il quale l'attrazione gravitazionale ha il sopravvento sull'allontanamento delle galassie, e dipende dunque da quanto l'espansione è frenata dall'attrazione gravitazionale. Questo valore risulta essere inversamente proporzionale alla costante gravitazionale di Newton G (6,97 · 10-11 N·m2/kg2), e direttamente proporzionale alla costante di Hubble H, che esprime la tendenza all' espansione dell'universo (la velocità di espansione per la legge di Hubble, infatti, è v = H · d). Ma il valore della costante di Hubble non è noto con certezza (vi si risale misurando la velocità di recessione di una galassia e la sua distanza, utilizzando quindi la formula inversa H = v / d, ma mentre la velocità di allontanamento radiale può essere misurata con una certa precisione dall'analisi spettroscopica, la determinazione delle distanze è molto poco precisa).
La relazione tra pc , G e H è espressa dalla formula:
pc = 3 G2 / 8 π H.
Assumendo per la costante di Hubble un valore di circa 73 ± 8 km / s·Mpc, si ottiene un valore di densità critica medio dell'ordine di 10-26 kg/m3.
Questo valore di densità, confrontato con quelle a cui siamo abituati noi, è assai piccolo. Se si tiene conto della massa di un protone (1,67 · 10-27 kg), si deduce che il valore di densità critica è raggiunto se, in tutto l'universo, vi é una distribuzione media di 6 protoni per metro cubo.
Il parametro adimensionale Ω esprime il rapporto tra la densità reale dell'universo, a noi ignota, e quella critica appena determinata, secondo la definizione
Ω = p / pc
E' possibile in questo modo utilizzare Ω per esprimere le tre ipotesi sul destino dell'universo. Infatti, se Ω < 1 (p < pc) abbiamo un universo a ipersella e curvatura spaziale negativa; se Ω = 1 (p = pc) un universo piatto e geometria euclidea; se Ω > 1 (p >pc) un universo a ipersfera e curvatura spaziale positiva.



Il modello ad 'ipersfera' riconduce l'universo ad una immensa sfera  (da intendersi, in realtà, a quattro dimensioni) nella quale dal punto del big-bang (fig. 1.1) i corpi si allontanano tra di loro (fig. 1.2 e 1.3) per poi riavvicinarsi e collassare nel punto diametralmente opposto (fig. 1.4); mentre quello ad 'ipersella' prevede che - se la massa dell'universo è relativamente esigua - i corpi continueranno ad allontanarsi tra di loro sempre di più (fig. 2), all'infinito, senza mai riavvicinarsi.


Dalla presenza di materia dipende anche la curvatura dello spazio: nel modello a ipersfera si avrebbe una curvatura positiva (per intenderci, la somma degli angoli interni di un triangolo, così come avviene sulla Terra che è sferica, è maggiore dell'angolo piatto), nel modello a ipersella una curvatura negativa (la somma degli angoli minore di un angolo piatto), e nel modello piano si avrebbe uno spazio piano descrivibile con la geometria euclidea (la somma degli angoli interni di un triangolo uguale all'angolo piatto).
In conclusione, abbiamo visto che, nel modello a ipersfera, l'universo sarebbe di estensione e durata finite, mentre negli altri due modelli sembrerebbe essere infinito.
Ma attenzione: in queste ultime due eventualità si avrebbe un espansione infinita dello spazio, e non un espansione nello spazio  infinito. Insomma, anche il modello a ipersella non prevede un universo infinito in atto, ma semplicemente un universo che continua ad espandersi divenendo sempre più grande.
Più complicato è il discorso per quanto riguarda il tempo. Ci si chiede infatti: cosa c'era prima del Big-Bang? Come poteva il tempo non scorrere? Questa domanda parte da una concezione errata del tempo, considerato come qualcosa di assoluto ed oggettivo quando in realtà non lo è affatto. Come affermava anche Einstein il tempo è relativo e soggettivo: é rallentato dalla presenza di massa, è inscindibile dallo spazio e come questo viene deformato, scorre diversamente per osservatori appartenenti a sistemi di riferimento diversi. Prima del Big-Bang non c'era spazio e dunque non c'era tempo. E se anche accettiamo la teoria del Big-Bang come punto di spazio nullo e massa infinita, la massa infinita rallenterebbe infinitamente il tempo, tanto da non permettergli di scorrere. Il tempo ha dunque un limite iniziale. Quanto a  quello finale, il discorso è lo stesso che per quanto riguarda lo spazio: si tratta di un infinito in potenza.
Il problema dell'infinità dell'universo non ha una soluzione definitiva.

In ogni caso, se di infinito è fatta la realtà, è molto improbabile che si tratti di un infinito tridimensionale come quello che noi immaginiamo pensando ad un universo infinito. Più verosimile, invece, è l'ipotesi di un infinito al di sopra della terza dimensione, se non addirittura di un infinità di dimensioni superiori.








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