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La teoria di Planck portò fin da subito delle importanti novità anche nel campo dell'astronomia. Infatti, grazie al modello atomico di Bohr, si è potuto iniziare a studiare gli spettri di corpi celesti per misurarne temperatura (all'aumentare della temperatura diminuisce la lunghezza d'onda delle radiazioni luminose) e composizione superficiale.
Secondo il modello atomico di Bohr un atomo può assorbire o emettere una radiazione elettromagnetica che è diversa per ogni elemento o ione; pertanto gli spettri sono un valido strumento di indagine, poiché esso è determinato appunto dalla temperatura superficiale e dalla composizione chimica stessa del corpo osservato.
Questo ha permesso di classificare le stelle in classi spettrali che vanno dalla classe O, di colore bianco-azzurro e con temperatura più alta (circa 40.000 K), fino alla classe M, nella quale sono inserite le stelle più fredde, di colore rosso, con temperature fino a 3.000 K (il nostro Sole appartiene alla classe G, con una temperatura tra 5.000 e 6.000 K).
Analisi spettrali effettuate su migliaia di stelle hanno inoltre rivelato che la maggior parte di esse hanno la propria atmosfera composta al 99% idrogeno (H: 80%) e di elio (He: 19%), mentre il restante 1% comprende elementi chimici più pesanti.
Un altro fenomeno che è possibile studiare attraverso gli spettri riguarda l'individuazione di
Nebulose, che spesso hanno una luminosità troppo debole per essere individuate senza alcun riferimento.
Infatti, quando un fascio di luce policromatica attraversa i gas di una nebulosa (o dell'atmosfera esterna di una stella) posta tra la sorgente e la terra, può scontrarsi con i suoi atomi ed esserne alterato.
Noi sappiamo che ogni atomo, così come può emettere solo un certo tipo di radiazioni, allo stesso modo può assorbirne solo alcune.
Si parla in questo caso di spettro di assorbimento; una specie di "negativo" dello spettro di emissione di quello stesso gas.
Sebbene già dal XVII secolo si studiassero gli spettri stellari, la teoria dei quanti andò a perfezionare l'uso che ne veniva fatto. Oggi infatti sappiamo con certezza quali siano gli spettri di emissione e di assorbimento di tutti gli elementi, e risulta facile capire da cosa sia composta l'atmosfera di una stella.
Ma lo studio degli spettri non si limita a questo: essi sono di fondamentale importanza anche nello studio del moto dei corpi celesti: mentre è semplice studiare il moto di un corpo che si muove perpendicolarmente all'osservatore, non lo è altrettanto per uno che si avvicina o si allontana.
La spettroscopia consente di misurare la velocità con cui una stella si muove grazie al fenomeno detto redshift, che consiste in uno spostamento delle frequenze delle radiazioni elettromagnetiche emesse verso il rosso o il blu in base al fatto che suddetti corpi si allontanino o si avvicinino allo spettroscopio.
Questo fenomeno è conseguenza dell'effetto Doppler, secondo cui le onde emesse da una sorgente in movimento (o ricevute da un ricevitore in movimento) subiscono una variazione di frequenza: se un oggetto si allontana aumenta la lunghezza d'onda emessa da tale oggetto, e viceversa.
Dalle analisi spettroscopiche si possono così ottenere precise informazioni sul moto di un corpo celeste e risulta possibile calcolarne la velocità relativa.
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